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I nostri casi di Studio

Assoluzione per calunnia: un caso di studio del Tribunale di Nola (Giudice Francesco Saverio Martucci di Scarfizzi)

Assoluzione per calunnia: un caso di studio del Tribunale di Nola (Giudice Francesco Saverio Martucci di Scarfizzi)

Il reato di calunnia, previsto dall’art. 368 c.p., punisce chi, con una denuncia, un esposto o un altro atto formale, accusa falsamente qualcuno di un reato, sapendo che la persona è innocente.

Questo reato tutela il corretto funzionamento del sistema giudiziario e l’onore delle persone incolpate ingiustamente. La calunnia si configura solo se chi denuncia sa di mentire, altrimenti si è in presenza di una denuncia infondata ma non punibile penalmente. In questo articolo, analizziamo un caso di assoluzione per calunnia deciso dal Tribunale di Nola.


Analisi del caso

Il Tribunale di Nola ha recentemente assolto un’imputata, accusata di calunnia nei confronti di Gi. Ci., che ella aveva denunciato per minacce.

Secondo l'accusa, le minacce non si sarebbero mai verificate e la denuncia avrebbe costituito una falsa accusa. La sentenza del 13 maggio 2024 ha, però, concluso che non vi fossero prove sufficienti per dimostrare la responsabilità penale dell’imputata, portando così alla pronuncia di una sentenza di assoluzione.

L’imputata, aveva sporto denuncia il 12 agosto 2020 presso la Procura della Repubblica di Nola, accusando Gi.Ci. di averla minacciata durante una discussione che aveva coinvolto anche la sua ex nuora e il compagno Gi.Ci.

In particolare, l'imputata aveva affermato che Gi.Ci. le aveva rivolto la minaccia “se accade qualcosa a mio figlio ti taglio la testa”, riferendosi alle tensioni familiari legate alla relazione tra il figlio di Gi.Ci. e la nipote dell’imputata stessa.

Secondo quanto emerso nel processo, i Carabinieri, presenti al momento dell’episodio, non avevano assistito direttamente alle minacce, trovandosi in un’altra parte della proprietà.

Inoltre, Gi.Ci. aveva negato di aver mai minacciato l’imputata, affermando che le accuse fossero il frutto di rancore personale legato alla sua relazione sentimentale con la figlia dell’imputata.


Le motivazioni dell’assoluzione

Il Tribunale di Nola ha ritenuto che non vi fossero prove sufficienti a dimostrare la falsità delle accuse mosse dall'imputata e che non fosse stata dimostrata la calunnia oltre ogni ragionevole dubbio.

La sentenza afferma: “non è emersa, con sufficiente certezza, la prova che il Gi. abbia o meno profferito espressioni dal tenore minatorio all'indirizzo dell'imputata e da quest'ultima denunciate”.

In altre parole, non è stato possibile provare se le minacce fossero state realmente fatte o meno, e per questo motivo non si poteva dimostrare che l’imputata avesse accusato falsamente Gi.Ci. con la consapevolezza della sua innocenza.

Inoltre, la testimonianza di un vicino, che aveva assistito alla scena, ha fornito una versione leggermente diversa, sostenendo di non aver sentito direttamente minacce da parte di Gi.Ci. Tuttavia, queste dichiarazioni non sono state ritenute sufficienti per confermare la colpevolezza dell’imputata.


Conclusioni

Questo caso mette in luce l’importanza della prova in materia di calunnia. Perché si configuri il reato, è necessario che la falsità dell’accusa sia provata con certezza e che emerga la consapevolezza da parte dell'accusatore di mentire. In assenza di prove chiare, l’accusa non può reggere e l’imputato deve essere assolto.

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La sentenza integrale

Tribunale Nola sez. I, 13/05/2024, (ud. 13/05/2024, dep. 13/05/2024), n.1015

Svolgimento del processo

Con decreto che dispone il giudizio del 06.02.2022, il GUP - sede - disponeva il rinvio a giudizio dell'imputata per rispondere del reato in epigrafe trascritto.

All'udienza dell'11.09.2023, dato atto della regolarità delle notifiche e della nomina dei difensori di fiducia da parte dell'imputata, il Giudice procedente riassegnava il procedimento rinviandolo innanzi allo Scrivente, stante la propria incompetenza funzionale.

All'udienza del 4.12.2023, il Giudice dichiarava aperto il dibattimento ed ammetteva le prove orali e documentali richieste dalle parti.

All'udienza del 11.03.2024, su consenso delle parti, si acquisivano: la denuncia sporta dalla p.o. Gi.Ci., con domande a chiarimento; la denuncia sporta dall'imputata, quale corpo del reato; il verbale di sommarie informazioni rese da Sa.An., con rinuncia all'esame della medesima. Non si procedeva all'esame della teste Ca.As., non risultando agli atti il verbale di sommarie informazioni dalla stessa rese. Seguiva, infine, esame del teste Ia.Pa.

All'udienza odierna, si procedeva all'esame dell'imputata.

Successivamente, dichiarata la chiusura dell'istruttoria dibattimentale, il Giudice invitava le parti a rassegnare le proprie conclusioni riportate in epigrafe, sulla base delle quali pronunciava la sentenza dando lettura del dispositivo in udienza e delle motivazioni contestuali.


Motivi della decisione

Ritiene questo Giudice che dagli atti acquisiti al fascicolo del dibattimento non emerga la penale responsabilità dell'imputata in ordine al reato a lei ascritto in rubrica.

Le risultanze dell'istruttoria dibattimentale consentono di ricostruire i fatti di causa come segue. Giova premettere che l'odierna giudicabile, D'A.An., è la madre di Sa.An., a sua volta, già all'epoca dei fatti, ex moglie di Fr.Gu. e compagna della p.o. Gi.

Come esposto dalla prevenuta nella denuncia-querela del 12.08.2020 (in atti), in data 6.07.2020, Fr.Gi., fratello di Gu., si presentò a casa sua, mosso dall'intento di avvertire la Sa. ed il Gi. di stare alla larga dal di lei ex marito, il quale, a causa della situazione familiare, versava in una condizione di forte depressione.

La D'A., constatando lo stato di agitazione del Fr., lo invitava a prendere un caffè e a spiegarsi meglio; tuttavia, egli andava via senza accettare.

Trascorse circa due ore, giungevano, preceduti da una pattuglia di Carabinieri, Gi.Ci. e la Sa., la quale, dopo aver bussato con insistenza alla porta, aggrediva verbalmente la madre, intimandole di testimoniare, a suo favore, contro Fr.Gi.

Al diniego dell'imputata, che sosteneva non fosse accaduto nulla di grave, il Gi. le si avvicinò con atteggiamento minaccioso, inveendo nei suoi confronti. In particolare, egli la invitava a chiamare i figli per "fargli un culo così" e la minacciava dicendole: "se accade qualcosa a mio figlio ti taglio la testa" (alludendo al fatto che quest'ultimo, fidanzato con la figlia della Sa., viveva insieme alla stessa nella proprietà della D'A., nonché alle ipotetiche ripercussioni sul figlio della mancata testimonianza contro il Fr.).

Stando a quanto precisato dall'imputata in sede dibattimentale, i Carabinieri presenti non assistettero direttamente alle minacce, trovandosi all'interno del cortile, mentre la conversazione tra la prevenuta ed il genero avveniva, poco distante, sulle scale dell'abitazione. Dopodiché, su invito degli agenti, l'anziana rientrava in casa, data la paura causata dalle minacce. Spaventata, la D'A. decideva di recarsi presso la Tenenza dei Carabinieri di Cercola per denunciare quanto esposto; tuttavia, in un primo momento, ella ometteva di riferire le suesposte minacce, per evitare di aggravare la posizione del compagno della figlia. Pertanto, gli agenti le riferivano che non sussistevano gli estremi per una querela.

A seguito di un ripensamento, allora, l'imputata rappresentava nuovamente, ed integralmente, l'accaduto, per sporgere regolare denuncia (di cui, però, non le veniva consegnata una copia). Rispetto a tali episodi, il Gi. negava di aver posto in essere minacce all'indirizzo della D'A. (cfr. denuncia-querela a firma del medesimo, in atti), sostenendo - come ribadito in dibattimento - che le di lei accuse costituissero un modo subdolo di esprimere il rancore nei suoi confronti per aver intrapreso una relazione sentimentale con la figlia.

Precisando che i fatti di cui alla denuncia-querela sporta dall'imputata non sono accaduti in data 6.07.2020, bensì il giorno precedente, la p.o. forniva degli stessi una versione del tutto differente da quella sopra raffigurata.

Il 5.07.2020, il denunciarne si trovava a casa propria insieme alla compagna, quando una vicina di casa di quest'ultima (Ca.Su.) li allertava della presenza, nei pressi dell'abitazione di Via (…), di Fr.Gi., il quale, munito di coltello, minacciava di morte Fo.An. e le figlie.

I due contattavano prontamente i Carabinieri di Cercola, al fine di essere scortati, ma, giunti sul posto, riscontravano che il Fr. era già andato via.

Secondo il narrato della p.o., gli agenti intervenuti chiedevano alla D'A. e alla Ca. cosa fosse accaduto: mentre la vicina riferiva delle minacce poste in essere dal Fr., la prevenuta si rifiutava di rispondere.

Il Gi., pertanto, manifestava il suo disappunto nei confronti dell'imputata, ritenendo che fosse opportuno, per il bene della figlia e delle nipoti, che ella riportasse ai Carabinieri ciò a cui aveva assistito.

Sentita dai Carabinieri di Cercola (cfr. verbale di ricezione denuncia-querela sporta da Sa.Fo., in atti), la Sannino ricostruiva la vicenda de qua in maniera pressappoco coincidente al racconto del compagno.

Ella chiariva, infatti, che, mentre si trovava a casa del Gi., in Pollena Trocchia, aveva ricevuto una chiamata da una sua vicina di casa, Ca.Su., la quale la avvertiva del fatto che il fratello di Gu. - già più volte presentatosi, quella stessa mattina, fuori casa della Sannino - munito di coltello, minacciava di ammazzare Fo.An. (colpevole di avergli rovinato la famiglia), le figlie ed il compagno e, altresì, di incendiare la casa della medesima.

La vicina specificava, poi, nella stessa telefonata, che il Fr. era giunto con una (…) di colore grigio e che, mentre quanto sopra esposto accadeva, era presente anche la D'A.

Ebbene, sentita a sommarie informazioni (cfr. verbale in atti) la Ca. rappresentava ai CC di Cercola una versione dei fatti diversa da quella riportata dal Gi. e dalla Sa.

La teste, infatti, raccontava che alle ore 12:00 circa del 5.07.2020, mentre era affacciata al balcone di casa, vedeva un uomo - che non conosceva - rivolgersi con toni alterati alla madre della sua vicina di casa Fo.An.

Egli parlava dall'interno di un veicolo di colore grigio e non aveva, per quanto visto dalla Ca., coltelli o armi da fuoco.

Trascorsi circa dieci minuti, l'uomo andava via e la teste veniva a sapere dalla D'A., alla quale si era avvicinata, che si trattava del fratello dell'ex marito di Fo.An., il quale le aveva chiesto di riferire a quest'ultima di lasciare la casa coniugale all'ex marito.

A questo punto, l'imputata chiedeva alla vicina di avvisare la Sannino dell'accaduto, non potendo provvedervi da sè, essendo in pessimi rapporti con la figlia.

La Ca., dunque, telefonava alla Sannino, chiedendole di tornare a casa e pensando, tra l'altro, che le figlie di questa si trovassero sole in casa.

Va, infine, ricordato che il teste Ia.Pa., all'epoca dei fatti in servizio presso la Tenenza dei Carabinieri di Cercola, confermava in sede di esame che, in data 5.07.2020, il Gi. e la Sa. si erano presentati in Caserma, essendo stati allertati del fatto che il fratello del di lei ex marito li cercava, probabilmente armato di coltello, a bordo di una FIAT punto grigia. Ciononostante, giunti sul posto, gli operanti non rinvenivano l'auto.

Durante la loro permanenza nel cortile, essi chiedevano alla D'A., che si era affacciata, se avesse visto l'auto loro segnalata, ma questa riferiva di non voler sapere nulla di quella storia e rientrava in casa.

Orbene, in punto di attendibilità delle dichiarazioni rese dalla p.o., va rilevato che il codice di procedura penale non prevede alcun limite processuale circa la capacità di testimoniare della parte lesa da un reato (la Corte Costituzionale, invero, con ordinanza n. 115 del 19.03.1992, ha escluso l'incompatibilità con l'ufficio di testimone, anche nel caso di avvenuta costituzione di parte civile). Inoltre, secondo consolidata giurisprudenza, la testimonianza della persona offesa può costituire fonte di convincimento del giudice, a patto che sia sottoposta ad un rigoroso vaglio di attendibilità (in tal senso, ex multis Cass. pen., Sez. IV, 09.11.2021, n. 410; Cass. pen., Sez. II, 24.09.2015, n. 43278; Cass. pen., Sez. V, 08.07.2014, n. 1666; Cass. pen., Sez. Unite, 19.07.2012, n. 41461; Cass. pen., Sez. I, 24.09.1997, n. 8606).

Nel caso di specie, la ricostruzione delineata da Gi.Ci., e suffragata dalla compagna, appare difforme dalle dichiarazioni rese in sede di sommarie informazioni dalla Ca., artefice della telefonata con la quale i predetti venivano avvertiti della presenza del Fr. presso l'abitazione di via (…). Come da verbale in atti, difatti, la vicina affermava di non aver visto armi in mano al Fr., al contrario di quanto dichiarato dalla p.o. e dalla Sa.

Ella, inoltre, ometteva qualsivoglia riferimento a minacce pronunciate dal Fr., evidenziando, al contrario, di non aver sentito le parole rivolte dall'uomo alla D'A.

Quanto alle minacce profferite dal Gi. stesso all'indirizzo dell'odierna imputata, il fatto che esse non siano state in alcun modo menzionate dal teste Ia., non prova che non si siano effettivamente verificate. Ciò a maggior ragione se si considera che la D'A. dichiarava che le stesse le furono rivolte in un momento in cui gli agenti, pur presenti, si trovavano in un diverso punto della sua proprietà.

Tutto ciò premesso, va rilevato, in punto di diritto, che l'art. 368 c.p., a tutela della corretta amministrazione della giustizia e dell'onore della persona falsamente incolpata, incrimina la condotta di chi accusi taluno di un reato che non ha commesso, essendo a conoscenza della sua innocenza.

Orbene, dalle risultanze dell'istruttoria dibattimentale non è emersa, con sufficiente certezza, la prova che il Gi. abbia o meno profferito espressioni dal tenore minatorio all'indirizzo dell'imputata e da quest'ultima denunciate il 12.08.2020.

Parimenti, quindi, non risulta provata la falsità dell'incolpazione proveniente dalla d'A. a carico dell'odierna persona offesa.

Tutto ciò premesso, ritiene questo Giudice che non possa affermarsi, oltre ogni ragionevole dubbio, la penale responsabilità di D'A.An. in ordine al reato a lei ascritto in rubrica. In assenza di ulteriori accertamenti sul punto ed apparendo quanto meno incerta o contraddittoria la prova della responsabilità dell'imputata per la condotta a lei ascritta, si impone una sentenza di assoluzione della medesima - ai sensi dell'art. 530 comma II c.p.p. - perché il fatto non sussiste.

P.Q.M.

Letto l'art. 530 cpv c.p.p. assolve D'A.An. dal reato ascrittole in rubrica perché il fatto non sussiste. Motivi contestuali.

Così deciso in Nola il 13 maggio 2024.

Depositata in Cancelleria il 13 maggio 2024.

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