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Quando il “cavallo di ritorno” diventa rapina e non esercizio arbitrario delle proprie ragioni (Cass. Pen. n.31823/25)

Quando il “cavallo di ritorno” diventa rapina e non esercizio arbitrario delle proprie ragioni (Cass. Pen. n.31823/25)

Indice:


1. Introduzione

Il discrimine tra rapina ed esercizio arbitrario delle proprie ragioni rappresenta, sin dalle più antiche elaborazioni dottrinali, uno dei nodi più complessi del diritto penale sostanziale.

Non si tratta soltanto di distinguere tra due fattispecie astrattamente tipizzate, ma di individuare il punto di rottura oltre il quale la pretesa – anche legittima – alla tutela di un proprio diritto si trasfigura in condotta predatoria, priva di qualsiasi legittimazione ordinamentale.

La sentenza in commento si misura con tale problema all’interno di una vicenda paradigmatica: quella del cosiddetto “cavallo di ritorno”, terreno classico in cui la confusione tra autotutela e sopraffazione si fa più evidente.

In tali contesti, l’agente pretende di giustificare l’uso della violenza come strumento per il recupero di un bene già sottratto (e quindi, in qualche misura, “dovutogli”); ma la modalità di esecuzione – aggressione fisica, minaccia, impossessamento di un diverso veicolo appartenente alla vittima – tradisce immediatamente la natura rapinatoria della condotta.

Il richiamo all’art. 393 c.p. non può dunque trovare ingresso.

L’esercizio arbitrario delle proprie ragioni presuppone infatti che l’oggetto dell’azione sia un diritto effettivamente azionabile dinanzi al giudice e che la violenza sia utilizzata per ottenerne l’adempimento anticipato.

Diversamente, quando il comportamento si traduce nell’impossessamento di un bene altrui, non riconducibile ad alcun titolo giuridico in capo all’agente, l’ordinamento non ammette alcuna surrogazione di autotutela: la fattispecie di riferimento resta quella della rapina, con tutte le conseguenze sanzionatorie.


2. La vicenda

Il caso trae origine da un episodio tipico del fenomeno del cavallo di ritorno: un’autovettura sottratta, la promessa di “mediazione” per la sua restituzione, la pretesa di un corrispettivo economico.

Nel corso di tali trattative, la persona offesa veniva aggredita, minacciata e privata del proprio veicolo, così da indurla a sostenere in prima persona le spese necessarie al recupero della macchina sottratta ad un terzo.

Il Tribunale, prima, e la Corte di Appello, poi, avevano riconosciuto la penale responsabilità degli imputati per concorso in rapina, rigettando la prospettazione difensiva che invocava la più tenue figura dell’esercizio arbitrario delle proprie ragioni.

In secondo grado, la posizione di uno degli imputati veniva addirittura aggravata, con riforma in peius dell’assoluzione di primo grado.


3. La decisione della Corte

Investita dei ricorsi, la Suprema Corte ha affrontato due nodi centrali: da un lato, la qualificazione giuridica della condotta; dall’altro, l’esatta perimetrazione dell’elemento soggettivo del reato.

Quanto al primo aspetto, la Corte ha ribadito che l’art. 393 c.p. può applicarsi soltanto se l’azione violenta è diretta a conseguire coattivamente un bene che, in ipotesi, l’agente avrebbe potuto ottenere in via giudiziaria.

Qui, al contrario, l’impossessamento ha riguardato un bene diverso e autonomo – l’autovettura della vittima – sul quale gli imputati non vantavano alcun titolo. Il presunto legame funzionale con il recupero dell’altra macchina rubata non vale a trasfigurare la natura rapinatoria della condotta.

La Corte, inoltre, ha richiamato un principio costante: nell’area della rapina, il profitto non si esaurisce nel vantaggio patrimoniale immediato, ma comprende ogni utilità, anche indiretta o morale, che l’agente si proponga di ottenere con la violenza o la minaccia.

È sufficiente, pertanto, che la sottrazione sia funzionale a costringere la vittima a farsi carico di spese o azioni utili agli autori del reato, per radicare la tipicità della rapina consumata.


4. La nozione di “profitto” nella rapina

Il passaggio forse più significativo della sentenza risiede proprio nella valorizzazione della nozione di profitto nel delitto di rapina. La Cassazione ha riaffermato che esso non coincide con un arricchimento economico tangibile e diretto, ma si estende a qualsiasi utilità perseguita dal reo: una soddisfazione morale, l’affermazione di supremazia, o – come nel caso di specie – l’obbligo indiretto imposto alla vittima di attivarsi per il recupero di un bene altrui.

In questa prospettiva, la condotta non è riconducibile ad un’ipotesi di autotutela distorta, ma si colloca pienamente nella fattispecie di rapina, caratterizzata dalla coazione violenta come strumento di profitto.


5. La sentenza integrale

Cassazione penale sez. II, 18/09/2025, (ud. 18/09/2025, dep. 23/09/2025), n.31823

Sezione: Seconda

Presidente: BELTRANI Sergio

Relatore: ALMA Marco Maria


RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza in data 19 dicembre 2024 la Corte di Appello di Catanzaro, in parziale riforma della sentenza in data 22 marzo 2022 del Tribunale di Castrovillari, impugnata sia dal Pubblico Ministero che dagli imputati, ha:


- dichiarato Le.Ro. (assolto in primo grado) responsabile del reato di cui agli artt. 110 e 628, comma 2, cod. pen., con riconoscimento allo stesso delle circostanze attenuanti generiche equivalenti alla contestata aggravante;


- confermato l'affermazione della penale responsabilità degli imputati Pe.Se. e Pi.Ro. sempre in relazione al reato di cui agli artt. 110 e 628, comma 2, cod. pen.


In sintesi, si contesta agli imputati - dopo che Pe.Ge. aveva subito il furto della propria autovettura e che Fi.An., dopo essersi offerto di aiutarlo nelle ricerche, gli aveva rappresentato che al fine di ottenere quanto sottrattogli avrebbe dovuto provvedere al pagamento della somma di 1.500,00 Euro - di avere teso un agguato al Fi.An. nel corso del quale lo percuotevano con schiaffi al volto e calci allo stomaco e lo minacciavano, indi si impossessavano della vettura dello stesso Fi.An. al fine di costringere quest'ultimo a provvedere a sue spese al recupero presso gli "zingari" di C dell'autovettura del Pe.Se. che peraltro veniva rinvenuta casualmente dai carabinieri.


I fatti in contestazione risalgono al (Omissis).


Deve anche essere precisato che in origine agli imputati, alla luce dei fatti sopra descritti, era stato contestato anche il delitto di tentata estorsione per il quale sono stati assolti.


2. Ricorrono per Cassazione avverso la predetta sentenza i difensori degli imputati, deducendo:


2.1. per Pe.Se.:


2.1.1. Violazione di legge e vizi di motivazione ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. con riferimento agli artt. 192, 533, comma 1, 530, comma 2, 546, comma 3, lett. e), 125, comma 3 cod. proc. pen.


Deduce al riguardo la difesa del ricorrente, che la Corte di appello, con una motivazione di poche righe, ha disatteso le argomentazioni difensive proposte in sede di gravame ed ha affermato, in violazione dei principi di diritto in materia, la piena attendibilità alle dichiarazioni del Fi.An..


La Corte territoriale, secondo la difesa del ricorrente, non avrebbe considerato che il Fi.An.:


a) ha reso una plurima e contraddittoria ricostruzione degli eventi;


b) aveva interesse ad alleggerirsi dalle accuse di estorsione imputategli in concorso con un gruppo delinquenziale notoriamente feroce;


c) era cointeressato nel cd. "cavallo di ritorno" azionato dalla persona offesa del furto;


A ciò si aggiunge che:


- la versione dei fatti fornita dal Fi.An. è stata smentita da elementi documentali (es. gli orari del traffico telefonico), logici e testimoniali (il narrato dei testi Ro. e Pe.Se.) oltre che dalla personalità del dichiarante;


- anche le informazioni dallo stesso fornite sono incompatibili con gli spostamenti che lo stesso avrebbe effettuato rispetto agli orari emersi dai tabulati telefonici;


- il rinvenimento a bordo dell'auto del Fi.An. di un appunto al cui interno compariva il numero di targa del veicolo del Pe.Se. avvalora il coinvolgimento dello stesso nella condotta estorsiva.


2.1.2. Violazione di legge e vizi di motivazione ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. con riferimento agli artt. 192, 533, comma 1, 530, comma 2, 546, comma 3, lett. e), 125, comma 3 cod. proc. pen. e 393 cod. pen.


Deduce la difesa del ricorrente che avrebbero errato i Giudici di merito nel non accogliere la richiesta di riqualificazione del fatto nella fattispecie di cui all'art. 393 cod. pen. e non avrebbero considerato:


a) la carenza di profitto in capo al ricorrente in relazione all'apprensione dell'autovettura della persona offesa;


b) il mancato esborso di alcuna somma da parte del Fi.An. per la consegna dell'auto, bene, oltretutto, di scarso valore;


c) le frasi proferite dagli imputati in occasione dell'aggressione finalizzate ad ottenere la restituzione dell'autovettura sottratta a Pe.Ge. che sono risultate finalizzate all'esclusivo recupero del veicolo di quest'ultimo con conseguente assenza dell'elemento soggettivo della rapina e configurabilità di quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni.


2.1.3. Violazione di legge e vizi di motivazione ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. in relazione agli artt. 192, 533, comma 1, 530, comma 2, 546, comma 3, lett. e), 125, comma 3 cod. proc. pen e 133, 62 n. 4 cod. pen.


Deduce la difesa del ricorrente che avrebbero errato i Giudici del merito nel non riconoscere all'imputato la circostanza attenuante di cui all'art. 62 n. 4 cod. pen. alla luce del modesto valore dell'autovettura sottratta e del fatto che il Fi.An. non ha dovuto corrispondere alcunché per recuperare l'automobile.


Lamenta, ancora, la difesa del ricorrente l'erroneo bilanciamento delle circostanze attenuanti generiche che, per contro, avrebbero dovuto essere riconosciute come prevalenti rispetto alla circostanza aggravante contestata tenendo conto delle posizioni soggettive emerse dagli atti.


Lamenta, infine, la difesa del ricorrente la contraddittorietà nella determinazione del trattamento sanzionatorio riservato all'imputato che avrebbe dovuto essere più contenuto, trattandosi di soggetto incensurato e coinvolto ingenuamente in un episodio criminoso.


2.2. per Pi.Ro.:


2.2.1. Nullità della sentenza per violazione degli artt. 113 Cost. e 420-ter cod. proc. pen. per omesso rinvio dell'udienza del 22 febbraio 2022 per legittimo impedimento del difensore che aveva documentato che i propri figli e la moglie erano risultati affetti da Covid-19, che il Comune di Cariati aveva emesso tre ordinanze sindacali che vietavano lo spostamento dell'avv. Meles per un periodo non inferiore a 10 giorni della data di accertata positività della figlia primogenita (ossia dal 14 febbraio al 24 febbraio 2022) e che il medico curante, dopo aver visitato il legale, aveva certificato in data 22 febbraio 2022 che il predetto difensore necessitava di sette giorni di riposo "per quarantena fiduciaria per stretto contatto con persone Covid19 positive".


2.2.2. Vizi di motivazione ex art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. per manifesta illogicità della sentenza impugnata.


Deduce la difesa del ricorrente che avrebbe errato la Corte di appello nel ritenere attendibile la persona offesa Fi.An., che ha riconosciuto fotograficamente l'imputato, nonostante che si tratti di soggetto che ha fornito diverse e contraddittorie versioni dei fatti anche con riguardo alla descrizione degli assalitori non coincidenti con le fattezze fisiche degli stessi.


A ciò si aggiunge, prosegue la difesa del ricorrente, che i filmati ripresi dal circuito di videosorveglianza non hanno consentito di ritrarre i volti degli assalitori e che i Carabinieri che hanno condotto le indagini e che ben conoscevano l'imputato non sono stati in grado di riconoscere nelle immagini stesse quella del Pi.Ro..


2.2.3. Violazione di legge ex art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen. in relazione all'errata qualificazione giuridica del fatto in contestazione che avrebbe essere dovuto ricondotto alla fattispecie di cui all'art. 393 cod. pen.


Deduce la difesa del ricorrente che avrebbero errato i Giudici di merito nel ritenere che gli imputati non possono avere agito nel ragionevole convincimento di esercitare un preteso diritto.


Non sarebbe stata infatti tenuta in debito conto la dichiarazione del Fi.An. che ha raccontato che nei momenti precedenti alla sottrazione della propria autovettura uno degli aggressori avrebbe pronunciato la frase "fai uscire la macchina di Pe.Se." così evidenziando che l'azione troverebbe il suo fondamento non nella volontà di sottrarre l'autovettura al Fi.An. ma solo in quella di riottenere la restituzione dell'autovettura rubata al Pe.Se..


2.3. per Le.Ro.:


2.3.1. Violazione di legge e vizi di motivazione ex art. 606, comma 1, lett. c) ed e), cod. proc. pen. per:


- erronea interpretazione ed applicazione dell'art. 603, commi 1 e 3-bis cod. proc. pen. nella parte in cui è stata disposta la rinnovazione dell'istruzione dibattimentale (perizia finalizzata alla trascrizione delle intercettazioni compiute in carcere e nuovo esame del teste di P.G. M.llo Gr.) in assenza dei presupposti di legge;


- assenza di motivazione dell'ordinanza in data 18 giugno 2021 di ammissione della rinnovazione dell'istruzione dibattimentale;


- erronea interpretazione ed applicazione della legge penale in riferimento al principio dei tre gradi di giudizio in relazione all'art. 111 Cost. e 6CEDU.


Deduce la difesa del ricorrente che, in violazione dei principi del giusto processo, sarebbe stato introdotto nel giudizio di secondo grado materiale probatorio che era già nella disponibilità del Pubblico Ministero di primo grado, situazione che - asseritamente - configurerebbe una violazione del diritto di difesa. Aggiunge parte ricorrente che nel corso del giudizio di primo grado il teste M.llo Gr. aveva spontaneamente riferito di una intercettazione in carcere risalente al 25 settembre 2018 che vedeva come parte il Le.Ro. che avrebbe ammesso di trovarsi sul luogo della rapina. Nell'occasione il Pubblico Ministero avrebbe riferito che la trascrizione di tale intercettazione non era stata richiesta e neppure la richiese in tale momento.


Solo la Corte di appello, ai sensi dell'art. 603 cod. proc. pen. avrebbe, con provvedimento non motivato, ammesso la predetta rinnovazione della istruzione dibattimentale. Il Pubblico Ministero avrebbe, in sostanza, richiesto non l'assunzione di prove nuove ma di prove preesistenti al giudizio di primo grado con la conseguente inammissibilità delle stesse.


In tal modo nell'esame delle predette prove l'imputato sarebbe stato privato di un grado di giudizio.


Conclude sul punto la difesa del ricorrente evidenziando che, in ogni caso, la motivazione della sentenza della Corte di appello che ha ribaltato la decisione di primo grado sarebbe priva di quella "forza persuasiva superiore" idonea ad affermare la penale responsabilità dell'imputato "oltre ogni ragionevole dubbio".


2.3.2. Violazione di legge e vizi di motivazione ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. in relazione agli artt. 110 e 628, comma 2, cod. pen. con riguardo al ritenuto coinvolgimento del Le.Ro. nell'azione delittuosa.


Deduce la difesa del ricorrente che la Corte di appello si sarebbe limitata a ravvisare la responsabilità dell'imputato sulla base di una frase captata in carcere relativa ad una conversazione intercorsa tra il Le.Ro. e la moglie che darebbe conto che l'imputato si trovava sul luogo ove fu consumata l'azione delittuosa e che aveva piena contezza di ciò che stava accadendo.


La stessa Corte territoriale non avrebbe comunque affermato che il Le.Ro. ha partecipato all'azione predatoria e, comunque, la conversazione captata avrebbe una valenza probatoria del tutto neutra qualora vagliata nel suo effettivo e completo contenuto.


A ciò si aggiunge, prosegue la difesa del ricorrente, che mai nelle riprese compiute sul luogo dei fatti si vede il Le.Ro., che non vi è prova che le frasi pronunciate nel colloquio carcerario con la moglie siano riferibili all'azione delittuosa di cui è processo, che il Fi.An. non ha mai menzionato una autovettura Golf Nera sulla quale si sarebbe trovato l'imputato e non è neppure provato che l'autovettura si è fermata sul luogo della rapina mentre i ritenuti correi percuotevano la vittima.


Non risulterebbe, infine, che il Le.Ro. abbia partecipato alla pianificazione dell'azione delittuosa o agli eventi successivi dato che il Fi.An. non lo ha riconosciuto fotograficamente ancorché la sua immagine fosse inserita nell'album sottoposto in visione alla persona offesa e, inoltre, è emerso che i telefoni cellulari dei soggetti imputati hanno agganciato cellule telefoniche diverse.


2.3.3. Violazione di legge e vizi di motivazione ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. in relazione agli artt. 110 e 628, comma 2, cod. pen. e 530 cod. proc. pen.


Evidenzia la difesa del ricorrente che l'unico contatto telefonico emerso è quello tra l'originario coimputato Ca.Co. ed il Le.Ro. allorquando il primo chiese al secondo di avere dei "cavi" che l'odierno ricorrente affermò di non possedere e l'assoluzione del primo con sentenza irrevocabile farebbe venir meno ogni elemento di responsabilità anche nei confronti del Le.Ro. come emergerebbe dal contenuto delle captazioni ambientali.


2.3.4. Violazione di legge e vizi di motivazione ex art. 606, comma 1, lett. c) ed e), cod. proc. pen. in relazione alla condanna dell'imputato al pagamento delle spese processuali del doppio grado di giudizio nonché in favore della parte civile.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Prima di procedere all'esame dei vari ricorsi vertenti sulla ricostruzione dei fatti e sulle relativi conseguenze in punti di diritto, appare doveroso prendere le mosse dalla questione processuale sollevata dalla difesa dell'imputato Pi.Ro., laddove è stata dedotta la nullità della sentenza di primo grado per violazione del diritto di difesa per non avere disposto il Tribunale il richiesto rinvio dell'udienza del 22 febbraio 2022 nonostante un documentato impedimento per del difensore a parteciparvi per asserite ragioni di salute.


Si legge nella sentenza del Tribunale (pag. 5) che la menzionata richiesta di rinvio del dibattimento non è stata accolta "in quanto non documentata con riferimento al personale ed assoluto impedimento a comparire".


La questione di nullità risulta, poi, essere stata riproposta in sede di gravame e la Corte di appello (pag. 8) ha evidenziato che dall'analisi della documentazione allegata al fascicolo si evince che il difensore aveva avanzato istanza di differimento deducendo che i figli minorenni si trovavano in isolamento fiduciario poiché risultati positivi al tampone Covid-19, cosicché risulta corretta l'ordinanza con cui il Tribunale ha disatteso la richiesta evidenziando che l'impedimento dedotto non riguardava le condizioni di salute del difensore.


Ritiene il Collegio che i Giudici del merito hanno correttamente operato nel non ritenere rilevante, fini dell'invocato differimento dell'udienza del 22 maggio 2022, l'impedimento dedotto dal difensore.


Risulta, infatti, dagli allegati al motivo di ricorso qui in esame, che il Comune di Cariati emise tre ordinanze (nn. 732, 733 e 734) con le quali dava atto che i figli minorenni del predetto difensore erano risultati positivi al tampone di Covid-19 e dovevano quindi essere posti in isolamento fiduciario e si ordinava al genitore (avv. Meles) nella detta qualità, di fare osservare (all'evidenza ai figli coinvolti) l'isolamento fiduciario.


Risulta altresì che il predetto difensore ha prodotto un certificato medico a firma del medico chirurgo dr. Le.Gi. nel quale si attestava la necessità che l'avv. Meles godesse di sette giorni di "riposo per quarantena fiduciaria per stretto contatto con persone Covid19 positive".


Come è noto l'art. 420-ter, comma 5, cod. proc. pen. (applicabile alle fasi processuali nelle quali e prevista la presenza del difensore) dispone che il giudice deve rinviare il procedimento ad una nuova udienza in caso di "assoluta impossibilità di comparire" del difensore e questa Corte di legittimità ha chiarito, con riferimento all'imputato (ma il principio è estensibile anche al difensore), che "In tema di impedimento a comparire dell'imputato, il certificato medico che si limiti ad attestare la generica necessità di "riposo assoluto" non comporta l'impossibilità di partecipare all'udienza, trattandosi di prescrizione che non implica, in caso di mancata osservanza, il rischio di un danno o di un pericolo grave per la salute del soggetto" (Sez. 6, n. 54424 del 27/04/2018, Calabrò, Rv. 274680 - 07).


Ciò tanto più può valere nel caso in esame nel quale da un lato non è emerso che avv. Meles avesse a sua volta contratto il virus al punto di trovarsi solamente in "isolamento fiduciario" e dall'altro che l'ulteriore documentazione prodotta relativa ai figli non comportava ex sé l'impossibilità (oltretutto "assoluta") di partecipare all'udienza.


D'altro canto, è stata solo genericamente indicata l'impossibilità per il difensore di farsi sostituire non essendo state nel dettaglio indicate le ragioni per le quali il sostituto non poteva privilegiare la partecipazione al presente procedimento rispetto agli altri impegni professionali.


A ciò si aggiunge, per solo dovere di completezza, che nell'udienza alla quale il difensore non ha partecipato non risulta essere stata compiuta alcuna attività istruttoria pregiudicante l'esercizio dell'attività difensiva in quanto l'unico testimone convocato quel giorno si avvalse della facoltà di non rispondere alle domande, che il difensore non ha dedotto nel ricorso quale concreto pregiudizio avrebbe subito il diritto di difesa del proprio assistito.


Peraltro, essendo l'istruttoria dibattimentale oramai giunta a conclusione, l'avv. Meles regolarmente presentò le proprie conclusioni all'udienza successiva.


Il motivo di ricorso esaminato è, pertanto, da ritenersi non fondato.


2. Al fine di bene inquadrare la vicenda di cui è processo e di affrontare le questioni sottoposte all'attenzione di questa Corte di legittimità, appare doveroso, in via del tutto preliminare, riportare un breve riassunto dei fatti così come oggettivamente emersi nei giudizi di merito, non prima di avere ricordato che, con riguardo alle posizioni degli imputati Pe.Se. e Pi.Ro., la sentenza di primo grado e quella di appello costituiscono una cd. "doppia conforme" e che, ai fini del controllo di legittimità sul vizio di motivazione, la struttura giustificativa della sentenza di appello si salda con quella di primo grado, per formare un unico complessivo corpo argomentativo, allorquando i giudici del gravame, esaminando le censure proposte dall'appellante con criteri omogenei a quelli del primo giudice ed operando frequenti riferimenti ai passaggi logico giuridici della prima sentenza, concordino nell'analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento della decisione (Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, Argentieri, Rv. 257595), con la conseguenza che le sentenze del Tribunale e della Corte di appello saranno esaminate come un unico corpo argomentativo.


Come è dato leggere nelle sentenze di merito, la vicenda processuale trae origine da una querela sporta da Fi.An. il (Omissis), con la quale il predetto aveva rappresentato che nel pomeriggio di quello stesso giorno tre soggetti ignoti, approfittando di un attimo di sua distrazione, si erano introdotti nella sua autovettura Suzuki Vitara parcheggiata a M per poi dileguarsi.


La presenza di un'ecchimosi sul volto del Fi.An. aveva però indotto i Carabinieri ad approfondire la vicenda, cosicché l'indomani il predetto era stato convocato in caserma ed aveva reso sommarie informazioni riferendo che mentre egli stava parlando con un suo cliente - Pe.Se. - tre soggetti a bordo di una Fiat Grande Punto bianca gli si erano avvicinati e lo avevano colpito per allontanarlo dalla sua autovettura, dopodiché se ne erano impossessati allontanandosi a bordo della stessa.


I Carabinieri, dopo essere stati condotti dal Fi.An. nel luogo in cui il fatto era avvenuto, avevano acquisito le immagini dei sistemi di videosorveglianza dalle quali si è potuto stabilire che sul posto erano arrivate prima un'autovettura Fiat Panda bianca e poi una Volkswagen Golf nera. Dalla Fiat Panda era sceso un uomo che si era avvicinato alla Volkswagen Golf nera, dopodiché quest'ultima si era allontanata, mentre la Fiat Panda era rimasta sul posto.


Era poi arrivata una Volkswagen Golf grigia seguita a poca distanza dall'autovettura Suzuki Vitara del Fi.An., che si erano fermate ed i rispettivi conducenti erano scesi dai veicoli.


Contemporaneamente dalla Fiat Panda bianca erano scesi quattro soggetti, non ripresi in volto, i quali, mentre il conducente della Volkswagen Golf grigia si allontanava, avevano aggredito il conducente della Suzuki Vitara e poi avevano tentato di investirlo con la Fiat Panda, tanto che alla fine l'uomo era fuggito a piedi.


A seguito della visione delle immagini riprese dalle telecamere, il Fi.An. era stato nuovamente sentito dai Carabinieri ed aveva riferito che si era recato sul posto per incontrarsi con Pe.Se. con il quale aveva fissato un appuntamento. In quel frangente il Pe.Se. si trovava a bordo di un'autovettura Volkswagen Golf grigia, mentre il Fi.An. era a bordo della Suzuki Vitara.


Una volta arrivati sul posto, da un'autovettura erano scesi dei soggetti che il Pe.Se. aveva definito "amici", dopodiché Pe.Se. si era allontanato, mentre i soggetti menzionati si erano avvicinati al Fi.An., uno di loro era entrato nell'autovettura del Fi.An. ed era andato via, mentre un altro lo aveva colpito con uno schiaffo.


In merito alle ragioni dell'incontro tra il Fi.An. e Pe.Se., il primo aveva riferito di conoscere da diverso tempo il Pe.Se. ed il di lui padre Pe.Ge. in quanto clienti della sua autofficina e di aver effettuato dei lavori sull'autovettura Fiat Panda 4x4 di Pe.Ge. nei confronti del quale aveva ancora un credito.


Quest'ultimo, tuttavia, lo aveva contattato dicendogli che la Fiat Panda gli era stata rubata a C (come indicato nella relativa denuncia di furto) e il Fi.An. gli aveva rappresentato di poterlo aiutare, cosicché, annotato il numero di targa del veicolo su un foglietto, si era recato a C e si era messo in contatto con degli "zingari", i quali gli avevano fatto presente di poter recuperare il veicolo previo pagamento di un compenso.


II Fi.An. aveva, quindi, rappresentato ai Pe.Se. e Pe.Ge. (padre e figlio) che era stato richiesto del denaro per ottenere la restituzione del veicolo e, dopo un'iniziale ritrosia, Pe.Se. aveva fissato con lui l'appuntamento in occasione del quale i soggetti sconosciuti lo avevano percosso, uno di loro lo aveva minacciato dicendogli "Vedi che hai una figlia all'università, queste cose non si fanno... fai uscire la macchina di Pe.Se." e si erano impossessati della sua autovettura Suzuki Vitara, mentre - come detto - Pe.Se., dopo aver indicato che si trattava di suoi amici, si era allontanato a bordo della propria autovettura nonostante le richieste di aiuto del Fi.An..


3. Tutto ciò doverosamente premesso occorre ricondurre nei corretti ambiti il thema decidendum sottoposto all'attenzione di questa Corte di legittimità che è esclusivamente quello della condanna degli imputati, oggi ricorrenti, in relazione al delitto di concorso in rapina dell'autovettura di proprietà del Fi.An..


Tutto il resto del quadro sopra descritto si presenta solo come un elemento finalizzato ad individuare l'eventuale movente dell'azione delittuosa ma non assume rilevanza, come si avrà modo di evidenziare nel prosieguo, ai fini del decidere in ordine a tale reato.


Vi è, innanzitutto, con riguardo al reato di rapina, un dato inconfutabile (e inconfutato anche nei ricorsi qui in esame) emerso dalle immagini del circuito di videosorveglianza e rappresentato anche dagli stessi Carabinieri che ebbero a condurre le indagini: una pluralità di soggetti il giorno (Omissis) si incontrò con il Fi.An. il quale, in tale contesto, fu percosso oltre che, a suo dire, minacciato e gli fu sottratta l'autovettura.


Dette circostanze confortano (oltre ad altre che sono state evidenziate dai Giudici di merito) il contenuto del dichiarato della persona offesa e, in ogni caso, basterebbero l'uso della violenza nei confronti della persona offesa e la contestuale sottrazione dell'autovettura della stessa per configurare, almeno sotto il profilo oggettivo, la sussistenza del delitto di rapina.


In tale ottica si inserisce il primo motivo di ricorso formulato nell'interesse dell'imputato Pe.Se. integralmente volto a sostenere, attraverso inammissibili rivalutazioni di merito del materiale probatorio, l'inattendibilità del racconto del Fi.An..


In realtà, osserva il Collegio, la valutazione di attendibilità del racconto del Fi.An. potrebbe incidere su una valutazione relativa all'eventuale concorso dello stesso nel reato di tentata estorsione originariamente contestato agli odierni imputati (per il quale è intervenuta irrevocabile sentenza assolutoria) ma non si vede quale rilevanza detta valutazione di attendibilità avrebbe con riferimento al reato di rapina.


Giova, a tal proposito rilevare che, sia il Tribunale che la Corte di appello, hanno motivatamente valutato come attendibile il narrato della persona offesa in quanto riscontrato non solo dalle immagini estrapolate dal circuito di videosorveglianza, ma anche da altri fattori, quali il rinvenimento in suo possesso di una copia delle chiavi dell'autovettura sottratta a C a Pe.Ge., il rinvenimento a bordo dell'autovettura della persona offesa di un appunto contenente il numero di targa sempre di detta autovettura, il tutto unito agli emersi contatti telefonici e personali tra il Fi.An. ed i due Pe.Se. e Pe.Ge. in epoca successiva al furto ed agli spostamenti dei relativi apparati cellulari in occasione degli eventi descritti.


A ciò si aggiunge, come adeguatamente evidenziato dai Giudici di merito (v. pag. 16 della sentenza del Tribunale) che non sono emersi elementi che consentono di valutare come calunniose le dichiarazioni rese dal Fi.An. nei confronti degli imputati, tanto è vero che, con specifico riguardo al Pe.Se., la persona offesa aveva almeno in un primo tempo cercato di sminuire il ruolo dello stesso.


Sul punto occorre solamente ricordare che questa Corte di legittimità ha già avuto modo di chiarire che "In tema di ricorso per cassazione, le doglianze relative alla violazione dell'art. 192 cod. proc. pen. riguardanti l'attendibilità dei testimoni dell'accusa, non essendo l'inosservanza di detta norma prevista a pena di nullità, inutilizzabilità, inammissibilità o decadenza, non possono essere dedotte con il motivo di violazione di legge di cui all'art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., ma soltanto nei limiti indicati dalla lett. e) della medesima norma, ossia come mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, quando il vizio risulti dal testo del provvedimento impugnato ovvero da altri atti specificamente indicati nei motivi di gravame" (Sez. 1, n. 42207 del 20/10/2016, dep. 2017, Pecorelli, Rv. 271294) e, ancora, che "In tema di prove, la valutazione della credibilità della persona offesa dal reato rappresenta una questione di fatto che, come tale, non può essere rivalutata in sede di legittimità, salvo che il giudice sia incorso in manifeste contraddizioni" (Sez. 2, n. 41505 del 24/09/2013, Terrusa, Rv. 257241), vizi, in questo caso, non sussistenti, avendo, come detto, i Giudici di merito dato congrua e non manifestamente illogica risposta alle questioni sollevate dalle difese.


Deve solo essere ribadito, con particolare riguardo alle argomentazioni contenute non solo nel primo motivo di ricorso formulato nell'interesse dell'imputato Pe.Se. ma anche con riguardo a quelle contenute nel secondo motivo di ricorso formulato dalla difesa dell'imputato Pi.Ro. (riassunto al superiore par. 2.2.2) ed a quelle contenute nel secondo e nel terzo dei motivi di ricorso (riassunti ai superiori paragrafi 2.3.2 e 2.3.3) formulati nell'interesse dell'imputato Le.Ro., che al Giudice di legittimità è preclusa - in sede di controllo della motivazione - la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti e del relativo compendio probatorio, preferiti a quelli adottati dal giudice del merito perché ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa. Tale modo di procedere trasformerebbe, infatti, la Corte nell'ennesimo giudice del fatto, mentre questa Corte Suprema, anche nel quadro della nuova disciplina introdotta dalla legge 20 febbraio 2006 n. 46, è - e resta - giudice della motivazione. In sostanza, in tema di motivi di ricorso per cassazione, non sono deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo; per cui sono inammissibili tutte le doglianze che "attaccano" la persuasività, l'inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell'attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento (Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015, O., Rv. 262965).


Tornando all'esame delle questioni sollevate in principalità nel primo motivo di ricorso formulato nell'interesse dell'imputato Pe.Se., non può non osservarsi che con le stesse viene di fatto messo in dubbio il reale ruolo rivestito dal Fi.An. nella vicenda del cd. "cavallo di ritorno", cioè del recupero dell'autovettura sottratta a Pe.Ge..


Fermo restando che, come anche correttamente evidenziato dal Tribunale, può effettivamente dare adito a interpretazioni difformi la ricostruzione concernente le modalità dell'interessamento del Fi.An. nella vicenda del "cavallo di ritorno" relativo all'autovettura di Pe.Ge. e se la condotta del Fi.An. sia avvenuta mediante un atto spontaneo dello stesso per aiutare i Pe.Se. e Pe.Ge. ovvero se vi sia stata una formale investitura della persona offesa a ricercare ed a intavolare le trattative con il gruppo criminale degli "zingari" per la restituzione del veicolo, così come astrattamente sarebbe anche possibile che il Fi.An. fosse stato inqualche modo direttamente coinvolto nella sottrazione del veicolo o, comunque, interessato nell'attività estorsiva ai danni dei Pe.Se. e Pe.Ge., o, ancora che si sia limitato a millantare conoscenze per il recupero del veicolo, non si vede quale rilevanza tutto ciò avrebbe con riguardo alla oggettiva consumazione della rapina dell'autovettura della persona offesa.


Più in sintesi: se anche a voler ritenere per un attimo fondate le asserzioni difensive circa la non completa attendibilità del Fi.An. allorquando ha asserito di aver contattato gli "zingari" per la restituzione del veicolo, tesi che tenderebbe ad ipotizzare un coinvolgimento diretto in detta attività del Fi.An., ma se, addirittura fosse accaduto (situazione non verificatasi) che quest'ultimo fosse stato indagato o imputato per concorso in estorsione ai danni del Pe.Se., ciò non avrebbe comunque alcuna rilevanza sul reato di rapina dell'autovettura dello stesso, in quanto sottrarre con violenza e minacce un bene ad una persona, indipendentemente dalle qualità processuali della stessa, configura pur sempre, sotto il profilo oggettivo, il reato in contestazione.


Deve comunque aggiungersi che, in totale assenza di spiegazioni alternative, neppure fornite dalle difese dei ricorrenti nei ricorsi qui in esame, non appare essere posto in dubbio, al di là o meno della dedotta inattendibilità del Fi.An., che l'incontro del giorno (Omissis) sfociato nella sottrazione dell'automobile della persona offesa fosse legato a circostanze relative alla vicenda del recupero del veicolo di proprietà di Pe.Ge..


Del resto, è proprio la difesa dell'imputato Pi.Ro., in una bipolare valutazione emergente dal ricorso, che da un lato contesta l'attendibilità del Fi.An., con riguardo al reale ruolo nelle attività compiute dello stesso per il recupero dell'autovettura e comunque in relazione al riconoscimento del proprio assistito, e, dall'altro, di fatto, ne sottolinea l'attendibilità (potenzialmente utile in relazione all'elemento soggettivo del reato per il quale è intervenuta condanna) in ordine alla frase riferita all'imputato "fai uscire la macchina di Pe.Se.".


Non può pertanto che concludersi per la infondatezza dei motivi di ricorso in relazione ai fatti fin qui esaminati.


4. La valutazione di manifesta infondatezza, investe, poi, i motivi di ricorso nei quali si è lamentata la mancata riqualificazione delle condotte degli imputati come violazione dell'art. 393 cod. pen.


Come è noto la norma da ultimo invocata così si esprime al comma 1: "Chiunque, al fine indicato nell'articolo precedente (quello si esercitare un preteso diritto - ndr.) e potendo ricorrere al giudice, si fa arbitrariamente ragione da sé medesimo usando violenza o minaccia alle persone, è punito...".


È di lampante evidenza il fatto che la norma punisce l'azione di chi ottiene, con violenza o minaccia, un qualcosa che comunque avrebbe potuto ottenere attraverso le vie legali.


Nel caso in esame non v'è alcun dubbio che giammai i soggetti agenti avrebbero potuto ricorrere al giudice per ottenere l'autovettura della persona offesa.


Correttamente la Corte di appello (pag. 9), così come aveva fatto con motivazione ben più ampia il Tribunale (pagg. da 37 a 39) ha evidenziato che gli imputati non possono avere agito nel ragionevole convincimento di esercitare un preteso diritto in quanto la loro condotta ha avuto ad oggetto non il recupero dell'autovettura sottratta a Pe.Ge. ma l'impossessamento dell'autovettura del Fi.An..


In tale ottica a nulla rileva, pertanto, il fatto che uno dei soggetti agenti ha rivolto al Fi.An. la già menzionata frase "fai uscire la macchina di Pe.Se.", perché l'azione che ne è conseguita è consistita in una attività avente un obbiettivo completamente diverso quale l'impossessamento con violenza e minacce dell'autovettura della persona offesa.


5. Nel quadro descritto al paragrafo che precede, una volta affermata l'impossibilità giuridica di ricondurre l'azione nell'alveo di cui all'art. 393 cod. pen., si innesta anche la problematica circa la sussistenza dell'elemento soggettivo del reato di rapina.


Non può negarsi in dubbio che i soggetti agenti abbiano operato (anche) con lo scopo finale di recuperare l'autovettura del Pe.Se., ma il profitto derivante dalla sottrazione della autovettura del Fi.An. non può che ricondursi, se non ad una volontà direttamente punitiva dello stesso quantomeno ad una attività, chiaramente illecita, finalizzata a costringere il predetto ad attivarsi per il recupero della prima autovettura.


Sul punto è appena il caso di ricordare che per costante giurisprudenza di legittimità "Nel delitto di rapina il profitto può concretarsi in qualsiasi utilità, anche non economica o meramente morale, e in qualsiasi soddisfazione o godimento che l'agente si riprometta di trarre, anche non immediatamente, dalla propria azione, a condizione che la condotta sia attuata impossessandosi con violenza o minaccia della cosa mobile altrui e sottraendola a chi la detiene" (ex ceteris: Sez. 2, n. 37861 del 09/06/2023, Contaldo, Rv. 285190 - 01; Sez. 2, n. 11467 del 10/03/2015, Carbone, Rv. 263163 - 01).


Nessun dubbio, poi, che l'azione predatoria ha causato un danno patrimoniale alla persona offesa Fi.An..


Quanto detto determina la manifesta infondatezza delle doglianze sul punto sollevate.


6. Una volta accertata la corretta configurabilità del reato di rapina anche sotto il profilo del movente, sia per l'elemento oggettivo che per quello soggettivo, si rende necessario passare all'esame delle questioni relative alla materiale partecipazione degli imputati all'azione delittuosa.


6.1 Quanto alla partecipazione dell'imputato Pe.Se. alla azione predatoria sono stati ben evidenziati con motivazione congrua e logica, nelle sentenze di merito che, come detto, costituiscono un unico blocco argomentativo, una corposa serie di elementi (in particolare contatti telefonici anche con gli altri soggetti coinvolti oltre che con la stessa persona offesa, la presenza sul luogo nel quale è stata compiuta l'azione predatoria, il fatto che il Pe.Se. definì "amici" i soggetti che diedero esecuzione all'azione aggressiva contro il Fi.An.), che consentono di ricondurre allo stesso oltre che il materiale contributo organizzativo al perfezionamento dell'azione delittuosa, anche la presenza di un interesse diretto al compimento dell'azione. Emblematica è la frase, già più volte richiamata e di fatto mai disconosciuta "fai uscire la macchina di Pe.Se." che delinea chiaramente come l'azione delittuosa sia stata congiuntamente e concordemente finalizzata a perseguire un interesse diretto dell'odierno ricorrente nella piena consapevolezza degli altri concorrenti nel reato.


Il Tribunale ha, anche, congruamente e logicamente spiegato (pag. 27) le ragioni per le quali la versione alternativa prospettata dalla difesa del Pe.Se. secondo la quale questi sarebbe stato vittima di un fraintendimento con il Ci. circa i necessari interventi per ottenere la restituzione dell'autovettura oggetto di furto non appare fondata evidenziando come fu proprio il Pe.Se. a condurre la vittima sul luogo della rapina e, ancora, che il Pe.Se. mantenne i contatti con gli aggressori anche nei giorni successivi senza mostrarsi stupito o contrariato per quanto avvenuto ed anzi mostrandosi di sentirsi obbligato versando 700 Euro e dei caciocavalli per il servizio reso.


Del resto, è appena il caso di ricordare che in materia di ricorso per Cassazione, perché sia ravvisabile la manifesta illogicità della motivazione considerata dall'art. 606 primo comma lett. e) cod. proc. pen., la ricostruzione contrastante con il procedimento argomentativo del giudice, deve essere inconfutabile, ovvia, e non rappresentare soltanto una ipotesi alternativa a quella ritenuta in sentenza (cfr.. con riferimento a massime di esperienza alternative, Sez. 1, n. 13528 del 11/11/1998, Maniscalco, Rv. 212054) dovendo il dubbio sulla corretta ricostruzione del fatto-reato nei suoi elementi oggettivo e soggettivo fare riferimento ad elementi sostenibili, cioè desunti dai dati acquisiti al processo, e non ad elementi meramente ipotetici o congetturali seppure plausibili (Sez. 4, n. 22257 del 25/03/2014, Guernelli, Rv. 259204; Sez. 5, n. 18999 del 19/02/2014, Rv. 260409).


In sostanza, in tema di vizi della motivazione, il controllo di legittimità operato dalla Corte di cassazione non deve stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti, né deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se tale giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento (Sez. 5, n. 1004 del 30/11/1999, dep. 2000, Moro, Rv. 215745; Sez. 2, n. 2436 del 21/12/1993, dep. 1994, Modesto, Rv. 196955), ciò perché la correttezza o meno dei ragionamenti dipende anzitutto dalla loro struttura logica e questa è indipendente dalla verità degli enunciati che la compongono.


6.2. Quanto alla partecipazione del Pi.Ro. all'azione stessa, risulta, innanzitutto, da entrambe le sentenze di merito che lo stesso è stato indicato dal Fi.An. come il soggetto che nel corso dell'azione delittuosa ebbe a percuoterlo.


Il Fi.An. ha riconosciuto il Pi.Ro. sia in fotografia che in dibattimento come la persona che ebbe a compiere l'azione descritta.


La Corte di appello (pag. 9) ha, poi, anche debitamente risposto alla questione, dedotta in sede di gravame dalla difesa dell'imputato e sostanzialmente riproposta anche in questa sede, secondo la quale il riconoscimento fotografico del Pi.Ro. sarebbe stato meramente casuale, evidenziando che trattasi una deduzione del tutto ipotetica. La stessa Corte territoriale ha, poi, anche logicamente spiegato le ragioni per le quali i testi di P.G. non hanno saputo riferire alcunché circa la presenza del Pi.Ro. sul luogo della rapina in quanto le loro conoscenze dirette dei fatti sono state ricavate dalle immagini delle telecamere che non mostravano i volti degli aggressori del Fi.An..


È appena il caso di evidenziare che le considerazioni dei Giudici di merito circa l'assenza di "casualità" nel riconoscimento del Pi.Ro. da parte del Fi.An. si basano anche su di una serie di altri elementi caratterizzati da decisività: è il caso di quanto indicato a pag. 20 della sentenza del Tribunale circa la localizzazione del telefono cellulare del Pi.Ro. il giorno dei fatti ed in relazione ai movimenti dei veicoli che confluirono nel luogo di consumazione della rapina, nonché agli ulteriori contatti telefonici tra il Pi.Ro., il Ci. ed il Pe.Se. ed alle localizzazioni dei rispettivi telefoni cellulari sia il giorno precedente a quello della rapina sia il giorno dell'azione delittuosa sia anche nei giorni successivi (pagg. 20 e 21 della sentenza del Tribunale).


6.3. Più articolata si presenta la valutazione della posizione dell'imputato Le.Ro. avendo La Corte di appello ribaltato la pronuncia assolutoria della sentenza del Tribunale.


Il Tribunale aveva indicato a carico del Le.Ro. la presenza di una serie di indizi che però non ha ritenuto tali da poter giungere ad affermare la penale responsabilità dell'imputato.


Risulta dalla sentenza del Tribunale che sulla base delle registrazioni delle telecamere di videosorveglianza:


- alle ore 14.30 circa del (Omissis), si vede giungere in via (Omissis) un'autovettura Fiat Panda di colore bianco (con maniglie di colore nero e fascioni di colore bianco), proveniente dalla SS (Omissis). La vettura percorreva tutta via (Omissis), giungendo nella ortogonale via (Omissis), per poi eseguire una inversione di marcia e parcheggiare sul lato destro della carreggiata.


- pochi minuti dopo, da via (Omissis) arrivava una autovettura Volkswagen Golf di colore nero (caratterizzata da cerchi in lega di alluminio, deflettori ai finestrini, doppio tubo di scarico, una scritta sulla parte posteriore e interni in pelle di colore chiaro, verosimilmente beige).


- dalle immagini si vedeva che la Golf si avvicinava e si affiancava alla Fiat Panda, dalla quale scendeva il conducente (non ripreso in volto), il quale si avvicinava alla Golf per qualche istante, indi la Golf si allontanava verso la SS (Omissis), mentre la Fiat Panda rimaneva in sosta.


- la stessa Volkswagen nera veniva captata poco dopo dalla telecamera ubicata lungo la SS (Omissis), in direzione S; contemporaneamente, nell'opposto senso di marcia transitava una Volkswagen Golf di colore grigio canna di fucile, seguita a poca distanza dall'autovettura Suzuki Vitara di colore bordeaux di proprietà del Fi.An..


- mentre queste ultime due automobili proseguivano lungo la propria marcia (con la Suzuki che eseguiva ripetute segnalazioni luminose allorché la colonna transitava nei pressi del distributore di carburante), la Golf di colore nero, con l'autista visto mentre teneva un braccio fuori dal finestrino, dopo aver incrociato la Golf grigia e la Suzuki, eseguiva una manovra di svolta all'interno della stazione di rifornimento, ponendosi al seguito delle altre due;


- le tre vetture venivano registrate da un altro impianto sito lungo la SS (Omissis), posto prima della traversa di via (Omissis); poco dopo venivano avvistate dalle telecamere collocate nella predetta via. Orbene, quest'ultimo impianto di videosorveglianza mostrava giungere la Golf colore canna di fucile, seguita dalla. Suzuki e dalla Golf nera, che avrebbe proseguito oltre per fare nuovamente inversione al termine della strada, mentre le prime due vetture arrestavano la propria marcia e i rispettivi conducenti uscivano dall'abitacolo;


- contestualmente, dalla Panda bianca parcheggiata a bordo strada scendevano quattro individui (i cui volti, è bene precisare fin d'ora, non venivano ripresi dalle telecamere), i quali, attraversando la strada, si avvicinavano al conducente della Suzuki; subito dopo, il conducente della Golf canna di fucile rientrava nella propria autovettura e ripartiva;


- nel frattempo, transitava ancora una volta la Golf nera, che si fermava più avanti in direzione di marcia diretta verso la SS (Omissis);


- gli occupanti della Fiat Panda aggredivano fisicamente il conducente della Suzuki, mentre uno di loro entrava in quest'ultima vettura, eseguendo inversione di marcia e dirigendosi verso la SS (Omissis), al cui incrocio era ferma la Golf nera: quest'ultima, prima del transito della Suzuki, ripartiva, precedendo la seconda.


Risulta altresì dalla sentenza del Tribunale che la Volkswagen Golf di colore nero è stata identificata attraverso il numero di targa con quella in uso alla famiglia Le.Ro., poiché intestata alla madre Lo.An..


Nonostante gli elementi indicati, il Tribunale rilevava tuttavia che:


a) non vi erano elementi solidi della presenza a bordo di detta autovettura del Le.Ro.;


b) non vi era prova certa che chi viaggiava a bordo della predetta autovettura abbia in qualche modo compartecipato ai fatti in quanto l'andamento dell'auto non sarebbe univocamente significativo dell'assunzione, da parte del relativo guidatore, di una funzione di perlustrazione e controllo dell'area ove si sarebbe consumata l'aggressione ai danni del Fi.An.;


c) nella famiglia del Le.Ro. ci sono altri componenti maschili, tra cui il fratello e il padre, il quale in sede dibattimentale ha confermato che la suddetta vettura appartiene a tutta la famiglia ed è utilizzata indifferentemente da lui e dai tre figli Le.Ro., Ag. e Fr.;


d) il Le.Ro. non è stato riconosciuto dalla persona offesa in quanto il conducente della Golf non erano fisicamente presente sul luogo della rapina, né può supplire a tale mancato riconoscimento il fatto che un teste di P.G. ha inteso offrire in dibattimento sulla scorta del braccio fuori dal finestrino individuato dagli impianti di rilievo della velocità, o ancora dalla (altrettanto presunta) abitudine del Le.Ro. di indossare sovente una tuta dello stesso modello e colore di quella ivi evincibile;


e) non offrono alcun soccorso alla prova accusatoria le analisi del traffico telefonico relative al giorno della rapina considerando che la localizzazione basata sulle celle agganciate dalle utenze monitorate può fornire un dato di massima, da corroborarsi necessariamente insieme ad altri e più concreti elementi, nel caso di specie del tutto carenti;


f) non appare significativo il contenuto delle conversazioni relative alla notte tra il 4 e il 5 giugno e nell'ambito delle quali dall'utenza in uso al Pi.Ro. partiva una chiamata diretta a quella in uso al Le.Ro. (chiamato "(Omissis)"), chiedendogli di raggiungerlo e di portargli dei cavi per la batteria di un'automobile in quanto ciò non prova in alcun modo che i soggetti si stessero riferendo alla vettura del Fi.An., e neppure è possibile affermare che il Le.Ro. si trovava nel luogo ove si ritiene sia stata occultata la autovettura provento della rapina.


Prima di proseguire oltre, deve evidenziarsi che il materiale probatorio è stato arricchito in sede di appello dalla disposta trascrizione della registrazione di un colloquio registrato in carcere tra il Le.Ro. e la moglie al quale aveva fatto cenno un teste di P.G. in sede di udienza innanzi al Tribunale, colloquio del quale il Pubblico Ministero ha chiesto la trascrizione solo in sede di appello.


Lamenta al riguardo la difesa del ricorrente sia una violazione delle norme processuali asserendo sostanzialmente che l'acquisizione di tale elemento probatorio sarebbe avvenuta al di fuori dei casi di cui all'art. 603 cod. proc. pen. ed in assenza di un provvedimento motivato della Corte di appello, sia la sostanziale assenza di una motivazione cd. "rafforzata" idonea a contrastare gli elementi sui quali il Tribunale aveva fondato la pronuncia assolutoria dell'imputato.


Il ricorso è fondato nei limiti dei quali si dirà nel prosieguo.


Sulla premessa che la rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale, finalizzata all'assunzione di nuove prove o di prove già acquisite nel dibattimento di primo grado, ha carattere eccezionale ed è consentita nei soli casi previsti dall'art. 603 cod. proc. pen., occorre ricordare che, ai sensi di tale norma, la rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale può essere disposta sia su richiesta di parte, sia d'ufficio dal giudice.


La prima ipotesi si verifica quando l'appellante, nell'atto di appello o nei motivi nuovi di cui all'art. 585, comma 4, cod. proc. pen. espressamente richiede la riassunzione di prove già acquisite nel dibattimento di primo grado o di prove nuove.


Diverso è il caso previsto dal secondo comma dell'art. 603 cod. proc. pen. relativo alle prove nuove sopravvenute o scoperte dopo il primo grado per le quali il giudice dispone la rinnovazione dell'istruzione dibattimentale nei limiti previsti dall'art. 495, comma 1.


La differenza tra i due commi, dove in entrambi i casi compare l'espressione "nuove prove" è chiara, sol che si si pensi che solo nel secondo comma dell'art. 603 il legislatore ha ritenuto di specificare le caratteristiche che dette prove debbono avere e che consistono nell'essere "sopravvenute o scoperte dopo il giudizio di primo grado".


L'assenza di tale indicazione nel primo comma consente, pertanto, di affermare in detta disposizione di legge per "nuove prove" debbono intendersi quelle prove già esistenti e note all'interessato nel giudizio di primo grado, ma non acquisite in quella sede.


Tale tesi ha trovato conforto nella giurisprudenza di questa Corte (ex ceteris: Sez. 2, n. 48010 del 30/10/2019, Grisetti, Rv. 277804 - 01).


Del resto la ragione per la quale la valutazione della richiesta di una parte processuale relativa a prove già acquisite o che si sarebbero potute acquisire in primo grado spiega come mai la loro assunzione sia ammessa entro limiti piuttosto stringenti: il giudice, infatti, vi può consentire solo laddove ritenga di non essere in grado di decidere allo stato degli atti, ossia solo laddove consideri il compendio probatorio formatosi in primo grado insufficiente a consentirgli di pronunciarsi in ordine alla penale responsabilità dell'imputato. In altri termini, l'incombente richiesto dev'essere decisivo, nel senso che deve poter eliminare ogni residua incertezza o, addirittura, essere tale da inficiare ogni eventuale risultanza di segno contrario.


Traslando detti principi nel caso in esame è indubbio che:


- l'esistenza della intercettazione ambientale era già divenuta nota nel corso del giudizio di primo grado;


- la rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale al fine della trascrizione dei colloqui carcerari videoregistrati tra il Le.Ro. e la moglie è stata formalmente richiesta dal Pubblico Ministero con l'atto di appello così come quella del Mar. Gr. dei carabinieri chiamato a rispondere in relazione al riconoscimento dei volti e delle voci intercettate in tale occasione.


A ciò si aggiunge che, come emerge dall'atto di appello i nastri contenenti la videoregistrazione erano già stati formalmente riversati nel fascicolo processuale (circostanza che non viene contestata dalla difesa del ricorrente) e non era semplicemente stata richiesta la trascrizione delle conversazioni intercettate.


Risulta, ancora, che comunque la richiesta di rinnovazione dell'istruzione dibattimentale è stata discussa in contraddittorio delle parti e regolarmente ammessa dalla Corte di appello.


Ne consegue la Corte territoriale risulta avere operato una corretta applicazione del disposto di cui all'art. 603, comma 1, cod. proc. pen. il che rende infondato il motivo di ricorso sul punto ed utilizzabile probatoriamente il contenuto dell'intercettazione de qua.


Un conto è però l'ammissibilità della prova la cui valutazione compete a questa Corte di legittimità e ben altra e la questione della valutazione e della contestualizzazione di tale prova che non può che competere ai Giudici di merito.


Quanto appena osservato incide, infatti, sulla valutazione sull'altro profilo di ricorso formulato dalla difesa del Le.Ro. vertente sulla dedotta assenza di una "motivazione rafforzata" della sentenza di appello idonea a ribaltare la decisione di primo grado.


Le Sezioni unite della Corte di questa Corte (Sez. U., n. 27620 del 28/4/2016, Dasgupta, Rv. 267486- 267492) hanno chiarito che la riforma in appello della pronuncia assolutoria di primo grado, nel postulare un giudizio di colpevolezza conforme al parametro dell'oltre ogni ragionevole dubbio, suscettibile di scardinare il pronunciamento liberatorio, impone, tra l'altro, al giudice del gravame il rispetto della regula iuris del ricorso ad una motivazione c.d. rafforzata.


Quanto a tale concetto, una motivazione rafforzata è quella che abbia una "forza persuasiva superiore", in grado cioè di conferire al decisum la maggior solidità possibile.


Fare riferimento ad una "motivazione rafforzata" significa attendersi un apparato giustificativo nel quale siano esposte quelle tappe non eludibili del percorso che il giudice è tenuto a compiere nell'attività di giudizio e, soprattutto, significa spiegare le ragioni per le quali devono essere totalmente disattesi (o quantomeno adeguatamente confutati) gli argomenti di altro Giudice che avevano portato ad una sentenza assolutoria.


Traslando ora tali principi nel caso in esame, si è già sopra ampiamente detto delle emergenze processuali che riguardano la posizione del Le.Ro. e delle ragioni che hanno portato il Tribunale a pronunciare una sentenza assolutoria nei confronti dello stesso.


La Corte territoriale (pag. 10 della relativa sentenza), per contro, dopo avere acquisito ed esaminato la trascrizione dell''intercettazione ambientale de qua (oltre alla collegata testimonianza del Mar. Gr.) dalla quale ha ritenuto essere emerso che fu proprio l'odierno imputato il giorno dei fatti a condurre l'autovettura Volkswagen Golf di colore nero di cui si è detto con riferimento agli spostamenti monitorati, ha di fatto conchiuso in undici righe la valutazione di responsabilità dell'imputato richiamando le frasi intercettate "... c'era la macchina mia là quando è successo questo e va beh! E quindi?! Non è che a me mi hanno visto o mi hanno fermato" e "... io non sono sceso proprio dalla macchina, io dalla macchina non sono sceso proprio", indi testualmente affermando: "La frase del Le.Ro., pertanto, dà piena contezza del fatto che il giorno della rapina lo stesso si trovava a bordo dell'autovettura Volkswagen Golf nera mentre i correi percuotevano e minacciavano il Fi.An. e che l'imputato aveva piena contezza di ciò che stava accadendo, tanto da precisare che la persona offesa non avrebbe potuto riconoscerlo in ragione del fatto che non era sceso dal veicolo. La prova acquisita in appello risulta pertanto sufficiente per l'affermazione della responsabilità dell'imputato, dovendosi rilevare che la presenza del Le.Ro. sul posto non era affatto casuale poiché le immagini delle telecamere di videosorveglianza hanno ripreso l'autovettura condotta dall'imputato mentre transitava dinanzi al luogo in cui è stato commesso il reato con l'evidente fine di perlustrare e controllare l'area".


Non può peraltro non osservarsi che il fatto che non fosse provato che l'imputato fosse al volante dall'autovettura Golf di colore nero monitorata il giorno dei fatti è solo uno degli elementi di dubbio evocati dal Tribunale circa la responsabilità dell'imputato.


In realtà la Corte di appello, dato per comprovato che il Le.Ro. era al volante al momento dei fatti della predetta autovettura, si è limitata ad affermare apoditticamente che l'imputato aveva piena contezza di ciò che stava accadendo e che la sua presenza sul posto non era casuale, in tal modo non adeguatamente illustrando anche tali profili e non dando adeguata risposta alle perplessità al riguardo evidenziate nella sentenza del Tribunale.


Quanto detto impone l'annullamento in parte qua della sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Catanzaro per nuovo giudizio.


Gli ulteriori profili di ricorso formulati nell'interesse dell'imputato Le.Ro. rimangono assorbiti nella decisione che precede.


7. Quanto, infine, al motivo di ricorso nel quale la difesa dell'imputato Pe.Se. si duole sia del mancato riconoscimento all'imputato della circostanza attenuante di cui all'art. 62 n. 4 cod. pen., sia della mancata valutazione di prevalenza delle circostanze attenuanti generiche sull'aggravante contesta e, più in generale del trattamento sanzionatorio riservato all'imputato, ritiene il Collegio che dette doglianze difensive sono manifestamente infondate.


La Corte di appello (pag. 10) risulta avere risposto, con motivazione congrua, logica e rispondente ai principi di diritto che regolano la materia, a dette doglianze contenute nei motivi di gravame evidenziando che il mancato riconoscimento dell'invocata circostanza aggravante di cui all'art. 62 n. 4 cod. pen. si giustifica con il valore certamente non irrisorio dell'autovettura sottratta e che risultano corretti sia il giudizio di equivalenza delle circostanze attenuanti generiche con l'aggravante contestata ed il trattamento sanzionatorio in considerazione della particolare intensità del dolo e della previa programmazione delittuosa da parte dei correi.


Ritiene il Collegio che nessuno dei vizi lamentati dalla difesa sia ravvisabile nella sentenza impugnata alla luce dei principi secondo i quali:


a) "Ai fini della configurabilità, in relazione al delitto di rapina, della circostanza attenuante del danno di speciale tenuità, non è sufficiente che il bene mobile sottratto sia di modestissimo valore economico, ma occorre valutare anche gli effetti dannosi connessi alla lesione della persona contro la quale è stata esercitata la violenza o la minaccia, attesa la natura plurioffensiva del delitto "de quo", che lede, oltre al patrimonio, anche la libertà e l'integrità fisica e morale del soggetto aggredito per la realizzazione del profitto, sicché può farsi luogo all'applicazione della predetta attenuante solo nel caso in cui sia di speciale tenuità la valutazione complessiva dei pregiudizi arrecati ad entrambi i beni tutelati" (Sez. U, n. 42124 del 27/06/2024, Nafi, Rv. 287095 - 02);


b) "Le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra opposte circostanze, implicando una valutazione discrezionale tipica del giudizio di merito, sfuggono al sindacato di legittimità qualora non siano frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e siano sorrette da sufficiente motivazione, tale dovendo ritenersi quella che per giustificare la soluzione dell'equivalenza si sia limitata a ritenerla la più idonea a realizzare l'adeguatezza della pena irrogata in concreto" (Sez. U, n. 10713 del 25/02/2010, Contaldo, Rv. 245931; Sez. 2, n. 31543 del 08/06/2017, Pennelli, Rv. 270450).


A ciò si aggiunge con riguardo al complessivo trattamento sanzionatorio che "La graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra nella discrezionalità del giudice di merito, il quale, per assolvere al relativo obbligo di motivazione, è sufficiente che dia conto dell'impiego dei criteri di cui all'art. 133 cod. pen. con espressioni del tipo: "pena congrua", "pena equa" o "congruo aumento", come pure con il richiamo alla gravità del reato o alla capacità a delinquere, essendo, invece, necessaria una specifica e dettagliata spiegazione del ragionamento seguito soltanto quando la pena sia di gran lunga superiore alla misura media di quella edittale" (Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, Mastro, Rv. 271243).


8. Alla luce degli elementi sopra evidenziati deve procedersi all'annullamento della sentenza impugnata nei confronti di Le.Ro. con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Catanzaro mentre devono rigettarsi i ricorsi di Pe.Se. e di Pi.Ro. con condanna di questi ultimi al pagamento delle spese processuali.


9. Non si procede alla liquidazione delle spese e degli onorari relativi al presente grado di giudizio a favore della parte civile Fi.An., avendo la difesa assunto oralmente le proprie conclusioni senza tuttavia formulare alcuna richiesta in tal senso.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata nei confronti di Le.Ro., con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Catanzaro. Rigetta i ricorsi di Pe.Se. e Pi.Ro., che condanna al pagamento delle spese processuali.


Così è deciso in Roma, il 18 settembre 2025.


Depositato in Cancelleria il 23 settembre 2025.





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