Chiunque, estraneo alla pubblica amministrazione, avendo ottenuto dallo Stato o da altro ente pubblico o dalle Comunità europee contributi, sovvenzioni, finanziamenti, mutui agevolati o altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, destinati alla realizzazione di una o più finalità, non li destina alle finalità previste, è punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni.
Pena: La reclusione prevista per il reato di malversazione di erogazioni pubbliche è da sei mesi a quattro anni.
Pene accessorie:
Incapacità a contrarre con la Pubblica Amministrazione: Ai sensi dell'art. 32 quater, se la malversazione è commessa in danno o a vantaggio di un'attività imprenditoriale, comporta l'incapacità a contrarre con la P.A. per un periodo compreso tra uno e tre anni.
Interdizione dai pubblici uffici: Se la reclusione inflitta supera i tre anni, il condannato incorre nell'interdizione temporanea dai pubblici uffici per cinque anni.
Interdizione dall'occupazione lavorativa: Se il reato è commesso con abuso della professione o con la violazione dei doveri inerenti all'ufficio, la condanna comporta l'interdizione temporanea dall'occupazione lavorativa corrispondente.
Competenza: Il reato è di competenza del tribunale in composizione collegiale.
Procedibilità: È procedibile d'ufficio e consente l'utilizzo della custodia cautelare in carcere. L'arresto è facoltativo e il fermo dell'indiziato non è consentito.
Sospensione condizionale della pena: È possibile applicare la sospensione condizionale della pena, estendibile anche alle pene accessorie, purché la pena irrogata rientri nei limiti fissati dall'art. 163 c.p.
Sospensione obbligatoria dal servizio: Nei confronti di pubblici impiegati condannati, anche non in via definitiva, è prevista la sospensione obbligatoria dal servizio. Tuttavia, questa non opera nelle ipotesi di applicazione della pena su richiesta prevista dagli art. 414 e ss. c.p.p.
Confisca obbligatoria: Ai sensi dell'art. 322 ter c.p., in caso di condanna o di sentenza emessa a seguito di patteggiamento, deve essere disposta la confisca dei beni che costituiscono il prezzo o il profitto del reato. Se ciò non è possibile, si procede alla confisca dei beni di cui il reo ha la disponibilità per un valore corrispondente.
Termini di prescrizione: La prescrizione è di sei anni, prolungabile fino a sette anni e mezzo in caso di atti interruttivi.
Parte civile: Sono legittimati a costituirsi parte civile sia l'ente erogatore che ha subito i danni materiali, sia l'ente preposto al controllo della sovvenzione.
Indice:
1. Introduzione
5. La condotta
7. Consumazione
8. Tentativo
Il reato di malversazione di erogazioni pubbliche è disciplinato dall'art. 316-bis del codice penale. Si tratta di un delitto che mira a tutelare l'uso corretto delle risorse pubbliche, destinate a specifiche finalità di interesse pubblico.
Questo reato si configura quando un soggetto, che ha ottenuto contributi, sovvenzioni o finanziamenti dallo Stato o da enti pubblici per finalità di pubblico interesse, li utilizza per scopi diversi da quelli per cui sono stati concessi.
Il soggetto attivo può essere chiunque, purché non sia un pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio (in tal caso si configurerebbe un diverso reato come peculato).
La condotta si concretizza nella distrazione delle risorse ottenute. Questo può avvenire non destinando le somme alle finalità previste, trattenendole per sé o per altri, ovvero destinandole a scopi diversi da quelli stabiliti nella causale del finanziamento.
Venendo alla nozione di erogazione pubblica, si rappresenta che dev'essere un contributo, sovvenzione o finanziamento ricevuto dallo Stato o da enti pubblici, ovvero risorse che devono essere state destinate a realizzare obiettivi di interesse collettivo.
L'evoluzione storica del reato di malversazione di erogazioni pubbliche, riflette una crescente attenzione verso la tutela delle finanze pubbliche, sia nazionali che comunitarie. Questa evoluzione può essere suddivisa in varie fasi significative, ciascuna caratterizzata da specifiche problematiche e interventi legislativi.
Fino agli anni '80, le finanze comunitarie erano considerate un bene giuridico estraneo, ricevendo poca attenzione dai legislatori nazionali. Tuttavia, la situazione cambiò con la giurisprudenza della Corte di Giustizia delle Comunità europee che, in base all'art. 5 del Trattato CE (ora art. 10), sancì un obbligo di leale cooperazione e di tutela dei beni comunitari. Questo spinse i legislatori nazionali, compresi quelli italiani, a colmare i vuoti di tutela esistenti.
Dagli anni '60, in Italia si registrò un significativo incremento dei contributi e finanziamenti statali per incentivare settori di produzione e rilanciare l'occupazione in aree di crisi. Tuttavia, le prime normative per fronteggiare l'abusiva acquisizione di sovvenzioni pubbliche erano inadeguate. Ad esempio, l'art. 95 della legge n. 141/1938 (mendacio bancario) si rivelava inefficace contro le truffe nelle sovvenzioni.
Di fronte all'inadeguatezza delle normative esistenti, la giurisprudenza tentò di colmare le lacune utilizzando l'art. 640 c.p. (truffa), che però presentava limitazioni significative. La dottrina suggerì alternative, come l'art. 2621 c.c., ma queste soluzioni erano parziali e non coprivano tutte le fattispecie di frode, soprattutto a livello comunitario.
Una normativa significativa fu introdotta con la legge n. 898/1986, che puniva chiunque, mediante l'esposizione di dati falsi, otteneva indebitamente aiuti o sovvenzioni dal Fondo Europeo Agricolo di Garanzia (FEOGA). Questa legge, sebbene ancora ancorata al modello della truffa, richiedeva meno rispetto agli artifici e raggiri tipici dell'art. 640 c.p.
Nel 1990, in un contesto di lotta alla criminalità mafiosa, fu introdotto l'art. 640 bis c.p., che tutelava la fase antecedente all'ottenimento dell'erogazione pubblica, ma lasciava scoperta la fase successiva di utilizzo della sovvenzione.
La vera svolta avvenne con la legge n. 86/1990, che introdusse l'art. 316 bis c.p., colmando la lacuna legislativa riguardante l'utilizzo fraudolento delle sovvenzioni ottenute. Questa norma incrimina la "non destinazione" delle somme ricevute per le finalità di pubblico interesse.
Inizialmente, l'art. 316 bis c.p. non considerava la Comunità Europea tra i soggetti passivi del reato, ma questa lacuna fu corretta con la legge n. 181/1992. Ciò dimostrò un'attenzione crescente verso la tutela degli interessi comunitari.
In conclusione, l'evoluzione della normativa italiana ha progressivamente migliorato la tutela delle finanze pubbliche, passando da un sistema inadeguato a una struttura legislativa più robusta. Oggi, grazie agli articoli 640 bis c.p. e 316 bis c.p., esiste una protezione sia nella fase antecedente che in quella successiva all'ottenimento delle erogazioni pubbliche, rispondendo alle esigenze di tutela delle finanze nazionali e comunitarie.
L'analisi del bene giuridico tutelato dal reato di malversazione di erogazioni pubbliche, in particolare attraverso l'art. 316 bis del codice penale, rivela un'evoluzione significativa nel tempo, influenzata dalle esigenze di protezione delle risorse pubbliche sia a livello nazionale che comunitario. Questa evoluzione può essere riassunta in diverse fasi, ciascuna caratterizzata da una diversa concezione del bene giuridico stesso.
Originariamente, la tutela delle finanze pubbliche era intesa principalmente come protezione del patrimonio, concezione evidenziata dall'estensione dell'art. 640 c.p. (truffa) alle erogazioni pubbliche. In questa fase, il bene giuridico tutelato era il patrimonio dell'ente erogatore, visto in senso dinamico come "bene-prestazione". La Convenzione PIF e il regolamento comunitario 2988/95 riflettono questa visione, concentrandosi sul danno patrimoniale e sull'evento di pericolo concreto.
Sebbene la visione patrimonialistica soddisfacesse in minima parte l'esigenza di tutela delle finanze comunitarie, la normativa italiana mostrava carenze rispetto ad altre giurisdizioni, come quella tedesca. Il § 264 StGB tedesco, ad esempio, adotta una concezione funzionalista del bene giuridico, proteggendo il corretto utilizzo delle risorse pubbliche piuttosto che solo il patrimonio.
L'introduzione dell'art. 640 bis c.p. rappresenta un passo avanti, mutando l'oggettività giuridica verso la tutela delle scelte programmatiche generali dello Stato. Questo cambiamento riflette una protezione non solo del patrimonio, ma anche delle finalità programmatiche e del buon andamento e imparzialità della Pubblica Amministrazione (P.A.), come sancito dall'art. 97 della Costituzione.
L'art. 316 bis c.p. tutela l'interesse dello Stato, degli enti pubblici e delle Comunità europee al corretto impiego delle risorse pubbliche, assicurando che queste siano utilizzate secondo i criteri di buona amministrazione. La norma incrimina la "non destinazione" delle somme ricevute per le finalità di pubblico interesse previste, sottolineando l'importanza del nesso teleologico tra la destinazione delle risorse e l'uso effettivo delle stesse.
Il reato di malversazione di erogazioni pubbliche lede due tipi di interessi: quello patrimoniale dell'ente erogante e quello alla corretta allocazione delle risorse finanziarie. La "teoria del tradimento dello scopo", derivata dalla normativa tedesca, implica che il reato non riguarda solo l'aspetto patrimoniale, ma anche la devianza dalle finalità pubbliche originarie, compromettendo il buon andamento della P.A.
La collocazione del reato tra i delitti dei Pubblici Ufficiali contro la P.A. è stata criticata, suggerendo invece che sarebbe più appropriata tra i delitti dei privati contro la P.A. o i reati contro l'economia pubblica. Nonostante le critiche, l'attuale collocazione si giustifica poiché il reato è considerato una "figlia legittima" del peculato per distrazione, proteggendo il buon andamento più che l'imparzialità della P.A.
L'art. 316 bis attribuisce al reato una qualificazione soggettiva, basata sul rapporto di fiducia tra il privato beneficiario e l'ente erogante. Questo rapporto di fiducia implica che il privato deve agire nell'interesse pubblico, similmente a un pubblico agente. Il bene giuridico protetto è dunque il risultato per cui il finanziamento è stato concesso, analogamente al peculato per distrazione.
Il concetto di distrazione può essere suddiviso in tre tipologie: deviazione dall'originaria destinazione senza perseguire fini pubblici, deviazione con fini pubblici diversi, e utilizzo per finalità privatistiche. La norma punisce qualsiasi deviazione dall'uso previsto, evidenziando che solo la P.A. erogante ha il potere di determinare l'allocazione delle risorse pubbliche.
In conclusione, l'evoluzione del bene giuridico tutelato dal reato di malversazione di erogazioni pubbliche riflette un passaggio da una concezione patrimonialistica a una funzionalista, proteggendo non solo il patrimonio ma anche le finalità pubbliche e il buon andamento della Pubblica Amministrazione.
Il reato di malversazione di erogazioni pubbliche, delineato dall'art. 316 bis del codice penale, presenta una peculiare configurazione per quanto riguarda il soggetto attivo, ovvero colui che può essere incriminato per tale delitto. La caratterizzazione del soggetto attivo risulta complessa e si basa su due requisiti fondamentali: uno negativo e uno positivo.
Il soggetto attivo deve essere "estraneo alla Pubblica Amministrazione". Questa locuzione ha indotto alcuni commentatori a considerare il reato come comune, accentuando la sua apparente a-sistematicità legislativa. Tuttavia, un'analisi più attenta suggerisce che si tratti di un reato proprio, dove il soggetto attivo è specificamente definito. La giurisprudenza e la dottrina chiariscono che per "estraneo alla P.A." si intende non solo chi non è inserito nell'apparato organizzativo della Pubblica Amministrazione, ma anche chi, pur legato da un vincolo di subordinazione, non partecipa alla procedura di controllo delle erogazioni. Questo criterio ad excludendum implica che i pubblici ufficiali e gli incaricati di pubblico servizio non possono essere incriminati per questo reato, in quanto le loro eventuali malversazioni sarebbero inquadrate nei reati di peculato (art. 314 c.p.) o abuso d'ufficio (art. 323 c.p.).
Il secondo requisito è che il soggetto attivo deve essere un beneficiario di un finanziamento pubblico ottenuto lecitamente. Questo implica l'esistenza di un rapporto fiduciario tra l'ente erogante e il beneficiario del finanziamento. Il beneficiario è tenuto a destinare le risorse ricevute alle finalità di pubblico interesse per le quali sono state concesse. La violazione di questo obbligo configura il reato di malversazione, poiché arreca un pregiudizio alla Pubblica Amministrazione.
L'interpretazione dell'art. 316 bis come un reato d'obbligo evidenzia la rottura del rapporto fiduciario tra l'ente pubblico e il soggetto privato. Il soggetto agente, pur essendo un privato, assume una posizione di garanzia nei confronti dei beni pubblici affidati, similmente a un pubblico ufficiale. Tuttavia, il bene tutelato non è la fedeltà alla P.A., bensì la corretta allocazione delle risorse pubbliche.
La categoria dei reati propri a struttura inversa, in cui il soggetto attivo assume obblighi specifici derivanti dalla sua posizione di fatto, è stata criticata per il rischio di estendersi eccessivamente. Nel caso dell'art. 316 bis, il disvalore della condotta "non destinare" si combina con il disvalore derivante dalla posizione di fiducia del soggetto rispetto alla P.A., creando una fattispecie di reato propria e specifica.
I principali soggetti passivi del reato sono lo Stato, la Pubblica Amministrazione in generale, e la Comunità europea. Tuttavia, vi può essere una separazione tra l'ente pubblico erogante e l'ente deputato al controllo della gestione dell'erogazione del fondo. In tali casi, anche l'ente controllore è considerato soggetto passivo, poiché il reato colpisce l'elusione delle finalità della sovvenzione.
Alcune interpretazioni hanno suggerito che un pubblico impiegato potrebbe essere considerato estraneo alla P.A. se non ricopre in quel momento la qualifica di pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio. La giurisprudenza amplia la nozione di estraneità, escludendo chiunque non sia coinvolto nella procedura di controllo delle erogazioni. La clausola di sussidiarietà implica che se un soggetto qualificato commette il fatto con abuso di poteri, si applicherà un diverso titolo criminoso, senza concorso formale o materiale con l'art. 316 bis.
In conclusione, il soggetto attivo del reato di malversazione di erogazioni pubbliche è un privato beneficiario di fondi pubblici, che viola il rapporto fiduciario con l'ente erogante non destinando le risorse ricevute alle finalità previste. Questa configurazione riflette un'interpretazione specifica e restrittiva della norma, volta a proteggere l'interesse pubblico nella corretta allocazione e utilizzo delle risorse pubbliche.
Il primo presupposto per configurare il reato di malversazione di erogazioni pubbliche, disciplinato dall'art. 316 bis del Codice Penale, è l'ottenimento di contributi, sovvenzioni o finanziamenti pubblici. È fondamentale che i fondi siano stati effettivamente erogati e non sia sufficiente la sola decisione di concessione. Questo implica che il soggetto può essere imputato per il reato anche se ha ottenuto il finanziamento prima dell'entrata in vigore della fattispecie incriminatrice, purché la condotta di non destinazione si sia verificata successivamente a tale data.
I termini concessione, finanziamento e sovvenzione non devono essere intesi in senso strettamente tecnico-amministrativo, ma in un'accezione più ampia. Devono essere considerate tutte quelle erogazioni di denaro pubblico, sia a fondo perduto che con obbligo di restituzione, che offrono un vantaggio al ricevente rispetto ai tassi o alle condizioni di mercato. Questo include sia i finanziamenti agevolati che le sovvenzioni dirette.
Il secondo presupposto riguarda la finalità delle erogazioni, che devono essere destinate a favorire iniziative dirette alla realizzazione di opere o allo svolgimento di attività di pubblico interesse. Le opere o attività devono essere ancora da eseguire, iniziate ma non ultimate, o completamente nuove. La giurisprudenza ha dibattuto se valutare il pubblico interesse in astratto o in concreto, preferendo in generale la valutazione concreta, ovvero l'importanza sociale e collettiva dell'opera o attività finanziata.
La condotta incriminata consiste nel "non destinare" i fondi ricevuti alle finalità di pubblico interesse previste. Questa locuzione include sia la distrazione attiva dei fondi, ossia il loro utilizzo per scopi diversi, sia la mancata destinazione dei fondi stessi. La giurisprudenza ha sostenuto che la malversazione a danno dello Stato può essere un reato di pura omissione, dove il reato si consuma con la scadenza del termine entro il quale le opere finanziate avrebbero dovuto essere realizzate.
La giurisprudenza ha consolidato l'interpretazione che vede la "non destinazione" come sinonimo di distrazione, punendo le frodi che si concretizzano in deviazioni dallo scopo pubblico per cui i fondi erano stati concessi. La condotta illecita include sia l'utilizzo attivo dei fondi per scopi diversi sia l'inerzia nell'utilizzarli per le finalità previste.
Un caso tipico di non configurabilità del reato si realizza quando le opere finanziate vengono iniziate o completate con fondi privati in attesa dell'erogazione dei finanziamenti pubblici, mentre sarebbe configurabile il reato quando, ad esempio, il finanziamento è richiesto per opere già realizzate senza dichiarare questo fatto, configurando così una frode.
Il presupposto della condotta di malversazione di erogazioni pubbliche si basa sull'ottenimento e sull'effettiva erogazione di fondi pubblici destinati a finalità di pubblico interesse. La condotta incriminata consiste nel mancato utilizzo di questi fondi per le finalità previste, configurando così una distrazione dei fondi stessi. La giurisprudenza ha chiarito che tale reato può manifestarsi sia attraverso atti attivi di distrazione sia attraverso l'inerzia nell'utilizzare i fondi per gli scopi dichiarati, con la consumazione del reato legata alla scadenza del termine per la realizzazione delle opere finanziate.
L'elemento soggettivo del reato di malversazione di erogazioni pubbliche è rappresentato dal dolo generico. Ciò significa che l'agente deve agire con la consapevolezza e la volontà di sottrarre le risorse pubbliche (contributi, sovvenzioni o finanziamenti) dallo scopo prefissato di interesse pubblico cui erano destinate.
In giurisprudenza, è stato chiarito che non rilevano le specifiche finalità personali che l'agente intende perseguire. L'importante è che l'agente sia cosciente del fatto che:
è estraneo alla Pubblica Amministrazione.
ha ottenuto legittimamente l'erogazione pubblica.
l'erogazione è finalizzata al raggiungimento di un obiettivo di interesse collettivo.
è tenuto a realizzare la finalità di pubblico interesse indicata nell'atto di erogazione.
L'agente deve rappresentarsi e volere di non realizzare l'opera o di realizzarla in modalità e termini contrastanti con quelli previsti.
Il dolo può essere escluso in presenza di un errore su legge extrapenale o su fatti relativi alle finalità dell'erogazione:
Errore sulle finalità dell'erogazione: Se l'agente crede erroneamente che la destinazione diversa delle risorse sia legale, il dolo è escluso.
Errore sulla legalità della nuova destinazione: Ai sensi dell'art. 47, 3° comma, C.p., se l'agente ritiene per errore che la nuova destinazione delle risorse sia conforme alla legge, manca l'intenzione dolosa.
Il grado di conoscenza richiesto non è quella di un esperto tecnico, ma una conoscenza sufficiente alla persona comune ("sfera laica").
Il reato di malversazione di erogazioni pubbliche si consuma quando viene integrata la condotta di distrazione delle risorse pubbliche. Questo avviene nei seguenti casi:
Quando il soggetto non destina le somme ottenute: In altre parole, trattiene per sé o per altri le risorse finanziarie senza destinarle agli scopi previsti.
Quando destina le somme per finalità diverse: Le risorse vengono impiegate per obiettivi differenti da quelli indicati nella causale del finanziamento.
Il reato è di tipo istantaneo, sebbene la condotta possa essere frazionata nel tempo. Se la distrazione avviene attraverso una singola azione od omissione, quel momento rappresenta il momento consumativo del reato. Tuttavia, se la distrazione avviene mediante più azioni, il reato si consuma con l'ultima azione.
Se è previsto un termine essenziale per la realizzazione dell'opera, la consumazione avviene allo scadere di tale termine. Se il termine indicato è ordinatorio, bisognerà individuare quando il ritardo frustra le finalità di pubblico interesse. In assenza di un termine specifico, si valuteranno le circostanze di tempo, luogo e azione per determinare se l'interesse pubblico è stato leso.
Ad esempio, nei finanziamenti concessi per il rilancio occupazionale delle aree di crisi, dove le erogazioni sono suddivise in tranche e dipendono dal raggiungimento di obiettivi intermedi, il mancato raggiungimento di uno di questi obiettivi, se doloso, consuma il reato.
Il tentativo di malversazione di erogazioni pubbliche può essere configurato, trattandosi di un reato a condotta frazionabile. Anche se tradizionalmente il tentativo era ritenuto incompatibile con i reati omissivi propri (perché si pensava che finché non scadesse il termine per adempiere il soggetto poteva sempre provvedere), la dottrina più recente ha ribaltato questa idea.
La dottrina insegnava che il tentativo non fosse configurabile nei reati omissivi propri, poiché il reato si consuma solo alla scadenza del termine per adempiere.
Secondo un più recente orientamento, il tentativo sarebbe ammissibile anche nei reati omissivi propri, considerando un iter criminis frazionato. Ad esempio, se un pubblico ufficiale, poco prima della scadenza del termine per adempiere a un obbligo, si mette in una condizione di impossibilità assoluta di adempiere (come recandosi all'estero senza possibilità di delegare), si potrebbe considerare la consumazione del reato anticipata a questo momento di impossibilità.
L'ipotesi in cui un soggetto si pone in condizione di impossibilità assoluta di adempiere prima della scadenza del termine è vista come delitto consumato, poiché manifesta chiaramente la volontà di non adempiere. Alcune teorie anticipano la consumazione al momento in cui il soggetto si pone in tale condizione, considerando il termine come una condizione obiettiva di punibilità.
Desistenza Volontaria: È applicabile nelle ipotesi di malversazione commissiva.
Recesso Attivo: Difficilmente applicabile poiché richiederebbe l'impedimento di un evento che il reato non prevede. Ad esempio, se l'imprenditore utilizza le somme, prima indebitamente stornate, per le finalità originali, ciò costituisce desistenza volontaria, non recesso attivo.