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I nostri casi di Studio

Assoluzione per maltrattamenti in famiglia: un caso di studio della Corte di Appello di Ancona (Giudice Maria Cristina Salvia Pres.)

Maltrattamenti in famiglia assoluzione

Il reato di maltrattamenti in famiglia è previsto dall’art. 572 c.p. punisce chiunque maltratti un convivente, coniuge o familiare, imponendo un regime di vita vessatorio, attraverso violenze fisiche, morali o psicologiche. Si tratta di un reato abituale, che richiede una condotta ripetuta e sistematica, che crea sofferenze e un ambiente domestico insostenibile. La presenza di figli minori o la condizione di vulnerabilità della vittima può comportare un’aggravante.

La valutazione delle prove e delle dichiarazioni delle vittime assume un ruolo fondamentale, specialmente nei casi in cui la persona offesa versi in condizioni di fragilità psicologica, come accaduto nel caso che analizziamo di seguito.

Il reato di maltrattamenti in famiglia richiede un’attenta valutazione delle testimonianze e delle condizioni in cui queste vengono rese.

In questo caso di studio, esaminiamo una recente sentenza della Corte di Appello di Ancona (composta dai giudici Maria Cristina Salvia, Isabella Maria Allieri e Francesca Betti) che ha assolto un uomo inizialmente condannato per maltrattamenti nei confronti della moglie e dei figli. La decisione si è basata su una rivalutazione delle prove, con particolare attenzione alle condizioni psicologiche della vittima e alla mancanza di altri elementi di riscontro.


Analisi del caso

L’imputato era stato condannato in primo grado per maltrattamenti contro la moglie, con l’aggravante della presenza di figli minori.

La sentenza di primo grado aveva ritenuto credibili le dichiarazioni della moglie, nonostante una parziale ritrattazione avvenuta in fase dibattimentale, e lo aveva condannato a due anni di reclusione. Tuttavia, l’imputato ha presentato appello, contestando la sufficienza delle prove e sottolineando la fragilità psicologica della moglie, elemento che è risultato cruciale nella sua difesa.


Le dichiarazioni della vittima e la loro attendibilità

La vittima, inizialmente, aveva denunciato episodi di violenza fisica e psicologica da parte del marito. Tuttavia, nel corso del dibattimento, aveva parzialmente ritrattato le sue dichiarazioni, attribuendo le affermazioni precedenti a difficoltà linguistiche. La Corte di Appello ha rilevato che la vittima successivamente ha dichiarato di non aver compreso che stava denunciando il marito e che non aveva intenzione di accusarlo formalmente.

Nel testo della sentenza si legge: “Ma ciò che ancor più impedisce di pervenire ad una valutazione positiva di attendibilità della parte offesa […] è la condizione in cui versava la moglie nel periodo in cui ha denunciato fatti di maltrattamento”. La Corte ha messo in evidenza che la vittima soffriva di gravi problemi psichici, tra cui deliri di persecuzione e allucinazioni, come documentato dal reparto di neuropsichiatria infantile presso cui era stata ricoverata.


Le condizioni psicologiche della vittima

Un aspetto centrale che ha portato all’assoluzione dell’imputato è stato lo stato mentale della vittima al momento delle denunce. “La donna assumeva comportamenti incongrui, consistiti in deliri di persecuzione, allucinazioni visive e uditive e pensieri intrusivi”, si legge nella sentenza. Questi disturbi, come confermato da operatori sanitari e assistenti sociali, hanno seriamente compromesso la capacità della donna di valutare la realtà, rendendo le sue accuse poco attendibili.

Inoltre, i figli dell’imputato, che vivevano nella stessa abitazione, non hanno confermato le accuse di maltrattamento, negando di aver assistito a episodi di violenza. Questa mancanza di riscontri oggettivi ha pesato nella decisione finale della Corte.


La decisione della Corte di Appello

La Corte di Appello ha valutato l’intero quadro probatorio e ha concluso che non vi erano elementi sufficienti per sostenere la colpevolezza dell’imputato oltre ogni ragionevole dubbio. La sentenza afferma: “Ne deriva che non può essere confermata la pronuncia di condanna”, e ha quindi deciso di assolvere l'imputato con la formula “perché il fatto non sussiste”.

La Corte ha anche rilevato che la denuncia, inizialmente considerata genuina, era stata in realtà fortemente influenzata dalla condizione psicologica della donna e che, in mancanza di altre prove, non era possibile confermare la colpevolezza dell'imputato.


Conclusioni

Questo caso dimostra quanto sia importante valutare attentamente le dichiarazioni delle vittime, specialmente quando ci sono elementi che indicano problemi di salute mentale. Una difesa ben strutturata, che riesca a far emergere eventuali incongruenze nelle prove, può fare la differenza tra una condanna e un’assoluzione.

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La sentenza integrale

Corte appello Ancona, 19/07/2024, (ud. 30/04/2024, dep. 19/07/2024), n.1115

Svolgimento del processo

Con la sentenza appellata, Ch.Be. è stato dichiarato colpevole del reato di maltrattamenti in danno della moglie Be.Ch., aggravato dalla presenza dei figli minori. In ordine ai reati di lesioni personali e minacce pure originariamente contestatigli veniva dichiarato non doversi procedere in quanto la moglie nelle more del procedimento ha rimesso la querela a suo tempo sporta.

Nella parte motiva della sentenza, il Giudice di prime cure ha riportato le dichiarazioni rese dalla persona offesa all'interno dell'Ospedale dove la stessa si era recata tramite Pronto Soccorso per un problema di salute del figlio Da. e dove venivano alla donna riscontrate lesioni che le erano state inferte dal marito, che la maltrattava con violenze fisiche e non. Pur avendo dovuto prendere atto della sostanziale ritrattazione delle originarie affermazioni da parte della donna sentita nel corso del dibattimento, durante il quale negava di aver chiesto aiuto agli assistenti sociali una volta raggiunto l'ospedale e ridimensionava la portata della sua denuncia, attribuendo alla difficoltà ad esprimersi in lingua italiana quanto riportato invece a chiare lettere in denuncia, il Tribunale ha ritenuto non credibile la ritrattazione ed al contrario genuine, spontanee e precise le dichiarazioni contenute nella denuncia sporta contro il marito per le condotte maltrattanti, poste in essere spesso in stato di ubriachezza, costretta a subire all'interno del suo particolare nucleo familiare. La donna era infatti la seconda moglie dell'imputato, già padre di 5 figli e vedovo della prima moglie, improvvisamente deceduta a seguito di incidente stradale, il matrimonio era stato combinato ed organizzato nel paese di origine di imputato e parte offesa e il contratto prevedeva che la donna, oltre ad occuparsi dei figli di primo letto, garantisse altre due nuove gravidanze.

Il Tribunale ha ritenuto non attendibile il prevenuto quando in sede di esame ha cercato di minimizzare i fatti, dando risalto alla circostanza che la madre della parte offesa l'aveva costretta a rimanere con quest'uomo nonostante tutto, il che indicava la condizione di vessazione in cui la donna era costretta a vivere.

Avverso la pronuncia di condanna interpone appello la difesa dell'imputato, invocando la assoluzione "per non aver commesso il fatto", più correttamente "perché il fatto non sussiste" atteso il tenore della deduzioni difensive, secondo cui il Giudice di prime cure non aveva debitamente considerato né la particolare e complessa storia della famiglia dell'imputato e della parte offesa né le dichiarazioni rese dai figli né la condizione di fragilità psichica della donna come rappresentata dalla documentazione medica in atti.

In ogni caso, si sostiene che al più si sarebbero verificati due soli episodi di violenza, con esclusione del requisito della abitualità necessario ai fini della integrazione del reato.



Motivi della decisione

L'appello è fondato per quanto di ragione e per i motivi che si vanno ad illustrare.

Ed invero, il quadro probatorio, come emerso dalla pur completa ed esaustiva istruttoria dibattimentale, non presenta i caratteri della certezza della prova al di là di ogni ragionevole dubbio, il che impone, secondo quanto disposto dal secondo comma dell'art. 530 c.p.p., la riforma della sentenza di primo grado con assoluzione dell'imputato Ch.Be. per insussistenza del fatto. Lo stesso ridimensionamento delle prime affermazioni già evidenziato dal Tribunale, che ha poi ritenuto di dare pieno credito alla denuncia sporta presso l'Ospedale dove la donna si era recata per problemi del bambino nato dal matrimonio con l'imputato già padre di altri cinque figli, di per sé insinua non pochi dubbi in ordine alla affidabilità e alla credibilità della Ch., vieppiù a motivo della sua scarsissima dimestichezza con la lingua, sottolineata

anche dagli operatori che sono entrati in contatto con lei e che con molta difficoltà hanno compreso quanto la Ch. raccontava. Ma ciò che ancor più impedisce di pervenire ad una valutazione positiva di attendibilità della parte offesa - che peraltro ha ritirato la querela dichiarando di non aver neppure compreso in quel momento di aver sporto denuncia nei confronti del marito al quale nulla voleva rimproverare e di conseguenza ad una tranquillante affermazione di colpevolezza, difettando del tutto altri elementi a sostegno della ipotesi accusatoria, è la condizione in cui versava la Ch. nel periodo in cui ha denunciato fatti di maltrattamento. Condizione, si badi, oggettivamente riscontrata dai sanitari che sono entrati in contatto ed in relazione con la donna e riportata a chiare lettere nella relazione del 27 gennaio 2019 redatta dal medico del reparto di neuropsichiatria infantile dove la Ch. era ricoverata con il figlio di appena sei mesi.

In detta relazione, con cui i sanitari, in accordo con gli assistenti sociali già interessate al caso, chiedevano un intervento urgente a tutela del minore, si evidenzia che la Ch. assumeva comportamenti incongrui, consistiti in deliri di persecuzione, allucinazioni visive e uditive e pensieri intrusivi. La donna, in preda a tali deliri che non le consentivano neppure di interagire con il personale medico e non che intendeva aiutarla, girava tra le stanze con il piccolo in braccio dicendo di sentirsi in pericolo e cercando disperatamente aiuto. La ulteriore documentazione in atti, comprensiva di provvedimenti del Tribunale per i Minorenni, dà atto della condizione di estrema fragilità psichica e psicologica, certo amplificata dalla particolare situazione familiare di cui si è detto innanzi, in cui la Ch. versava e che ha portato poi la stessa a sottoporsi a terapie.

Risulta, dunque, evidente che non può darsi credibilità a quanto dalla stessa riferito circa la sua condizione di moglie, peraltro non confermata dai figli del marito che rappresentavano una situazione ben diversa e che escludevano comportamenti maltrattamenti in suo danno ad opera del loro padre. Ne deriva che non può essere confermata la pronuncia di condanna.


P.Q.M.

Visto l'art. 605 c.p.p. in riforma della sentenza in data 5.04.2022 del Tribunale di Ancona, appellata dall'imputato, assolve Be.Ch. dalla imputazione a lui ascritta perché il fatto non sussiste.


Motivazione entro novanta giorni.


Così deciso in Ancona il 30 aprile 2024.


Depositata in Cancelleria il 19 luglio 2024.



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