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Guida in stato di ebbrezza: negate le generiche se l'imputato si mette nuovamente alla guida ubriaco

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Sentenze della cassazione in materia di guida in stato di ebbrezza

La massima

In tema di circostanze attenuanti generiche, mentre non possono essere valutate, come elemento ostativo al riconoscimento delle stesse, le scelte dell'imputato strettamente connesse all'esercizio delle proprie attività difensive, può, per converso, essere verificata l'incidenza dei suoi comportamenti, eventualmente anche di natura processuale, estranei a tale ambito. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto corretta la decisione di mancato riconoscimento delle attenuanti in oggetto valorizzando la circostanza che l'imputato, tratto a giudizio per il reato di guida in stato di ebbrezza, in epoca successiva ai fatti si era posto nuovamente alla guida sotto l'effetto di sostanze alcoliche - Cassazione penale sez. IV, 04/10/2022, n.5594).

Fonte: Ced Cassazione Penale


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La sentenza

Cassazione penale sez. IV, 04/10/2022, n.5594

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Torino ha confermato la sentenza del Tribunale di Torino del 4 dicembre 2020, con cui P.C. era stato condannato alla pena di mesi sei di arresto ed Euro duemila di ammenda in relazione al reato di cui all'art. 186 C.d.S., comma 2, lett. c), in relazione all'art. 186 C.d.S., commi 7 e 2-bis, perché, coinvolto in un incidente stradale autonomo, trovandosi alla guida di auto Volkswagen di proprietà di terzi, era trasportato presso l'ospedale di (Omissis) ed opponeva il rifiuto di sottoporsi agli accertamenti per il tasso alcolemico, allontanandosi volontariamente dall'ospedale prima dell'espletamento delle analisi (in (Omissis)).


Il P. era finito con l'auto suindicata fuori strada, nei pressi di un passaggio a livello, procurandosi lesioni lievi, senza coinvolgere altri veicoli.


I militari accorsi sul posto avevano la netta impressione che l'imputato avesse assunto alcool, per cui svolgevano un esame precursore con esito positivo; per tale ragione lo informavano che in ospedale sarebbe stato sottoposto ad esami del sangue. Il P. prestava il proprio consenso.


I militari restavano sul posto perché l'auto intralciava il traffico, mentre il P. era trasportato in ospedale mediante ambulanza. Giunti successivamente al nosocomio, i militari apprendevano che il P. non si era sottoposto ad esami clinici, aveva rifiutato ogni cura e si era allontanato, senza poi rispondere al numero telefonico rilasciato in accettazione.


2. Il P., a mezzo del proprio difensore, ricorre per Cassazione avverso la sentenza della Corte di appello, proponendo quattro motivi di impugnazione.


2.1. Violazione degli artt. 356 c.p.p. e vizio di motivazione.


Si deduce che la Corte di appello non ha accertato se l'imputato fosse stato effettivamente avvisato della facoltà di farsi assistere da un difensore di fiducia.


Il verbale di contestazione non faceva menzione degli avvisi effettuati nei confronti dell'imputato; la comunicazione di notizia di reato e la relazione di P.G. davano atto dell'avviso, ma non della risposta del P.; il verbale di accertamento urgente dava atto dell'avviso e della risposta. Il verbale avrebbe dovuto indicare tutti i fatti avvenuti e gli atti giuridicamente rilevanti compiuti nel corso dell'accertamento. L'assunto secondo cui l'avviso era stato dato il giorno prima della redazione del verbale era contraddittorio, in quanto esso non compariva nella comunicazione di notizia di reato.


I riferimenti del verbalizzante agli adempimenti effettuati "generalmente" e "sempre" non dimostravano che essi fossero stati eseguiti anche nel caso del P.. Il teste, inoltre, inizialmente ricordava le ragioni della bianchettatura presente nel verbale, dando poi atto, a seguito di osservazione controluce del documento, che riguardava la mancata sottoposizione del mezzo a sequestro. Per ritenere provato l'avviso tramite testimonianza, il giudice deve dare conto delle specifiche ragioni sottese alla mancanza dell'avviso.


2.2. Violazione dell'art. 5 c.p..


Si osserva che il P. si era allontanato dall'ospedale nella convinzione di poter rifiutare il prelievo ematico e ciò, anche in quanto all'epoca dei fatti sussisteva un contrasto giurisprudenziale in ordine all'esistenza di un diritto al consenso informato della persona da sottoporre ad accertamento presso la struttura sanitaria per scopi investigativi. Lo stesso Tribunale, sul punto, aderiva all'indirizzo superato all'epoca dei fatti.


2.3. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al diniego delle circostanze attenuanti generiche.


Si rileva che erano state valutate negativamente legittime modalità di esercizio del diritto di difesa da parte dell'imputato.


Il precedente penale non costituiva indice di particolare pericolosità, in quanto commesso a breve distanza di tempo dalla vicenda in oggetto. Nei successivi quattro anni il P. non aveva commesso ulteriori reati.


2.4. Violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla mancata concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena.


Si evidenziano al riguardo le medesime argomentazioni prospettate al par. 2.3..


CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile.


Il primo motivo di ricorso, con cui si deduce la mancanza dell'avviso della facoltà di farsi assistere da un difensore di fiducia per l'espletamento dell'esame alcolimetrico, è manifestamente infondato.


Va ricordato in proposito che la prova dell'avvenuto adempimento dell'obbligo di dare avviso alla persona sottoposta ad esame alcolimetrico della facoltà di farsi assistere da difensore di fiducia può essere validamente desunta dal verbale di accertamenti urgenti sulla persona o da altri atti di polizia giudiziaria, atteso il valore fidefaciente degli stessi (Sez.4, n. 3913 del 17/12/2020, dep. 2021, Asunis, Rv. 280381; Sez. 4, n. 3906 del 21/01/2020, Ballori, Rv. 278287).


La redazione di tali atti, d'altronde, può non coincidere con l'espletamento dell'accertamento, senza che ciò ne infici la validità.


Nel caso in esame, la Corte di merito ha logicamente evidenziato che il verbale di accertamenti riassuntivo dell'intera vicenda conteneva l'attestazione del ricevimento da parte del P. dell'avviso orale della facoltà di farsi assistere da un difensore nonché della rilevanza penale del rifiuto di sottoporsi ad esami.


Appare sufficiente, peraltro, il dato dell'attestazione dell'effettuazione dell'avviso nel verbale di accertamento tecnico urgente, trattandosi di atto avente valore fidefaciente ed in relazione al quale non risulta proposta querela di falso.


E' irrilevante, pertanto, che gli altri atti di P.G. redatti in tale circostanza non contenessero tali indicazioni e che il teste avesse fornito indicazioni generiche relativamente al proprio comportamento in casi analoghi.


In ogni caso, la Corte torinese ha legittimamente attribuito rilevanza probatoria anche alla spiegazione fornita dal mar. c.c. P.A., il quale aveva narrato di aver dato gli avvisi di P.G. in occasione del sinistro, come sua prassi, e di non avere riportato tale adempimento nel verbale di contestazione, trattandosi di atto formato a distanza di ore dal momento del fatto.


In tema di guida in stato di ebbrezza, la prova dell'avvenuto adempimento dell'obbligo di dare avviso alla persona sottoposta ad esame alcolimetrico della facoltà di farsi assistere da difensore di fiducia, ove non risultante dal verbale, può essere data mediante la deposizione dell'agente operante, spettando al Giudice valutare, fornendone rigorosa motivazione, la precisione e completezza della testimonianza, le ragioni della mancata verbalizzazione dell'avviso e la tempestività dell'avvertimento (Sez. 4, n. 35844 del 18/06/2021, Tommasini, Rv. 281976; Sez. 4, n. 18349 del 29/04/2021, Piva, Rv. 281169).


2. Il secondo motivo di ricorso, con cui si deduce l'esistenza di un errore inevitabile circa la necessità del proprio consenso ai fini dell'accertamento ematico, è manifestamente infondato.


Ai sensi dell'art. 5 c.p., deve escludersi la rilevanza del dedotto errore dell'imputato, riguardante la convinzione di aver diritto a rifiutare il prelievo ematico per non essere stato verificato il diritto al consenso informato.


Le disposizioni in materia, infatti, sono del tutto estranee alla norma penale dell'art. 186 C.d.S. e, in ogni caso, non costituiscono norme integratrici del precetto penale.


Come correttamente osservato dalla Corte territoriale, peraltro, il contrasto giurisprudenziale (superato) sull'utilizzabilità a fini processuali, in mancanza di avviso di legge, dei referti relativi ad accertamenti di carattere sanitario costituisce un tema del tutto inconferente rispetto alla fattispecie in esame.


3. Il terzo motivo di ricorso, con cui si censura la decisione della Corte torinese di non concedere le circostanze di cui all'art. 62 bis c.p., è manifestamente infondato.


3.1. Va premesso che, in base ad un primo indirizzo, il comportamento processuale dell'imputato può rilevare ai fini del diniego delle circostanze attenuanti generiche.


In proposito, infatti, si è affermato che la condotta processuale dell'imputato che, contro ogni evidenza della sussistenza del reato, protesti la propria estraneità ai fatti, costituisce di per sé idonea motivazione in ordine al diniego delle attenuanti generiche in quanto, seppure l'esercizio del diritto di difesa rende, per scelta del legislatore, non penalmente perseguibili le dichiarazioni false rese a propria difesa dall'imputato, ciò non equivale a rendere quel tipo di dichiarazioni irrilevanti per la valutazione giudiziale del comportamento tenuto durante lo svolgimento del processo, agli effetti e nei limiti di cui all'art. 133 c.p. (Sez. 4, n. 20115 del 04/04/2018, Prendi, Rv. 272747; in applicazione di tale principio la S.C. ha ritenuto immune da censure la sentenza che aveva negato le attenuanti generiche in un caso in cui, in sede di convalida dell'arresto in flagranza per detenzione di stupefacenti a fini di spaccio, l'imputato aveva negato la propria responsabilità, nonostante il diretto monitoraggio, da parte della polizia giudiziaria, della cessione di parte della sostanza e il rinvenimento della residua parte occultata all'interno del giubbotto).


Più in generale si è osservato che l'atteggiamento "non collaborativo" dell'imputato può giustificare il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche (Sez. 2, n. 28388 del 21/04/2017, Leo, Rv. 270339; in motivazione, la S.C. ha osservato che se l'esercizio del diritto di difesa rende, per scelta del legislatore, non penalmente perseguibili dichiarazione false rese a propria difesa dall'imputato, ciò non equivale affatto a rendere quel tipo di dichiarazioni irrilevanti per la valutazione giudiziale del comportamento tenuto durante lo svolgimento del processo, agli effetti e nei limiti di cui all'art. 133 c.p.).


Si è ritenuto altresì che il silenzio dell'imputato può essere valutato - sul piano del comportamento processuale - ai fini del riconoscimento delle attenuanti di cui all'art. 62 bis c.p.: infatti, l'ordinamento penale, nel garantire all'imputato il diritto al silenzio ed alla menzogna che non sconfini nella calunnia, nonché alla reticenza sul proprio operato, attribuisce al giudice la facoltà di valutare il comportamento da questi tenuto durante lo svolgimento del processo, sicché è legittimo il diniego delle attenuanti predette ovvero della declaratoria di prevalenza delle medesime motivato sulla negativa personalità dell'imputato stesso o sulla capacità a delinquere desunta dal descritto comportamento processuale (Sez. 2, n. 2889 del 27/02/1997, Zampella, Rv. 207560).


Un altro orientamento propende per l'esclusione di ogni rilevanza delle condotte dell'imputato integranti vere e proprie strategie difensive.


Al riguardo si è evidenziato che, in tema di circostanze attenuanti generiche, se la confessione dell'imputato, tanto più se spontanea e indicativa di uno stato di resipiscenza, può essere valutata come elemento favorevole ai fini della concessione del beneficio, di contro la protesta d'innocenza o la scelta di rimanere in silenzio o non collaborare con l'autorità giudiziaria, pur di fronte all'evidenza delle prove di colpevolezza, non può essere assunta, da sola, come elemento decisivo sfavorevole, non esistendo nel vigente ordinamento un principio giuridico per cui le attenuanti generiche debbano essere negate all'imputato che non confessi di aver commesso il fatto, quale che sia l'efficacia delle prove di reità (Sez. 5, n. 32422 del 24/09/2020, Barzaghi, Rv. 279778)


In un'ottica ancor più garantistica si è sottolineato che l'esercizio di facoltà processuali dell'imputato non può essere valutato come parametro ai sensi dell'art. 133 c.p. per negare le circostanze attenuanti generiche (Sez. 3, n. 3396 del 23/11/2016, dep. 2017, Caliendo, Rv. 268927; in applicazione del principio la Corte ha ritenuto illegittimo il diniego da parte del giudice di merito delle circostanze attenuanti generiche in ragione del comportamento processuale dell'imputato, che aveva presentato opposizione assolutamente immotivata al decreto penale di condanna).


Quanto al diritto al silenzio, d'altronde, l'ordinamento deve garantire la possibilità di praticare la linea difensiva ritenuta più idonea, con il solo limite rappresentato dai delitti di calunnia e di autocalunnia. Esso, peraltro, costituisce il segnale indiretto della scelta effettuata a monte dal sistema di ripudiare ogni forma di contrattazione e di scambio tra le parti o tra il Giudice e l'imputato.


Dal panorama giurisprudenziale, pertanto, emerge un quadro interpretativo variegato, che risente inevitabilmente della diversità delle fattispecie concrete sottoposte all'esame dell'organo giudicante e della difficoltà di tipizzare la casistica delle situazioni meritevoli di riconoscimento dell'attenuante in questione.


In sintesi, tenuto conto dell'evoluzione interpretativa nel senso di riconoscimento della più ampia libertà di scelta dell'imputato sulla linea difensiva da adottare, ai fini del diniego delle circostanze attenuanti generiche, il Giudice non può attribuire rilievo alle scelte dell'imputato strettamente connesse all'esercizio delle facoltà difensive; al contrario, ha il potere di verificare l'incidenza di tutti i suoi comportamenti - eventualmente anche di natura processuale - estranei a tale ambito.


3.2. Ciò posto sui principi operanti in materia, nella fattispecie, la Corte di appello non ha concesso le circostanze attenuanti generiche, rilevando che il P. non aveva chiesto di essere interrogato, non aveva partecipato al processo, non aveva reso spontanee dichiarazioni, aveva attuato una condotta dilatoria e, alcuni mesi dopo la vicenda in esame, aveva nuovamente guidato un'auto sotto l'effetto di un eccessivo quantitativo di alcool.


Ebbene, alla luce della giurisprudenza sopra riportata, la valutazione del contegno nell'ambito del presente procedimento effettivamente integra una non consentita critica alle strategie processuali del P..


Deve ritenersi, tuttavia, logica ed immune da censure la residua argomentazione, inerente alla rilevanza pregiudizievole per l'imputato dell'analoga condotta illecita successivamente perpetrata.


In proposito, infatti, è consolidato l'orientamento di questa Corte, secondo cui, ai sensi dell'art. 133 c.p., comma 2, nn. 1) e 3), il giudice, in relazione alla concessione o al diniego delle circostanze attenuanti generiche come - in caso affermativo - alla misura della riduzione di pena, deve tenere conto anche della condotta serbata dall'imputato successivamente alla commissione del reato e nel corso del processo, in quanto rivelatrice della sua personalità e, quindi, della sua capacità a delinquere (Sez. 3, n. 27964 del 19/03/2019, L., Rv. 276354, inerente a fattispecie in cui la Suprema Corte ha annullato con rinvio la decisione del giudice di merito che aveva negato la concessione delle attenuanti generiche all'imputato, nonostante questi avesse proceduto, ai fini risarcitori, alla vendita di un immobile di sua proprietà ed avesse proficuamente svolto attività di volontariato a servizio di anziani; Sez. 3, n. 1913 del 20/12/2018, dep. 2019, Carillo, Rv. 275509, sia pur riguardante la sola ipotesi di condotta positiva; Sez. 6, n. 17240 del 16/10/1989, Licari, Rv. 182794).


La difesa, d'altronde, non indica elementi favorevoli all'imputato, il cui esame sarebbe stato indebitamente pretermesso dall'organo giudicante.


4. Il quarto motivo di ricorso, con cui si deduce la carenza motivazionale in ordine al diniego della sospensione condizionale della pena, è generico.


Il Collegio condivide l'orientamento secondo cui, in tema di sospensione condizionale della pena, il giudice di merito, nel valutare la concedibilità del beneficio, non ha l'obbligo di prendere in esame tutti gli elementi richiamati nell'art. 133 c.p., potendo limitarsi ad indicare quelli da lui ritenuti prevalenti in senso ostativo alla sospensione (Sez. 5, n. 17953 del 07/02/2020, Filipache, Rv. 279206; Sez. 5, n. 57704 del 14/09/2017, P., Rv. 272087; Sez. 2, n. 19298 del 15/04/2015, Di Domenico, Rv. 263534).


Nel caso di specie, la Corte di appello, al fine di negare il beneficio, ha formulato una specifica prognosi, in base alla quale il P. non si sarebbe astenuto dal commettere ulteriori reati, evidenziando la rilevanza negativa dei due precedenti specifici per analogo reato.


Il ricorrente si limita a contestare la valenza dei precedenti a carico del P., senza però fornire elementi specifici idonei a confutare la ragionevolezza del ragionamento sviluppato dal Giudice a quo sulla ripetuta commissione di identiche condotte criminose.


5. Per le ragioni che precedono, il ricorso va dichiarato inammissibile con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e - non sussistendo ragioni di esonero - al versamento della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.


P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.


Così deciso in Roma, il 4 ottobre 2022.


Depositato in Cancelleria il 9 febbraio 2023

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