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Concussione: sussiste anche se la pretesa del pubblico ufficiale non è oggettivamente illecita


Corte di Cassazione

La massima

In tema di concussione, l'avverbio indebitamente utilizzato nell' art. 317 c.p. qualifica non già l'oggetto della pretesa del pubblico ufficiale, la quale può anche non essere oggettivamente illecita, quanto le modalità della sua richiesta e della sua realizzazione. (Fattispecie in cui la Corte ha confermato la qualificazione, in termini di tentativo di concussione, anziché esercizio arbitrario delle proprie ragioni aggravato dall'abuso di pubblici poteri, della condotta di un carabiniere che aveva minacciato la persona offesa di ritirarle la patente ove non avesse provveduto a pagare gli stipendi e il trattamento di fine rapporto dovuti a sua moglie).

Fonte: CED Cassazione Penale 2022



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La sentenza integrale

Cassazione penale , sez. VI , 04/06/2021 , n. 24560

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza sopra indicata la Corte di appello di Brescia riformava parzialmente la pronuncia di primo grado del 17 settembre 2019, riconoscendo all'imputato l'attenuante di cui all'art. 323-bis c.p., comma 1, e riducendo la pena, e confermava nel resto la medesima pronuncia con la quale il Tribunale di Brescia aveva condannato S.O. in relazione al reato di cui agli artt. 56 e 317 c.p., per avere, il 22 maggio 2017, abusando delle qualità o dei poteri di appuntato scelto dell'arma dei carabinieri in servizio presso la stazione di Idro, tentato di costringere O.A., minacciato dall'agente del ritiro della patente, a promettere di pagare con puntualità gli stipendi e il trattamento di fine rapporto dovuti alla propria moglie M.F..


2. Avverso tale sentenza ha presentato ricorso l'imputato, con atto sottoscritto dal suo difensore, il quale ha dedotto i seguenti tre motivi.


2.1. Violazione di legge, in relazione all'art. 317 c.p., artt. 546 e 649 c.p.p., e vizio di motivazione, per avere la Corte territoriale confermato la condanna di primo grado, benché le emergenze processuali avessero dimostrato che la richiesta rivolta dallo S. all' O. fosse legittima: dunque, quella dell'imputato non era stata una richiesta a dare o promettere "indebitamente", sicché la condotta del prevenuto avrebbe potuto al più integrare gli estremi di un esercizio arbitrario delle proprie ragioni, se del caso aggravato ai sensi dell'art. 61 c.p., comma 1, n. 9.


2.2. Violazione di legge, in relazione all'art. 317 c.p., artt. 546,192 e 649 c.p.p., e vizio di motivazione, per avere la Corte distrettuale erroneamente ritenuto che la pretesa fatta valere dallo S. fosse stata "indebita", nonostante l'esistenza del credito vantato dalla moglie dell'imputato fosse stata accertata documentalmente e riscontrata dalla ammissioni dell' O.; che per i crediti maturandi, la richiesta era stata formalizzata con riferimento al momento in cui il diritto sarebbe divenuto liquido ed esigibile; e che il riferimento ad altre circostanze, peraltro non pienamente provate (quali il fatto che la M. avrebbe visto soddisfatto il proprio diritto in via privilegiata rispetto ad altri creditori, così disattendendo anche le intese che erano state raggiunte con l' O.) avrebbero finito per "dilatare" il concetto di "indebito" riferito alla dazione o alla promessa.


2.3. Violazione di legge, in relazione all'art. 62-bis c.p., artt. 546 e 649 c.p.p., e vizio di motivazione, per avere la Corte di merito ingiustificatamente negato le attenuanti generiche, senza tenere conto del comportamento processuale dell'imputato e della modestia dei fatti in giudizio.


3. Con memoria trasmessa il 27 aprile 2021 la difesa ha ripreso e sviluppato il secondo motivo del ricorso, in specie sottolineando come non fosse stato provato, neppure in via indiziaria, che l'adempimento del debito dell' O. verso la moglie dell'imputato avrebbe comportato il riconoscimento di una sorta di privilegio rispetto ad altri creditori.


CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Ritiene la Corte che il ricorso presentato nell'interesse di C.G. vada rigettato.


2. I primi due motivi del ricorso, strettamente connessi tra loro e dunque esaminabili congiuntamente, sono infondati.


2.1. Quanto ai lamentati vizi della motivazione, va detto che la sentenza impugnata ricostruisce in fatto la vicenda con motivazione esaustiva, immune da vizi logici e strettamente ancorata alle emergenze processuali. I rilievi formulati al riguardo dal ricorrente si muovono nella prospettiva di accreditare una diversa lettura delle risultanze istruttorie e si risolvono, quindi, in non consentite censure in fatto all'iter argomentativo seguito dalla sentenza di merito, nella quale, peraltro, vi è puntuale risposta a detti rilievi, in tutto sovrapponibili a quelli già sottoposti all'attenzione della Corte territoriale.


D'altro canto, la lamentata violazione degli artt. 192 e 546 c.p.p., relativamente all'impiego dei criteri di valutazione delle prove e dei connessi obblighi motivazionali, non comporta ex se la operatività di alcune delle sanzioni processuali previste dall'art. 606, comma 1, lett. c), medesimo codice di rito (così, da ultimo, Sez. 4, n. 51525 del 04/10/2018, M., Rv. 274191; conf. Sez. 6, n. 43963 del 30/09/2013, Basile, Rv. 258153, per la quale è inammissibile il motivo di ricorso per cassazione che censura l'erronea applicazione dell'art. 192 c.p.p. quando è fondato su argomentazioni che si pongono in confronto diretto con il materiale probatorio, e non, invece, sulla denuncia di uno dei vizi logici tassativamente previsti dall'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e)).


2.2. il punto nodale dell'impugnazione è rappresentato dal fatto che l'odierno ricorrente, nel formulare l'indicata pretesa nei confronti del datore di lavoro della di lui moglie, aveva cercato di recuperare ovvero di far recuperare alla coniuge quanto alla stessa spettante per il lavoro svolto.


In buona sostanza, la difesa ha sostenuto che la richiesta dello S. non era "indebita", in quanto era stata finalizzata al soddisfacimento di un diritto di credito effettivamente esistente, non potendo essere valorizzate circostanze accessorie, quale l'esistenza di altri creditori di quel datore di lavoro e il fatto che il diritto della moglie non fosse ancora divenuto liquido ed esigibile, in parte non provate e in parte irrilevanti: l'imputato avrebbe, al più, minacciato l' O. per ottenere il soddisfacimento di un diritto per il quale la coniuge avrebbe potuto rivolgersi all'autorità giudiziaria, dunque - si è concluso - avrebbe semmai commesso un esercizio arbitrario delle proprie ragioni, aggravato dall'aver commesso il fatto con abuso di poteri o con violazione dei dover inerenti a una pubblica funzione.


La soluzione interpretativa data dalla Corte di appello, che ha negato che tale impostazione difensiva abbia un qualche pregio, è giuridicamente corretta e non integra, perciò, la prospettata violazione di legge.


Questa Corte di cassazione ha già avuto modo di puntualizzare che, in tema di concussione, l'avverbio "indebitamente" utilizzato nell'art. 317 c.p. qualifica non già l'oggetto della pretesa del pubblico ufficiale, la quale può anche non essere oggettivamente illecita, quanto le modalità della sua richiesta e della sua realizzazione: sicché si è ritenuto che integri il tentativo di concussione la condotta del pubblico ufficiale che con minacce avesse cercato di costringere il privato ad accettare una proposta transattiva avente ad oggetto la risoluzione di un contratto di appalto (in questo senso Sez. 6, n. 27444 del 01/02/2011, Cantò, Rv. 250532; conf. Sez. 6, n. 8906 del 15/11/2007, dep. 2008, Lupoli, Rv. 239414).


E', dunque, irrilevante che, nel caso di specie, l'imputato avesse agito allo scopo di tutelare un diritto di credito che la moglie aveva in parte già maturato e in parte avrebbe maturato nei riguardi del datore di lavoro, cioè che fosse stato animato dalla finalità di soddisfare una pretesa della coniuge. Ciò che conta è che l'agente pubblico si sia avvalso della posizione di preminenza sul privato per cercare di prevaricarne le scelte e le decisioni, proprio perché l'indicato avverbio "indebitamente" non qualifica il contenuto della pretesa del concussore, che, come si è visto, può essere anche non oggettivamente illecita, bensì le modalità della richiesta e di realizzazione della pretesa medesima: nella fattispecie pacificamente concretizzatasi nella formulazione della minaccia di ritirare la patente di guida nella prima occasione utile.


E' ben vero che i due precedenti della giurisprudenza di questa Corte risalgono al periodo anteriore alla entrata in vigore della riforma dei reati contro la pubblica amministrazione di cui alla L. 6 novembre 2012, n. 190, ma la validità di quel principio di diritto va in questa sede ribadita, tenuto conto che la formula normativa e l'impiego dell'avverbio "indebitamente", a proposito della dazione o della promessa, sono rimaste del tutto immutate: ciò che è cambiato, come noto, è l'avere previsto che la fattispecie incriminatrice dell'art. 317 c.p., riguardi solo i casi di costruzione e l'avere "espunto" l'ipotesi della mera induzione a dare o promettere che, alle nuove condizioni previste, può integrare gli estremi del diverso delitto di cui all'art. 319-quater c.p., nel quale, peraltro, l'avverbio "indebitamente" è rimasto immodificato.


In tale ottica diventa superfluo ogni riferimento, contenuto nella motivazione della sentenza impugnata, alla natura del credito vantato dalla moglie dell'imputato, se già liquido e esigibile o meno, ovvero se concorrente con il diritto vantato da ulteriori creditori di quel datore di lavoro.


3. Il terzo motivo del ricorso è manifestamente infondato.


Il ricorrente pretende che in questa sede si proceda ad una rinnovata valutazione delle modalità mediante le quali il giudice di merito ha esercitato il potere discrezionale a lui concesso dall'ordinamento ai fini del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche: esercizio che deve essere motivato nei soli limiti atti a far emergere in misura sufficiente il pensiero del giudice in ordine all'adeguamento della pena concreta alla gravità effettiva del reato ed alla personalità del reo.


Nella specie, del tutto legittimamente la Corte di merito ha ritenuto ostativo al riconoscimento delle attenuanti generiche il precedente penale di cui l'imputato risulta gravato, trattandosi di parametro considerato dall'art. 133 c.p., applicabile anche ai fini dell'art. 62-bis c.p..


5. Segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.


P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.


Così deciso in Roma, il 4 giugno 2021.


Depositato in Cancelleria il 23 giugno 2021



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