Cassazione civile sez. lav., 27/11/2024, n.30547
In tema di licenziamento disciplinare, l'immediatezza della contestazione deve essere valutata in senso relativo, tenendo conto delle ragioni che possano giustificare il tempo necessario all'accertamento dei fatti. Inoltre, la proporzionalità della sanzione deve essere valutata in relazione alla gravità della condotta, alla violazione degli obblighi di diligenza e fedeltà e al pregiudizio arrecato al vincolo fiduciario, indipendentemente dall'assenza di precedenti disciplinari.
FATTI DI CAUSA
1. La Corte di Appello di Lecce ha rigettato l'appello proposto da Ca.Ma. avverso la sentenza del Tribunale della stessa sede, che aveva respinto le sue domande, volte ad ottenere l'annullamento del licenziamento disciplinare intimatole dall'INPS con raccomandata del 22.1.2020 notificata in data 5.2.2020, la condanna dell'INPS a reintegrarla nel posto di lavoro e il pagamento di un'indennità risarcitoria commisurata all'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto dalla data del licenziamento a quella di effettiva reintegra, oltre al versamento dei contributi previdenziali.
2. Per quanto in questa sede ancora rileva, la Corte territoriale ha ritenuto tempestive le contestazioni del 7.10.2019 e del 4.11.2019 ed ha rilevato che solo nel giudizio di appello era stato dedotto che le suddette date sono quelle di emissione dei provvedimenti di contestazione, e non quelle della consegna degli atti all'interessata ed ha considerato ininfluenti le circostanze che le comunicazioni di segnalazione di fatti disciplinarmente rilevanti e le contestazioni disciplinari fossero state consegnate a mani all'appellante da personale INPS interno alla segreteria.
3. In ordine alla doglianza riguardante la comunicazione del licenziamento a mezzo di lettera raccomandata anziché a mani, ha condiviso le statuizioni del primo giudice, secondo cui non sussiste l'obbligo di consegnare la lettera di licenziamento al lavoratore sul posto di lavoro, e secondo cui il lavoratore non può essere allontanato dal posto di lavoro fino a quando la lettera non giunge all'indirizzo del lavoratore.
4. Il giudice di appello ha inoltre escluso la formazione progressiva della contestazione disciplinare e l'idoneità delle contestazioni a ledere il diritto alla difesa ed ha condiviso la statuizione del primo giudice secondo cui le condotte contestate alla Ca.Ma. avevano integrato un'ipotesi di violazione intenzionale degli obblighi, anche nei confronti di terzi, di gravità tale da non consentire la prosecuzione del rapporto.
5. Ha in particolare evidenziato che i medesimi fatti costituiscono grave violazione del dovere di correttezza e buona fede, tale da non consentire la prosecuzione del rapporto, avendo la Ca.Ma. agito con artifizio e raggiro per indurre in errore l'Amministrazione datrice di lavoro; ha aggiunto che l'appellante aveva posto in essere un grave fatto di rilevanza penale, tanto che era stata rinviata a giudizio e condannata con sentenza non definitiva per il reato di truffa aggravata e continuata.
6. Ha altresì escluso che le note di addebito (apparentemente provenienti dalla struttura alberghiera, accompagnate a note spese sottoscritte dalla lavoratrice e presentate al solo scopo di ottenere il rimborso dei costi in esse indicati) costituissero meri promemoria, ed ha evidenziato che solo dal 1.1.2019, in forza della legge di bilancio n. 205/2017, è divenuto obbligatorio il rilascio della fattura elettronica.
7. Ha infine ritenuto la proporzionalità della sanzione irrogata rispetto alla condotta della lavoratrice, valutata riguardo agli obblighi di diligenza e fedeltà, nonché alla luce del suo "disvalore ambientale", evidenziando che la consapevole realizzazione di una condotta fraudolenta oggettivamente idonea ad indurre in errore il datore di lavoro non è scriminata dall'assenza di precedenti disciplinari, è in grado di arrecare pregiudizio economico all'ente e di scuotere il vincolo fiduciario.
8. Avverso tale sentenza Ca.Ma. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di sette motivi, illustrati da memoria.
9. L'INPS ha resistito con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il primo motivo, che in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ. denuncia violazione e falsa applicazione del principio di tempestività o immediatezza della contestazione disciplinare anche in relazione alle clausole generali di correttezza e buona fede di cui agli artt. 1175 e 1375 cod. civ., violazione e falsa applicazione dell'art. 55 bis comma 4 D.Lgs. n. 165/2001, dell'art. 55 comma 9-ter D.Lgs. n. 165/2001, nonché dell'art. 3, commi 3 e 4, del Regolamento di disciplina di INPS, violazione dell'art. 1334 cod. civ. in materia di atto unilaterale recettizio, violazione delle norme e dei principi in materia di procedimento disciplinare, nonché motivazione perplessa e obiettivamente incomprensibile, si articola in due sottocensure.
Con la prima sottocensura deduce che la rilevanza disciplinare della condotta della Ca.Ma. era emersa già nel giugno 2009; lamenta che l'Ufficio Liquidazioni aveva operato al di fuori delle sue competenze, in quanto aveva avviato un'attività istruttoria di competenza dell'Ufficio disciplinare.
Lamenta che la Corte territoriale ha erroneamente fatto decorrere il termine di 120 giorni per la conclusione del procedimento disciplinare dalla data di adozione delle lettere di contestazione, anziché dalla data della loro ricezione.
Addebita alla Corte territoriale di avere ritenuto che il provvedimento espulsivo del 22.10.2020 fosse un atto non recettizio.
Con la seconda sottocensura lamenta il carattere perplesso ed incomprensibile della motivazione nella parte in cui afferma che era stato dedotto per la prima volta in grado di appello che le date del 7.10.2019 e del 4.11.2019 erano quelle di emissione dei provvedimenti di contestazione e non di consegna dei medesimi.
2. Il secondo motivo, proposto ai sensi dell'articolo 360 n. 3 cod. proc. civ., denuncia violazione delle norme e dei principi in materia di procedimento disciplinare; motivazione perplessa e obiettivamente incomprensibile.
Sostiene che la consegna materiale delle contestazioni del 7.10.2019 e del 4.11.2019, effettuata a mano ed in busta aperta, avrebbe dovuto essere effettuata da un dirigente o di un funzionario (che avrebbe dovuto altresì provvedere alla lettura dei suddetti documenti), e non da parte del personale di segreteria.
3. Con il terzo motivo, il ricorso denuncia nullità della sentenza per motivazione solo apparente; violazione dell'art. 132, comma 2, n. 4, cod. proc. civ., per avere la Corte territoriale omesso di esplicitare le ragioni del suo convincimento in base ai motivi di censura formulati dalla Ca.Ma., che aveva contestato la violazione dell'obbligo motivazionale del licenziamento anche con riferimento alle prescrizioni di cui agli artt. 51, comma 2, 55 ter, 55 quater e 2, comma 2, del D.Lgs. n. 165/2001.
Evidenzia che "i pochi righi" utilizzati dall'INPS per giustificare il licenziamento non costituiscono nemmeno una motivazione apparente, non avendo l'Istituto esplicitato le ragioni per le quali i fatti contestati alla Ca.Ma. siano idonei a giustificare la sanzione espulsiva.
4. Con il quarto mezzo, il ricorso denuncia violazione e falsa applicazione del principio di immutabilità della contestazione, nonché dell'art. 7 della legge n. 300/1970, in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ.
Evidenzia che ad una prima lettera di contestazione datata 7.10.2019, riguardante condotte poste in essere dal 19 marzo al 13 giugno 2019, aveva fatto seguito un'ulteriore lettera di contestazione, datata 4.11.2019 riguardante fatti diversi ed ulteriori e riferiti ad un arco temporale che copre l'intero anno 2018, e non contestati tempestivamente.
Sostiene che l'INPS aveva posto in essere una "formazione progressiva" della contestazione disciplinare, introducendo fatti nuovi e diversi rispetto a quelli inizialmente contestati e lamenta che la Ca.Ma. non era stata posta in condizione di potersi difendere adeguatamente.
5. Con la quinta censura, il ricorso denuncia nullità della sentenza per motivazione solo apparente, violazione dell'art. 132, comma 2, n. 4 cod. proc. civ., nonché dell'art. 27, comma 2, Cost. e dell'art. 6, comma 2, della CEDU.
Addebita alla Corte territoriale di avere condiviso la pronuncia di primo grado senza procedere ad un esame critico delle argomentazioni del Tribunale di Lecce in base ai motivi di gravame, che avevano censurato la riconducibilità della condotta contestata all'art. 62, comma 9, punto 2, lett. b) e f) del CCNL.
Critica la sentenza impugnata per avere considerato provata la responsabilità penale della Ca.Ma. per truffa aggravata, in assenza di una condanna definitiva.
6. Con il sesto motivo, il ricorso denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 36 e 3 Cost.; motivazione complessa e oggettivamente incomprensibile, in relazione dell'art. 62, comma 9, CCNL di comparto triennio 2016-2018 stipulato in data 12.2.2018.
Lamenta che la motivazione della sentenza impugnata è affetta da irriducibile contraddittorietà ed illogicità manifesta; addebita alla Corte territoriale di non avere valutato che la Ca.Ma. aveva effettivamente sostenuto le spese relative all'espletamento della sua attività lavorativa.
Evidenzia che a fronte dell'imposizione di rendere la prestazione ad oltre 650 km di distanza dal luogo abituale di lavoro e di residenza, l'ente di appartenenza è tenuto a riconoscere una somma a titolo di alloggio, ancorché entro determinati limiti quantitativi; richiama sul punto la nota DPC/ABI/62138 del 14.12.2015.
7. Con il settimo motivo, il ricorso denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 3 Cost., dell'art. 55 e dell'art. 55 quater, comma 1, lett. d) D.Lgs. n. 165/2001, violazione del principio di proporzionalità della sanzione disciplinare; violazione degli artt. 2106 e 2119 cod. civ., dell'art. 62, comma 9, CCNL di Comparto triennio 2016-2019 stipulato in data 12.2.2018 e dell'art. 2, comma 9, lett. d), del Regolamento di disciplina INPS; motivazione perplessa e obiettivamente incomprensibile, in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ.
Con la prima sottocensura deduce la violazione del principio di tassatività degli illeciti disciplinari puniti dalla contrattazione collettiva, nonché del principio di proporzionalità della sanzione.
Lamenta che alla Ca.Ma. è stata applicata una sanzione più grave rispetto alle condotte individuate dal CCNL come giusta causa di licenziamento, evidenziando che il CCNL prevede la sanzione espulsiva per fattispecie differenti da quella esaminata.
Con la seconda sottocensura lamenta l'omessa motivazione sugli elementi oggettivi della fattispecie (sull'assenza di danno per l'INPS, sul fatto che i giustificativi non erano fatture elettroniche, sulla sottoscrizione delle note spese relative alle richieste di rimborso da parte del Direttore, sullo svolgimento della prestazione fino al 5.2.2020, sull'assenza di precedenti disciplinari da parte della Ca.Ma., sul mancato coinvolgimento, da parte dell'INPS della Direzione Centrale tecnologia, informatica e innovazione e sull'insuscettibilità di ripetizione dei fatti dopo la contestazione), sull'intenzionalità della condotta, sull'impatto sugli altri dipendenti dell'impresa.
Evidenzia l'insufficienza della correlazione tra il fatto e la qualità di prestatore di lavoro e rimarca che il procedimento penale è sub iudice.
8. Il primo motivo è infondato.
La prima sottocensura è infondata, avendo questa Corte chiarito che il termine per la contestazione, sia prima che dopo le modifiche apportate all'art. 55 bis del D.Lgs. n. 165 del 2001 dal D.Lgs. n. 75 del 2017 (riforma c.d. Madia), va calcolato dal momento in cui l'UPD riceve gli atti dal responsabile della struttura, e cioè riceve una "notizia di infrazione" di contenuto tale da consentirgli di dare in modo corretto l'avvio al procedimento disciplinare, nelle sue tre fasi fondamentali della contestazione dell'addebito, dell'istruttoria e dell'adozione della sanzione, anche nell'ipotesi in cui il protrarsi nel tempo di singole mancanze, pur da sole disciplinarmente rilevanti, integri un'autonoma e più grave infrazione (Cass. n. 11635/2021; Cass. n. 20730/2022; Cass. n. 10284/2023 e Cass. n. 20235/2023).
L'immediatezza della contestazione va intesa in senso relativo, dovendosi dare conto delle ragioni che possono cagionare il ritardo (quali il tempo necessario per l'accertamento dei fatti o la complessità della struttura organizzativa dell'impresa), con valutazione riservata al giudice di merito ed insindacabile in sede di legittimità, se sorretta da motivazione adeguata e priva di vizi logici (Cass. n. 281/2016; Cass. n. 16841/2018; Cass. n. 23516/2019; Cass. n. 32542/2021; Cass. n. 14726/2024).
Questa Corte ha inoltre chiarito che in tema di illeciti disciplinari nel pubblico impiego privatizzato, a seguito delle modifiche apportate dal D.Lgs. n. 75 del 2017 (cd. legge "Madia") all'art. 55-bis del D.Lgs. n. 165 del 2001, il termine per la conclusione del procedimento da parte dell'Ufficio per i procedimenti disciplinari non decorre più dalla conoscenza dell'illecito in capo al responsabile della struttura di appartenenza, ma da quando l'Ufficio predetto abbia effettuato la contestazione di tale illecito, sicché a tal fine i tempi intercorsi prima della comunicazione dell'illecito all'UPD non hanno rilievo, se non quando ne risulti irrimediabilmente compromesso il diritto di difesa del dipendente (Cass. n. 10284/2023).
La sentenza impugnata è conforme a tali principi, in quanto la Corte territoriale ha ritenuto con statuizione incensurata che la mancata allegazione delle fatture elettroniche, accertata già dal giugno 2019, poteva dipendere da un'irregolarità fiscale della struttura alberghiera, ed ha accertato che la trasmissione degli atti all'UPD era avvenuta nelle date del 27.9.2019 e del 29.10.2019, all'esito delle comunicazioni pervenute dallo Starhotels Metropole Roma e dal The K Boutique hotel Roma, dalle quali aveva desunto che la documentazione allegata dalla Ca.Ma. per il rimborso delle spese di alloggio era contraffatta, e ha fatto decorrere il termine di 120 per la conclusione del procedimento dalle contestazioni dell'illecito, avvenute nelle date del 7.10.2019 e del 4.11.2019.
È stato dunque rispettato il termine di 120 giorni (il licenziamento è stato intimato in data 22.1.2020 e comunicato in data 5.2.2020).
Inoltre la seconda sottocensura, nel prospettare che la mancata corrispondenza tra la data di emissione delle contestazioni e quelle di consegna delle medesime risultava documentalmente ed era incontestata, non si confronta con la sentenza impugnata, che in modo assolutamente chiaro, perfettamente comprensibile e affatto perplesso, ha rilevato la mancata proposizione di tale doglianza nel giudizio di primo grado.
9. Il secondo motivo è inammissibile, in quanto nel prospettare apoditticamente che la consegna delle note e le contestazioni alla Ca.Ma. a mano ed in busta aperta avrebbe dovuto essere effettuata da un dirigente/funzionario, non si confronta con la sentenza impugnata, la quale ha dato atto dell'inesistenza di una disposizione di legge che imponga la consegna da parte di un superiore gerarchico o del Direttore della sede delle contestazioni disciplinari o di qualunque provvedimento afferente alla sfera disciplinare.
10. Il terzo motivo è infondato, in quanto la Corte territoriale ha esplicitato le ragioni del proprio convincimento in base ai motivi di censura; ha infatti riportato la motivazione del licenziamento, riferita alla violazione dell'art. 62, nono comma, n. 2, lett b) e f) del CCNL di settore, nonché le suddette disposizioni, rispettivamente riferite a gravi fatti illeciti di rilevanza penale e a violazioni intenzionali, non ricomprese specificamente nelle lettere precedenti, degli obblighi, anche nei confronti di terzi, di gravità tale, in relazione ai criteri di cui al comma 1, da non consentire la prosecuzione nemmeno provvisoria del rapporto di lavoro.
11. Il quarto motivo è inammissibile, in quanto non denuncia la mancata corrispondenza tra i fatti contestati e quelli posti a base del licenziamento, ma sostiene che l'Amministrazione ha posto in essere una formazione "progressiva" della contestazione disciplinare.
Inoltre la censura non si confronta con la ratio decidendi della sentenza impugnata, la quale ha escluso la lamentata formazione progressiva della contestazione disciplinare evidenziando che le contestazioni avevano ad oggetto condotte simili di cui il datore di lavoro era venuto a conoscenza in tempi diversi e che i fatti erano stati specificati in forma dettagliata, così da consentire all'appellante di difendersi compiutamente.
12. Anche il quinto motivo è inammissibile.
Non è configurabile l'apparenza della motivazione, né la violazione del principio di non colpevolezza, avendo la Corte territoriale ritenuto che le note di addebito non costituivano promemoria ed erano contraffatte, ed avendo rilevato che erano state presentate al solo scopo di ottenere i rimborsi dei costi ivi indicati da parte della lavoratrice, che senza ripensamenti aveva agito con artifizio e raggiro aveva posto in essere consapevolmente una condotta oggettivamente idonea ad indurre in errore l'Amministrazione (si vedano la diciottesima e la ventunesima pagina della sentenza impugnata).
La Corte territoriale, dopo avere accertato la contraffazione delle note di debito, ha dunque valorizzato l'idoneità della condotta posta in essere dalla Ca.Ma. ad arrecare un pregiudizio economico all'ente e a scuotere il vincolo fiduciario.
13. Il sesto motivo è del pari inammissibile.
Al di là della modalità di formulazione della censura, proposta ai sensi dell'art. 360, comma primo, n. 3 cod. proc. civ., non sono infatti configurabili i vizi di irriducibile contraddittorietà e di illogicità manifesta della motivazione, avendo la Corte territoriale ritenuto provata la contraffazione delle note di addebito, sulla base delle quali la Ca.Ma. aveva chiesto il rimborso.
14. Anche il settimo motivo è infondato.
Infatti l'art. 55 quater D.Lgs. n. 165/2001 fa salve le ulteriori ipotesi previste dal CCNL, e che l'art. 62, comma 9, lett. b) del CCNL di Comparto triennio 2016-2018 stipulato in data 12.2.2018 prevede la sanzione disciplinare del licenziamento senza preavviso per la commissione di gravi fatti illeciti di rilevanza penale, compresi quelli che possono dare luogo alla sospensione cautelare, secondo la disciplina dell'art. 64, fatto salvo quanto previsto dall'art. 65, mentre la lett. f) del medesimo CCNL prevede la sanzione disciplinare del licenziamento senza preavviso per violazioni intenzionali degli obblighi (ancorché non ricomprese specificamente nelle lettere precedenti e anche nei confronti di terzi), di gravità tale, in relazione ai criterio di cui al comma 1, da non consentire la prosecuzione neppure provvisoria del rapporto di lavoro.
Ciò premesso, la sentenza impugnata ha dato atto della provata contraffazione, posta in essere senza ripensamenti allo scopo di ottenere il rimborso dei costi indicati nelle note; l'ha inoltre ritenuta idonea ad indurre in errore il datore di lavoro, nonché a cagionare un danno patrimoniale e a scuotere il vincolo fiduciario, a prescindere dall'assenza di precedenti disciplinari.
La seconda sottocensura, nel prospettare l'omessa motivazione sulla sottoscrizione delle note spese relative alle richieste di rimborso da parte del Direttore, sul mancato coinvolgimento, da parte dell'INPS della Direzione Centrale tecnologia, informatica e innovazione e sull'insuscettibilità di ripetizione dei fatti dopo la contestazione, non indica né localizza gli atti dei gradi di merito in cui ha dedotto tali circostanze, mentre rispetto alla posizione professionale rivestita e all'impatto sugli altri dipendenti la censura si traduce nell'inammissibile denuncia di insufficienza della motivazione.
15. Il ricorso va pertanto rigettato.
16. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
17. Sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, dell'obbligo, per la parte ricorrente, di versare l'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l'impugnazione integralmente rigettata, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 200,00 per esborsi ed in Euro 4000,00 per competenze professionali, oltre al rimborso spese generali nella misura del 15% e accessori di legge;
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Lavoro della Corte Suprema di Cassazione, del 1 ottobre 2024.
Depositata in Cancelleria il 27 novembre 2024.