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Codice di procedura penale

Art. 33-nonies c.p.p. Validità delle prove acquisite.

L'inosservanza delle disposizioni sulla composizione collegiale o monocratica del tribunale non determina l'invalidità degli atti del procedimento, né l'inutilizzabilità delle prove già acquisite.

Massime
Corte Costituzionale, 10/06/2010, n.205
È manifestamente infondata la q.l.c. dell'art. 525, comma 2, c.p.p., impugnato, in riferimento agli art. 3, 101 e 111 cost., nella parte in cui prevede che alla deliberazione debbano concorrere a pena di nullità assoluta i medesimi giudici che hanno partecipato al dibattimento. Premesso che il rimettente si duole, invero, della disciplina delle modalità di rinnovazione del dibattimento dopo il mutamento della persona fisica del giudice, che, nell'interpretazione accolta dalla Cassazione a sezioni unite, impone al nuovo giudice di procedere alla riassunzione della prova dichiarativa ove una parte ne faccia richiesta e sempre che l'atto non risulti impossibile, così escludendo che le prove già acquisite siano legittimamente utilizzabili tramite semplice lettura dei relativi verbali; la norma "de qua", nel fissare la regola dell'immutabilità del giudice, attua il principio di immediatezza che postula la tendenziale identità tra il giudice che assume le prove e il giudice che decide. In tale ottica, non vi è alcuna irrazionalità nella denunciata disciplina, poiché la parte che chiede la rinnovazione dell'esame del dichiarante esercita il proprio diritto, garantito dal principio di immediatezza, all'assunzione della prova davanti al giudice chiamato a decidere. Né sussiste la dedotta disparità di trattamento rispetto alle ritenute fattispecie similari di cui agli art. 26, 33- nonies, 42, comma 2, e 238 c.p.p. - concernenti, rispettivamente, l'inosservanza delle disposizioni sulla competenza e sulla composizione collegiale o monocratica del tribunale, l'astensione e la ricusazione del giudice e l'acquisizione dei verbali di prove provenienti da altro procedimento - nelle quali la conservazione dell'efficacia di prove già acquisite non impedisce, di norma, l'operatività delle regole generali in caso di mutamento del giudice, ivi compresa quella censurata. Del tutto incongrue, poi, sono le argomentazioni a sostegno della prospettata violazione dell'art. 101 cost., ove non si legge affatto, come vuole il rimettente, che "tutti i giudici sono uguali dinanzi alla legge", ma che i giudici "sono soggetti soltanto alla legge": principio che non risulta minimamente scalfito dall'applicabilità della disciplina in questione, volta alla tutela del diverso valore dell'immediatezza. Infine, l'asserito contrasto con l'art. 111 cost. è escluso dal rilievo che il principio di ragionevole durata del processo deve essere contemperato con il complesso delle altre garanzie costituzionali del processo penale, la cui attuazione positiva è insindacabile, ove frutto, come nella specie, di scelte non prive di una valida giustificazione. La ratio della rinnovazione della prova dichiarativa - garantita all'imputato dall'art. 111, comma 3, cost. - si fonda sull'opportunità di mantenere un rapporto diretto tra giudice e prova, non assicurato dalla mera lettura dei verbali: vale a dire la diretta percezione, da parte del giudice deliberante, della prova nel momento della sua formazione, così da poterne cogliere tutti i connotati espressivi, anche non verbali, prodotti dal metodo dialettico dell'esame e del controesame, che possono rivelarsi utili nel giudizio di attendibilità del risultato probatorio. La regola del riesame del dichiarante, in presenza di una richiesta di parte, costituisce uno dei profili del diritto alla prova, strumento necessario del diritto di azione e di difesa, e, in pari tempo, uno degli aspetti essenziali del modello processuale accusatorio, espresso dal vigente codice di rito, la cui osservanza è ragionevolmente presidiata dalla nullità assoluta, massima sanzione processuale.

Cassazione penale sez. V, 16/04/2004, n.21817
La disciplina dettata dall'art. 27 c.p.p. per il caso di misura cautelare disposta dal giudice dichiaratosi incompetente non trova applicazione nei rapporti tra tribunale in composizione monocratica e tribunale in composizione collegiale, trattandosi di diverse articolazioni dello stesso organo giudiziario e trovando conferma, il suddetto assunto, anche nell'art. 33-nonies c.p.p., per il quale l'inosservanza delle disposizioni sulla composizione collegiale o monocratica del tribunale non solo non dà luogo ad inutilizzabilità delle prove già acquisite (analogamente a quanto previsto, per il caso di incompetenza, dall'art. 26 c.p.p.), ma neppure comporta più in generale "l'invalidità degli atti del procedimento". (In motivazione la Corte ha anche osservato che il suddetto principio non si pone in contrasto con quello affermato dalla sentenza della sezione V, 11 novembre - 16 giugno 1992, n. 3653, Pileri, poiché "tale sentenza si riferisce ad un caso in cui mancava una regolare investitura per il giudizio direttissimo, sicché poteva profilarsi una incompetenza funzionale del giudice", mentre nel caso in esame risultava che il tribunale monocratico era stato "ritualmente investito del giudizio direttissimo per un reato rientrante nel suo ambito di cognizione" ed aveva rilevato solo successivamente "l'emergenza dagli atti del giudizio (e all'esito dello stesso) di un reato attribuito alla cognizione del tribunale nella diversa composizione collegiale").

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