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Bancarotta fraudolenta: Non sussiste l'autoriciclaggio se mancano condotte successive la distrazione

Bancarotta fraudolenta

Bancarotta fraudolenta: Non sussiste l'autoriciclaggio se mancano condotte successive la distrazione


Nel contesto di fallimento o liquidazione giudiziale di un'impresa, si possono configurare diverse ipotesi di reato, attualmente disciplinate nel "Codice della crisi e dell'impresa".

Queste disposizioni mantengono una sostanziale continuità con le norme precedenti, in particolare con il Titolo VI del R.D. n. 267/1942.

Uno dei reati più comuni legati al fallimento è sicuramente la bancarotta patrimoniale distrattiva, prevista dall'articolo 216, comma 1, n. 1) della legge fallimentare.

Questo reato punisce l'imprenditore che, se dichiarato fallito, abbia sottratto, in tutto o in parte, i suoi beni, privandoli della garanzia patrimoniale per gli obblighi contratti e danneggiando i creditori.

La dottrina e la giurisprudenza riconoscono che la distrazione può consistere sia nel rimuovere un bene dal patrimonio dell'imprenditore sia nell'utilizzarlo per scopi diversi da quelli dovuti.



È importante precisare che questa condotta distrattiva può avvenire sia "prima" della sentenza di fallimento o dell'apertura della liquidazione giudiziale (ipotesi prefallimentare), sia "dopo", durante il fallimento o il procedimento di liquidazione (ipotesi postfallimentare).

Nel 2014, è stato introdotta una nuova fattispecie incriminatrice denominata "autoriciclaggio", punita in modo molto severo, con la reclusione da 2 a 8 anni e una multa da 5.000 a 25.000 euro.

Il reato in argomento, si applica a chi, dopo aver commesso un reato non colposo, impiega, sostituisce o trasferisce denaro, beni o altre utilità provenienti da tale reato in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative, al fine di ostacolare concretamente l'identificazione della loro origine illecita.

Tuttavia, i proventi stessi non sono considerati punibili se destinati solo all'utilizzo personale o al godimento personale.

Questo reato è stato incluso anche tra le fattispecie presupposto disciplinate dal Decreto Legislativo 231/2001, il che significa che le imprese possono essere responsabili astrattamente nel caso in cui uno dei loro dirigenti o subordinati commetta il reato

Riguardo al rapporto tra queste due gravi ipotesi di reato, è emerso di recente il problema di stabilire se la condotta distrattiva possa configurare, oltre al reato di bancarotta patrimoniale, anche quello di autoriciclaggio.

La giurisprudenza di legittimità ha chiarito che, per riconoscere un concorso tra le due fattispecie, non è sufficiente il semplice impiego dei beni dell'impresa in attività imprenditoriali; è necessario verificare nel caso concreto l'esistenza di un elemento che dimostri l'atteggiamento di occultamento dell'origine illecita del bene.

Ad esempio, secondo una sentenza della Corte di Cassazione del 1° marzo 2019, "il mero trasferimento di denaro oggetto del delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale a vantaggio di altre società gestite dal medesimo amministratore della società fallita" non costituisce il reato di autoriciclaggio.

In particolare, riguardo alla distrazione dell'azienda, che si verifica spesso nei casi in cui un imprenditore sia titolare, sia di fatto che di diritto, di diverse imprese, alcune delle quali potrebbero avere maggiori difficoltà finanziarie, la giurisprudenza di legittimità ha affermato in diverse sentenze che la successiva gestione dell'azienda (ovvero l'esercizio di un'attività imprenditoriale tramite l'azienda oggetto della distrazione) configura non solo il reato fallimentare, ma anche il reato di autoriciclaggio, nella forma dell'impiego di utilità illecite in attività economiche o finanziarie.

Questa successiva attività, diversa dalla mera distrazione, costituisce infatti il quid pluris sanzionato dalla norma.

In una recente sentenza, la Corte di Cassazione ha riconosciuto il concorso tra i due reati in un caso di sottrazione e trasferimento dei beni dell'impresa fallita in concorso con un terzo soggetto, attraverso la polverizzazione del patrimonio e la creazione progressiva di nuove società.



Questa condotta ha determinato un pregiudizio per il fisco e i creditori, nonché il reimpiego dei proventi dei reati di bancarotta patrimoniale e autoriciclaggio.

La Corte ha affermato che "la prosecuzione dell'attività attraverso altre società 'clone' e prestanome" costituisce pienamente il reato di autoriciclaggio, senza l'applicazione della clausola di non punibilità prevista dalla legge.

Quindi, in caso di fallimento o liquidazione giudiziale di un'impresa, se una parte dei beni dell'impresa viene distratta o sottratta ai creditori, sia prima che dopo il fallimento stesso, potrebbero configurarsi non solo il grave reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale, ma anche il reato altrettanto grave di autoriciclaggio, al quale potrebbe essere ritenuta responsabile anche l'impresa stessa ai sensi dell'articolo 25 octies del Decreto Legislativo 231/2001.

Secondo la Corte Suprema, questo concorso di reati non viene ostacolato dal fatto che, nei casi di distrazione prefallimentare, il momento in cui si consuma il reato debba coincidere con la pronuncia di fallimento e non con le singole condotte di distrazione precedenti a tale dichiarazione.

Con la sentenza n.13352/23, la Seconda sezione ha affermato che, in tema di bancarotta fraudolenta distrattiva, ove l'autoriciclaggio sia stato contestato in relazione alla sola condotta di distrazione delle somme dalla fallita ad altre società vi è effettiva coincidenza delle due condotte con violazione del principio di doppia incriminazione.

La omessa identificazione di condotte dissimulatorie successive la distrazione fornirebbe sostegno alla tesi circa l'impossibilità di configurare l'ipotesi di cui all'art. 648 terl c.p..

Di seguito, il testo integrale della sentenza.



Cassazione penale sez. II, 14/03/2023, (ud. 14/03/2023, dep. 30/03/2023), n.13352

RITENUTO IN FATTO

1.1 II tribunale della libertà di Roma, con ordinanza in data 24 ottobre 2022, rigettava l'appello avanzato dal Procuratore della Repubblica di Roma avverso l'ordinanza del Giudice delle Indagini Preliminari dello stesso tribunale che aveva respinto la richiesta di sequestro preventivo ex artt. 321 c.p.p. e 648 quater c.p. sino alla somma di Euro 218.606,50 nei confronti di C.C., indagato dei reati di bancarotta per distrazione ed autoriciclaggio.


Riteneva il tribunale che il trasferimento della predetta somma dalla (Omissis) s.r.l., poi dichiarata fallita, ad altre società del gruppo C. non integrasse l'ipotesi di cui all'art. 648 ter1 c.p. in assenza di ulteriori attività decettive rispetto alla condotta distrattiva già integrante il reato presupposto di bancarotta sicché, il provvedimento cautelare reale, non andasse disposto.


1.2 Avverso detta ordinanza proponeva ricorso per cassazione il Procuratore della Repubblica di Roma deducendo violazione di legge in relazione alla individuazione del profitto del reato di autoriciclaggio che doveva individuarsi proprio nel denaro ripulito attraverso le operazioni di investimento nelle società diverse dalla fallita. e nella ricchezza illecitamente conseguita pari all'importo complessivo di Euro 218.606,50.


CONSIDERATO IN DIRITTO

2.1 II ricorso è fondato e deve pertanto essere accolto; ed invero secondo l'orientamento di questa Corte di cassazione in tema di autoriciclaggio, è configurabile una condotta dissimulatoria allorché, successivamente alla consumazione del delitto presupposto, il reinvestimento del profitto illecito in attività economiche, finanziarie o speculative sia attuato attraverso la sua intestazione ad un terzo, persona fisica ovvero società di persone o capitali, poiché, mutando la titolarità giuridica del profitto illecito, la sua apprensione non è più immediata e richiede la ricerca ed individuazione del successivo trasferimento (Sez. 2, n. 16059 del 18/12/2019 (dep. 27/05/2020) Rv. 279407 - 02); in motivazione detta pronuncia precisa che:" deve conseguentemente essere escluso che l'avvenuta identificazione delle operazioni di dissimulazione del denaro o del bene illecito, frutto della consumazione del delitto presupposto da parte dello stesso autore di detto reato, escludano la punibilità della condotta perché prive di "concreta" capacità decettiva; una tale interpretazione radicale finirebbe per escludere la punibilità di qualsiasi condotta per il solo fatto della successiva verificazione e ricostruzione della stessa e comporterebbe la irragionevole conseguenza di dovere affermare la non applicabilità della norma penale di cui all'art. 648 terl c.p. a qualsiasi fatto accertato. Proprio in applicazione dei sopra indicati principi deve essere escluso che l'esistenza di operazioni tracciabili, l'emissione di fatture da parte delle diverse società e l'identificazione delle transazioni tra società, comporti automaticamente l'esclusione della punibilità della condotta ex art. 648 terl c.p.....Il criterio da seguire è pertanto quello della idoneità ex ante della condotta posta in essere a costituire ostacolo all'identificazione della provenienza delittuosa del bene; e ciò significa che l'interprete, postosi al momento di effettuazione della condotta, deve verificare sulla base di precisi elementi di fatto se in quel momento l'attività posta in essere aveva tale astratta idoneità dissimulatoria e ciò indipendentemente dagli accertamenti successivi e dal disvelamento della condotta illecita che non costituisce mai automatica emersione di una condizione di non idoneità della azione per difetto di concreta capacità decettiva. Se si collegano infatti strettamente e direttamente i tre verbi con i quali esordisce il comma 1 dell'art. 648-ter.1. c.p. alle voci che descrivono la ‘destinazionì dei beni, è facile avvedersi che l'ubi consistam della norma è rappresentato dalla reimmissione nel circuito dell'economia legale di beni di provenienza delittuosa (beninteso: ostacolandone la tracciabilità). L'idea di fondo, che sembra giustificare l'incriminazione dell'autoriciclaggio, riposa infatti sulla considerazione di congelare il profitto in mano al soggetto che ha commesso il reato-presupposto, in modo da impedirne la sua utilizzazione maggiormente offensiva, quella che espone a pericolo o addirittura lede "l'ordine economico". La ratio dell'autoriciclaggio è appunto quella di evitare inquinamenti dell'economia legale. Il Giudice penale dovrà pertanto valutare l'idoneità specifica della condotta posta in essere dall'agente ad impedire l'identificazione della provenienza delittuosa dei beni.....Il trasferimento o la sostituzione penalmente rilevante al cospetto dell'autoriciclaggio sono quindi comportamenti che importano un mutamento della formale titolarità del bene o delle disponibilità o che diano altresì luogo a una utilizzazione non più personale, ma riconducibile a una forma di reimmissione del bene nel circuito economico....". Ne consegue affermarsi che alla luce del predetto principio il trasferimento del profitto o prodotto del reato presupposto con mutamento della titolarità soggettiva tramite operazioni di reinvestimento in attività economiche o finanziarie integra un'ipotesi di autoriciclaggio punibile.


Quanto al tema che costituisce il punto decisivo dei due provvedimenti di rigetto della richiesta di sequestro preventivo, costituito dalla impossibilità di identificare l'autoriciclaggio nella stessa condotta integrante il delitto presupposto la stessa sentenza citata (Sez. 2, n. 16059 del 18/12/2019 cit.) afferma espressamente che:" la capacità dissimulatoria debba essere individuata in condotte non ricollegabili al puro e semplice trasferimento di somme ed altresì come il fatto di autoriciclaggio abbia natura autonoma e successiva rispetto alla consumazione del delitto presupposto così che le due fattispecie non possano essere ravvisate a fronte di un'unica contestuale azione. Tale impostazione, certamente condivisibile, va ulteriormente approfondita e sulla base delle successive considerazioni va affrontata la problematica avanzata con il secondo motivo di doglianza; il presupposto da cui partire è la considerazione secondo cui ove attraverso il trasferimento ad altre imprese si attui il reinvestimento successivo dei profitti illeciti in attività economiche, finanziarie o speculative è aggredito il bene giuridico protetto dalla norma di cui all'art. 648 terl c.p. che è costituito dall'ordine pubblico economico poiché appare davvero evidente che a cagione della possibilità di utilizzare profitti illeciti da parte di imprese operative il mercato viene a subire l'effetto inquinante del reinvestimento del profitto illecito. E deve anche ritenersi che se il trasferimento ad altre imprese è attuato con l'intestazione del profitto illecito ad un soggetto giuridico diverso, sia esso una persona fisica ovvero una società di persone o capitali, vi è la possibilità di identificare una condotta dissimulatoria proprio perché mutando la titolarità giuridica del profitto illecito, la sua apprensione non è più immediata e richiede la ricerca ed individuazione del successivo trasferimento. Al proposito, occorre ricordare come questa stessa sezione della corte di cassazione ha affermato (Sez. 2, n. 33074 del 14/07/2016, Rv. 267459) che non integra il delitto di autoriciclaggio il versamento del profitto di furto su conto corrente o su carta di credito prepagata, intestati allo stesso autore del reato presupposto. In motivazione si precisa che tale soluzione vale nei casi in cui vi sia identità soggettiva tra autore del delitto presupposto e soggetto titolare del medesimo bene a seguito della condotta di sostituzione; ove cioè autore del delitto presupposto e titolare del bene poi movimentato coincidano può affermarsi non esservi condotta concretamente idonea ad occultare l'origine illecita del bene. Ove invece la titolarità del bene anche attraverso successivi contratti sia mutata tale interpretazione non può trovare applicazione; difatti, la modifica della formale intestazione comporta condotta di sostituzione del proprietario o utilizzatore del bene idonea ad ostacolare l'origine illecita dello stesso e si profila quale ipotesi astrattamente punibile. Richiamando la già citata pronuncia della Sezione quinta (n. 8851 del 01/02/2019 cit.), va però ribadito che tale attività di trasferimento ad altro soggetto giuridico deve seguire, deve cioè essere successiva la consumazione del delitto presupposto produttivo di profitto illecito; al proposito altro precedente di questa Corte in tema di contratti di affitto di azienda poi dichiarata fallita ritenuti integrare un'ipotesi di bancarotta (Sez. 2 n. 38838 del 04/07/2019, Rv. 277098) afferma in motivazione che:" ai fini di evitare la doppia punibilità della medesima condotta infatti il legislatore con la introduzione della fattispecie di cui all'art. 648ter 1 c.p. ha chiesto che a seguito della consumazione del delitto presupposto vengano poste in essere ulteriori condotte aventi natura decettive peraltro solo costituite da impiego in attività economiche o finanziarie. La sola consumazione del delitto presupposto non integra ex se anche la diversa ipotesi dell'autoriciclaggio e quindi l'atto distrattivo non può integrare allo stesso tempo bancarotta per distrazione e autoriciclaggio". Deve pertanto essere escluso che possano configurarsi ipotesi di concorso formale tra autoriciclaggio e reato presupposto e ciò perché al proposito la dizione normativa è assolutamente chiara nel volere impedire categoricamente la violazione del principio del divieto di ne bis in idem sostanziale; difatti l'art. 648 ter 1 c.p. punisce chiunque "avendo commesso o concorso a commettere...." un delitto presupposto operi poi attività di reimpiego e, quindi, l'utilizzo del termine verbale al passato chiarisce inequivocabilmente la necessità che la condotta di autoriciclaggio sia un seguito, un posterius della condotta tipica del reato presupposto.


Sulla base di tali postulati deve procedersi alla soluzione del caso in esame affermandosi che ove l'autoriciclaggio sia stato contestato in relazione alla sola condotta di distrazione delle somme dalla (Omissis) ad altre società vi è effettiva coincidenza delle due condotte con violazione del principio di doppia incriminazione; e cioè la omessa identificazione di condotte dissimulatorie successive la distrazione fornirebbe sostegno alla tesi sostenuta dai giudici di merito circa l'impossibilità di configurare l'ipotesi di cui all'art. 648 terl c.p..


Ove però tale coincidenza non sussista poiché oggetto della contestazione ex art. 648 terl c.p. non è la sola attività distrattiva di somme dalla società fallita bensì, anche, le attività successivamente poste in essere con il denaro distratto dalle società beneficiarie dei pagamenti per cassa, il presupposto della coincidenza delle condotte affermato dai giudici di merito non appare sussistere sussistendo proprio un'ipotesi punibile di autoriciclaggio. Il carattere distintivo del concorso tra bancarotta ed autoriciclaggio va pertanto risolto anche alla luce dell'analisi dei beni giuridici tutelati e dell'effetto della condotta posta in essere sugli stessi; ove l'agente, con la distrazione di somme, abbia aggredito e leso solo la par condicio creditorum la condotta sarà punibile soltanto in forza delle norme dettate dalla legge fallimentare, ove invece alla condotta distrattiva sia seguita una successiva ed autonoma attività di reimpiego dei capitali in altre società comunque operanti nel settore economico e commerciale, l'aggressione e lesione del bene giuridico protetto dalla norma di cui all'art. 648ter1 c.p. costituito dall'ordine economico, determinerà il concorso punibile tra bancarotta per distrazione ed autoriciclaggio. E ciò perché, evidentemente, la condotta distrattiva non si è limitata alla sottrazione delle somme dalla società fallita, allo svuotamento del suo patrimonio costituente la garanzia dei creditori, bensì ha determinato, successivamente ed autonomamente, l'operatività di attività economiche societarie. attraverso il reimpiego dei profitti illeciti e.quindi proprio quell'inquinamento delle attività legali che l'autoriciclaggio mira a colpire.


Sulla base delle predette considerazioni deve pertanto risolversi il caso in esame; orbene dall'analisi dell'imputazione risulta che al capo r) la condotta di cui all'art. 648ter1 c.p. viene elevata a carico del C. non in relazione ai pagamenti per cassa effettuati "svuotando" il patrimonio di (Omissis) ma in relazione anche ad altre e successive attività descritte come:" impiegava e trasferiva nelle attività economiche e imprenditoriali esercitate da (Omissis) s.r.l. e (Omissis) s.r.l." la somma complessiva già citata di Euro 218.606,50. Così che il punto decisivo appare proprio quello di valutare se, quantomeno a livello di fumus commissi delicti, il pubblico ministero abbia fornito elementi concreti per affermare che dopo la distrazione ed il trasferimento ad altre compagini sociali seguì un impiego delle somme in dette società con conseguente integrazione della condotta contestata proprio al capo r) secondo i principi in precedenza esposti. Analisi che invece il tribunale della libertà non appare avere compiuto essendosi limitato a condividere le argomentazioni del G.I.P. circa la non configurabilità dell'ipotesi di cui all'art. 648ter1 c.p..


Alla luce delle predette considerazioni l'impugnata ordinanza deve essere annullata con rinvio dovendo il tribunale del riesame procedere ad una nuova analisi del materiale indiziario in atti al fine di valutare proprio tale eventuale circostanza che permetterebbe l'adozione del sequestro.


P.Q.M.

Annulla l'ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Roma competente ai sensi dell'art. 324 comma 5 c.p.p..


Così deciso in Roma, il 14 marzo 2023.


Depositato in Cancelleria il 30 marzo 2023



 

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