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Colpa medica: condanna per omessa refertazione di lesioni encefalitiche e sanguinamento intracranico

Omissione diagnostica

Colpa medica

Il caso di studio riguarda una sentenza della corte di cassazione pronunciata in un procedimento penale a carico di una radiologa accusata di aver cagionato colposamente il decesso di un paziente.

In particolare, al medico veniva contestato di aver con colpa grave escluso la presenza di lesioni encefalitiche e sanguinamento intracranico nella lettura e refertazione della TAC.

All'esito del processo di primo grado, il medico veniva condannato per il reato di omicidio colposo ma la sentenza veniva riformata in assoluzione nel successivo giudizio di appello.

Avverso la sentenza di condanna pronunciata dal giudice di appello, la parte civile proponeva ricorso per cassazione.

Analizziamo nel dettaglio la decisione della suprema corte.



Autorità Giudiziaria: Quarta Sezione della Corte di Cassazione

Reato contestato: Omicidio colposo ex art. 590 c.p.

Imputato: Radiologo

Esito: Ricorso accolto (solo agli effetti civili) - sentenza n.4903 (ud. 13/09/2022, dep. 06/02/2023)

Indice:


1. La condanna di primo grado

Con sentenza in data 2.7.2021 la Corte di Appello di Torino ha pronunciato, ad integrale riforma della pronuncia di condanna alla pena di otto mesi di reclusione resa dal Tribunale di Ivrea all'esito del primo grado di giudizio nei confronti di V.G. ritenuta responsabile per colpa grave nella lettura e refertazione della TAC per aver escluso la presenza di lesioni encefalitiche e sanguinamento intracranico del reato di omicidio colposo di un paziente ricoverato nell'ospedale ove la stessa svolgeva attività di radiologa e all'esito dell'esame radiologico dimesso dal medico di Pronto Soccorso, ma invece dopo pochi giorni deceduto a causa di un edema cerebrale, l'assoluzione dell'imputata perché il fatto non costituisce reato.


2. La sentenza di assoluzione in appello

In particolare, la Corte territoriale pronunciatasi a seguito di annullamento con rinvio della Quarta Sezione di questa Corte, che aveva rilevato in relazione alla pronuncia di conferma della condanna resa dalla Corte sabauda in data 7.5.2019, ivi impugnata, che il giudice di secondo grado avrebbe dovuto verificare, alla luce delle modifiche normative introdotte in tema di colpa medica dal decreto 8.11.2009 n. 189 e della successiva L. n. 24 del 2017 introduttiva dell'art. 590 sexies c.p., "la esistenza di linee guida regolatrici del caso di specie o comunque di buone pratiche clinico-assistenziali, stabilire il grado di colpa tenendo conto del discostamento da tali linee guida o, comunque, del grado di difficoltà dell'atto medico, stabilendo la qualità della colpa (imprudenza, negligenza o imperizia) ed il suo grado al fine di verificare se il caso rientri in una delle previsioni più favorevoli", nonché integrare "dal punto di vista motivazionale anche il giudizio controfattuale", ha ritenuto che i difformi giudizi degli specialisti intervenuti nel processo in relazione alla refertazione della TAC unitamente alla capacità di individuazione della malattia che affliggeva il paziente avesse determinato un'oggettiva difficoltà della prestazione richiesta alla radiologa.

Ha quindi affermato che nei confronti di quest'ultima fosse al più ravvisabile, in relazione all'evento letale, un profilo di colpa lieve, sul piano penale irrilevante, dovendosi semmai ascrivere il mancato rispetto delle linee guida e delle buone pratiche accreditate al medico del Pronto Soccorso, nei confronti del quale non era stata tuttavia esercitata l'azione penale.



3. I motivi di ricorso dei familiari del paziente:

Avverso il suddetto provvedimento la parte civile ha proposto, per il tramite del proprio difensore, ricorso per cassazione articolando tre motivi di seguito riprodotti nei limiti di cui all'art. 173 disp. att. c.p.p..


3.1 La radiologa non ha seguito le linee guida

Con il primo motivo lamenta, in relazione al vizio di violazione di legge riferito all'art. 41 c.p., art. 43 c.p., comma 3, artt. 113 e 589 c.p., D.L. n. 158 del 2012, art. 3 e art. 623 c.p.p., in primo luogo la non corretta individuazione delle linee guida cui avrebbe dovuto conformarsi l'operato della radiologa nell'esecuzione ed interpretazione della TAC eseguita sul paziente, costituite non già dal "percorso diagnostico terapeutico assistenziale per la gestione dell'emorragia subaracnoidea" riferite ai medici operanti nel Pronto Soccorso o comunque di guardia all'interno degli ospedali della regione, bensì alle linee guida nazionali in merito alla "diagnostica per immagini": queste ultime prevedono che, allorquando si tratti, come nel caso di specie, di indagini complesse, chiamate ad eseguirle debbano essere i medici che dispongono dell'esperienza clinica necessaria a valutarne i risultati, imponendosi la verifica che la prestazione concernente la materia radiologica ed interventista sia stata correttamente eseguita ed abbia un livello accettabile ai fini dell'interpretazione diagnostica, essendo il radiologo responsabile della scelta delle immagini su cui basa il proprio referto.

Evidenzia, pertanto, il discostamento dalle suddette linee direttrici della condotta dell'imputata che aveva certificato l'esclusione di qualsiasi versamento e raccolta ematica nel cranio del paziente senza neppure far cenno all'immagine sfocata fuoriuscita dall'esame dalla stessa eseguito e senza avere la competenza necessaria ad effettuare le relative valutazioni essendo la V. una radiologa generica e non una neuroradiologa specializzata nella diagnostica del cranio, con conseguente ravvisabilità nel suo operato della colpa grave per negligenza.



3.2 Sussiste il nesso causale tra condotta e decesso del paziente

Contesta altresì l'individuazione ad opera della Corte di appello della responsabilità del medico del Pronto Soccorso per aver dimesso il paziente prescrivendogli una mera terapia farmacologica, rilevando come l'eventuale comportamento colposo di costui fosse collegato all'ingannevole refertazione della TAC da parte dell'imputata e non avesse pertanto interrotto il nesso causale derivante dalla grave negligenza ed imperizia da parte di quest'ultima. Lamenta, infine, la mancanza di ogni giudizio controfattuale, quantunque fosse stato espressamente prescritto dalla sentenza rescindente già pronunciata da questa Corte, sulla falsariga di quello debitamente compiuto dal giudice di primo grado che aveva accertato come, se fosse stata posta in essere la condotta doverosa da parte della radiologa, l'evento letale non avrebbe avuto luogo con una percentuale che, seppure non assoluta, si aggirava comunque intorno al 47-68%: accertamento, questoi che, non avendo costituito oggetto di impugnazione da parte dell'imputata, doveva ritenersi coperto dall'autorità della cosa giudicata.


3.3 La radiologa ha omesso ogni riferimento alla sfocatura dell'immagine fuoriuscita dalla TAC

Con il secondo motivo invoca il vizio motivazionale per non avere la sentenza impugnata preso in esame il contenuto della refertazione resa dall'imputata con il quale era stata categoricamente esclusa ogni ipotesi di emorragia subaracnoidea, omettendosi da parte di costei di fare alcun riferimento alla sfocatura dell'immagine fuoriuscita dalla TAC e alla propria incompetenza specialistica: omissione questa che secondo la ricorrente non solo aveva violato le direttive della pronuncia rescindente, ma che aveva altresì avuto ineludibili ripercussioni sulla logicità del ragionamento seguito in merito all'individuazione e graduazione dell'elemento soggettivo, in tal modo erroneamente individuato nella colpa lieve


3.4 Il reato era prescritto prima della sentenza di assoluzione

Con il terzo motivo deduce l'intervenuta prescrizione del reato in contestazione al momento della pronuncia della sentenza impugnata essendo i relativi termini maturati alla data del 21.6.2021.


4. La difesa della radiologa

Con memoria trasmessa in data 29.7.2022 il difensore dell'imputata, nel contestare la fondatezza del ricorso, rileva come non fosse mai stata sollevata alcuna contestazione sull'adeguatezza dell'esame radiologico effettuato, né sulle modalità della sua esecuzione, né sulla qualità dell'immagine ottenuta per mezzo della TAC essendo stato contestato alla prevenuta soltanto di non averlo correttamente interpretato per effetto di negligenza ed imperizia e che pertanto del tutto irrilevanti fossero le linee guida relative alla diagnostica per immagini individuate dalla ricorrente ai fini dell'affermazione di responsabilità.

Evidenzia come secondo le suddette linee guida, sia soltanto il medico che ha in carico il paziente, una volta espletata l'indagine specialistica con esiti negativi o falsamente negativi, a doversi attivare, essendo perciò il medico di Pronto Soccorso che, dopo aver ricevuto gli esiti della TAC senza che la V. avesse rilevato segni di una patologia in atto, avrebbe dovuto procedere all'esecuzione di una puntura lombare sul signor R. secondo le linee guida in tema di sospetta ESA, anziché dimetterlo.

Sostiene che nessun errore di interpretazione fosse ascrivibile all'imputata, non avendo al contrario costei rilevato alcun segno da interpretare ed avendo conseguentemente emesso un referto negativo, né eseguito immagini di cattiva qualità, tanto che il perito neuroradiologo Dott. D., avente una specifica esperienza clinica, aveva visto ivi raffigurato un lieve spargimento emorragico, che certamente un radiologo non specialista non avrebbe potuto rilevare, come attestato dal fatto che anche il Dott. F., radiologo generale e primo consulente indicato dal perito, Dott.ssa C., aveva riscontrato la medesima difficoltà interpretativa dell'imputata.


5. La decisione della corte:

1. I primi due motivi del ricorso, da esaminarsi congiuntamente attesa la loro intrinseca connessione, devono ritenersi fondati.

I giudici del rinvio, pur avendo tenuto conto, in conformità ai principi enucleati dalla precedente sentenza di annullamento di questa Corte, delle modifiche normative introdotte in tema di responsabilità colposa per morte o lesioni personali in ambito sanitario che impongono di parametrare la condotta in contestazione alle raccomandazioni previste dalle linee guida come definite e pubblicate ai sensi di legge ovvero, in mancanza di queste, le buone pratiche clinico-assistenziali accreditate dalla comunità scientifica, purché adeguate alle specificità del caso concreto, non hanno tuttavia correttamente individuato i parametri regolatori del caso di specie.



5.1 Il radiologo deve attenersi alle sue linee guida non a quelle del medico di PS

Trattandosi di esame di natura radiologica, le linee guida applicabili non possono essere quelle prescritte per il medico che ha in carico il paziente, che certamente è chiamato a svolgere ulteriori accertamenti ove si trovi di fronte ad un caso clinico "di sospetta emorragia subaracnoidea" al successivo fine di valutare se intervenire o meno chirurgicamente, né quelle stabilite per il neurochirurgo incaricato del trattamento di un aneurisma già individuato, anch'esse riportate dai giudici torinesi, bensì quelle vigenti in materia di radiologia diagnostica.

Seppure debba ritenersi esente da vizi di violazione di legge l'individuazione della normativa applicabile, correttamente individuata, stante la successione di leggi nel tempo, nella disciplina vigente al tempo del contestato delitto in quanto più favorevole al reo, e dunque nel cd. decreto Balduzzi che, a differenza del successiva legge Gelli-Bianco, esclude la responsabilità per comportamenti connotati da negligenza o imprudenza del sanitario comunque attenutosi alle linee-guida o alle buone pratiche accreditate, va tuttavia rilevato che l'indagine primaria demandata al giudice del rinvio implicava la corretta selezione proprio delle linee guida cui rapportare la condotta tenuta in concreto dall'imputata al fine di poi valutare la configurabilità dell'addebito di negligenza o imperizia nell'eseguita refertazione.

E' infatti nell'ambito delle sue specifiche competenze professionali, nella specie di radiologa, che l'indagine doveva essere condotta, competenze ben diverse da quelle del medico di Pronto Soccorso che, invece, la sentenza impugnata ritiene esclusivamente responsabile dell'evento letale ancorché non imputato, al fine di valutare se la prevenuta si fosse o meno discostata dai parametri relativi all'esigibilità della prestazione richiestale, comprensiva non solo dell'esecuzione della tomografia encefalica, ma altresì del relativo referto, a fronte dei sintomi presentati dal paziente, la corretta individuazione dei quali soltanto avrebbe consentito di apprezzare la configurabilità della colpa e, a seguire, individuarne il grado e, ove rientrante nell'ambito della rilevanza penale, il nesso di causalità con la morte dell'uomo.


5.2 La radiologa avrebbe dovuto disporre un approfondimento diagnostico

L'erronea individuazione delle linee guida o comunque delle buone pratiche clinico-assistenziali ha indotto la Corte territoriale a tralasciare del tutto il profilo relativo all'omessa rappresentazione nel referto in contestazione di un'immagine non leggibile perché sfocata, così definita dalla stessa V. nel corso delle spontanee dichiarazioni rese innanzi al Tribunale di Ivrea o comunque non decifrabile da un medico privo, come l'imputata, delle specifiche competenze neuroradiologiche, secondo quanto emerso dagli accertamenti peritali.

E' infatti evidente come un referto attestante l'esclusione di segni o presenze anomale nel cranio del paziente, senza alcun ulteriore elemento, mai avrebbe potuto ingenerare nel sanitario del nosocomio che lo aveva preso in carico un dubbio in ordine alla possibile diagnosi di aneurisma, profilabile invece in caso di sospetta emorragia subaracnoidea, sospetto che in tanto può sorgere in quanto si ravvisino delle limitazioni alla leggibilità o all'interpretabilità degli esami, di natura più generale, già effettuati o in quanto vengano rappresentati da parte del radiologo incaricato oggettivi limiti di competenza.

La deriva imboccata dai giudici del rinvio si riflette, del resto, anche sul piano strettamente motivazionale, del tutto inconferente risultando il rilievo che individua, a fronte della mancata rappresentazione della non nitidezza dell'immagine della TAC, nella mancanza di preparazione specifica della radiologa e nella conseguente ritenuta inesigibilità di una condotta alternativa l'impossibilità dell'insorgenza di un sospetto da parte di costei sulla presenza di segni di un sanguinamento in corso nella zona cranica ispezionata: l'addebito che avrebbe dovuto costituire oggetto di accertamento sul piano della negligenza o dell'imperizia era se nell'impossibilità di lettura della TAC fosse licenziabile un referto attestante l'assenza di segni di una emorragia cerebrale, senza rappresentare la necessità di un approfondimento diagnostico.

Ne' può ritenersi, come adombra la difesa dell'imputata, che siffatto addebito esulasse dalla contestazione su cui si è incardinato il processo: dal momento che l'addebito mosso all'imputata era, secondo la testuale formulazione del capo di imputazione, quello della colposa omessa rappresentazione nel referto "che l'accertamento diagnostico aveva evidenziato a carico del paziente l'esistenza di lesioni encefaliche, edema cerebrale e sanguinamento intracranico che dovevano consigliare quantomeno un approfondimento diagnostico mediante consulenza neuroradiologica", non può non ritenersi ivi compresa la mancata evidenziazione di margini di incertezza, anche soltanto riferita alle proprie capacità di lettura correlate alla sua competenza, di un'immagine radiologica che la stessa imputata ha definito sfocata e sulla quale si era pertanto svolto il contraddittorio, avendo anche il perito affermato che "l'indagine mostrò l'evento emorragico in modo sfumato", dato questo che la stessa sentenza impugnata qualifica come pacifico (cfr. pag. 10).

Se già il principio fissato, secondo la costante interpretazione giurisprudenziale, in tema di correlazione tra accusa e sentenza impone di fare riferimento alla nozione strutturale di "fatto", contenuta nelle disposizioni di cui agli artt. 521 e 522 c.p.p., coniugata con quella funzionale, fondata sull'esigenza di reprimere solo le effettive lesioni del diritto di difesa, di talché in tanto ne è ravvisabile la violazione in quanto vi sia stata una modificazione dell'imputazione che pregiudichi le possibilità di difesa dell'imputato, trovandosi il fatto ritenuto in sentenza, rispetto a quello contestato, in rapporto di incompatibilità ed eterogeneità (ex multis Sez. 4, Sentenza n. 4497 del 16/12/2015, Addio, Rv. 265946; Sez. 3, n. 36817 del 14/06/2011, Rv. 251081), deve rilevarsi che questa Corte/ proprio in tema di reati col ò ha avuto modo di puntualizzare che la sua violazione non si esaurisce "mancanza formale di coincidenza tra l'imputazione originaria e il fatto ritenuto in sentenza, dovendo altresì estendersi al concreto pregiudizio che ne è derivato per l'esercizio del diritto di difesa, non sussistendo la violazione predetta ove, sulla ricostruzione del fatto operata dal giudice, le parti si siano confrontate nel processo (Sez. 4, Sentenza n. 32899 del 08/01/2021, PG c. Castaldo, Rv. 281997 - 09).


5.3 Sulla prescrizione vi è carenza di interesse

Quanto al terzo motivo relativo all'intervenuta prescrizione del reato, deve rilevarsi la carenza di interesse in capo alla ricorrente alla suddetta doglianza posto che, anche in caso di prescrizione del delitto, la Corte territoriale avrebbe dovuto comunque svolgere, in applicazione dell'art. 578 c.p.p., il giudizio sul fatto che sarebbe dunque pur sempre approdato, all'esito, alla medesima conclusione di non illiceità.

In conclusione, configurando la corretta individuazione delle linee guida cui la radiologa avrebbe dovuto conformarsi, un accertamento pregiudiziale che preclude la possibilità di ogni ulteriore sindacato di questa Corte, la sentenza impugnata deve essere annullata limitatamente agli effetti civili, demandandosi al giudice competente per valore in grado di appello il giudizio, unitamente alla liquidazione delle spese processuali relative alla presente fase di legittimità.


6. Dispositivo

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente agli effetti civili con rinvio per nuovo giudizio al giudice civile competente per valore in grado di appello, cui rimette anche la liquidazione delle spese tra le parti per questo grado di legittimità.


Così deciso in Roma, il 13 settembre 2022.

Depositato in Cancelleria il 6 febbraio 2023


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