
La recente sentenza della Corte di Cassazione, Sez. I Penale, n. 7530 del 30 gennaio 2025, ha ribadito principi fondamentali in tema di bancarotta fraudolenta patrimoniale, con particolare attenzione alla rilevanza dei vantaggi compensativi nelle operazioni infragruppo.
Il Caso
La vicenda giudiziaria ha riguardato l’imprenditore Gu.Gu., condannato dalla Corte d’Appello di Ancona per bancarotta fraudolenta patrimoniale ai sensi dell’art. 216, primo comma, n. 1 del R.D. 16 marzo 1942, n. 267. La condanna è seguita all’annullamento con rinvio della sentenza di assoluzione emessa dal Tribunale di Urbino, ritenuta erronea dalla Suprema Corte in un precedente giudizio.
L’imputato era accusato di aver impiegato risorse della sua impresa individuale, successivamente fallita, per onorare debiti di società giuridicamente distinte a lui riconducibili. La difesa aveva sostenuto che tali operazioni rientravano in una logica di gruppo, giustificata dalla necessità di mantenere in attività le imprese coinvolte, a beneficio anche della fallita.
Il principio di diritto: i vantaggi compensativi devono essere certi e documentati
La Cassazione ha respinto il ricorso dell’imputato, confermando la condanna e chiarendo i criteri per l’applicabilità del principio dei vantaggi compensativi nelle operazioni infragruppo.
Secondo i giudici:
Non basta la mera appartenenza a un gruppo di imprese – Per escludere la bancarotta fraudolenta patrimoniale, non è sufficiente dimostrare che le società coinvolte facessero parte di un medesimo contesto imprenditoriale. Occorre provare l’esistenza di un centro di direzione unitario e un piano di azione comune.
I vantaggi compensativi devono essere certi, congrui e proporzionati – Per neutralizzare gli svantaggi derivanti dall’utilizzo di risorse aziendali a favore di altre imprese, i benefici ottenuti devono essere di valore almeno equivalente al sacrificio economico sostenuto. Devono inoltre risultare documentati in modo oggettivo (business plan, bilanci, verbali societari, contratti).
La finalità di mantenere attive le società non esclude la bancarotta – Il fatto che l’imprenditore abbia utilizzato le risorse della fallita per evitare la chiusura di altre imprese non può costituire, di per sé, una giustificazione per l’operazione. La Corte ha ribadito che la tutela dei creditori della società fallita deve prevalere su strategie imprenditoriali volte alla continuità aziendale di altre società collegate.
L’elemento soggettivo è costituito dal dolo generico – Per la configurazione del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale è sufficiente la consapevole volontà di destinare risorse aziendali a fini diversi dalla garanzia dei creditori, senza necessità di provare l’intento specifico di danneggiarli.
Maggiore rigorosità nelle operazioni infragruppo
La pronuncia della Cassazione assume particolare rilievo nella gestione delle operazioni finanziarie all’interno dei gruppi di imprese. Essa conferma un orientamento giurisprudenziale consolidato, secondo cui non è lecito sottrarre risorse da un’azienda fallita per sostenere altre società collegate senza una chiara e documentata prospettiva di vantaggi compensativi.
La decisione impone quindi agli imprenditori e ai manager di adottare maggiore cautela nelle operazioni infragruppo, garantendo che ogni trasferimento di fondi tra società sia giustificato da un preciso interesse economico documentabile e non comprometta le garanzie patrimoniali dei creditori.
La sentenza integrale
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di Appello di Ancona, decidendo quale giudice di rinvio a seguito di annullamento -con sentenza della sez. 5 di questa Corte in data 5 aprile 2022 - della sentenza di assoluzione di Gu.Gu. per il reato di cui all'art. 216 primo comma, n. 1 RD. 16/3/42 n. 267, emessa dal Tribunale di Urbino il 19 febbraio 2020, in riforma di detta pronuncia, condannava Gu.Gu. per i fatti distrattivi in favore di C.I. Srl e Gu.Gu. Costruzioni Srl, alla pena di anni due di reclusione, oltre alle pene accessorie, con concessione dei benefici della sospensione condizionale della pena e della non menzione della condanna.
1.1 Il Tribunale di Urbino era pervenuto ad una decisione assolutoria per insussistenza del fatto poiché, quanto ai contestati conferimenti alla società L.Srl, le somme risultavano essere state interamente restituite alla conferente impresa individuale Gu.Gu., dichiarata fallita il 20 ottobre 2012.
Quanto ai conferimenti in favore di Cale Immobiliare le somme sarebbero state in parte destinate ad estinguere un debito della fallita nei confronti del proprio commercialista e in parte a coprire debiti che la Cale aveva con un istituto bancario e quanto a quelli in favore di Gu.Gu. Costruzioni gli stessi sono stati ritenuti funzionali sia all'attività della conferita, sia all'attività della conferente, stante gli stretti rapporti fra la ditta individuale e le partecipate.
Quanto ai mezzi di proprietà della fallita asseritamente ceduti a prezzo vile ad altra società, non essendo provata l'incongruità del prezzo di vendita non veniva ritenta sussistente la distrazione.
1.2 Con sentenza del 5 aprile 2022 la 5 sezione di questa Corte, adita dal PM presso il Tribunale di Urbino, annullava l'impugnata sentenza limitatamente ai conferimenti effettuati in favore di Cale Costruzioni Srl e Gu.Gu. Costruzioni Srl
Rilevava la Corte come Gu.Gu. avesse impiegato risorse destinate alla fallita per onorare debiti di soggetti giuridici distinti e come sia pacifico principio in tema di bancarotta fraudolenta patrimoniale che non sia sufficiente allegare la partecipazione dell'impresa depauperata e di quella beneficiata al medesimo gruppo, dovendo l'interessato dimostrare il saldo finale positivo delle operazioni compiute nell'interesse del gruppo, ovvero la fondata e concreta prevedibilità di vantaggi compensativi per la società apparentemente danneggiata, che nel caso di specie non venivano evidenziati dal Tribunale.
Anche sotto il profilo del dolo aveva errato l'impugnato provvedimento, poiché l'elemento soggettivo del delitto in oggetto è il dolo generico, che è integrato con la mera consapevolezza di dare ai beni destinati all'esercizio dell'impresa individuale, in questo caso, una destinazione diversa da quella di garanzia delle obbligazioni contratte.
L'elemento valorizzato dalla sentenza annullata, cioè il fatto che Gu.Gu. su richiesta delle banche destinasse le giacenze dell'impresa individuale al pagamento dei debiti di altre società da lui partecipate, al fine di continuare a svolgere l'attività imprenditoriale, è elemento estraneo al dolo generico.
1.3 Con sentenza del 14 giugno 2024, la Corte di Appello di Ancona, quale giudice del rinvio, condannava Gu.Gu. per il delitto di cui all'art. 216, primo comma, n. 1 R.D. 267/42.
Riteneva la Corte provato che Gu.Gu. avesse impiegato risorse destinate all'esercizio dell'impresa individuale, poi fallita, per onorare debiti di soggetti giuridici distinti, non sussistendo nel caso concreto elementi tali da potere ricondurre le società riconducibili al Gu.Gu. ad un gruppo di imprese.
L'unico elemento di collegamento era il fatto che Gu.Gu. fosse socio delle attività in favore delle quali sono avvenuti i trasferimenti.
In ogni caso, osservava la Corte territoriale, anche a volere ritenere la sussistenza di un gruppo di società o di imprese sarebbe stato necessario dimostrare la esistenza di vantaggi compensativi che neutralizzassero gli svantaggi per i creditori della fallita.
Contrariamente a quanto affermato dal Tribunale, non poteva essere ritenuto un vantaggio compensativo il fatto che l'imprenditore così facendo cercasse di consentire alle conferite di continuare nell'attività e, così, indirettamente di potere egli stesso con la ditta individuale proseguire nell'attività, stante gli stretti rapporti intercorrenti fra le diverse imprese.
Il dolo generico era ritenuto pienamente sussistente, essendo Gu.Gu. per sua stessa ammissione consapevole di destinare somme di titolarità della fallita al pagamento di debiti di altri soggetti giuridici.
La Corte territoriale non riteneva neppure fondata la tesi della bancarotta riparata, in quanto la fallita era impresa individuale e ciò comporta che la garanzia per i creditori della medesima siano tutti i beni di titolarità dell'imprenditore, anche quelli personali.
2. Avverso detta decisione proponeva ricorso l'imputato tramite il proprio difensore, articolando quattro motivi di doglianza.
2.1 Con il primo motivo lamentava violazione dell'art. 216, primo comma, RD 267/1942 e dell'art. 192 cod. proc. pen.
Secondo il ricorrente avrebbe errato la Corte territoriale nel non ritenere sussistente nel caso di specie un gruppo di società; tutte le imprese, infatti, erano dirette da Gu.Gu., utilizzavano gli stessi dipendenti e avevano gli stessi fornitori e soprattutto erano interdipendenti l'una dall'altra la Gu.Gu. Costruzioni è una Srl unipersonale con socio unico Gu.Gu., Cale Immobiliare era la società che acquistava terreni e costruiva immobili avvalendosi della Gu.Gu.; Gu.Gu. era l'unico cliente di Gu.Gu. Costruzioni.
I conferimenti alla Gu.Gu. Costruzioni erano serviti a pagare ratei di mutuo e gli stipendi dei dipendenti, mentre i conferimenti alla Cale Immobiliare erano serviti a pagare il commercialista di Gu.Gu. e a pagare debiti con l'istituto di credito.
Secondo il ricorrente era evidente che le risorse della fallita erano state utilizzate per finalità aziendali della fallita.
2.2 Con il secondo motivo di ricorso lamentava la violazione degli artt. 216, primo comma, n. 1 R.D. 267/1942, dell'art. 192 cod. proc. pen. e dell'art. 43 cod. pen.
Riteneva il ricorrente che la Corte avesse errato nel configurare l'elemento soggettivo in capo all'imputato.
Quest'ultimo ha finanziato, utilizzando beni propri, le società che a lui facevano capo, con ciò dovendosi ritenere assente la volontà consapevole di dare al patrimonio sociale una destinazione diversa da quella di garanzia delle obbligazioni contratte.
Il ricorrente, poi, faceva riferimento ad una vicenda successiva alla chiusura del fallimento che avrebbe dimostrato la condotta del tutto leale dell'imputato che ha consentito che i creditori riaprissero il fallimento per potersi avvantaggiare di una somma spettante alla Gu.Gu. che in difetto di riapertura del fallimento sarebbe spettata all'imputato.
2.3 Con il terzo motivo lamentava violazione dell'art.216, primo comma, n. 1 RD 267/1942 sotto il profilo della ritenuta insussistenza della bancarotta riparata.
I conferimenti effettuati dall'imprenditore ex art. 46 LF sono avvenuti prima della dichiarazione di fallimento ed erano somme mutuate dai familiari, pertanto non erano pertinenti al patrimonio imprenditoriale che, trattandosi di impresa individuale, sarebbe stato nel complesso posto a garanzia dei creditori.
2.4 Con il quarto motivo il ricorrente lamenta vizio di motivazione con riferimento all'art. 51 cod. pen.
Secondo la ricostruzione difensiva l'imprenditore avrebbe obbedito alla richiesta della Banca del Marche che, qualora egli non avesse ottemperato a quanto richiesto, avrebbe chiuso tutte le linee di credito con conseguenze devastanti per tutte le imprese.
Pertanto, l'imputato si sarebbe trovato nella convinzione di dovere adempiere ad un dovere; la sussistenza di tale scriminante, quanto meno sotto il profilo putativo, era stata sottoposta al vaglio della Corte territoriale all'udienza del 14 giugno, ma la Corte nella motivazione non la ha presa in alcuna considerazione né per ammetterne l'esistenza né per escluderla, di qui il lamentato vizio.
3. Il difensore faceva tempestiva richiesta di trattazione orale ex art. 611 cod. proc. pen.; all'udienza il sostituto procuratore generale Simone Perelli concludeva chiedendo la declaratoria di manifesta inammissibilità del ricorso, stante la manifesta infondatezza del primo motivo; circa il secondo motivo ne chiedeva la declaratoria di infondatezza, analogamente per il terzo motivo, che atteneva a motivi di fatto e per il quarto motivo.
Il difensore di fiducia concludeva per l'accoglimento del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è complessivamente infondato e deve essere rigettato.
I motivi di ricorso sono in gran parte ripropositivi delle medesime questioni affrontate ex professo nella sentenza impugnata, senza alcun elemento di novità che dia atto di un confronto del ricorrente con le argomentazioni sviluppate dalla Corte territoriale.
1.1 II primo motivo è infondato.
In tema di bancarotta fraudolenta patrimoniale è configurabile un "gruppo di imprese" - rilevante ai fini della ipotizzabilità di eventuali "vantaggi compensativi" - anche tra enti che abbiano differente natura giuridica (società ed associazioni senza fini di lucro), purché tra loro si instauri un rapporto di direzione nonché di coordinamento e controllo delle rispettive attività facente capo al soggetto giuridico controllante. (Sez. 5, n. 31997 del 06/03/2018 Rv. 273635)
L'accertamento della esistenza di un gruppo di imprese necessita della prova di un'attività di direzione da parte dell'ente indicato come controllante, nonché di un centro unico di coordinamento delle attività e di un piano di azione imprenditoriale comune con le società ad essa collegate.
L'impugnato provvedimento ha ribadito l'insussistenza di tale aspetto, sottolineando come non sia stato mai neppure chiarito quale delle società del "gruppo" avrebbe svolto l'attività di direzione, ovvero di coordinamento rispetto alle altre; l'unico collegamento fra le società, fra cui si annovera anche la impresa individuale poi fallita, è costituto dal fatto che l'imputato fosse socio delle società che hanno beneficiato dei trasferimenti di danaro.
Per contro il ricorrente ha genericamente ribadito, al fine di provare l'esistenza del gruppo, la identità di dipendenti e di fornitori delle società e la interdipendenza soggettiva fra le stesse; tutti elementi che, come visto, non hanno alcun rilievo.
Prescindendo dall'aspetto relativo al gruppo, la Corte, nella sentenza rescindente, ha chiarito cosa è necessario per rendere penalmente irrilevanti le operazioni infragruppo e cioè la esistenza di vantaggi compensativi che annullino gli svantaggi derivanti del depauperamento di una società in favore delle altre.
Richiamando le numerose pronunce di legittimità in materia, è accertato che non integrano il delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale i pagamenti tra società infragruppo riconducibili all'operatività del contratto di "cash pooling", purché i consigli di amministrazione delle società interessate abbiano deliberato il contenuto dell'accordo, definendone l'oggetto, la durata, i limiti di indebitamento, le aliquote relative agli interessi attivi e passivi e le commissioni applicabili. (Sez. 5, n. 39139 del 23/06/2023 Rv. 285200).
I vantaggi compensativi, conseguiti o fondatamente prevedibili, di cui all'art. 2634, comma terzo, cod. civ., idonei ad escludere la natura distrattiva di un'operazione infra-gruppo, devono presentare i requisiti di certezza, congruità e proporzionalità ed essere di valore almeno equivalente al sacrificio economico inizialmente sopportato dalla società fallita. (Sez. 5 , n. 42570 del 22/10/2024 Rv. 287233).
I vantaggi compensativi debbono, poi, riequilibrare gli effetti immediatamente negativi per la società fallita e neutralizzino gli svantaggi per i creditori sociali. (Sez. 1, n. 18333 del 01/12/2022, Rv. 284537 in motivazione, la Corte ha precisato che la prevedibilità del vantaggio deve essere verificabile attraverso idonea e attendibile documentazione della "holding" e della società eterodiretta quale, a titolo esemplificativo, il "business plan", i progetti industriali, le relazioni sulla gestione degli amministratori, i verbali del Consiglio di amministrazione, la corrispondenza, i contratti e le altre evidenze contabili).
Per escludere la natura distrattiva di un'operazione infragruppo invocando il maturarsi di vantaggi compensativi, non è sufficiente allegare la mera partecipazione al gruppo, ovvero l'esistenza di un vantaggio per la società controllante, dovendo invece l'interessato dimostrare il saldo finale positivo delle operazioni compiute nella logica e nell'interesse del gruppo, elemento indispensabile per considerare lecita l'operazione temporaneamente svantaggiosa per la società depauperata. (Sez. 5, n. 8253 del 26/06/2015, Rv. 271149).
È quindi necessario dimostrare che, a fronte del depauperamento di una società, vi sia stato
un vantaggio che riverbera in favore degli interessi complessivi del gruppo societario cui appartiene la società depauperata. (Sez. 5, n. 48518 del 06/10/2011, Rv. 251536)
L'impugnato provvedimento ha fatto buon governo di tali insegnamenti rilevando come l'imputato non abbia dimostrato, nei rigorosi limiti sopra richiamati, la esistenza di vantaggi compensativi, non essendo provato che i versamenti effettuati dalla fallenda fossero ispirati ad una previsione a lungo termine, ovvero ad una ragionata valutazione ex ante della situazione economico-finanziaria, nell'ottica concreta di addivenire ad un superamento della crisi.
L'imputato, infatti, si è limitato ad effettuare versamenti in favore delle società cui partecipava, senza provare quali siano i concreti vantaggi derivati in capo ai creditori della ditta individuale da tali esborsi verso soggetti esterni.
Il ricorrente richiama gli esborsi effettuati, accennando genericamente al fatto che fossero destinati alle finalità aziendali della Gu.Gu., ma non ha chiarito la ragione per la quale - se tali esborsi costituivano l'adempimento di obbligazioni contratte dalla impresa individuale, come il pagamento degli stipendi dei dipendenti, ovvero il compenso del commercialista o ancora le rate di mutuo - anziché corrisponderli direttamente, come sarebbe stato logico, l'imputato abbia versato tali somme ad altre società da lui partecipate.
E siffatto vizio deduttivo nasce dalla premessa erronea dalla quale muove implicitamente l'intera impostazione difensiva quella di identificare le varie attività svolte, con diversi soggetti giudiridici, dall'imputato con l'impresa individuale, sorvolando sull'esistenza, economica e giuridica, di diverse masse debitorie.
1.2 Anche il secondo motivo è infondato.
L'elemento soggettivo del delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione è costituito dal dolo generico, per la cui sussistenza non è necessaria la consapevolezza dello stato di insolvenza dell'impresa, né lo scopo di recare pregiudizio ai creditori, essendo sufficiente la consapevole volontà di dare al patrimonio sociale una destinazione diversa da quella di garanzia delle obbligazioni contratte. (Sez. U, n. 22474 del 31/03/2016, Rv. 266805)
In tema di bancarotta fraudolenta per distrazione od occultamento, ad integrare l'elemento soggettivo è sufficiente il dolo generico, dal momento che è necessario che l'agente, perseguendo un interesse proprio o di terzi estranei all'impresa, abbia coscienza e volontà di porre in essere atti incompatibili con gli interessi della stessa, in quanto aventi quale conseguenza la lesione del patrimonio aziendale, la diminuzione delle garanzie patrimoniali e l'indebolimento della posizione dei creditori. (Sez. 5, n. 2876 del 10/06/1998, dep. 1999, Vichi, Rv. 212607 - 01)
La sussistenza dell'elemento soggettivo inteso come consapevolezza di destinare risorse di una società a vantaggio di altri soggetti è ammessa dall'imputato il quale, come ricordato nell'impugnata sentenza, nel corso dell'esame dibattimentale aveva giustificato tali esborsi affermando che era l'istituto di credito che gli imponeva di corrispondere le somme in favore delle altre società, dal medesimo partecipate e parimenti debitrici dell'istituto di credito, pena la chiusura delle linee di credito concesse.
Il ricorrente ha ritenuto di contrapporre a tale argomentazione di cui all'impugnato provvedimento, una condotta post factum che sarebbe incompatibile con il dolo.
In particolare, come visto, Gu.Gu. avrebbe consentito alla curatela - dopo la chiusura del fallimento il recupero della somma di 45.000 Euro circa; tale condotta costituisce, come detto, un post factum irrilevante rispetto alla integrazione del reato nei suoi elementi oggettivo e soggettivo che avrebbe, al più, potuto avere un rilevo sul piano della dosimetria sanzionatoria; né la soggettiva errata convinzione del Gu.Gu. che le società fossero un tutt'uno, nonostante la diversità di personalità giuridica, può avere rilievo alcuno la fine di escludere l'elemento soggettivo.
2.3 Anche il terzo motivo è infondato.
Ai fini della configurabilità della bancarotta "riparata", non è necessaria la restituzione dei singoli beni sottratti, ma occorre che i versamenti nelle casse sociali, compiuti prima del fallimento onde reintegrare il patrimonio precedentemente pregiudicato, corrispondano esattamente agli atti distrattivi in precedenza perpetrati (Sez. 5 , n. 14932 del 28/02/2023 Rv. 284383)
La bancarotta cosiddetta "riparata" si configura, determinando l'insussistenza dell'elemento materiale del reato, quando la sottrazione dei beni venga annullata da un'attività di segno contrario, che reintegri il patrimonio dell'impresa prima della soglia cronologica costituita dalla dichiarazione di fallimento, così annullando il pregiudizio per i creditori, sicché è onere dell'amministratore, che si è reso responsabile di atti di distrazione e sul quale grava una posizione di garanzia rispetto al patrimonio sociale, provare l'esatta corrispondenza tra i versamenti compiuti e gli atti distrattivi precedentemente perpetrati. (Sez. 5, n. 57759 del 24/11/2017 Rv. 271922)
Non configura la bancarotta cosiddetta "riparata" la restituzione dell'importo ricevuto o sottratto mediante mere operazioni contabili (cd. "giri" di denaro) tra società del medesimo gruppo, senza nuovi apporti finanziari esterni, trattandosi di un "adempimento apparente", inidoneo a reintegrare, nella sua effettività ed integralità, il patrimonio dell'impresa prima della dichiarazione dello stato di insolvenza e ad annullare il pregiudizio per i creditori. (Sez. 5, n. 13382 del 03/11/2020 Rv. 281031) La Corte decide correttamente ritenendo che, essendo l'intero patrimonio del Gu.Gu. la garanzia dei creditori della fallita, poiché trattavasi di impresa individuale, non fosse possibile riparare la bancarotta con somme che, in quanto provenienti dallo stesso patrimonio individuale (quale che fosse il modo con il quale il ricorrente, anche attraverso l'apporto di terzi, si era procurato tali risorse), si confondono con quelle ordinariamente destinate all'esercizio dell'attività d'impresa; in ogni caso - ma si tratta di considerazione che si sviluppa per mera completezza, alla luce del carattere assorbemte delle superiori considerazioni, quanto alle somme mutuate da altri soggetti, poi, nella sentenza di primo grado si fa riferimento a due mutui per importi di gran lunga inferiori da parte della madre e del fratello.
2.4 Anche il quarto motivo è infondato.
Nel giudizio di cassazione non comporta automatica nullità della sentenza di appello l'omessa motivazione in ordine ai motivi nuovi ritualmente depositati dall'appellante, dovendo il giudice di legittimità valutare se non si tratti di motivi manifestamente infondati o altrimenti inammissibili o comunque non concernenti un punto decisivo, oppure se la motivazione della sentenza impugnata non contenga argomentazioni e accertamenti che risultino incompatibili con tali motivi o siano tali da consentire alla Corte stessa di procedere ad una integrazione della motivazione sulla base degli argomenti posti a fondamento delle sentenze di primo e di secondo grado. (Sez. 2 , n. 31278 del 15/05/2019 Rv. 276982)
Lamenta il ricorrente l'omessa motivazione circa la ritenuta sussistenza della scriminante putativa dell'art. 51 cod. pen. egli versando importi di pertinenza dell' impresa individuale alla Gu.Gu. Costruzioni Srl e alla Cale Immobiliare Srl avrebbe dato corso ad un'imposizione derivante dalla Banca delle Marche che, in difetto, gli avrebbe chiuso le linee di credito imponendogli l'immediato rientro, con conseguenze devastanti per tutto il gruppo di imprese.
Nella prospettazione del ricorrente l'imputato avrebbe ritenuto di adempiere ad un dovere in ragione del quale invocava la non punibilità del suo agire.
In ragione del principio più sopra richiamato cui si intende dare continuità, si deve concludere per la infondatezza della doglianza, poiché da un lato, l'argomento della costrizione è stato trattato dalla Corte quando ha affrontato la questione dell'elemento soggettivo, e, dall'altro, è argomento manifestamente infondato.
La Corte, nell'impugnato provvedimento, ha fatto riferimento alla tesi della costrizione, che ha ritenuto irrilevante in quanto fondata sulle sole dichiarazioni dell'imputato, da un lato, e in quanto comunque non idonea a elidere la consapevolezza e volontà del medesimo di depauperare il proprio patrimonio, dall'altro; lo scopo dichiarato di potere continuare a fruire delle linee di credito già concesse rappresenterebbe solo un motivo dell'agire, del tutto ininfluente.
In ogni caso, per come prospettato è motivo palesemente infondato, poiché non è dato comprendere quale dovere l'imputato ritenesse di essere tenuto ad adempiere, posto che gli unici doveri il cui adempimento scrimina sono quelli derivanti da una norma giuridica, ovvero da un ordine legittimo della pubblica autorità.
Come noto, infatti, in tema di cause di giustificazione, l'adempimento di un dovere imposto da un ordine legittimo della pubblica autorità presuppone che l'ordine sia stato impartito, nella forma prescritta, dall'autorità competente, e che il suo contenuto rientri nell'esplicazione del servizio del subordinato. (Conf. n. 4194 del 1987, Rv. 175573-01). (Sez. 5, n. 4557 del 12/10/2023, S., Rv. 285977).
Nel caso in esame il ricorrente invoca la scriminante per essere stato costretto ad adempiere debiti di altri soggetti (si torna al vizio di fondo dell'impostazione, per la quale il ricorrente considera unica l'attitivà imprenditoriale svolta invece a vario titolo), ossia ad una obbligazione civilistica delle società, che non lo riguardava come persona fisica, alla stregua delle deduzioni svolte in ricorso. Difetta, pertanto, in radice la stessa configurabilità di un dovere che, peraltro, considerata la situazione economica nel ricorrente nel momento della condotta non poteva che essere considerato alla luce dei concorrenti debiti dell'impresa individuale.
3. Il ricorso è complessivamente infondato e deve essere rigettato e il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così è deciso in Roma il 30 gennaio 2025.
Depositato in Cancelleria il 25 febbraio 2025.