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Diffamazione: sussiste il fatto determinato se l'episodio viene spiegato nelle sue linee essenziali


Corte di Cassazione

La massima

In tema di diffamazione, per la sussistenza della circostanza aggravante dell'attribuzione di un fatto determinato è sufficiente che l'episodio riferito venga specificato nelle sue linee essenziali, in modo che risulti maggiormente credibile e che le espressioni adoperate evochino, alla comprensione del destinatario della comunicazione, azioni concrete e dalla chiara valenza negativa (Cassazione penale sez. V - 13/04/2021, n. 26512).

Fonte: CED Cass. pen. 2021


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La sentenza integrale

Cassazione penale sez. V - 13/04/2021, n. 26512

RITENUTO IN FATTO

1. Il Tribunale di Trapani, quale giudice d'appello, ha confermato la sentenza emessa dal Giudice di Pace di Trapani il 27.7.2019 con cui A.N. è stato condannato alla pena di 600 Euro di multa, concesse le attenuanti generiche, per il reato di diffamazione aggravata dall'attribuzione di un fatto determinato ai danni del Luogotenente della Guardia di Finanza V.G., in servizio presso il Nucleo di Polizia Tributaria di (OMISSIS), affermando, in una conversazione tenuta con più persone, che costui era in qualche modo corruttibile e facilmente "addomesticabile", poiché, previa dazione della somma di 500 Euro, si sarebbe potuto ottenere una riduzione della sanzione irrogata ai destinatari di un controllo della Guardia di Finanza il 9/10 febbraio 2013 posto in essere da altro militare, il Brigadiere M.G.. La condotta è stata contestata nell'ambito di un millantato credito pure imputato ad A., ex assessore comunale di (OMISSIS), delitto per il quale si è proceduto separatamente.


I fatti sono stati ricostruiti grazie alla denuncia di G.S. e S.P., i due soggetti coinvolti dall'imputato nella conversazione oggetto di reato e nell'organizzazione dell'evento tenutosi in un sito di (OMISSIS), al centro del controllo di cui si era prospettato un "aggiustamento"; in particolare, S., in quel contesto, era stato destinatario di una sanzione per irregolare impiego di un lavoratore elevata proprio dal Brigadiere M.; la trama probatoria si è snodata anche attraverso una registrazione audio effettuata da G. con l'imputato, effettuata con il proprio smartphone, in vista della richiesta di danaro, precedentemente anticipatagli.


Parallelamente, nei confronti dell'imputato è stata elevata la medesima accusa anche per la diffamazione ai danni di M., al centro di un diverso procedimento, egualmente deciso dal Collegio all'odierna udienza del 13 aprile 2021.


2. Ha proposto ricorso l'imputato, tramite il suo difensore, deducendo sei distinti motivi.


2.1. Con il primo si duole della violazione di legge riferita agli artt. 266 e 267 c.p.p. assumendo l'inutilizzabilità della registrazione della conversazione tra G. e l'imputato datata 5.4.2013, poiché attuata su sollecitazione della polizia giudiziaria, cui G. stesso si era già rivolto in occasione della prima richiesta formulata in presenza sua e di S..


2.2. Il secondo argomento di censura deduce violazione dell'art. 595 c.p. per la mancanza dell'offesa all'altrui reputazione e vizio di motivazione omessa ed insufficiente quanto alla configurabilità del reato a carico del ricorrente.


Le espressioni ritenute diffamatorie sono state interpretate nel senso poi contestato come attribuzione di un carattere di corruttibilità della persona offesa, mentre invece esse, per il loro tenore letterale, sono inidonee a consentire una simile lettura; si tratta, infatti, delle frasi: "Il Tenente V. è persona tranquillissima.. M. è troppo tranquillo" che di per sé e senza adeguata motivazione da parte del giudice non possono essere interpretate come sintomatiche di allusioni di corruttibilità, avendo invece il senso di manifestare la disponibilità degli operatori della Guardia di Finanza ad ascoltare le osservazioni alla contestazione amministrativa da loro elevata.


2.3. Il terzo motivo di ricorso deduce violazione di legge ancora avuto riguardo alla disposizione di cui all'art. 595 c.p. per non essere individuabile nelle frasi del ricorrente la persona offesa della diffamazione: il tenente V., infatti, non esiste, mentre la persona offesa ha il grado di maresciallo della Guardia di Finanza. In ogni caso, anche a voler ammettere che l'individuazione della persona offesa sia stata esattamente operata in seguito alle indagini, essa non era direttamente né facilmente evincibile dalla dichiarazione diffamatoria che, pertanto, manca di un requisito essenziale.


2.4. La quarta ragione di censura eccepisce assenza del requisito della comunicazione con più persone in quanto la registrazione della conversazione diffamatoria avrebbe visto protagonisti della conversazione soltanto l'imputato e G., non essendo rilevante l'intenzione di quest'ultimo di riferire ad altri del colloquio e dei suoi contenuti.


2.5. Il quinto motivo di ricorso deduce violazione di legge per insussistenza dell'aggravante prevista dall'art. 595 c.p., comma 2 non essendo determinato il fatto attribuito, ma soltanto la qualità eventualmente allusivamente offensiva di persona "tranquilla", nel senso di corruttibile.


2.6. Infine, un sesto argomento difensivo si duole della violazione degli artt. 12 e 541 per la condanna dell'imputato al pagamento delle spese processuali in favore della parte civile in modo eccessiva alla luce della mancata riunione del procedimento in esame con quello a carico dell'imputato, in relazione ai medesimi fatti ma che coinvolge l'altra persona offesa, il brigadiere M.G..


3. Il Sostituto Procuratore Generale ha chiesto, con requisitoria scritta, l'inammissibilità del ricorso.


4. La parte civile ha depositato un'articolata memoria di conclusioni con allegata nota spese (2.070 Euro, oltre accessori di legge).


5. Il ricorrente ha depositato memoria scritta con cui, ribadendo le ragioni già esposte nel ricorso e chiedendone l'accoglimento, evidenzia anche la prescrizione del reato.


CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile.


2. Il primo motivo è generico e, per quanto risulta dai provvedimenti conformi dei giudici di merito, si rivela anche manifestamente infondato.


Come noto, la giurisprudenza di questa Corte regolatrice ritiene che la registrazione fonografica di colloqui tra presenti è utilizzabile, come prova documentale ai sensi dell'art. 234 c.p.p., a condizione che sia certa la sua effettuazione da parte di uno dei partecipanti o comunque legittimati ad assistere all'incontro (Sez. 6, n. 5782 del 17/12/2019, dep. 2020, Savoini, Rv. 278452; Sez. 5, n. 41421 del 11/6/2018, Di Luzio, Rv. 275111).


Si è precisato che, ove difetti la prova, incombente sulla pubblica accusa, in ordine alla sussistenza di detta condizione, la registrazione va qualificata come una intercettazione inutilizzabile, in quanto lesiva dei diritti fondamentali dell'individuo costituzionalmente tutelati e realizzata in violazione del divieto previsto dall'art. 191 c.p.p., comma 1, (così ancora la citata sentenza n. 5782 del 2020).


Esiste contrasto, poi, relativamente alla valenza documentale o di intercettazione vera e propria della registrazione tra presenti effettuata da uno degli interlocutori ma su sollecitazione o d'intesa e con l'ausilio tecnico della polizia giudiziaria.


Una parte della giurisprudenza di legittimità (cfr. Sez. 2, n. 12347 del 12/2/2021, D'Isanto, Rv. 280996; Sez. 3, n. 39378 del 23/3/2013, C., Rv. 267806 e le conformi precedenti) ritiene che ciò determini la modifica dello statuto normativo applicabile, poiché in tal caso si sarebbe dinanzi non già ad un documento di prova ex art. 234 c.p.p., bensì ad un'intercettazione, inutilizzabile in assenza di un provvedimento motivato di autorizzazione del giudice o di decreto dispositivo del pubblico ministero.


Altra opzione, invece, ritiene che la registrazione fonografica di colloqui tra presenti, eseguita d'iniziativa da uno dei partecipi al colloquio, costituisce prova documentale, come tale utilizzabile in dibattimento, e non intercettazione "ambientale" soggetta alla disciplina dell'art. 266 c.p.p. e ss., anche quando essa avvenga su impulso della polizia giudiziaria e/o con strumenti forniti da quest'ultima con la specifica finalità di precostituire una prova da far valere in giudizio (cfr., da ultimo, Sez. 2, n. 50986 del 6/10/2016, dep. 2017, Occhineri, Rv. 268730; Sez. 4, n. 48084 del 11/7/2017, B., Rv. 271059).


Nel caso di specie, tuttavia, la dedotta inutilizzabilità della registrazione della conversazione tra G. e l'imputato, datata 5.4.2013, dovuta al fatto che essa sarebbe stata effettuata su sollecitazione della polizia giudiziaria, cui G. stesso si era già rivolto in occasione della prima richiesta formulata in presenza sua e di S., non trova riscontro nella piattaforma processuale, oltre a configurare una censura che è stata eccepita per la prima volta in sede di legittimità (in appello si era soltanto contestata la perizia eseguita sul supporto di memoria informatica contenente il file audio della conversazione).


La doglianza si rivela, pertanto, sia pur astrattamente proponibile per l'esistenza di un contrasto interpretativo sul punto, in verità del tutto generica, poiché il ricorrente non ha precisato in alcun modo le circostanze di fatto che determinerebbero l'applicabilità dello statuto normativo previsto per le intercettazioni, piuttosto che quello della prova documentale; la censura, per le ragioni già indicate, è anche del tutto priva di fondamento.


Ed infine, deve evidenziarsi come la prova del reato ascritto all'imputato sia fondata, per quanto risulta dalla chiara e lineare ricostruzione probatoria operata dal giudice d'appello, anche e soprattutto sulle dichiarazioni testimoniali di G.S., sulla cui attendibilità e credibilità si è speso adeguatamente il giudice d'appello, dichiarazioni che hanno riprodotto i contenuti cognitivi del documento audio da lui formato, sicché il ricorrente avrebbe dovuto dedurre la decisività della registrazione della conversazione di cui chiede l'inutilizzabilità sul compendio probatorio complessivamente posto a fondamento della sua condanna, nel solco dell'insegnamento delle Sezioni Unite, espresso nella sentenza Sez. U, n. 23868 del 23/4/2009, Fruci, Rv. 243416 ed oramai consolidato.


Invero, la conversazione registrata e che si chiede di espungere dal tessuto probatorio, da un lato, non si rivela determinante, poiché quello in essa contenuto non è l'unico colloquio cui ha preso parte l'imputato e nel corso del quale ha millantato di poter riuscire ad ottenere la riduzione della sanzione amministrativa inflitta dalla guardia di finanza, diffamando la persona offesa quale "collegamento" accondiscendente con il sottufficiale autore dell'accesso ispettivo, il brigadiere M. (ve ne è stato uno precedente e del tutto analogo, cui ha preso parte anche S. oltre che G.); dall'altro, la conversazione stessa risulta essere stata "riprodotta", nel suo contenuto descrittivo del secondo incontro avvenuto tra G. e l'imputato, dalla prova dichiarativa, rappresentata dalla testimonianza resa dal primo in dibattimento dinanzi al Giudice di Pace, confermata, peraltro, dalla testimonianza dell'avv. B., cui G. stesso si era rivolto sin dalla prima conversazione "allusiva" di una possibile corruzione dei militari nominati dal ricorrente.


3. I motivi dal secondo al quinto contestano, invece, complessivamente, gli elementi costitutivi del reato di diffamazione (capacità offensiva delle dichiarazioni; assenza del presupposto della comunicazione delle frasi offensive a più persone; non individuabilità dei diffamati nelle persone offese dalle "allusioni" del ricorrente) oltre che la sussistenza della circostanza aggravante dell'attribuzione di un fatto determinato, prevista dall'art. 595 c.p., comma 2.


Le ragioni di censura sono tutte generiche perché non si confrontano in alcun modo con i dati probatori messi in connessione logica dalla sentenza impugnata e si limitano a sostenere apoditticamente la tesi difensiva già proposta con l'atto di appello.


3.1. In particolare, del tutto aspecifica è l'eccezione relativa alla portata diffamatoria delle frasi pronunciate dal ricorrente, che hanno evidentemente alluso alla scarsa onestà della persona offesa, la quale, secondo la millantata prospettazione, sarebbe stata persona "tranquilla", malleabile, disponibile a rivedere le determinazioni della contestazione amministrativa elevata nei confronti di S. per l'evento svoltosi al (OMISSIS) - nel corso di un controllo cui V. neppure aveva partecipato - in cambio di una somma di danaro (indicata in 500 Euro).


Proprio la richiesta di danaro implicitamente ma chiaramente prospettata nella conversazione rende del tutto implausibile la tesi difensiva secondo cui l'imputato avrebbe inteso riferirsi alla mera disponibilità professionale all'ascolto della persona offesa.


La Corte d'Appello evidenzia bene la lesione della sfera di onorabilità del diffamato, che opera, nel caso di specie, sotto due concorrenti profili: quello morale, offeso dall'allusione chiara alla sua corruttibilità; quello più specificamente professionale, leso dalla prospettazione di essere la vittima capace di compiere atti illegali, contrari ai doveri d'ufficio.


Ed integra il reato di diffamazione, senza dubbio, l'attribuzione di un fatto illecito, addirittura costituente reato, come nella specie, nonché anche di comportamenti che, alla luce dei canoni etici condivisi dalla generalità dei consociati, siano suscettibili di incontrare la riprovazione della "communis opinio" (Sez. 5, n. 33106 del 28/9/2020, Mazzullo, Rv. 280104; Sez. 5, n. 18982 del 31/1/2014, Mauro, Rv. 263167).


3.2. Egualmente priva di qualsiasi fondamento è l'obiezione rivolta alla capacità individualizzante delle dichiarazioni diffamatorie, e cioè alla necessaria indicazione, ai fini della configurabilità del reato, del soggetto cui le offese sono rivolte.


Il riferimento al nome della persona offesa è sufficientemente preciso, anche per la constatazione che V.G. è proprio un sottufficiale in servizio presso la Guardia di Finanza di (OMISSIS), tanto che l'apertura del procedimento è stata a lui comunicata dai colleghi delegati alle indagini sulla denuncia sporta da G..


3.3. Analogamente, risulta generica e manifestamente infondata l'obiezione relativa al fatto che le frasi diffamatorie non sarebbero state riferite in un contesto di propalazione che vedeva la partecipazione di "più persone" (presupposto del reato, come noto).


Il giudice d'appello, ancora una volta, ha esplicitamente e diffusamente chiarito come le prove raccolte puntino con certezza alla diffusione delle offese in contesti con più di un interlocutore.


In entrambe le occasioni dei colloqui centrali per l'imputazione risulta, infatti, o la presenza fisica di S., oltre che di G. (il riferimento è all'incontro iniziale, avvenuto per strada, tra l'imputato e i due), ovvero la sicura destinazione della notizia al primo, parlando con il secondo (in occasione della registrazione audio realizzata da G. con il ricorrente).


Tanto basta a ritenere sussistente il presupposto di configurabilità del reato in esame, essendo principio condiviso e che il Collegio intende ribadire, quello secondo cui, al fine di integrare il reato di diffamazione, è necessario che l'autore della frase lesiva dell'altrui reputazione comunichi con almeno due persone ovvero con una sola persona ma con modalità tali che detta notizia venga sicuramente a conoscenza di altri (cfr., ex multis, Sez. 5, n. 522 del 26/5/2016, S., Rv. 269016; Sez. 5, n. 34178 del 10/2/2015, Corda, Rv. 264982).


Nella specie, per il contesto dei fatti, e in particolare per avere interesse l'imputato a far arrivare il "messaggio" a colui il quale era stato destinatario della sanzione amministrativa da "rivedere", che poteva, dunque, aver interesse ad avvicinare i militari operanti, è del tutto evidente che anche la seconda propalazione diffamatoria sia avvenuta alla presenza del solo G., ma sia stata destinata anche e soprattutto all'amico di questi, S.P..


La prova della presenza di entrambi, invece, al primo incontro con l'imputato, è stata con ampia motivazione messa in risalto dal provvedimento impugnato, facendo riferimento alle molteplici testimonianze sul punto.


3.4. Il quinto motivo di ricorso, riferito alla non configurabilità dell'aggravante dell'attribuzione di un fatto determinato, che non sarebbe stato contenuto nelle espressioni pronunciate, sia pur diffamatorie, è manifestamente infondato.


La tesi del ricorrente è che, al più, si possa sostenere che egli abbia alluso ad una generica corruttibilità della persona offesa ma non che abbia indicato una specifica sua condotta o comportamento contrario ai propri doveri d'ufficio, ovvero, in ogni caso, illecito.


Le ragioni difensive non possono trovare ingresso.


L'imputato non ha soltanto alluso con evidenza ed in più di un'occasione alla corruttibilità eventuale e "in genere" della persona offesa, luogotenente della Guardia di Finanza, ma ha tentato di far credere che, in relazione allo specifico episodio della sanzione amministrativa inflitta a S.P. da altro personale del medesimo corpo armato, lo stesso diffamato avrebbe potuto illecitamente ed illegittimamente intercedere in cambio di un "prezzo" in danaro.


Sussiste, pertanto, nella fattispecie, l'aggravante prevista dall'art. 595 c.p., comma 2, la quale richiede, come condizione sufficiente alla sua configurabilità, che l'episodio diffamante attribuito venga riferito nelle sue linee essenziali, con espressioni che evochino alla comprensione del destinatario della comunicazione azioni concrete e dalla chiara valenza negativa (vedi Sez. 1, n. 40200 del 29/9/2010, Rizzitelli, Rv. 244249; Sez. 5, n. 7599 del 12/5/1999, Scalfari, Rv. 213790; Sez. 5, n. 9201 del 25/6/1986, Teutsch, Rv. 173710).


Viceversa, è l'attribuzione ad un soggetto di qualità morali, di attitudini o inclinazioni negative non riferite a comportamenti specifici o azioni concrete del medesimo che non può ritenersi integrare l'ipotesi aggravata della attribuzione di un fatto determinato (Sez. 5, n. 13284 del 17/1/2013, F., Rv. 255061).


4. Manifestamente infondato e genericamente formulato, infine, è l'ultimo motivo di ricorso. La scelta di riunire i procedimenti è opzione tipica della gestione organizzativa e processuale dell'autorità giudiziaria procedente, né su di essa possono avere rilievo considerazioni di ordine economico afferenti agli interessi patrimoniali dell'imputato.


5. Il ricorso deve, pertanto, essere dichiarato inammissibile, di talché restano prive di efficacia le considerazioni del ricorrente relative all'eventuale decorso del termine di prescrizione (cfr. Sez. U, n. 32 del 22/11/2000, D.L., Rv. 217266), che comunque non sarebbe decorso per l'operare dei periodi di sospensione.


6. Alla declaratoria d'inammissibilità del ricorso segue, ai sensi dell'art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente che lo ha proposto al pagamento delle spese processuali nonché, ravvisandosi profili di colpa relativi alla causa di inammissibilità (cfr. sul punto Corte Cost. n. 186 del 2000), al versamento, a favore della Cassa delle Ammende, di una somma che si ritiene equo e congruo determinare in Euro 3.000.


L'imputato deve essere condannato, altresì, alla rifusione delle spese sostenute nel giudizio di cassazione dalla parte civile, che si ritiene congruo liquidare in Euro 2.070, oltre accessori di legge, come da richiesta.


P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende, nonché alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla parte civile, liquidate in complessivi Euro 2.070 oltre accessori di legge.


Così deciso in Roma, il 13 aprile 2021.


Depositato in Cancelleria il 12 luglio 2021



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