I nostri casi di Studio
Non è raro che un processo penale si concluda con una decisione diversa rispetto al primo grado di giudizio.
In questo articolo analizziamo una recente sentenza della Corte di Appello di Lecce (composta dai giudici Antonia Martalo', Giuseppe Biondi e Luca Colitta) che ha assolto un imputato accusato di furto in abitazione. Un caso che illustra quanto sia fondamentale un’approfondita analisi delle prove e una solida strategia difensiva.
L’imputato era stato accusato di essersi introdotto in un’abitazione privata con l’intenzione di appropriarsi di beni di valore, tra cui una borsa contenente 3.500 euro e vari oggetti in oro.
In primo grado, il Tribunale di Lecce aveva ritenuto sufficienti le prove raccolte, condannandolo a 4 anni e 6 mesi di reclusione, oltre a una multa di 1.000 euro.
L’elemento chiave su cui si fondava la condanna era costituito dalle dichiarazioni della persona offesa, che aveva riconosciuto l’imputato come il proprio vicino di casa, nonostante il volto dell’aggressore fosse parzialmente coperto da una maschera. Tale riconoscimento era stato effettuato anche in sede di individuazione fotografica.
Nel corso del procedimento di appello, sono emerse alcune criticità relative alla prova principale: la deposizione della vittima.
In particolare, la difesa ha sollevato dubbi sull’attendibilità del riconoscimento, poiché la vittima, in fase di denuncia, aveva fornito versioni contrastanti riguardo all’identificazione dell’autore del furto.
Sebbene la persona offesa fosse convinta di aver riconosciuto il proprio vicino, la parziale copertura del volto sollevava dubbi sulla possibilità di un riconoscimento certo.
Inoltre, durante la perquisizione domiciliare presso l’abitazione dell’imputato, avvenuta immediatamente dopo il furto, non era stato rinvenuto alcun oggetto rubato, un elemento che indeboliva ulteriormente l’accusa.
La Corte di Appello di Lecce ha accolto le argomentazioni difensive, rilevando che la sentenza di primo grado si basava quasi esclusivamente sulle dichiarazioni rese dalla vittima, deceduta prima del processo di secondo grado.
Secondo consolidati principi giurisprudenziali, non è possibile fondare una condanna esclusivamente su dichiarazioni predibattimentali in assenza di riscontri oggettivi, soprattutto quando tali dichiarazioni presentano incongruenze.
Le dichiarazioni della persona offesa, dunque, pur acquisite legittimamente ai sensi dell’art. 512 c.p.p., non erano supportate da prove sufficienti per confermare la condanna. La Corte ha ritenuto che vi fossero troppi elementi di incertezza per affermare con certezza la responsabilità dell’imputato oltre ogni ragionevole dubbio, pronunciando così una sentenza di assoluzione per non aver commesso il fatto.
Questo caso evidenzia l’importanza di una difesa accurata e mirata nella fase d’appello, soprattutto quando le prove raccolte in primo grado si dimostrano deboli o contraddittorie. La giurisprudenza italiana, così come quella europea, pone l’accento sul principio secondo cui la colpevolezza deve essere provata oltre ogni ragionevole dubbio, e in assenza di prove solide, la sentenza di assoluzione diventa inevitabile.
Corte appello Lecce, 02/08/2024, (ud. 05/07/2024, dep. 02/08/2024), n.1257
Svolgimento del processo
Con sentenza del Tribunale di Lecce del 7.6.2022 De.Em. veniva ritenuto colpevole del reato ascrittogli e veniva condannato alla pena di anni quattro e mesi sei di reclusione ed Euro 1.000,00 di multa, oltre al pagamento delle spese processuali.
Avverso la citata sentenza ha proposto tempestivo appello il difensore di fiducia dell'imputato, censurando la pronuncia sulla base dei motivi di appello che di seguito si andranno sinteticamente ad esporre.
All'udienza del 5.7.2024, assente l'imputato, le parti, dopo la discussione, concludevano come in epigrafe riportato.
Motivi della decisione
1. I motivi di appello.
1.1. Con il primo motivo di appello risultano articolate plurime censure. Innanzitutto, si evidenzia l'inattendibilità di quanto denunciato dalla persona offesa, Pu.Fi., con la querela acquisita in atti, e la mancanza di riscontri della stessa, circostanze che avrebbero dovuto indurre il giudice di prime cure all'assoluzione dell'imputato. Invero, l'autore del furto sarebbe stato identificato sulla base delle indicazioni fornite dalla persona offesa, che lo riconosceva immediatamente e senza ombra di dubbio in sede di denuncia, poiché era un suo vicino di casa e aveva svolto dei lavori nel giardino della Pu.. Tuttavia, in successiva sede di riconoscimento fotografico, la vittima ricordava che il ladro aveva il viso parzialmente coperto da una mascherina o da una calza. La persona offesa, dunque, in un primo momento, ovvero nell'immediatezza dei fatti, avrebbe fatto intendere che l'autore del furto fosse entrato nella propria abitazione a viso scoperto, per poi dichiarare che il soggetto aveva invece il volto parzialmente coperto. Ebbene, oltre a rilevare che tale incongruenza nell'identificazione operata dalla persona offesa avrebbe dovuto inficiato la sua attendibilità, si riscontra ulteriormente l'impossibilità di riconoscere, senza esitazioni di sorta, l'identità di una persona di cui non risultano visibili i tratti essenziali. Alla luce di tale evidente contraddizione, il giudice di prime cure avrebbe dovuto assolvere l'imputato, stante l'assoluta mancanza di lucidità della persona offesa. Anche la versione dei fatti resa dalla Pu. in ordine agli accessi alla propria abitazione appare discutibile. Invero, la persona offesa, in sede di riconoscimento fotografico, riferiva che sia il cancello d'ingresso, posto al pian terreno, che la porta di accesso all'appartamento, sito al primo piano, fossero entrambi aperti al momento della commissione del reato, in modo tale da poter consentire l'accesso a persone di sua conoscenza, posto che la vittima aveva difficoltà nella deambulazione e, soprattutto, nel salire e scendere le scale. Tuttavia, il teste Ba., intervenuto sul posto nell'immediatezza dei fatti e riscontrata l'assenza di segni di effrazione, alla domanda del difensore dell'imputato circa le condizioni motorie della donna, affermava che la vittima camminava normalmente senza alcuna difficoltà. In ogni caso, anche a volere concedere che la Pu., pur muovendosi tranquillamente in casa, avesse difficoltà a fare le scale e avesse, dunque, necessità a lasciare aperto il cancello del piano terra, ciò non spiegherebbe il motivo per cui la vittima avrebbe dovuto parimenti lasciare aperta la porta di accesso alla propria casa sita al primo piano, alla luce del fatto che la stessa deambulava perfettamente. Quanto alla perquisizione operata dai Carabinieri di Squinzano presso il domicilio dell'imputato, si evidenzia che la stessa dava esito negativo.
Tuttavia, il Tribunale leccese affermava l'irrilevanza di tale esito, ritenendo che l'imputato avrebbe avuto tempo a sufficienza per disfarsi della refurtiva poiché lo stesso abitava a breve distanza dall'abitazione della persona offesa. Ebbene, il primo giudice, oltre a sminuire l'attività di indagine effettuata dalla p.g., non avrebbe tenuto conto dell'oggettiva difficoltà da parte dell'appellante di occultare la refurtiva e fare ritorno presso la propria abitazione (atteso che la perquisizione avveniva alla presenza dell'imputato) in un lasso temporale di appena 10/15 minuti. Tale ricostruzione non appare plausibile, soprattutto se si considera che la vicenda sarebbe avvenuta alla luce del giorno e nel pieno centro abitato del paese, ove si trovavano le suddette abitazioni, e che nessuno avrebbe notato l'imputato introdursi furtivamente in casa della vittima e darsi frettolosamente alla fuga con la refurtiva in mano pochi istanti dopo. Peraltro, si chiede la rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale ai sensi dell'art. 603 c.p.p. volta all'ascolto del fratello della persona offesa, Co.Pu., in ordine alla chiamata ricevuta dalla vittima il giorno dell'asserito furto, nonché in ordine alle condizioni psichiche della medesima. Da ultimo, si eccepisce l'in utilizzabilità del riconoscimento fotografico effettuato dalla persona offesa, eccezione già sollevata nel corso del giudizio di primo grado, stante la mancata esibizione di un album fotografico riproducete una pluralità di soggetti simili all'imputato, oltre alla mancata sottoscrizione in calce da parte della vittima.
1.2. Con il secondo motivo di doglianza, si lamenta l'eccessività della pena in concreto irrogata, nonché il diniego delle circostanze attenuanti generiche, in considerazione del precedente penale risalente nel tempo.
2. La decisione.
2.1. L'appello è fondato per le ragioni di seguito precisate.
Va, in primis, rilevato che la sentenza del giudice di prime cure si fonda in maniera unica o determinante sulle dichiarazioni rese in fase di indagini da Pu.Fi., che sporgeva querela in data 2.8.2019 presso la Stazione dei Carabinieri di Squinzano, querela acquisita agli atti ai sensi dell'art. 512 c.p.p. in seguito al decesso, nelle more del processo di primo grado, della querelante. Tali dichiarazioni risultano necessarie non solo ai fini della ricostruzione del fatto, ma anche ai fini dell'identificazione dell'autore stesso.
Come è noto, le dichiarazioni predibattimentali acquisite ai sensi dell'art. 512 c.p.p. possono costituire, conformemente all'interpretazione espressa dalla Grande Camera della Corte EDU con le sentenze 15 dicembre 2011, Al Khawaja e Tahery c/Regno Unito e 15 dicembre 2015, Schatschaachwili c/Germania, la base "esclusiva e determinante" dell'accertamento di responsabilità, purché rese in presenza di "adeguate garanzie procedurali", individuabili nell'accurato vaglio di credibilità dei contenuti accusatori, effettuato anche attraverso lo scrutinio delle modalità di raccolta, e nella compatibilità della dichiarazione con i dati di contesto (Cass. pen. sez. II, 17.4.2019, n. 19864). Le dichiarazioni predibattimentali acquisite ai sensi dell'art. 512 c p.p. possono costituire, conformemente all'interpretazione espressa dalla Grande Camera della Corte EDU con le sentenze 15 dicembre 2011, Al Khawaja e Tahery c/Regno Unito e 15 dicembre 2015, Schatschaachwili c/Germania, la base determinante dell'accertamento di responsabilità, purché l'assenza di contraddittorio sia controbilanciata da solide garanzie procedurali, individuabili nella esistenza di elementi di riscontro, che corroborino quei contenuti dichiarativi (Cass. pen. sez. VI, 26.3.2019, n. 50994).
Tali principi ermeneutici sono stati, da ultimo, affermati anche dalla Corte di giustizia dell'Unione Europea nella sentenza dell'8 dicembre 2022, HYA e altri, C-348/21, in cui si ritiene che il giudice nazionale non possa, qualora non sia possibile esaminare un testimone a carico nella fase giudiziale di un procedimento penale, fondare la sua decisione di colpevolezza o innocenza dell'imputato sulla deposizione di detto testimone ottenuta in occasione di un'audizione condotta dinanzi a un giudice nel corso della fase predibattimentale di tale procedimento, ma senza la partecipazione dell'imputato o del suo difensore, a meno che sussista un motivo serio che giustifichi la mancata comparizione del testimone nella fase giudiziale del procedimento penale, che la deposizione di tale testimone non costituisca il fondamento unico o decisivo della condanna dell'imputato e che sussistano elementi di compensazione sufficienti per controbilanciare le difficoltà causate a tale imputato e alla sua difesa a seguito della presa in considerazione di detta deposizione.
Nel caso di specie, dalle dichiarazioni della persona offesa rese in sede di denuncia sporta nell'immediatezza dei fatti in data 2.8.2019, emerge che la Pu., mentre si trovava nella camera da letto della propria abitazione, udendo dei rumori provenire dalla vicina camera da pranzo, si trovava di fronte un uomo che, sin da subito, riconosceva nell'imputato, De.Em., in quanto suo vicino di casa che aveva, peraltro, espletato dei lavori di giardinaggio presso la propria abitazione. Spaventato dalle urla della donna, il predetto fuggiva portando via con sé la borsa della vittima, che era appoggiata sul tavolo della sala da pranzo e che conteneva una somma di denaro in contante pari a circa Euro 3.500,00, oltre a vari oggetti personali in oro. Subito dopo l'accaduto, la vittima avvertiva telefonicamente il fratello dell'avvenuto furto al fine di richiedere l'intervento dei Carabinieri. Le predette FF.OO., giunte sul posto e ricevute le dichiarazioni della persona offesa, procedevano alla perquisizione domiciliare dell'abitazione dell'imputato in sua presenza, perquisizione che, però, dava esito negativo (v. verbale di perquisizione dell'1.8.2019, data del denunciato furto). Successivamente, in data 8.11.2020 la persona offesa procedeva all'individuazione fotografica dell'autore del furto presso la stazione dei Carabinieri di Squinzano, i quali le sottoponevano la fotografia raffigurante l'imputato. In tale occasione, la vittima riconosceva nel De. il ladro sorpreso all'interno della propria abitazione e precisava che lo stesso aveva una parte del volto coperta da una mascherina o da una calza, ma che tale circostanza non le aveva impedito di riconoscere comunque, senza alcun dubbio, l'imputato come l'autore del fatto. Sempre in tale sede, la Pu. precisava che, a causa delle precarie condizioni di salute in cui versava già all'epoca dei fatti, che non le permettevano di deambulare agevolmente, era sua abitudine lasciare il cancello d'ingresso e la porta di accesso dell'appartamento sito al primo piano completamente aperti, in modo tale da permettere sempre l'accesso alle persone di sua conoscenza. Ebbene, l'acquisizione al fascicolo del dibattimento delle dichiarazioni rese in fase di indagini (sia in querela sia in sede di s.i.t. e identificazione fotografica) da Pu.Fi. è avvenuta, effettivamente, ai sensi dell'art. 512 c.p.p., in seguito al suo decesso. Tuttavia, al fine di sostenere, quale elemento di prova unico o determinante, una pronuncia di penale responsabilità, il propalato della persona offesa avrebbe dovuto essere riscontrato da altri elementi di prova assunti nel contraddittorio delle parti, in grado di sopperire, in tale modo, al deficit di contraddittorio relativamente alla mancata assunzione in dibattimento della testimonianza della vittima.
Nel caso di specie, l'unico ulteriore elemento acquisito riguarda la deposizione del Carabiniere Ba.Da., escusso quale teste all'udienza dibattimentale del 12.4.2022. Tuttavia, mette conto rilevare come le dichiarazioni del teste Ba. si limitino semplicemente a riportare sommariamente il contenuto della querela sporta dalla persona offesa. Anzi, l'agente di p.g., intervenuto presso l'abitazione della Pu. nell'immediatezza dei fatti, oltre a precisare che la vittima deambulava normalmente, affermava di aver proceduto a successivi accertamenti, consistiti nell'effettuare, circa dieci minuti dopo l'intervento, la perquisizione presso il domicilio dell'imputato. Tuttavia, tale accertamento dava esito negativo in quanto presso l'abitazione del De., che assisteva alla perquisizione (quindi, si trovava in casa), non veniva rinvenuta la refurtiva denunciata dalla vittima.
In definitiva, quindi, l'unica fonte di prova a carico dell'appellante è costituita dalla dichiarazione contenuta nella denuncia e dall'individuazione fotografica (peraltro, neppure sottoscritta dalla persona offesa), rese in fase di indagini, alla cui acquisizione la difesa dell'imputato si è opposta sin dall'inizio, eccependone l'inutilizzabilità. Tali dichiarazioni, tuttavia, rimangono prive di qualsiasi oggettivo riscontro; pertanto, le stesse, in mancanza della possibilità di chiarire i numerosi aspetti rimasti dubbi, anche alla luce dei rilievi difensivi riguardanti l'attendibilità della persona offesa, attraverso l'esame in contraddittorio della dichiarante, non rappresentano, da sole, elementi di prova idonei ad affermare la penale responsabilità dell'appellante, al di là di ogni ragionevole dubbio.
Su tali basi, De.Em. va assolto dal reato ascrittogli, quantomeno ai sensi dell'art. 530 cpv. c.p.p., per non aver commesso il fatto e, in tal senso, la sentenza di primo grado merita riforma.
Il numero dei procedimenti definiti nella medesima udienza ha reso opportuno indicare il termine di giorni novanta per il deposito della motivazione.
P.Q.M.
La Corte di Appello di Lecce visti gli artt. 530 cpv. e 605 c.p.p,
in riforma della sentenza del Tribunale di Lecce in data 7.6.2022, appellata da De.Em., assolve l'imputato dal reato ascrittogli per non aver commesso il fatto.
Termine di giorni novanta per il deposito della motivazione.
Così deciso in Lecce il 5 luglio 2024.
Depositata in Cancelleria il 2 agosto 2024.