Frode fiscale: sono operazioni inesistenti le fatture relative a lavori solo parzialmente eseguiti (Cass. Pen. n. 28368/25)
- Avvocato Del Giudice
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1. Premessa
La pronuncia in commento offre l’occasione per riflettere ancora una volta sulla portata applicativa dell’art. 2 d.lgs. 74/2000, disposizione che sanziona l’utilizzo, ai fini dichiarativi, di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti.
Il tema non è affatto marginale, poiché la definizione di “operazione inesistente” ha conosciuto, negli anni, un progressivo ampliamento interpretativo, muovendo dalla dimensione classica della simulazione assoluta sino a ricomprendere ipotesi sempre più sfumate di divergenza tra rappresentazione contabile e realtà economica.
La distinzione tradizionale tra inesistenza oggettiva (operazioni mai poste in essere) e soggettiva (operazioni reali ma intercorse tra soggetti diversi da quelli indicati in fattura) è stata infatti progressivamente arricchita dalla categoria delle cosiddette operazioni parzialmente inesistenti: casi nei quali la prestazione è stata eseguita solo in minima parte o a valori significativamente inferiori rispetto a quelli documentati.
Tale evoluzione giurisprudenziale, pur animata dall’esigenza di tutelare l’Erario contro forme sofisticate di elusione, ha condotto ad un’estensione notevole della fattispecie incriminatrice, al punto da sollevare interrogativi sulla compatibilità di tale lettura con i principi di tassatività e determinatezza della norma penale.
La vicenda oggetto della sentenza appare paradigmatica di questa tendenza.
La difesa dell’imputato aveva tentato di ricondurre la contestazione all’alveo delle mere divergenze contrattuali: un rapporto di subappalto realmente stipulato, un inadempimento (parziale) della controparte, la successiva stipula di un accordo transattivo non adempiuto.
In tale prospettiva, non si sarebbe trattato di un’operazione “fittizia”, bensì di una vicenda contrattuale patologica, disciplinabile sul piano civilistico ma non penalmente rilevante.
I giudici di merito, e la Cassazione a seguire, hanno invece qualificato la fatturazione come “operazioni inesistenti” a tutti gli effetti, valorizzando l’evidente sproporzione tra quanto dichiarato in fattura e quanto effettivamente realizzato, nonché la consapevole scelta dell’amministratore di mantenere in contabilità costi privi di effettiva giustificazione economica.
In tal modo, la decisione consolida l’idea – oggi dominante in giurisprudenza – secondo cui il parametro di riferimento non è tanto la validità o l’efficacia civilistica del contratto, bensì la corrispondenza sostanziale tra documento fiscale e realtà economica sottostante.
Sotto questo profilo, l’interesse della sentenza va colto non solo nella riaffermazione della nozione estensiva di operazioni inesistenti, ma anche nella prospettiva soggettiva: il dolo specifico di evasione non viene desunto dalla sola emissione della fattura, ma dal comportamento complessivo dell’amministratore, e in particolare dalla sua inerzia nel rettificare la contabilità una volta acquisita la consapevolezza della parzialità dei lavori.
La condotta omissiva successiva diventa così la chiave probatoria per disvelare la finalità di evasione, con un passaggio non privo di implicazioni sistematiche, perché sposta l’accento dall’atto fraudolento originario al più ampio contesto di gestione contabile e amministrativa della società.
2. I fatti di causa
La vicenda oggetto della decisione si colloca nell’ambito di un rapporto di subappalto stipulato nel corso del 2013 tra la società dell’imputato, “MG C. s.r.l.”, e la ditta subappaltatrice “V. S. s.r.l.”.
L’accordo aveva ad oggetto l’esecuzione di opere edilizie, ma la dinamica fattuale emersa nel processo ne ha presto evidenziato la natura patologica.
Un primo elemento di rilievo è costituito dalla sproporzione tra l’impegno contrattuale e le effettive capacità esecutive della subappaltatrice: la “V. S.” disponeva di appena due dipendenti, circostanza che rendeva di per sé problematica la realizzazione di opere di tale portata.
A ciò si aggiungeva l’abbandono dei cantieri già nel corso del 2013, con esecuzione soltanto parziale delle prestazioni pattuite.
Nonostante l’evidente inadempimento, in data 31 dicembre 2013 la subappaltatrice emetteva sei fatture (nn. 43–48), tutte recanti importi considerevoli.
La simultaneità dell’emissione, a distanza di mesi dall’inizio del rapporto e in un’unica soluzione, costituiva una prima anomalia rispetto alla fisiologia del contratto di subappalto, che prevedeva la fatturazione progressiva delle opere man mano eseguite.
Dinanzi al contenzioso insorto tra le parti, nel febbraio 2014 veniva stipulato un accordo transattivo, con il quale “MG” riconosceva a “V. S.” il diritto a percepire la somma di 92.000 euro per i lavori effettivamente svolti.
Tale importo, pari a circa un quinto del valore indicato nelle fatture, avrebbe dovuto essere corrisposto mediante la cessione di quattro box auto. La transazione, tuttavia, non veniva eseguita, per inadempimento della stessa subappaltatrice.
Nonostante tale chiarimento contrattuale, le fatture rimanevano integralmente registrate nella contabilità della “MG C.”.
In tal modo, la società continuava a rappresentare in bilancio costi che non trovavano corrispondenza nei lavori effettivamente eseguiti, producendo un effetto diretto sulla determinazione della base imponibile e, dunque, sull’imposta dovuta.
La ricostruzione dei fatti assume rilievo sotto un duplice profilo: da un lato, mette in evidenza come l’operazione economica sottostante fosse, nella sostanza, soltanto parzialmente adempiuta, e dall’altro, mostra la scelta consapevole dell’amministratore di non rettificare la contabilità, mantenendo i costi inesistenti. Proprio questa divergenza tra realtà economica e rappresentazione contabile è stata assunta dai giudici di merito – e poi di legittimità – quale elemento decisivo per qualificare le fatture come relative a “operazioni inesistenti”, e per fondare la responsabilità penale dell’imputato.
3. Le censure del ricorrente
Nel ricorso per cassazione, l’amministratore contestava:
l’erronea qualificazione delle operazioni come inesistenti, sostenendo che esse trovassero giustificazione in un contratto validamente stipulato, sia pure condizionato e non eseguito integralmente;
l’assenza del dolo specifico, invocando logiche di buona fede contrattuale e il rispetto dei principi di prudenza contabile (art. 2423-bis c.c.);
l’utilizzo acritico di atti amministrativi (PVC e avvisi di accertamento) privi di garanzia del contraddittorio;
la carenza di motivazione in ordine al trattamento sanzionatorio.
4. La decisione della Cassazione
La Suprema Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso.
Sotto il profilo oggettivo, ha ribadito che la nozione di “operazioni inesistenti” non si limita ai casi di simulazione assoluta, ma comprende anche le ipotesi di prestazioni solo parzialmente eseguite o sovrastimate, prive di corrispondenza con la realtà economica.
La circostanza che le fatture fossero state tutte emesse in un’unica soluzione, quando la subappaltatrice aveva già abbandonato i lavori, e che un accordo successivo avesse quantificato l’opera in misura sensibilmente inferiore, rendeva evidente la divergenza tra documento fiscale e fatto economico.
Quanto all’elemento soggettivo, la Corte ha valorizzato il comportamento successivo dell’amministratore, che, pur consapevole della difformità, aveva mantenuto i costi in bilancio senza registrare le necessarie sopravvenienze attive. Proprio questa omissione ha rivelato il dolo specifico di evasione.
In tema di trattamento sanzionatorio, la Corte ha rilevato che la pena inflitta (otto mesi di reclusione, già ridotta per il rito abbreviato) risultava inferiore al minimo edittale, sicché non richiedeva motivazione ulteriore.
5. Inquadramento sistematico
La decisione si pone in linea con un indirizzo giurisprudenziale consolidato, che ha progressivamente ampliato il concetto di “operazioni inesistenti”, ricomprendendovi anche le fatture riferite a rapporti contrattuali formalmente esistenti ma solo parzialmente adempiuti, ove la documentazione contabile registri costi privi di riscontro reale (cfr. Cass. pen., sez. III, 5 luglio 2024, n. 26520; 23 maggio 2024, n. 34408).
Tale orientamento mostra come la tutela penale non sia ancorata alla validità civilistica del rapporto, ma alla corrispondenza sostanziale tra dato contabile e realtà economica.
Il baricentro si sposta così dal piano formale-negoziale al principio di veridicità e attendibilità della contabilità, considerato presidio dell’interesse erariale.
6. Considerazioni conclusive
La sentenza ribadisce un’impostazione sostanzialistica della fattispecie, che non si arresta dinanzi a divergenze contrattuali o a inadempimenti reciproci, ma guarda alla funzione della dichiarazione fiscale come strumento di rappresentazione veritiera della capacità contributiva.
Sul piano soggettivo, il dolo specifico emerge dalla condotta dell’amministratore che, pur consapevole della non corrispondenza, sceglie di mantenere costi fittizi in bilancio.
In tal modo, la giurisprudenza conferma che la responsabilità penale non può essere neutralizzata da richiami alla buona fede o a logiche di prudenza contabile, quando la falsità delle operazioni sia documentalmente accertata e consapevolmente mantenuta.
La sentenza integrale
Cassazione penale sez. fer., 29/07/2025, (ud. 29/07/2025, dep. 04/08/2025), n.28368
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza dell'8/4/2025, la Corte di appello di Milano, in parziale riforma della pronuncia emessa il 9/5/2024 dal Giudice per le indagini preliminari del locale Tribunale, dichiarava non doversi procedere nei confronti di Ma.Ga. in ordine al reato ascrittogli - art. 2, D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74 - al capo 1),
perché estinto per prescrizione, e rideterminava la pena, quanto al residuo reato, nella misura del dispositivo.
2. Propone ricorso per cassazione il Ma.Ga., deducendo i seguenti motivi, dopo ampia premessa in fatto
- errata qualificazione delle operazioni come inesistenti. La Corte di appello avrebbe erroneamente qualificato le operazioni in fattura in questi termini, senza considerare la condizione sospensiva pattuita tra la "MG Costruzioni Srl", di cui il ricorrente era legale rappresentante, e la "Vaber Strade Srl", il cui mancato verificarsi avrebbe impedito la conclusione del contratto. Per giurisprudenza costante, peraltro, una fattura riferita ad operazione condizionata non integrerebbe il delitto di cui all'art. 2 in esame;
- insussistenza del dolo specifico; difetto assoluto di motivazione. La sentenza non proverebbe il profilo psicologico del reato, invero escluso dal fatto che il comportamento del ricorrente apparirebbe ispirato a logiche di buona fede contrattuale, con ripetuti tentativi di regolare la situazione con "Vaber", nel rispetto dei principi contabili vigenti. "MG", inoltre, avrebbe inserito le fatture in contabilità nel quadro di un contratto che, in quella fase, non si sarebbe potuto ritenere risolto;
- violazione dei principi del giusto processo e difetto di motivazione critica quanto agli atti prodotti in sede amministrativa (avviso di accertamento e processo verbale di constatazione). La sentenza si sarebbe limitata a richiamare qualche passo (peraltro, del tutto inconferente) contenuto in questi atti, così fondando il giudizio di responsabilità soltanto su elementi di natura extraprocessuale, privi di garanzia del contraddittorio;
- difetto di motivazione e travisamento dei criteri contabili. La Corte di appello non avrebbe considerato che "MG" avrebbe agito in conformità ai principi contabili vigenti, iscrivendo il debito in bilancio in attesa della formalizzazione della transazione, secondo il principio di prudenza di cui all'art. 2423-bis cod. civ.;
- difetto o apparenza di motivazione quanto alla misura della pena.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso risulta manifestamente infondato; le censure in punto di responsabilità, peraltro, possono essere trattate in modo congiunto, in quanto tutte relative al medesimo profilo in fatto, quale il rapporto negoziale tra la "MG Costruzioni" e la "Vaber Strade", ed i suoi sviluppi.
4. Al riguardo, la Corte di appello - pronunciandosi sulle medesime questioni di merito, qui riprodotte sotto l'apparenza di un plurimo vizio motivazionale - ha confermato la decisione di condanna con un più che solido percorso argomentativo, fondato su oggettivi elementi istruttori che il ricorso non cita affatto, tantomeno contesta, così peraltro sottraendosi ad un necessario confronto con la sentenza impugnata.
4.1. Nell'ambito di tale accertamento in fatto, e con piena aderenza alla pronuncia di primo grado, si è quindi riscontrato che la società di cui il ricorrente era legale rappresentante aveva registrato in contabilità fatture per operazioni inesistenti, emesse da "Vaber", con conseguente evasione nei termini dell'imputazione. In particolare, dopo che la prima aveva stipulato con l'altra, nel 2013, un contratto di subappalto relativo all'esecuzione di opere edilizie, la "Vaber" aveva emesso numerose fatture (nn. 43, 44, 45, 46, 47 e 48), nel medesimo giorno (31/12/2013), poi riportate da "MG" nella propria contabilità del 2013, tranne la n. 48, inserita nella contabilità 2014. Successivamente, la subappaltante aveva contestato a "Vaber" di aver svolto solo in minima parte i lavori, e le due avevano quindi stipulato un accordo transattivo (20/2/2014) con il quale la "MG" aveva riconosciuto all'altra soltanto 92.000 Euro di lavori; somma che, peraltro, la stessa avrebbe corrisposto mediante la cessione di 4 box. Tale cessione, tuttavia, non si sarebbe concretizzata per inadempimento esclusivo di "Vaber", così vanificando l'accordo.
4.2. Tanto premesso, entrambe le sentenze di merito hanno sottolineato -quel che il ricorso non contesta affatto - plurime anomalie riguardanti il medesimo rapporto negoziale a) le fatture, come già richiamato, erano state tutte emesse il 31/12/2013, e non con il progredire dei lavori, come stabilito nel contratto di subappalto; b) alla stessa data di emissione, "Vaber" aveva già abbandonato i cantieri; c) nell'accordo transattivo del febbraio 2014, le due società avevano convenuto che i lavori eseguiti ammontavano a soli 92mila euro. Ancora, e con particolare rilievo probatorio, è stato riscontrato che "Vaber" non disponeva della forza lavoro necessaria per eseguire i lavori oggetto del subappalto, avendo solo 2 dipendenti (dato non contestato nel ricorso, ma affrontato con una mera illazione indimostrata, ossia il frequente impiego di imprese terze come "prassi consolidata"). Infine, entrambe le sentenze hanno sottolineato che la mancata esecuzione della transazione, per inerzia di "Vaber", era risultata priva di ogni giustificazione.
4.3. Alla luce di questi elementi, oggettivi e non contestati, è stato dunque ritenuto accertato che i lavori in questione erano stati eseguiti soltanto nella misura del 20%, cosicché il ricorrente non avrebbe dovuto iscrivere in contabilità i (presunti) costi ulteriori né utilizzarli per l'abbattimento dell'imponibile. Muovendo da questa premessa in fatto, la Corte di appello ha quindi superato la tesi difensiva secondo cui la mancata emissione della nota di credito da parte di "Vaber" avrebbe impedito all'altra di eliminare il debito dalla propria contabilità;
proprio le considerazioni che precedono, infatti, hanno indotto i Giudici del merito a ritenere inesistente il debito riportato nelle fatture.
4.4. Con riguardo, poi, al profilo soggettivo del reato, la Corte di appello -ancora non contrastata nei suoi argomenti dal ricorso - ha evidenziato che la "MG", venuta a conoscenza del reale valore delle opere eseguite da "Vaber", non aveva proceduto a rilevare una sopravvenienza attiva al fine di rettificare il valore delle stesse, ma aveva continuato a tenere in bilancio costi relativi ad un contratto non correttamente adempiuto, con piena consapevolezza da parte del ricorrente/amministratore.
4.5. In forza di questi elementi, la sentenza impugnata - ancora con argomento privo di illogicità manifesta - ha dunque congruamente individuato anche il profilo soggettivo del reato, peraltro contestato nel ricorso con inammissibile affermazione in fatto, secondo cui "il comportamento del ricorrente appare ispirato alle logiche di buona fede contrattuale, con ripetuti tentativi di regolarizzazione della situazione." Del pari inammissibile, poi, è il riferimento ai corretti criteri contabili ai quali il Ma.Ga. avrebbe ispirato il proprio agire, in quanto argomento in puro merito (dunque, di per sé non valutabile in questa sede), del tutto privo di appiglio alla motivazione della sentenza impugnata.
4.6. In ordine, poi, alla censura concernente la violazione dei principi del giusto processo, la Corte osserva che la stessa è proposta in termini evidentemente generici, contestando l'assenza di "una autonoma valutazione critica" degli atti amministrativi acquisiti, dei quali, tuttavia, non è indicato il contenuto, né il rilievo eventualmente assegnato dalla Corte ai fini della decisione.
4.7. I motivi di ricorso in punto di responsabilità, pertanto, sono tutti manifestamente infondati.
5. Alle stesse conclusioni, infine, la Corte giunge quanto alla censura riguardante il trattamento sanzionatorio.
5.1. La pena irrogata, infatti, è stata determinata muovendo da 1 anno di reclusione - misura invero inferiore al minimo edittale, pari ad 1 anni e 6 mesi di reclusione - poi ridotto per il rito abbreviato a 8 mesi di reclusione tale misura, pertanto, non richiedeva particolare motivazione.
6. Il ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile. Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che "la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", alla declaratoria dell'inammissibilità medesima consegue, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., l'onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in Euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 29 luglio 2025.
Depositato in Cancelleria il 4 agosto 2025.