«Giustizia riparativa» e tassatività delle impugnazioni: il diniego d’invio ex art. 129-bis c.p.p. tra endoprocedimentalità e controllo di legittimità (considerazioni in attesa delle Sezioni Unite)
- Avvocato Del Giudice
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1. Il caso
La questione — pendente alle Sezioni Unite sul ricorso R.G. n. 4108/2025 — è nitida: se sia ricorribile per cassazione il provvedimento del giudice di merito che rigetta la richiesta di invio al Centro per la giustizia riparativa ex art. 129-bis c.p.p. e, in caso positivo, in quali casi e per quali motivi. Il rinvio nomofilattico dà conto di un triplice orientamento:
(i) inammissibilità assoluta (Baldo, Sez. II, 2023/2024);
(ii) ricorribilità differita solo nei reati a querela rimettibile (Odoli, Sez. III, 2024);
(iii) ricorribilità differita generalizzata ex art. 586 c.p.p., per qualunque reato (B., Sez. V, dep. 2025) — quadro riassunto nell’ordinanza di rimessione, che cristallizza il contrasto e consegna la quaestio alle Sezioni Unite.
"Se sia ricorribile per cassazione il provvedimento del giudice di merito di rigetto della richiesta di invio al Centro per la giustizia riparativa per l'avvio di un programma di giustizia riparativa e, nell'ipotesi affermativa, in quali casi e per quali motivi".
2. Il «dato» normativo (stratificazione e ratio)
L’art. 129-bis c.p.p. affida al giudice, in ogni stato e grado, un potere-dovere di delibazione ex ante: utilità del programma «per la risoluzione delle questioni derivanti dal fatto» e assenza di «pericolo concreto» per interessati e accertamento, con forma di ordinanza e previo contraddittorio (comma 3).
Il legislatore ha poi ritagliato un regime di sospensione legale per i soli reati a querela rimettibile (commi 4, 4-bis, 4-ter), ma ha al contempo previsto la tracciabilità processuale dell’esito riparativo (acquisizione della relazione del mediatore) e una finestra “precautelare” tra 415-bis e esercizio dell’azione.
La norma vive nel più ampio ecosistema del d.lgs. 150/2022 e delle disposizioni di attuazione, ove spicca l’art. 45-ter: anche in pendenza del ricorso per cassazione l’istanza si rivolge al giudice a quo.
Ciò è registrato espressamente nella motivazione dell’ordinanza di rimessione.
Questa «architettura modulare» dialoga con le fonti sovranazionali: i Principi ONU (ECOSOC 2002/12) prevedono l’impiego dei programmi in ogni fase del sistema penale (Principio 6) e chiedono garanzie procedurali adeguate, informazione e volontarietà (Principio 13), con possibile integrazione giudiziale dell’accordo (Principio 15).
La Raccomandazione CM/Rec(2018)8 del Consiglio d’Europa, dal canto suo, sollecita standard omogenei, tutela dei partecipanti e uso complementare rispetto al processo tradizionale, senza discriminazioni per tipologia di reato.
3. Il nodo dogmatico: natura del provvedimento e «decisorietà»
Tre i punti-chiave, al modo di una triade:
a) Endoprocedimentalità.
L’ordinanza ex art. 129-bis nasce e vive dentro il processo: forma-tipica (art. 125 c.p.p.), contraddittorio, parametri legali di ammissibilità (utilità/pericolo), riverberi sulla fabbrica del giudizio (rinvii, ingresso della relazione del mediatore, possibili effetti sulla dosimetria). L’ordinanza di rimessione sottolinea proprio questi tratti, distinguendo la valutazione giudiziale di ammissibilità dalla fattibilità mediativa (art. 54 d.lgs. 150/2022): due piani, due mestieri.
b) Decisorietà (in senso funzionale).
Non è «definitiva» sul merito del reato, vero; ma decide sull’accesso a un percorso che il legislatore ha procedimentalizzato e processualizzato: ne è spia la previsione dell’acquisizione dell’esito, con potenziale rilievo ai fini dell’art. 133 c.p. e, ove ne ricorrano i presupposti, dell’art. 62 n. 6 c.p. (nuova formulazione). L’incidenza sulla sentenza non è automatica, ma ragionevolmente prevedibile: da qui l’esigenza di un controllo di legalità.
c) Tassatività delle impugnazioni.
Nessuna autonoma ricorribilità immediata ex art. 111, co. 7, Cost.: difetta la categoria (non è sentenza, né misura sulla libertà). Ma la ricorribilità differita ex art. 586 c.p.p. — congiunta alla sentenza — è strutturalmente coerente con la fisiologia del sistema: l’ordinanza è tipicamente revocabile/reiterabile e diventa giuridicamente rilevante in quanto può riflettersi sulla motivazione finale (o sulla sua ragionevolezza), come rilevato dall’orientamento intermedio (Sez. III, Odoli) e ricostruito nel provvedimento di rimessione.
4. Il contrasto giurisprudenziale
(i) Inammissibilità assoluta (Sez. II, Baldo).
L’atto sarebbe “non giurisdizionale”: servizio di cura relazionale, dunque fuori dal perimetro impugnatorio. La tesi sconta un déjà vu formalistico: ignora che il legislatore ha giurisdizionalizzato gli snodi d’accesso (parametri legali; forma d’ordinanza; contraddittorio; regole su sospensioni, termini, acquisizioni). L’ordinanza di rimessione ricostruisce questo passaggio con nettezza.
(ii) Ricorribilità differita «a geografia variabile» (Sez. III, Odoli).
Sì all’art. 586 c.p.p., ma solo se il reato è a querela rimettibile, giacché solo lì il diniego può incidere necessariamente (via sospensione ex lege). Argomento elegante, ma stretto: riduce l’endoprocedimentalità a un indice di sospensione, obliterando che l’esito riparativo può comunque influire su pena e motivazione (artt. 62 n. 6, 133 c.p.), e che il legislatore ha esplicitato strumenti “morbidi” (rinvio su richiesta con sospensione ex art. 159 c.p. e 304 c.p.p.) proprio fuori dal recinto dei reati rimettibili, come ribadito nella Relazione e riflesso nella giurisprudenza più recente. La stessa ordinanza di rimessione ne dà conto.
(iii) Ricorribilità differita generalizzata (Sez. V, B.).
L’atto è endoprocedimentale e, per ciò solo, sempre ricorribile unitamente alla sentenza, senza distinzione sulla procedibilità del reato: soluzione parsimoniosa e coerente, perché non moltiplica i rimedi, non blocca il giudizio, però assicura un sindacato quando l’ordinanza si sia riflessa sulla tenuta (o lacunosità) della motivazione finale — così si legge nelle coordinate accolte dal rinvio.
5. Gli standard sovranazionali come bussola ermeneutica
I Basic Principles (ECOSOC 2002/12) dicono: programmi utilizzabili in ogni stadio del sistema (n. 6); garanzie procedurali (n. 13); possibile incorporazione giudiziale dell’accordo (n. 15).
Non c’è sillogismo più lineare: se l’ordinamento interno ha trasportato dentro il processo l’innesco e il rientro dell’esito riparativo, qualche forma di sindacato deve pure presidiare la legalità di quel passaggio.
La Raccomandazione CM/Rec(2018)8 ribadisce l’uso complementare rispetto al processo penale, la tutela dei partecipanti e l’esigenza di standard — il che significa prevedibilità delle decisioni e ragionevolezza della motivazione, non mero potere carismatico del giudice.
6. La soluzione (proposta interpretativa)
La via d’uscita — se si vuole restare fedeli al tessuto costituzionale e convenzionale — non sta nel riconoscere all’ordinanza un’immediata autonomia impugnatoria.
L’art. 111, settimo comma, Cost., non si piega a improvvisazioni: l’atto non chiude un capitolo processuale, non definisce situazioni giuridiche in via irreversibile.
È un provvedimento interno, reversibile fino alla sentenza, e dunque la sua ricorribilità vive nella forma differita dell’art. 586 c.p.p.
Ciò significa che, giunti alla sentenza, l’imputato potrà trascinare con sé in Cassazione anche il diniego di accesso al programma riparativo, a prescindere dal titolo di reato — sia esso a querela o d’ufficio —, quando quell’atto abbia inciso, o fosse potenzialmente idoneo a incidere, sull’esito finale.
E non si tratta solo di riflessi diretti sulla pena, ma anche del mancato apprezzamento di un percorso riparativo, o della sua stessa perseguibilità, che il legislatore ha inteso rendere criterio di valutazione giudiziale.
Il sindacato di legittimità, però, non si trasforma in terza istanza sulla politica riparativa.
Resta confinato ai vizi tipici: violazioni di legge, anzitutto — l’omesso contraddittorio che il comma 3 impone, l’errore di diritto sui presupposti legali (“utilità” e “pericolo concreto”), la confusione tra ammissibilità giudiziale e fattibilità tecnica, quest’ultima riservata ai mediatori (art. 54 d.lgs. 150/2022, come sottolinea la stessa ordinanza di rimessione), l’ignoranza o la sottovalutazione delle finestre processuali esistenti (l’avviso 415-bis, le sospensioni tipiche e atipiche).
Poi il vizio di motivazione: quella scrittura che finge di motivare ma non dice nulla, o lo dice in forma talmente illogica da eludere ogni controllo di ragionevolezza. È un vulnus ancora più evidente quando la sentenza finale, magari, valorizzi in senso aggravante o attenuante condotte che un programma di giustizia riparativa avrebbe potuto plasmare in tutt’altra direzione.
Quanto ai reati a querela rimettibile, la legge stessa carica il diniego di un peso maggiore: la sospensione ex lege del procedimento (commi 4–4-ter) conferisce alla decisione un’incidenza necessaria sulla marcia processuale, rendendo ancora più solida la ragione per consentire il controllo, pur sempre differito. Ma la regola non si ferma qui: anche nei reati procedibili d’ufficio, l’ombra lunga dell’ordinanza negativa può stendersi sulla pena e sulla logica interna della decisione. E questo, in chiave sistemica e in ossequio agli obblighi sovranazionali, basta a legittimare il vaglio della Cassazione.
7. Il principio di diritto (formulazione proposta)
L’ordinanza con cui il giudice di merito rigetta la richiesta, ai sensi dell’art. 129-bis c.p.p., di invio dell’imputato e della vittima al Centro per la giustizia riparativa è provvedimento giurisdizionale endoprocedimentale, non autonomamente ricorribile ai sensi dell’art. 111, co. 7, Cost., ma impugnabile — per violazione di legge e vizio di motivazione — unitamente alla sentenza ex art. 586 c.p.p., senza distinzioni fondate sulla natura del reato, allorché le sue determinazioni risultino idonee a incidere sulla decisione finale, anche ai fini dell’art. 62 n. 6 e dell’art. 133 c.p.
Il processo penale è macchina logica.
Se l’ordinamento, su impulso ONU–Consiglio d’Europa, ha aperto una porta processuale alla riparazione — in ogni stadio, con garanzie, standard, e ritorno ragionato in sentenza —, quella porta non può restare senza presidio nomofilattico.
L’art. 586 c.p.p. è il varco giusto: non congela il processo, non moltiplica i rimedi, sì consente un controllo che fissa la metrica della motivazione e separa l’utilità (quesito giudiziale) dalla fattibilità (compito dei mediatori).
È il punto d’equilibrio tra tassatività delle impugnazioni e effettività del “tertium genus” riparativo che il legislatore ha voluto dentro il giudizio.