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Desistenza ed estorsione: irrilevante il pentimento dopo la minaccia (Cass. Pen. n. 29333/25)

1. Premessa

La desistenza volontaria, disciplinata dall’art. 56, comma 3, c.p., è istituto che mira a incentivare l’interruzione spontanea dell’iter criminoso.

Essa, tuttavia, trova applicazione solo entro confini ben definiti, che si restringono sensibilmente nei reati di danno a forma libera.

La sentenza della Cassazione penale, sez. V, 23 luglio 2025, n. 29333, ribadisce un principio ormai consolidato: in tema di estorsione la desistenza non è configurabile una volta che siano stati compiuti atti idonei e univoci di intimidazione, capaci di integrare il meccanismo estorsivo.


2. La vicenda processuale

Il ricorrente era sottoposto a custodia cautelare per tentata estorsione aggravata dal metodo e dall’agevolazione mafiosa (artt. 629, 628, co. 3, n. 3, e 416-bis.1 c.p.), per aver partecipato alla foratura delle gomme dell’autovettura di un ristoratore, allo scopo di costringerlo ad acquistare ghiaccio alimentare da un fornitore legato a una cosca locale.

La difesa aveva sostenuto che l’imputato, dopo l’episodio, non avesse insistito nell’azione criminosa, arrivando persino ad offrire un passaggio alla vittima, circostanza che avrebbe dimostrato una condotta di desistenza.


3. La decisione della Corte

La Cassazione ha ritenuto infondato l’assunto difensivo, osservando come la foratura degli pneumatici non potesse essere ridotta a un semplice atto di danneggiamento, ma si inscrivesse invece in un disegno unitario di pressione estorsiva, volto a condizionare in modo stabile la libertà economica della vittima. Proprio in questo quadro, il gesto assumeva piena idoneità intimidatoria, collocandosi già oltre la soglia del tentativo incompiuto: la minaccia, benché implicita, aveva attivato il meccanismo causale capace di incidere sulla volontà del ristoratore e di costringerlo a rivolgersi al fornitore imposto.

Di fronte a tale dinamica, la successiva condotta di apparente disponibilità – l’offerta di un passaggio alla persona offesa rimasta appiedata – non poteva in alcun modo cancellare gli effetti intimidatori prodotti.

Richiamando Supino (Sez. 2, n. 24551/2015), la Corte ha così riaffermato un principio costante: nell’estorsione, in quanto reato di danno a forma libera, la desistenza può trovare spazio solo prima che l’intimidazione si sia concretizzata, cioè nella fase embrionale del tentativo. Una volta oltrepassata tale soglia, il pentimento successivo resta giuridicamente irrilevante.


4. Considerazioni conclusive

La decisione in commento mostra come la categoria della desistenza, concepita dal legislatore come strumento premiale a favore di chi spontaneamente interrompa il proprio disegno criminoso, incontri limiti strutturali non valicabili. Non si tratta soltanto di stabilire il momento in cui l’azione diventa irreversibile, ma di interrogarsi su che cosa significhi davvero “tornare indietro” in reati nei quali la lesione prende forma nella dimensione psicologica della vittima.

Nell’estorsione, l’offesa non si identifica nella sottrazione patrimoniale ma nell’intimidazione che piega la libertà di autodeterminazione.

Per questo, la minaccia – anche quando consista in un gesto minimo, come la foratura di uno pneumatico – produce un effetto che si proietta oltre l’episodio materiale: incrina la percezione di sicurezza della vittima e crea una pressione che non può essere rimossa da un successivo ripensamento dell’autore.

È la logica stessa del reato a rendere impossibile parlare di desistenza una volta che la minaccia si sia manifestata.

Il contesto mafioso accentua questo fenomeno, perché la forza intimidatrice non dipende solo dall’atto singolo ma dal capitale simbolico che esso porta con sé. Ogni gesto, anche apparentemente marginale, si colloca dentro una grammatica collettiva dell’assoggettamento e dell’omertà.

In tale prospettiva, il diritto positivo non può permettere che il reo “revochi” un atto che, per la vittima e per l’ambiente sociale, continua a proiettare i suoi effetti.

La sentenza n. 29333/2025 non si limita dunque a riaffermare un tecnicismo processuale, ma ribadisce una linea di fondo della politica criminale, il pentimento è valorizzabile solo prima che l’offesa si sia radicata, non quando essa abbia già inciso sulla libertà individuale.

Il confine tra tentativo incompiuto e tentativo compiuto diventa così il punto di equilibrio fra due esigenze opposte:

  • da un lato, incentivare l’interruzione del disegno illecito;

  • dall’altro, tutelare la certezza delle relazioni sociali e la dignità della vittima, che non può essere resa ostaggio del ripensamento, tardivo e inaffidabile, del suo aggressore.


La sentenza integrale

Cassazione penale sez. V, 23/07/2025, (ud. 23/07/2025, dep. 07/08/2025), n.29333

RITENUTO IN FATTO


1. Con il provvedimento impugnato il Tribunale del riesame di Palermo, adito ai sensi dell'art. 309 cod. proc. pen., ha confermato l'ordinanza di applicazione della misura cautelare della custodia in carcere, nei confronti di Ge.Ro., per aver concorso nel delitto di tentata estorsione, aggravato ai sensi dell'art. 629, comma secondo in relazione all'art. 628, comma terzo, n. 3, cod. pen. e ai sensi dell'art. 416-bis.1 cod. pen. (capo 22 dell'incolpazione provvisoria).


2. Avverso l'ordinanza ricorre l'indagato, tramite il proprio difensore, articolando quattro motivi.


2.1. Con il primo si denuncia violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla ritenuta gravità indiziaria.


Il Tribunale sarebbe incorso in un travisamento della prova non avendo tenuto conto dell'atteggiamento osservato dal ricorrente: costui ha desistito dalle condotte, dopo la foratura delle gomme non ha proseguito nell'attività criminosa, anzi ha offerto un passaggio alla vittima rimasta appiedata.


2.2. Con il secondo motivo si deduce violazione di legge sulla ritenuta sussistenza della circostanza aggravante di cui all'art. 628, comma terzo, n. 3, cod. pen. ("violenza o minaccia posta in essere da persona che fa parte dell'associazione di cui all'art. 416-bis cod. pen.").


A differenza di quanto ritenuto dal Tribunale, l'indagato non ha già riportato condanna per il reato di cui all'art. 416-bis, cod. pen., ma è stato soltanto rinviato a giudizio e il processo è ancora in corso.


2.3. Con il terzo e il quarto motivo si lamenta violazione di legge sulla configurabilità della circostanza aggravante di cui all'art. 416-bis.1 cod. pen., sotto il duplice profilo del metodo mafioso e della agevolazione mafiosa: non vi sono elementi processuali dai quali ricavare che vi sia stata l'imposizione del ghiaccio alimentare; non si può sostenere che la forza di intimidazione e la condizione di assoggettamento e omertà tra i consociati si ergano a fattori di semplificazione della condotta illecita.


3. Il ricorso, proposto dopo il 30 giugno 2024, è stato trattato, senza intervento delle parti, nelle forme di cui all'art. 611 cod. proc. pen.


CONSIDERATO IN DIRITTO


1. Il ricorso è infondato.


2. Il primo motivo è nel complesso infondato, pur presentando profili di inammissibilità.


2.1. Va premesso che l'ordinanza applicativa della misura e quella che decide sulla richiesta di riesame sono tra loro strettamente collegate e complementari, sicché la motivazione del Tribunale del riesame integra e completa l'eventuale carenza di motivazione del provvedimento del primo giudice e, viceversa, la motivazione insufficiente del giudice del riesame può ritenersi integrata da quella del provvedimento impugnato, allorché in quest'ultimo siano state indicate le ragioni logico-giuridiche che, ai sensi degli artt. 273,274 e 275 cod. proc. pen., ne hanno determinato l'emissione (cfr. per tutte Sez. U, n. 7 del 17/04/1996 Moni, Rv. 205257-01).


Va ricordato, inoltre, che la Corte di cassazione non può rivalutare la ricostruzione del quadro indiziario alla base del provvedimento cautelare (genetico e del riesame), poiché in tale ambito il ricorso per cassazione è ammissibile soltanto se denuncia la violazione di specifiche norme di legge, ovvero la manifesta illogicità della motivazione del provvedimento secondo i canoni della logica ed i principi di diritto, ma non anche quando propone censure che riguardino la ricostruzione dei fatti ovvero si risolvano in una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito (Sez. 2, n. 31553 del 17/5/2017, Paviglianiti, Rv. 270628; Sez. 4, n. 18795 del 2/3/2017, Di Iasi, Rv. 269884; Sez. 6, n. 11194 del 8/3/2012, Lupo, Rv. 252178); spetta, al più, al giudice di legittimità la verifica dell'adeguatezza della motivazione sugli elementi indizianti operata dal giudice di merito e della congruenza di essa ai parametri della logica, da condursi sempre entro i limiti che caratterizzano la peculiare natura del giudizio di cassazione (per tutte Sez. U, n. 11 del 22/3/2000, Audino, Rv. 215828).


2.2. Nella specie Ge.Ro. è stato sottoposto alla misura della custodia cautelare in carcere, perché raggiunto da gravi indizi di colpevolezza in ordine alla ipotesi criminosa di cui al capo 22) dell'incolpazione provvisoria: "per il delitto di cui agli artt. 110, 56, 629 commi 1, 2 in relazione al comma 3 n.3 dell'art. 628, 416-bis.1 cod. pen. per avere - in concorso morale e materiale (con Ra.Sa. e Ro.Am.) mediante minaccia posta in essere nei confronti di Mi.Gi. titolare del ristorante Rosso di Sera manifestandosi quali componenti e comunque emissari di Cosa nostra nonché mediante minaccia consistita nel forare gli pneumatici della sua automobile - compiuto atti idonei ed univocamente diretti a costringere il medesimo Mi.Gi. ad acquistare forniture di ghiaccio alimentare dal Ra.Sa. procurando a quest'ultimo un ingiusto profitto consistente nel corrispettivo derivante dalle forniture con altrui danno. Con l'aggravante della minaccia posta in essere da persone che fanno parte dell'associazione di cui all'art. 416-bis cod. pen. Con l'aggravante di avere commesso il delitto avvalendosi delle condizioni previste dall'art. 416-bis.1 cod. pen. ed al fine di agevolare l'attività delle associazioni previste dallo stesso".


La prospettazione difensiva, che attribuisce all'indagato un mero danneggiamento mediante foratura di penumatici della vettura della persona offesa, si fonda su una non consentita lettura selettiva e parziale del materiale indiziario posto a fondamento dell'ordinanza cautelare.


Come risulta dal provvedimento genetico, le varie fasi della vicenda si pongono in diretta correlazione tra loro, sotto il profilo finalistico e temporale, e l'intervento di Ge.Ro. nella foratura delle gomme si inserisce in maniera programmatica e consapevole nell'iter criminoso volto a costringere la persona offesa a rifornirsi di ghiaccio da Ra.Sa. (cfr. pagg. 323-325): Ge.Ro. riporta a Ro.Am. (referente della cosca per la zona di Sferracavallo) la doglianza di Ra.Sa. sul fatto che Mi.Gi. aveva acquistato il ghiaccio da un altro fornitore; Ro.Am., sia nel dialogo con Ge.Ro., sia in un successivo incontro con Ra.Sa., autorizza l'intervento lasciando "campo libero"; Ge.Ro. e Ra.Sa. eseguono la foratura delle gomme della vettura di Mi.Gi.


E questo secondo uno schema generale, emerso dall'attività di indagine, che vedeva l'imposizione ai ristoratori delle località di M e S dell'obbligo dii acquistare prodotti ittici e ghiaccio alimentare da componenti della famiglia mafiosa di Na.To. (alla quale appartenevano Ra.Sa. e Ro.Am.).


La sequenza dei fatti e la collocazione dell'azione dimostrano la congruità delle valutazioni espresse dai giudici di merito, che hanno ravvisato gravi indizi di colpevolezza non rispetto a una ritorsione come punizione per una vicenda già esaurita, ma di un segnale intimidatorio, inserito in un'azione estorsiva unitaria ancora in fieri, diretta a costringere il ristoratore a rifornirsi di ghiaccio alimentare da Ra.Sa., esponente della cosca mafiosa (cfr. Sez. 2, n. 37297 del 28/06/2019, C., Rv. 277513-01; Sez. 2, n. 7555 del 22/01/2014, De Cicco, Rv. 258543-01; Sez. 2, n. 41167 del 02/07/2013, Tammaro, Rv. 256729-01; Sez. 6, n. 2070 del 10/11/1994, dep. 1995, Periodo, Rv. 200554-01).


2.3. La prospettazione difensiva circa una condotta di desistenza non ha pregio, poiché nei reati di danno a forma libera (quale è l'estorsione) la desistenza può aver luogo solo nella fase del tentativo incompiuto e non è configurabile una volta che siano posti in essere gli atti da cui origina il meccanismo causale capace di produrre l'evento (Sez. 2, n. 24551 del 08/05/2015, Supino, Rv. 264226-01).


3. Il secondo motivo è inammissibile sotto vari concorrenti profili.


Si denuncia una violazione di legge, ma di fatto si lamenta una erronea interpretazione della posizione del ricorrente nel processo "Metus" che refluirebbe sulla aggravante di cui all'art. 628, comma terzo, n. 3, cod. pen.


Non si adempie all'onere di autosufficienza del ricorso.


Non si indica quale sarebbe il vantaggio pratico perseguito dal ricorrente nell'ottenere, in sede cautelare, l'esclusione della circostanza aggravante in esame (cfr. tra le ultime Sez. 2, n. 17366 del 21/12/2022, dep. 2023, Renna, Rv. 284489-01).


4. Il terzo e il quarto motivo, che ineriscono alla aggravante di cui all'art. 416-bis.1 cod. pen., sono generici sia perché intrinsecamente indeterminati sia perché privi di confronto argomentativo con la motivazione offerta dall'ordinanza impugnata.


In particolare il terzo motivo, che contesta il metodo mafioso, si limita ad affermazioni astratte. Il quarto motivo, che si appunta sulla agevolazione mafiosa, si esaurisce in una mera contestazione, priva di ragioni a sostegno.


5. Discende il rigetto del ricorso, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.


La cancelleria curerà gli adempimenti di cui all'art. 94 comma 1-ter disp. att. cod. proc. pen.


P.Q.M.


Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.


Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 94 comma 1-ter disp. att. cod. proc. pen.


Così deciso in Roma il 23 luglio 2025.


Depositata in Cancelleria il 7 agosto 2025.

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