Minacce e violenza per non pagare le consumazioni: configurabile l’estorsione anche per un profitto minimo (Cass. Pen. n. 34961/25)
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Minacce e violenza per non pagare le consumazioni: configurabile l’estorsione anche per un profitto minimo (Cass. Pen. n. 34961/25)

Minacce e violenza per non pagare le consumazioni: configurabile l’estorsione anche per un profitto minimo (Cass. Pen. n. 34961/25)

La massima

Integra il delitto di estorsione ex art. 629 c.p. – e non la violenza privata ex art. 610 c.p. – la condotta di chi, con minacce o violenza, costringe l’esercente a servire o a non pretendere il pagamento di consumazioni, procurandosi un ingiusto profitto con danno al gestore, anche se l’importo è modesto. Sussiste il concorso per chi rafforza o agevola l’azione del gruppo nel medesimo contesto spazio-temporale. La “lieve entità” è esclusa in presenza di modalità particolarmente violente e lesioni; l’attenuante di cui all’art. 62 n. 6 c.p. richiede risarcimento integrale e serio.


La sentenza integrale

Cassazione penale sez. II, 22/10/2025, (ud. 22/10/2025, dep. 27/10/2025), n.34961

RITENUTO IN FATTO


1. Con sentenza in data 13 febbraio 2025 la Corte di Appello di Catanzaro in parziale riforma della sentenza in data 23 maggio 2024 del Tribunale della medesima città ha


- escluso la circostanza aggravante di cui all'art. 416-bis.1 cod. pen.;


- dichiarato non doversi procedere in ordine al reato di danneggiamento (artt. 110,635 cod. pen.) di cui al capo C della rubrica delle imputazioni per difetto della condizione di procedibilità;


- rideterminato il trattamento sanzionatorio nei confronti del solo imputato Be.An.;


- revocato la sanzione accessoria di cui all'art. 2, comma 58, L. 92/2012;


- confermato nel resto la sentenza del Tribunale con la quale era stata affermata la penale responsabilità degli imputati Be.Co., Be.To., Am.Do. e Be.An. in relazione ai reati di concorso in estorsione aggravata e continuata di cui agli artt. 81 cpv., 110, 629, comma 2, in relaz. all'art. 628, comma 3, n. 1, cod. pen. (capo A della rubrica delle imputazioni) e di lesioni volontarie aggravate e continuate di cui agli artt. 81 cpv., 582 e 585 cod. pen. (capo B).


In estrema sintesi si contesta agli imputati, in concorso tra loro, a fronte della richiesta formulata da Pa.Se., gestore del bar "Il cremino" volta ad ottenere il pagamento di bevande già consumate, di avere minacciato il predetto gestore, di avergli gettato della banconote in faccia, di avergli richiesto la consegna di una bottiglia affermando che altrimenti "ca ti combiniamo nu bordellu", nonché di avere lanciato dei portatovaglioli all'indirizzo di un dipendente dell'esercizio commerciale (Si.Sa.) e poi di avere violentemente percosso lo stesso, altro dipendente (Br.Sa.) ed il predetto titolare dell'esercizio commerciale anche lanciando contro quest'ultimo del plexiglass ed il registratore di cassa, il tutto evocando Be.Co. la sua appartenenza ad una famiglia dotata di una speciale caratura criminale nella comunità ROM di C, in tal modo procurandosi l'ingiusto profitto del mancato pagamento delle consumazioni.


I fatti in contestazione risalgono al 30 gennaio 2022.


2. Ricorrono per Cassazione avverso la predetta sentenza i difensori degli imputati, deducendo


2.1. per Be.Co.


2.1.1. Violazione di legge e vizi di motivazione ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. con riguardo agli artt. 629,610 e 612 cod. pen. in relazione alla mancata riqualificazione del reato di estorsione in quello di minaccia o di violenza privata.


Deduce, al riguardo, parte ricorrente che la Corte territoriale non avrebbe adeguatamente approfondito nella sentenza impugnata gli elementi soggettivo ed oggettivo del reato di estorsione in contestazione, senza tenere conto degli elementi discriminanti indicati nella giurisprudenza tra il reato di cui all'art. 629 cod. pen. e quello di violenza privata, essendo l'azione del ricorrente consistita in un mero "tentativo arrogante" di ottenere la consumazione di bevande e non essendo stato chiarito nella motivazione della sentenza impugnata come l'azione compiuta si sia tradotta in una alterazione patrimoniale rilevante ai fini estorsivi.


Aggiunge la difesa del ricorrente che anche il lancio delle banconote sul viso del gestore del locale è stato un atto diretto a dimostrare la capacità di pagamento e non può essere considerato come una minaccia finalizzata all'ottenimento di un ingiusto profitto.


Il Be.Co. non avrebbe, poi, ottenuto alcun vantaggio patrimoniale dall'azione, non avendo acquisito nulla, con la conseguenza che l'episodio sfociato in una violenta colluttazione sarebbe rimasto legato ed una mera "pretesa di servizio" e non a motivi economici.


Inoltre, non sarebbe rinvenibile alcuna coordinazione programmata tra gli imputati finalizzata a portare a compimento una azione estorsiva ma solo una escalation impulsiva generata da tensione.


2.1.2. Violazione di legge e vizi di motivazione ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. in punto di trattamento sanzionatorio con riguardo al mancato riconoscimento all'imputato delle circostanze attenuanti generiche ed al contenimento nei minimi edittali della pena allo stesso irrogata.


Rileva la difesa del ricorrente che sarebbe caduta in errore la Corte territoriale nel non riconoscere all'imputato le circostanze attenuanti generiche con giudizio di prevalenza sulla residua circostanza aggravante, essendo stata esclusa quella originariamente contestata di cui all'art. 416-bis.1 cod. pen., non tenendo in debito conto la positiva condotta processuale e non applicando in criteri di cui all'art. 133 cod. pen., finendo in tal modo per irrogare al Berlingiere una sanzione decisamente spropositata.


2.1.3. Omesso riconoscimento della circostanza attenuante ex art. 62 n. 6 cod. pen. e delle circostanze attenuanti generiche.


Rileva la difesa del ricorrente che la Corte di appello ha ignorato il fatto che l'imputato già in primo grado ha effettuato il risarcimento del danno mediante un vaglia postale ed aggiunge che la motivazione con la quale è stato negato il riconoscimento della predetta circostanza attenuante è stata erroneamente riferita ad altro imputato e, comunque, non sarebbe corretta alla luce delle produzioni difensive. La sentenza impugnata sarebbe altresì contraddittoria nella parte in cui da un lato ha negato il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e dall'altro, nella determinazione del trattamento sanzionatorio, ha parlato di esclusione dell'aggravante dell'art. 416-bis.1 cod. pen. e di "giudizio di equivalenza" tra le circostanze.


Da ultimo, la difesa del ricorrente, ha richiamato la sentenza n. 74 del 7 aprile 2025 della Corte costituzionale relativa al disposto dell'art. 63, comma 3, cod. pen.


2.1.4. Si è, poi, già dato atto in premessa che la difesa dell'imputato ha fatto pervenire alla Cancelleria di questa Corte una memoria difensiva, con allegato, datata 18 ottobre 2025.


2.2. per Be.To.


2.2.1. Violazione di legge e vizi di motivazione ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. in ordine all'apporto causale fornito dal ricorrente alla presunta condotta estorsiva ex artt. 110 e 629 cod. pen.


Rileva al riguardo parte ricorrente che la ritenuta richiesta estorsiva sarebbe provenuta dal coimputato Be.Co. allorquando questi aveva raccolto delle banconote sbattendole in faccia alla persona offesa e che i Giudici di merito non avrebbero tenuto conto del fatto che dalle riprese video si evince che tale attività è stata posta in essere quando il Be.To. non era presente. L'imputato sarebbe quindi sopraggiunto attirato dagli accadimenti e sarebbe comunque rimasto in disparte allontanandosi al sopraggiungere degli altri coimputati.


Lo scagliare di oggetti contro i dipendenti del bar sarebbe quindi da ricondursi a qualcosa di diverso rispetto al pagamento delle consumazioni e non si tratterebbe di azione finalizzata a "spalleggiare" i coimputati.


La Corte di appello, senza spiegarne le ragioni, avrebbe accomunato la condotta del Be.To. a quella del Be.Co. senza tenere conto delle argomentazioni difensive che avevano ricondotto la condotta ad espressioni di contenuto razzista pronunciate dal titolare del bar.


2.2.2. Violazione di legge e vizi di motivazione ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. per erronea qualificazione delle condotte nella fattispecie di cui all'art. 629 cod. pen. anche alla luce delle dichiarazioni rese al riguardo dalla persona offesa dal reato Pa.Se.


Deduce la difesa del ricorrente che la Corte di appello, senza considerare le censure difensive, avrebbe dato per scontato che il fine dell'azione degli imputati era quello di sottrarsi al pagamento delle consumazioni ma ciò sarebbe contraddetto dalle risultanze patrimoniali e, in particolare, dalle dichiarazioni del Sestito che ha sostanzialmente dichiarato che il Be.Co. gli impose solo di ottenere delle altre consumazioni e non di subire il mancato pagamento delle stesse. Del resto, prosegue la difesa del ricorrente, il fatto che il Be.Co. aveva raccolto i soldi al fine di utilizzarli per percuotere il Pa.Se. non può che essere letto come un'azione finalizzata dimostrare a quest'ultimo la possibilità di pagare le consumazioni.


2.2.3. Violazione di legge e vizi di motivazione ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. in ordine all'applicazione della "lieve entità" della condotta.


Si duole, al riguardo, la difesa del ricorrente del contenuto della motivazione della sentenza impugnata relativa al mancato riconoscimento all'imputato della attenuante della lieve entità della condotta di cui alla sentenza n. 120/2023 della Corte costituzionale, in quanto non si sarebbe tenuto conto della mera occasionalità della condotta stessa non avendo gli imputati mai creato problemi in occasione di loro precedenti frequentazioni del medesimo locale.


Non sarebbe stato, inoltre, corretto affermare, come avvenuto nella sentenza impugnata in relazione alla determinazione del danno, che il gestore del locale sarebbe stato costretto ad eliminare il turno notturno a seguito della condotta degli imputati, ciò in quanto è emerso che i dipendenti si erano successivamente assentati per altre ragioni.


2.2.4. Violazione di legge e vizi di motivazione ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. in ordine alla concessione delle circostanze attenuanti generiche.


Evidenzia sul punto la difesa del ricorrente, oltre alla lieve entità del danno, il risarcimento effettuato dal Be.To. (sono in atti le ricevute dei versamenti fatti da due degli imputati) poteva essere valorizzato se non per il riconoscimento della attenuante di cui all'art. 62 n. 6 cod. pen. quantomeno per il riconoscimento delle circostanze attenuanti di cui all'art. 62-bis cod. pen.


Non si sarebbe poi tenuto conto della positiva condotta dell'imputato, sia in sede processuale, sia nei confronti delle persone offese in un periodo successivo ai fatti.


2.2.5. Violazione di legge e vizi di motivazione ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. in relazione agli artt. 81 cpv., 99, comma 1, nn. 1, 2, 3, commi 3 e 4, e 133 cod. pen. in relazione ai capi A e B della rubrica delle imputazioni.


Rileva la difesa del ricorrente che avrebbe errato la Corte di appello allorquando ha ritenuto priva di fondamento la richiesta di riqualificazione della recidiva reiterata e infraquinquennale contestata al Be.To. in recidiva semplice ex art. 99, comma 1, cod. pen.


Non sarebbe prospettabile, secondo la difesa del ricorrente, una ingravescenza della maggiore pericolosità dell'imputato emergente dalle condotte di cui è processo.


Inoltre, tra i precedenti dell'imputato nel quinquennio vi sarebbe solo una violazione degli obblighi inerenti alla violazione degli obblighi inerenti la sorveglianza speciale di Pa.Se. che, avendo natura contravvenzionale, non può giustificare la recidiva reiterata infraquinquennale.


Quanto al trattamento sanzionatorio, evidenzia, infine, la difesa del ricorrente che avrebbe errato la Corte di appello nel mantenere inalterata la sanzione irrogata dai Tribunale nonostante l'intervenuta esclusione della circostanza aggravante dell'art. 416-bis.1 cod. pen. e la pronuncia di non doversi procedere per difetto di querela in relazione al reato di cui al capo C della rubrica delle imputazioni.


2.3. per Am.Do.


2.3.1. Violazione di legge e vizi di motivazione ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. in ordine all'apporto causale fornito dall'Am.Do. alla presunta condotta estorsiva ex artt. 110 e 629 cod. pen.


Secondo la difesa del ricorrente avrebbero errato i Giudici di merito nel sostenere che gli imputati sarebbero arrivati assieme al bar e avrebbero agito come gruppo, risultando, per contro, dai videofilmati acquisiti che il Be.Co. avrebbe fatto ingresso nel bar da solo e che, quando lo stesso ebbe a discutere con il cassiere sbattendogli in faccia le banconote, l'Am.Do. non era presente in quanto entrato nell'esercizio commerciale successivamente a tale episodio.


Secondo la difesa del ricorrente, alla luce dell'evoluzione dei fatti, l'Am.Do. non poteva essere consapevole di quanto era in precedenza accaduto alla cassa dell'esercizio commerciale tra il titolare ed il Be.Co.


A ciò si aggiunge che l'imputato


a) non ha consumato al bancone alcuna bevanda;


b) non è stato visto né all'interno, né all'esterno, del locale insieme ai coimputati;


c) non ha partecipato all'aggressione delle persone offese;


d) non ha lanciato oggetti, né ha danneggiato alcunché.


Sempre secondo la difesa del ricorrente l'Am.Do. sarebbe quindi intervenuto successivamente alla presunta condotta estorsiva ed avrebbe dato uno schiaffo al cassiere perché era stato offeso dallo stesso. Si tratterebbe, pertanto, di un gesto del tutto estraneo alla condotta estorsiva ed a ciò si aggiunge che lo stesso imputato si sarebbe attivato per evitare che il frigorifero fosse portato all'esterno dell'esercizio commerciale, atteggiamento questo trascurato dalla Corte di appello che sarebbe, per contro, dimostrativo della insussistenza della condotta contestata nell'ottica di una consapevole compartecipazione nella stessa intesa anche solo a rafforzare la condotta dei coimputati.


Quanto, poi, alle dichiarazioni del teste Ma., la Corte territoriale avrebbe errato nel ritenerle non idonee a far dubitare della veridicità di quanto affermato dalla persona offesa Pa.Se., trascurando che le dichiarazioni del primo hanno trovato riscontro nella documentazione video acquisita agli atti.


2.3.2. Violazione di legge e vizi di motivazione ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. per erronea qualificazione delle condotte nella fattispecie di cui all'art. 629 cod. pen.


Le doglianze contenute nel motivo di ricorso sono sostanzialmente sovrapponibili a quelle formulate dalle difese dei coimputati Be.Co. (v. sup. par. 2.1.1.) e Be.To. (v. sup. par. 2.2.2) laddove si è evidenziato che non risulta provato e adeguatamente motivato che il fine perseguito dal Be.Co. e dai coimputati era quello di non pagare le consumazioni.


2.3.3. Violazione di legge e vizi di motivazione ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. in relazione all'art. 99 cod. pen.


La difesa del ricorrente richiama al riguardo il contenuto della sentenza della Corte costituzionale n. 185/2015 che ha dichiarato illegittima l'obbligatorietà della applicazione della recidiva prevista dal comma 5 dell'art. 99 cod. pen. ed evidenzia che la Corte di appello non ha prodotto motivazione idonea ed esaustiva per affermare che la pregressa condotta delittuosa dell'Am.Do. dimostra una inclinazione a delinquere ed in qual modo la stessa abbia


influenzato la condotta di cui al presente processo.


2.3.4. Violazione di legge e vizi di motivazione ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. in relazione al mancato riconoscimento della circostanza attenuante di cui all'art. 114 cod. pen.


Secondo la difesa del ricorrente la Corte di appello non avrebbe tenuto conto del fatto che l'Am.Do. si sarebbe dissociato dall'azione in atto e non avrebbe operato una doverosa graduazione delle responsabilità calibrandola al ruolo rivestito nell'occasione da ciascuno degli imputati.


2.3.5. Violazione di legge e vizi di motivazione ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. in relazione al mancato riconoscimento all'imputato delle circostanze attenuanti generiche.


La difesa dell'imputato si duole al riguardo del fatto che non è stata valorizzata la positiva condotta processuale dell'imputato che ha partecipato a tutte le udienze e che si è sottoposto ad esame per chiarire i fatti, nonché del fatto che il riconoscimento delle invocate circostanze avrebbe consentito l'irrogazione di una pena più contenuta nel rispetto della finalità rieducativa della stessa.


2.4. per Be.An.


2.4.1. Vizi di motivazione ex art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. in ordine all'apporto causale fornito dal ricorrente alla presunta condotta estorsiva.


Sulla premessa che la richiesta ritenuta estorsiva sarebbe stata posta in essere dal coimputato Be.Co., evidenzia la difesa del ricorrente che sulla base della cronologia degli eventi ricostruita dall'analisi delle riprese video appare verosimile che il Berlingieri non abbia in alcun modo percepito quanto proferito dal coimputato non essendo al momento presente all'interno del bar.


A ciò si aggiunge che il Be.Co. si sarebbe attivato per fermare altro imputato che si stava dirigendo veementemente contro qualcuno, così dimostrando anche l'assenza di un concorso morale nei fatti-reato contestati.


In sostanza, secondo la difesa del ricorrente le condotte tenute dal Be.Co. e dal Be.To. sarebbero del tutto separate rispetto alla condotta di Be.Co. e sarebbero piuttosto legate ad insulti di natura razziale a loro rivolti dai baristi, situazione sulla quale la Corte di appello non si sarebbe pronunciata.


2.4.2. Violazione di legge e vizi di motivazione ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. per erronea qualificazione delle condotte nella fattispecie di cui all'art. 629 cod. pen. in relazione a quanto affermato dalla persona offesa Pa.Se.


Il motivo di ricorso pone sostanzialmente le medesime questioni dedotte dalle difese dei coimputati Be.Co. (v. sup. par. 2.1.1.), Be.To. (v. sup. par. 2.2.2) e Am.Do. (v. sup. par. 2.3.2) sostenendo anche in questo caso che non vi è prova che la complessiva azione fosse finalizzata al mancato pagamento delle consumazioni.


2.4.3. Vizi di motivazione ex art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. in ordine alla (mancata - ndr.) applicazione della circostanza attenuante della "lieve entità" della condotta.


Si duole la difesa del ricorrente della mancata applicazione dell'invocata circostanza attenuante e sottolinea anch'essa che gli imputati pur avendo frequentato in precedenza il locale ove si svolsero i fatti non avevano mai creato problemi, né li hanno creati in epoca successiva, ribadendo anch'essa che le successive temporanee assenze dei dipendenti presso il bar risultano comunque essere legate a fattori non ricollegabili alle azioni in contestazione.


CONSIDERATO IN DIRITTO


1. Osserva in via preliminare il Collegio che non si potrà tenere conto del contenuto della memoria (con allegato) datata 18 ottobre 2025, trasmessa alla Cancelleria di questa Corte dalla difesa dell'imputato Be.Co., in quantopresentata oltre il termine di legge.


Al riguardo è sufficiente ricordare che "Il termine di quindici giorni per il deposito delle memorie difensive, previsto dall'art. 611 cod. proc. pen. relativamente al procedimento in camera di consiglio, è applicabile anche ai procedimenti in udienza pubblica, una volta richiesta la trattazione orale ai sensi dell'art. 23, comma 8, D.L. n. 137 del 2020, conv. in legge n. 176 del 2020, ed emesso il provvedimento presidenziale di trattazione in pubblica udienza, onde la sua inosservanza esime la Corte di cassazione dall'obbligo di prendere in esame le stesse. (Sez. 3, n. 5602 del 21/01/2021, P., Rv. 281647 - 02).


2. Prima di affrontare i motivi di ricorso che i riguardano il ruolo dei singoli imputati nei fatti-reato in contestazione, appare doveroso prendere le mosse dalla questione relativa alla qualificazione giuridica come estorsione della condotta tenuta nei confronti delle persone offese.


La questione risulta dedotta con i motivi di ricorso formulati nell'interesse degli imputati Be.Co.(sup. par. 2.1.1), Be.To. (sup. par. 2.2.2), Am.Do. (sup. par. 2.3.2) e Be.An.(sup. par. 2.4.2) che, di conseguenza, appaiono meritevoli di trattazione congiunta.


Il nucleo delle doglianze sostanzialmente risiede nel fatto che - secondo le difese dei ricorrenti - l'azione minacciosa e violenta posta in essere dapprima nei confronti del titolare dell'esercizio commerciale (Pa.Se.) e, immediatamente dopo, nei confronti degli altri dipendenti (Si.Sa. e Br.Sa.) non sarebbe stata finalizzata all'ottenimento di un profitto economico consistente nel mancato pagamento delle consumazioni, quanto piuttosto ad ottenere il servizio consistente nella consegna di ulteriori bevande.


In sostanza, sempre secondo le tesi difensive, le espressioni utilizzate da Be.Co.nei confronti del Pa.Se. sarebbero scaturite dalla manifestazione dell'intenzione di quest'ultimo di non servire ulteriori bevande agli imputati qualora costoro non avessero prima provveduto totale pagamento di quelle già consumate. Anche il lancio delle banconote sul viso del gestore del locale avrebbe dovuto essere interpretato come un atto diretto a dimostrare la capacità di pagamento e non poteva essere considerato come una minaccia finalizzata all'ottenimento di un ingiusto profitto. Quanto detto consentirebbe al più di qualificare l'azione come violazione dell'art. 610 cod. pen. - e fors'anche come violazione dell'art. 612 cod. pen. - ma non come estorsione.


Ritiene il Collegio la manifesta infondatezza dei motivi di ricorso qui in esame.


Va detto subito che la sentenza impugnata, in uno con quella del Tribunale, in relazione alla quale sul punto costituisce una cd. "doppia conforme" così da costituire un unico corpo motivazionale, risulta congruamente, quanto correttamente, motivata proprio in risposta ai profili ribaditi anche in questa sede dai ricorrenti. Inoltre, detta motivazione, non è di certo apparente, né "manifestamente" illogica e tantomeno contraddittoria sui punti essenziali della vicenda.


Sia la sentenza del Tribunale e che quella della Corte di appello risultano avere in modo estremamente dettagliato ricostruito gli eventi - sia sulla base delle ritenute attendibili (dai Giudici di entrambi i gradi di merito) dichiarazioni del Pa.Se. che sulla base dei filmati del circuito di videosorveglianza del locale (v. pagg. 10 e 11 della sentenza di appello) - ed avere delineato i punti salienti della vicenda che così in modo estremamente sintetico possono essere ricostruiti


a) tutti gli odierni imputati la sera dei fatti avevano consumato assieme bevande alcoliche presso il bar "Il cremino" per un totale di 30 euro;


b) ad un certo punto della serata gli imputati avevano iniziato ad uscire dal bar senza pagare le bevande consumate;


c) il Pa.Se., dopo essersi accertato del mancato pagamento delle consumazioni, aveva chiesto contezza della cosa a Be.Co. il quale era nel frattempo rientrato nel bar chiedendo di servirgli un'altra consumazione;


d) il Be.Co. aveva reagito violentemente colpendo il titolare del bar con pugni alla fronte ed anche con alcune banconote che teneva in mano intimandogli al tempo stesso di dargli "a forza" ciò che pretendeva;


e) l'aggressione era poi proseguita con l'intervento degli altri tre imputati che avevano tenuto le condotte descritte nel capo A della rubrica delle imputazioni anche contro gli altri dipendenti dell'esercizio commerciale (Si.Sa. e Br.Sa.).


Sia la Corte di appello nella sentenza impugnata, che prima di essa il Tribunale, con una motivata valutazione di merito - come tale insindacabile in sede di legittimità - basata su di una attenta e complessiva ricostruzione dei fatti, hanno evidenziato come vi è la possibilità di ricondurre l'azione posta in essere alla volontà di ottenere ulteriori bevande alcoliche senza però che il Pa.Se. ("del tutto intimidito, rassegnato rispetto agli eventi e soggiogato dal gruppo") potesse pretenderne il pagamento.


È poi di tutta evidenza, in quanto neppure contestato dalle difese degli odierni ricorrenti, che in occasione dei fatti gli imputati non ebbero a provvedere al saldo delle bevande già consumate, così ottenendo un profitto economico dall'azione compiuta con danno del titolare dell'esercizio commerciale.


Se quelle descritte sono le conformi valutazioni dei Giudici di entrambi i gradi di merito, come detto, permeate da logica e confortate dalle emergenze probatorie, per contro deve osservarsi che i ricorrenti, sotto il profilo del vizio di motivazione e dell'asseritamente connessa violazione di legge nella valutazione del materiale probatorio, tentano in realtà di sottoporre a questa Corte di legittimità un nuovo giudizio di merito.


Al Giudice di legittimità è infatti preclusa - in sede di controllo della motivazione - la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti e del relativo compendio probatorio, preferiti a quelli adottati dal giudice del merito perché ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa. Tale modo di procedere trasformerebbe, infatti, la Corte nell'ennesimo giudice del fatto, mentre questa Corte Suprema, anche nel quadro della nuova disciplina introdotta dalla legge 20 febbraio 2006 n. 46, è - e resta - giudice della motivazione.


In sostanza, in tema di motivi di ricorso per cassazione, non sono deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo; per cui sono inammissibili tutte le doglianze che "attaccano" la persuasività, l'inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell'attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento (Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015, O., Rv. 262965).


Quanto appena detto riguarda non solo la valutazione di attendibilità della persona offesa Pa.Se., che gli stessi Giudici di merito hanno - anche in questo caso motivatamente -affermato non essere smentita dalle dichiarazioni del teste Ma. (richiamato nel ricorso formulato nell'interesse dell'imputato Am.Do.), soggetto che ha reso dichiarazioni indicate come reticenti e quindi non attendibili, ma anche la valutazione del contenuto delle dichiarazioni dibattimentali dello stesso Pa.Se. riportate testualmente (ancorché solo in alcuni passaggi) nei ricorsi, dichiarazioni che non appaiono di certo porsi in contrasto con le conclusioni alle quali sono addivenuti i Giudici di merito e non consentono, con altrettanta certezza, di ritenere che detti Giudici siano incorsi in un travisamento del materiale probatorio.


In punto di diritto appare sufficiente all'odierno Collegio rilevare che è corretta la riconduzione delle condotte descritte alla fattispecie di cui all'art. 629 cod. pen. non potendosi ipotizzare la riqualificazione delle stesse nella fattispecie di cui all'art. 610 cod. pen. atteso che, come questa Corte ha avuto modo di chiarire che "Integra il delitto di estorsione e non quello di violenza privata, la condotta del soggetto che faccia uso di violenza o minaccia per costringere il gestore di un bar a fornirgli consumazioni senza pagare il corrispettivo, così procurandosi un ingiusto profitto, anche se esiguo, con relativo danno per il soggetto coartato" (Sez. 2, n. 9024 del 05/11/2013, dep. 2014, Lauria, Rv. 259065 - 01).


3. La valutazione di manifesta infondatezza dei motivi investe, poi, anche i motivi di ricorso nei quali i difensori degli imputati diversi da Be.Co., tentano di escludere un apporto concorsuale dei propri assistiti, sia sotto il profilo oggettivo che sotto quello soggettivo, all'azione estorsiva.


Si tratta dei motivi di ricorso sopra riassunti al par. 2.2.1 per Be.To., al par. 2.3.1 per Am.Do. ed al par. 2.4.1 per Be.An.


Non sfugge che tutti i predetti motivi di ricorso tendono inammissibilmente a decontestualizzare ed a frazionare le condotte dei ricorrenti invece nel dettaglio ricostruite in entrambe le sentenze di merito.


Si sostiene dalle difese che dall'analisi dei filmati del circuito di videosorveglianza i coimputati di Be.Co. non erano presenti al momento in cui questi ebbe a proferire la richiesta estorsiva nei confronti del Pa.Se., richiesta che quindi avrebbero ignorato, e si giunge a sostenere che le azioni violente posta in essere dal Bevilacqua e da Be.An. costituirebbero non una fase dell'azione estorsiva ma una risposta ad insulti razziali che costoro avevano subito dal personale dell'esercizio commerciale.


Appare doveroso rilevare che in ordine a quest'ultimo aspetto i Giudici di entrambi i gradi merito hanno chiarito che la questione dei motivi "razziali" risulta meramente dedotta ma non altrimenti provata e che i ricorrenti non sono stati in grado di aggiungere alcunché a corredo delle rispettive tesi difensive.


Ciò premesso, rileva il Collegio, che risulta di palmare evidenza dalle sentenze di merito e non smentito sulla base della ricostruzione dei frangenti dell'azione delittuosa


a) che gli imputati avevano consumato bevande presso l'esercizio commerciale "il Cremino" che alla fine non sono state interamente pagate, così tutti beneficiando delle conseguenze economiche dell'azione delittuosa;


b) che gli imputati erano membri di un unico gruppo di avventori ancorché entrati ed usciti dal bar in momenti diversi ma comunque prossimi;


c) che l'azione delittuosa si è perfezionata non solo mediante la minaccia rivolta da Be.Co. al Pa.Se. finalizzata ad ottenere l'ulteriore somministrazione di bevande ma anche nelle successive azioni violente poste in essere dagli odierni coimputati che, come detto, hanno portato al mancato pagamento delle consumazioni già effettuate (che è, per l'appunto, l'oggetto della contestazione di cui al capo A della rubrica delle imputazioni);


d) che non è provata alcuna ragione differente dalla finalità estorsiva de qua per la quale i soggetti diversi da Be.Co. avrebbero adottato le descritte condotte violente;


e) che al di là di potenziali discrasie segnalate nei ricorsi circa i momenti di ingresso e di uscita dall'esercizio commerciale rispetto a Be.Co. è comunque un dato di fatto che le azioni di tutti gli imputati si sono svolte in un unico contesto spazio-temporale, tanto è vero che i movimenti consequenziali degli imputati sono stati ripresi a brevissima distanza (talvolta anche solo di pochi secondi) l'uno dall'altro;


f) che, infine, come sempre emerso dalle sentenze di merito, tutti gli imputati, con le modalità riportate anche nel capo di imputazione, hanno singolarmente fornito un contributo materiale oltre che morale al perfezionamento dell'azione delittuosa.


Da quanto detto ne consegue che non può ravvisarsi alcuna illogicità manifesta nelle motivazioni dei Giudici di merito laddove hanno ritenuto un concorso di tutti gli odierni imputati nell'azione delittuosa sottolineando (v. pag. 21 della sentenza di appello) che gli altri imputati, pur potendolo fare, non hanno preso le distanze dall'azione violenta e minacciosa iniziata dal Be.Co. ed anzi vi hanno partecipato pienamente mediante una condotta collettiva di rafforzamento dell'azione del proposito criminoso e di agevolazione dello stesso, in tal modo aderendo al proposito criminoso avviato dal primo, mediante una partecipazione attiva che ha riguardato anche la produzione di lesioni personali oltre che al danneggiamento del locale.


In tale quadro resta solo da aggiungere che i Giudici del merito hanno dato adeguate e logiche risposte anche alle doglianze difensive che proponevano letture alternative dei fatti quali il fatto che la condotta di Be.Co. consistita nel fatto di avere "sbattuto" delle banconote in faccia al Pa.Se. era solo indicativa della capacità di adempiere alle obbligazioni contratte o che le condotte successive di Am.Do. erano da valutare come una sorta di dissociazione dall'azione dei correi.


Sul punto deve essere ricordato che nel caso in esame i ricorrenti propongono, peraltro in via ipotetica, ricostruzioni degli accadimenti e delle condotte alternative a quelle operata dai giudici di merito, ma, in materia di ricorso per Cassazione, perché sia ravvisabile la manifesta illogicità della motivazione considerata dall'art. 606 primo comma lett. e) cod. proc. pen., la ricostruzione contrastante con il procedimento argomentativo del giudice, deve essere inconfutabile, ovvia, e non rappresentare soltanto un'ipotesi alternativa a quella ritenuta in sentenza (cfr.. con riferimento a massime di esperienza alternative, Sez. 1, n. 13528 del 11/11/1998, Maniscalco, Rv. 212054), dovendo il dubbio sulla corretta ricostruzione del fatto-reato nei suoi elementi oggettivo e soggettivo fare riferimento ad elementi sostenibili, cioè desunti dai dati acquisiti al processo, e non ad elementi meramente ipotetici o congetturali seppure plausibili (Sez. 4, n. 22257 del 25/03/2014, Guernelli, Rv. 259204; Sez. 5, n. 18999 del 19/02/2014, Rv. 260409).


Da ultimo, deve essere anche ricordato in via generale che, questa Corte ha chiarito che in sede di legittimità non è censurabile una sentenza per il suo silenzio su una specifica deduzione prospettata col gravame quando la stessa è disattesa dalla motivazione della sentenza complessivamente considerata. Pertanto, per la validità della decisione non è necessario che il giudice di merito sviluppi nella motivazione la specifica ed esplicita confutazione della tesi difensiva disattesa, essendo sufficiente per escludere la ricorrenza


del vizio che la sentenza evidenzi una ricostruzione dei fatti che conduca alla reiezione della deduzione difensiva implicitamente e senza lasciare spazio ad una valida alternativa. Sicché, ove il provvedimento indichi con adeguatezza e logicità quali circostanze ed emergenze processuali si sono rese determinanti per la formazione del convincimento del giudice, sì da consentire l'individuazione dell'iter logico-giuridico seguito per addivenire alla statuizione adottata, non vi è luogo per la prospettabilità del denunciato vizio di preterizione (Sez. 2, n. 29434 del 19.5.2004, Candiano, Rv. 229220; Sez. 2, n. 1405 del 10/12/2013, dep. 2014, Cento, Rv. 259643).


4. Passando, ora, all'esame dei motivi di ricorso relativi alle circostanze dei reati e, più in generale, al trattamento sanzionatorio riservato agli imputati occorre osservare quanto segue.


4.1. Lamentano, innanzitutto, le difese dei ricorrenti Be.Co.(v. sup. par. 2.1.3) e Be.To. (v. sup. par. 2.2.4) il mancato riconoscimento dell'invocata circostanza attenuante di cui all'art. 62 n. 6 cod. pen.


Al riguardo la Corte di appello ha premesso (pag. 21) che, quanto al Be.To. la difesa aveva prospettato che era intervenuta una proposta risarcitoria al Pa.Se., ma ha chiarito che più che di un'offerta di risarcimento, al Pa.Se., nei giorni successivi ai fatti avevano fatto visita alcuni ROM che avevano preteso che la persona offesa rilasciasse una dichiarazione attestante l'intervenuto risarcimento dei danni a suo favore.


Quanto, in particolare, alla possibilità di riconoscere la circostanza attenuante di cui all'art. 62 n. 6, cod. pen. sia la Corte di appello (pag. 21) che il Tribunale (pagg. 35 e 36) hanno adeguatamente evidenziato, al di là delle modalità con le quali è stata compiuta portata ad evidenza l'offerta risarcitoria, l'assoluta modestia del quantum economico offerto, da non ritenersi minimamente adeguato a risarcire i danni morali e materiali patiti dalla persona offesa.


Osserva il Collegio che le doglianze difensive alla luce del quantum indicato nelle sentenze di merito - 100,00 Euro offerti dal Be.To. e con ammontare neppure indicato nel ricorso presentato dalla difesa del Be.Co. (che sul punto deve essere tacciato di assoluta genericità non bastando di certo il richiamo al contenuto di un verbale di udienza nel quale tale importo non è indicato) - appaiono manifestamente infondate sol che si tenga conto che questa Corte ha chiarito che ai fini della configurabilità della circostanza attenuante prevista dall'art. 62, primo comma, n. 6, cod. pen., il risarcimento del danno deve essere integrale, comprensivo non solo di quello patrimoniale, ma anche di quello morale, e la valutazione della sua congruità è rimessa all'apprezzamento del giudice (Sez. 2, sent. n. 9143 del 24/01/2013, Corsini, Rv. 254880) e, ancora, che ai fini della configurabilità della circostanza attenuante di cui all'art. 62, comma primo, n. 6 cod. pen., il risarcimento del danno deve essere integrale, comprensivo, quindi, della totale riparazione di ogni effetto dannoso, e la valutazione in ordine alla corrispondenza fra transazione e danno spetta al giudice, che può anche disattendere, con adeguata motivazione, finanche ogni dichiarazione satisfattiva resa dalla parte lesa (Sez. 4, n. 34380 del 14/07/2011, Allegra, Rv. 251508) e ciò in quanto detta valutazione spetta d'ufficio al giudice, indipendentemente dalle dichiarazioni della parte offesa (la quale, in ipotesi, potrebbe anche rinunciare al risarcimento) ed indipendentemente da un eventuale accordo raggiunto fra le parti ove non sia realmente satisfattivo (Sez. 1, n. 5767 del 8/1/2010, Scotuzzi, Rv. 246564; Sez. 4, n. 3897 del 24/2/1983, Bonazzi, Rv. 158783), proprio perché la concessione o il diniego delle attenuanti è materia sottratta alla volontà delle parti ed è soggetta solo ai presupposti indicati dalla legge (volontarietà ed integrante del risarcimento avvenuto prima del giudizio di primo grado)


la cui verifica, lo si ribadisce, spetta solo al giudice.


4.2. Ad analoghe conclusioni circa la manifesta infondatezza delle doglianze difensive deve addivenirsi ai motivi di ricorso avanzati dalle difese degli imputati Be.To. (v. sup. par. 2.2.3) a Be.An. (v. sup. par. 2.4.3) con riguardo al mancato riconoscimento della circostanza attenuante della lieve entità del fatto.


La Corte di appello, con motivazione congrua e corrispondente ai principi di diritto che regolano la materia ha, con un assunto condiviso anche dall'odierno Collegio, evidenziato che la lieve entità del fatto non può essere ricondotta esclusivamente al valore delle bevande non pagate ma deve essere parametrata ad altri elementi e sul punto ha sottolineato le modalità particolarmente gravi e violente di estrinsecazione delle condotte e la gravità dei danni, da intendersi non solo riferiti a quello patrimoniale ma anche a quello arrecato all'integrità fisica e morale della persona offesa, avuto riguardo pure al pregiudizio ulteriore patito dal Pa.Se., che ha perso un dipendente e che - al contrario da quanto sostenuto dalle difese (e ribadito anche in questa sede di legittimità con argomenti non idonei a ritenere infondate le affermazioni dei Giudici di merito) - ha anche dovuto interrompere il servizio notturno perché i residui dipendenti rifiutavano di prestare la propria attività lavorativa oltre le ore 01 00 di notte.


4.3. Le difese degli imputati Bevilacqua (v. sup. par. 2.2.5) e Am.Do. (v. sup. par. 2.3.4) hanno poi contestato il riconoscimento ad entrambi della recidiva.


Anche in questo caso i Giudici di entrambi i gradi di merito hanno, con motivazioni congrue e rispondenti ai principi di diritto che regolano la materia, dato risposta (v. in particolare pag. 25 della sentenza di appello) alle doglianze che sono state riproposte anche in questa sede di legittimità evidenziando che la contestazione della recidiva contestata a ciascuno degli imputati che se ne sono doluti è giustificata in ragione della maggiore pericolosità delle nuove condotte alla luce dei precedenti anche specifici gravanti sugli imputati, "nonché tenuto conto delle insidiose e allarmanti modalità dei fatti accertati", poi aggiungendo che "il numero e la gravità dei precedenti penali gravanti sugli imputati, la loro distribuzione cronologica e la prossimità dell'ultimo con quelli in contestazione, appaiono indicativi di una ingravescente progressione criminosa che conferisce maggiore disvalore ai nuovi reati, rendendoli meritevoli di un inasprimento sanzionatorio non avendo, peraltro, gli imputati tratto alcun effetto rieducativo dalle precedenti condanne".


Resta solo da dire che la Corte di appello (sempre a pag. 25) ha dato adeguata e corretta risposta anche alla questione sollevata dalla difesa dell'imputato Be.To. che richiedeva la riqualificazione della contestata recidiva specifica, reiterata ed infraquinquennale nella recidiva semplice (ex art. 99, comma 1, cod. pen.) sottolineando che uno dei reati commessi nel quinquennio era di natura contravvenzionale evidenziando le ulteriori oggettive risultanze del certificato del casellario giudiziale dell'imputato.


Ne consegue che anche i motivi di ricorso esaminati nel presente paragrafo sono da ritenersi manifestamente infondati.


4.4. La difesa dell'imputato Am.Do. (v. sup. par. 2.3.4) contesta poi anche il mancato riconoscimento allo stesso della circostanza attenuante di cui all'art. 114, comma 1, cod. pen.


Anche in questo caso la motivazione della sentenza impugnata (pagg. 18 e 19) che ha respinto il riconoscimento dell'invocata circostanza attenuante risulta congruamente e logicamente motivata avendo la Corte territoriale, dopo avere ricostruito le condotte attive dell'Am.Do., condivisibilmente evidenziato che non sussistono gli estremi necessari alla configurazione della minima partecipazione all'azione delittuosa non potendosi certo affermare che il contributo dell'Am.Do. si sia concretizzato nell'assunzione di un ruolo del tutto marginale così lieve, rispetto all'evento, da risultare trascurabile nell'economia generale del crimine commesso, sia con riguardo alla fattispecie estorsiva che con riguardo alle altre condotte in contestazione.


Rileva il Collegio che quanto affermato dalla Corte di appello è conforme al principio anche di recente ribadito da questa Corte secondo il quale "In tema di concorso di persone nel reato, per l'integrazione dell'attenuante della minima partecipazione di cui all'art. 114 cod. pen., non è sufficiente una minore efficacia causale dell'attività prestata da un correo rispetto a quella realizzata dagli altri, in quanto è necessario che il contributo si sia concretizzato nell'assunzione di un ruolo del tutto marginale, ossia di efficacia causale così lieve, rispetto all'evento, da risultare trascurabile nell'economia generale del crimine commesso" (ex ceteris Sez. 4, n. 26525 del 07/06/2023, Malfarà, Rv. 284771 - 01), il che determina la manifesta infondatezza anche del motivo di ricorso qui esaminato.


4.5. Le difese degli imputati Be.Co.(v. sup. par. 2.1.3 e 2.1.3), Be.To. (v. sup. par. 2.2.4) e Am.Do. (v. sup. par. 2.3.5) lamentano, poi, il mancato riconoscimento a ciascuno di essi delle circostanze attenuanti generiche e, più, in generale l'eccessività del trattamento sanzionatorio irrogato sottolineando elementi di positiva valutazione nelle condotte degli imputati che non sarebbero state tenute in debita considerazione dai Giudici di merito.


Rileva il Collegio che anche in questo caso le doglianze sono manifestamente infondate.


Sia il Tribunale che la Corte di appello risultano, infatti, avere adeguatamente motivato circa il mancato riconoscimento delle predette circostanze attenuanti. In particolare, la Corte territoriale (pag. 25) ha sottolineato ai fini di non riconoscere il beneficio, la gravità dei fatti accertati correlata all'intensità del dolo, la personalità dei rei desunta dalla gravatissima biografia personale, nonché l'impossibilità di rinvenire nella condotta degli imputati un qualche elemento atipico da elevare a fondamento dell'invocata attenuazione.


Sul punto appare sufficiente ricordare che questa Suprema Corte ha più volte affermato che, al fine di ritenere o escludere le circostanze attenuanti generiche il giudice può limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall'art. 133 cod. pen., quello che ritiene prevalente ed atto a determinare o meno il riconoscimento del beneficio, sicché anche un solo elemento attinente alla personalità del colpevole o all'entità del reato ed alle modalità di esecuzione di esso può risultare all'uopo sufficiente (Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, Rv. 279549) e, ancora, che ai fini dell'assolvimento dell'obbligo della motivazione in ordine al diniego della concessione delle attenuanti generiche, il giudice non è tenuto a prendere in considerazione tutti gli elementi prospettati dall'imputato, essendo sufficiente che egli spieghi e giustifichi l'uso del potere discrezionale conferitogli dalla legge con l'indicazione delle ragioni ostative alla concessione delle circostanze, ritenute di preponderante rilievo. Adempimento che risulta adeguatamente assolto nel caso in esame.


4.6. La difesa dell'imputato Be.To. ha, infine, lamentato il fatto (v. sup. par. 2.2.5) che nei confronti dello stesso non risulta essere stata operata dalla Corte di appello alcuna riduzione del trattamento sanzionatorio rispetto a quello irrogato dal Tribunale nonostante che sia intervenute la declaratoria di improcedibilità del reato di danneggiamento di cui al capo C della rubrica delle imputazioni e l'esclusione della circostanza aggravante di cui all'art. 416-bis.1 cod. pen.


Il Tribunale aveva irrogato all'imputato la pena finale di anni 13 e mesi 4 di reclusione ed Euro 6.000,00 di multa così determinata ritenuto più grave il reato di cui al capo A anni 6 di reclusione ed Euro 2.700,00 di multa, aumentata per effetto della recidiva ad anni 10 di reclusione ed Euro 4.500,00 di multa, senza operare un ulteriore aumento per l'aggravante di cui all'art. 416-bis.1 cod. pen. ai sensi dell'art. 63, comma 4, cod. pen. ulteriormente aumentata per la continuazione di anni 3 e mesi 4 di reclusione ed Euro 1.500,00 di multa stante il limite di cui all'art. 81, comma 4, cod. pen.


La Corte di appello ha evidenziato al riguardo (pag. 27) che il Tribunale non aveva applicato già nella sentenza di primo grado alcun aumento di pena in relazione alla circostanza aggravante (esclusa in sede di impugnazione) di cui all'art. 416-bis.1 cod. pen. con la conseguenza che nessuna diminuzione può essere operata per la sua esclusione.


Sempre la Corte di appello ha poi ricordato che l'aumento per la continuazione per i reati di cui ai capi B e C è stato determinato nella misura minima obbligatoria prevista per l'art. 81, comma 4, cod. pen. ed ha richiamato una pronuncia di questa Corte di legittimità secondo la quale "In tema di continuazione tra reati commessi da soggetti cui sia stata applicata la recidiva di cui all'art. 99, comma quarto, cod. pen., nel caso di assoluzione in appello per uno dei "reati satellite", la mancata diminuzione della pena inflitta cumulativamente non comporta la violazione del divieto di "reformatio in peius" poiché l'aumento non inferiore ad un terzo della pena stabilita per il reato più grave, previsto dall'art. 81, comma quarto, cod. pen. e applicato nella misura minima di un terzo, va riferito all'aumento complessivo per la continuazione e non alla misura di ciascun aumento successivo al primo" (Sez. 4, n. 12150 del 24/03/2021, Bedoui, Rv. 280778 - 01) con la conseguenza che non può ridursi la pena per l'improcedibilità pronunciata in relazione al capo C.


A ciò si aggiunge che già il Tribunale, in relazione all'imputato che ha dedotto la questione aveva escluso l'aumento per l'aggravante di cui al 416-bis.1 Cod. pen. ed era partito da una pena base di 6 anni di reclusione ed Euro 2.700 di multa mentre la Corte di appello è partita da una pena base inferiore di anni 5 e mesi 2 di reclusione ed Euro 1900 di multa.


4.7. Da ultimo, e per solo dovere di completezza occorre evidenziare che la difesa del ricorrente Be.Co., ha fatto richiamo nel proprio ricorso alla sentenza n. 74 del 7 aprile 2025 della Corte costituzionale relativa al disposto dell'art. 63, comma 3, cod. pen. ma non ne ha illustrato la rilevanza ai fini del decidere, il che rende del tutto generico, e quindi inammissibile, il predetto richiamo.


5. Per le considerazioni or ora esposte, dunque, tutti i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili.


Alla inammissibilità dei ricorsi consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento nonché, quanto a ciascuno di essi, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità emergenti dai ricorsi (Corte Cost. 13 giugno 2000, n. 186) al versamento della somma ritenuta equa di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.


P.Q.M.


Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.


Così deciso in Roma il 22 ottobre 2025.


Depositato in Cancelleria il 27 ottobre 2025.

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