Il dolo della bancarotta documentale può essere desunto dalla bancarotta patrimoniale (Cassazione penale n. 2500/23)
- Avvocato Del Giudice
- 9 apr 2024
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Aggiornamento: 29 ago

Indice:
1. Premessa
La sentenza in commento afferma un principio di particolare rilevanza: il dolo della bancarotta fraudolenta documentale può essere desunto, con metodo logico-presuntivo, dall’accertata responsabilità dell’imputato per fatti di bancarotta patrimoniale.
L’arresto segna un punto fermo nell’interpretazione della disciplina penal-fallimentare, chiarendo che la connessione funzionale tra le condotte di depauperamento del patrimonio e le irregolarità contabili non è solo eventuale, ma rappresenta un criterio probatorio idoneo a fondare la responsabilità anche sotto il profilo soggettivo.
2. La ratio della decisione
Secondo la Corte:
la irregolare tenuta delle scritture non è un fatto neutro, ma uno strumento diretto a occultare o a dissimulare gli atti di distrazione;
l’impossibilità di ricostruire la reale situazione patrimoniale è un indice sintomatico della volontà di ostacolare la tutela dei creditori;
il dolo documentale, pertanto, può essere ricostruito per via presuntiva, valorizzando la contestuale emersione di condotte patrimoniali fraudolente.
In altri termini, l’elemento soggettivo della bancarotta documentale non deve essere provato in modo isolato, ma si ricava dall’unità del disegno criminoso, nel quale la manipolazione contabile assume la funzione di completare e rafforzare l’atto depauperativo.
La decisione in esame contribuisce a chiarire alcuni snodi fondamentali della materia. In primo luogo, emerge con forza l’idea dell’integrazione funzionale tra le condotte patrimoniali e quelle documentali: la falsificazione o l’irregolare tenuta delle scritture contabili non rappresenta un episodio a sé stante, ma costituisce spesso il necessario completamento dell’atto distrattivo, lo strumento che consente di velare la dissipazione e di rendere più ardua la ricostruzione dei flussi gestionali. In questo senso, la bancarotta documentale non è che il riflesso speculare della bancarotta patrimoniale, un meccanismo di occultamento che prolunga e rafforza l’efficacia lesiva della condotta depauperativa.
In secondo luogo, la Corte riafferma la possibilità di provare il dolo mediante presunzioni logiche.
L’elemento soggettivo, di per sé sfuggente e raramente oggetto di prova diretta, può essere ricostruito alla luce della complessiva vicenda fattuale, valorizzando la coerenza tra atti patrimoniali fraudolenti e manipolazioni contabili. L’impossibilità di ricostruire la situazione economica dell’impresa, quando si accompagna a operazioni distrattive, non è un fatto neutro ma un segnale eloquente dell’intenzione di ostacolare la tutela dei creditori.
Ne discende che la prova del dolo non richiede un accertamento separato, ma si salda con la logica stessa della vicenda fallimentare.
Infine, la pronuncia ribadisce che la tutela del bene giuridico protetto – la garanzia patrimoniale dei creditori – si realizza su un duplice fronte.
L’offesa si consuma tanto nel momento in cui il patrimonio viene depauperato attraverso atti di distrazione o dissipazione, quanto nella fase successiva, in cui le scritture contabili vengono manipolate o omesse per impedire che tale condotta sia percepita e neutralizzata.
La lesione non riguarda soltanto la perdita patrimoniale in sé, ma anche l’oscuramento delle tracce che ne consentirebbero il recupero e la ricostruzione giudiziale.
3. Osservazioni critiche
L’impostazione valorizza l’effettività della repressione penale, ma pone interrogativi sul versante del principio di colpevolezza. La deduzione presuntiva del dolo rischia di trasformarsi in automatismo probatorio, in contrasto con la necessità di accertare la reale finalizzazione fraudolenta della condotta contabile.
Occorre pertanto che la presunzione logica sia sempre sostenuta da indici concreti di fraudolenza, in grado di escludere che l’irregolarità sia frutto di mera negligenza gestionale.
4. Conclusioni
La sentenza chiarisce che la bancarotta documentale e quella patrimoniale non costituiscono fenomeni separati, ma espressioni diverse di un medesimo progetto lesivo della par condicio creditorum.
L’elemento soggettivo della prima può essere ricostruito sulla base della seconda, purché la valutazione giudiziale si fondi su circostanze oggettive che confermino la finalizzazione all’occultamento delle vicende gestionali.
5. La massima
Il dolo della bancarotta fraudolenta documentale può essere desunto, con metodo logico-presuntivo, dall'accertata responsabilità dell'imputato per fatti di bancarotta fraudolenta patrimoniale, in quanto la condotta di irregolare tenuta dei libri o delle altre scritture contabili, che rappresenta l'evento fenomenico dal cui verificarsi dipende l'integrazione dell'elemento oggettivo del reato, è di regola funzionale all'occultamento o alla dissimulazione di atti depauperativi del patrimonio sociale, cosi come lo scopo di recare danno ai creditori, impedendo la ricostruzione dei fatti gestionali, ben può essere desunto dalla complessiva ricostruzione della vicenda e dalle circostanze del fatto che ne caratterizzano la valenza fraudolenta colorando di specificità l'elemento soggettivo che, pertanto, può essere ricostruito sull'attitudine del dato a evidenziare la finalizzazione del comportamento omissivo all'occultamento delle vicende gestionali.
6. La sentenza integrale
Cassazione penale sez. V, 24/11/2023, (ud. 24/11/2023, dep. 19/01/2024), n.2500
FATTI DI CAUSA
1. Il difensore di Sc.Gi., avv. Giuseppe Sottile, ricorre per cassazione avverso la sentenza della Corte d'appello di Messina che ha confermato la pronuncia con la quale il Tribunale di Barcellona P.G. ha affermato la penale responsabilità dell'imputato in ordine al delitto di cui all'art. 216, comma 2, legge fall., aggravato ai sensi dell'art. 219 legge fall., così riqualificata l'originaria imputazione ex art. 216, comma 1, n. 1), legge fall.
2. La difesa articola sei motivi di ricorso.
2.1 Con il primo motivo, proposto ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. per violazione di legge e vizio di motivazione, lamenta che la corte territoriale ha affermato la penale responsabilità del fallito per avere lo stesso richiesto e ricevuto un finanziamento pari a Euro 28.917,15, utilizzato per estinguere un pregresso finanziamento e altri debiti, senza considerare che, a garanzia della somma finanziata, il ricorrente aveva ceduto il quinto della rata di pensione, voce quest'ultima rientrante, ai sensi dell'art. 46 legge fall., tra i beni non sottoposti alla procedura fallimentare.
2.2 Con il secondo motivo, proposto ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. per violazione di legge e vizio di motivazione, lamenta che la corte territoriale ha affermato la penale responsabilità dell'imputato, senza considerare che l'estinzione del precedente finanziamento - anch'esso ottenuto mediante cessione del quinto della rata di pensione - non fosse andata a incidere sulla massa creditoria né, tantomeno, a favorire un creditore a danno di altri, trattandosi di un debito personale e non della fallita.
2.3 Con il terzo motivo, proposto ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. per violazione di legge e vizio di motivazione, lamenta che, nonostante l'assenza di prova della notifica al ricorrente della sentenza dichiarativa di fallimento, la corte territoriale ha desunto la consapevolezza dell'intervenuto fallimento da comportamenti, quali la chiusura del conto corrente, che il ricorrente, invece, mai avrebbe messo in atto qualora gli fosse stata nota la situazione in cui l'impresa versava. Invero, in questo caso, anziché chiedere un nuovo finanziamento, avrebbe "aperto un varco alle pretese dei creditori della fallita".
2.4 Con il quarto motivo, proposto ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. per vizio di motivazione, lamenta che i giudici di appello hanno ravvisato la sussistenza del dolo del delitto senza considerare che la richiesta di finanziamento fosse finalizzata esclusivamente a estinguere il finanziamento precedentemente ottenuto, nonché debiti personali.
2.5. Con il quinto motivo, proposto ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. per violazione di legge e vizio di motivazione, lamenta che la corte territoriale ha omesso di spiegare le ragioni per le quali non ha concesso all'imputato le circostanze attenuanti generiche.
2.6 Con il sesto motivo, proposto ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. per violazione di legge e vizio di motivazione, lamenta che i giudici d'appello non hanno motivato adeguatamente la mancata concessione dell'attenuante del danno di speciale tenuità di cui all'art. 219, comma 3, legge fall.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il ricorso è inammissibile.
2. Va premesso che la struttura motivazionale della sentenza di appello si salda con quella precedente per formare un unico complessivo corpo argomentativo, quando le due decisioni di merito concordino nell'analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento delle rispettive decisioni (Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218; Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, Argentieri, Rv. 257595).
L'integrazione tra le due motivazioni si verifica allorché i giudici di secondo grado abbiano esaminato le censure proposte dall'appellante con criteri omogenei a quelli usati dal primo giudice e con frequenti riferimenti alle determinazioni ivi prese ed ai passaggi logico - giuridici della decisione e, a maggior ragione, quando i motivi di appello non abbiano riguardato elementi nuovi, ma si siano limitati a prospettare circostanze già esaminate ed ampiamente chiarite nella decisione di primo grado.
Nel sindacato sui vizi della motivazione, compito del giudice di legittimità non è quello di sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito, ma quello di stabilire se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano fornito una corretta interpretazione di essi, dando completa e convincente risposta alle deduzioni delle parti e se abbiano esattamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre.
3. Tanto premesso, il ricorso è infondato in quanto le censure articolate riproducono e reiterano argomenti già prospettati nell'atto di appello, ai quali la corte territoriale ha dato adeguate e argomentate risposte, esaustive in fatto e corrette in diritto, che il ricorrente, tuttavia, non ha in alcun modo considerato e di cui non ha tenuto conto, così omettendo di confrontarsi criticamente con gli argomenti utilizzati nel provvedimento impugnato e limitandosi a lamentare presunte violazioni di legge penale e processuale, nonché un'inesistente carenza o illogicità della motivazione (Sez. 2, n. 27816 del 22/03/2019, Rovinelli, Rv. 276970; Sez. 3, n. 44882 del 18/07/2014, Carialo, Rv. 260608).
4. Manifestamente infondati sono il primo, il secondo e il quarto motivo che, tutti, involgono la natura fraudolenta del finanziamento richiesto e ottenuto dal ricorrente, in quanto volto a distrarre denaro in favore di taluni creditori a danno di altri.
Con motivazione completa e logica, i giudici di merito hanno ritenuto che lo Sc.Gi., titolare di impresa individuale fallita, con la stipula del contratto di finanziamento - acceso a titolo personale e non nella veste di imprenditore - e con le successive operazioni di pagamento di debiti personali, abbia avvantaggiato taluni creditori, risparmiando loro la procedura di insinuazione al passivo fallimentare e consentendo agli stessi "di godere di immediata liquidità" a danno della massa creditoria.
Del resto, si osserva nelle sentenze di merito, la somma di denaro ricevuta con il finanziamento - che, sebbene richiesta a titolo personale, non per questo era da ritenersi percepita a titolo di pensione - ben avrebbe potuto essere comunicata e trasferita alla procedura fallimentare.
5. Privo di pregio è il terzo motivo.
La questione, sulla quale il ricorrente ha molto insistito, della mancata conoscenza della dichiarazione di fallimento è del tutto irrilevante.
Perché siano perseguibili tutte le condotte distrattive, in qualunque momento esse siano state poste in essere, la dichiarazione di fallimento costituisce un necessario presupposto anche se non conosciuto dall'imputato. Invero, la struttura dei delitti di bancarotta postfallimentare non è diversa da quelle dei reati di bancarotta prefallimentare per i quali la dichiarazione di fallimento opera per il solo fatto del suo sopravvenire a condotte che altrimenti sarebbero lecite o potrebbero dar luogo ad altre e diverse figure di reato (Sez. 5, n. 44884 del 18/10/2007, Guarino, Rv. 237977).
Premesso, pertanto, che la legge non richiede tale conoscenza, nel caso di specie, i giudici di merito, con argomentazioni logiche e articolate, hanno rimarcato la consapevolezza del ricorrente del dichiarato fallimento sia dall'invio da parte del curatore di ben due raccomandate, una delle quali rifiutata dalla moglie dello Sc.Gi., sia dalla convocazione inoltrata al ricorrente dal giudice delegato al fallimento, sia dalla chiusura del conto corrente, avvenuta su iniziativa del curatore, soltanto dopo che l'imputato ne aveva comunicato l'esistenza al giudice delegato.
6. Manifestamente infondato è il quinto motivo che involge la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche.
La corte territoriale ha evidenziato che l'incensuratezza invocata dal ricorrente non è elemento sufficiente ai fini della concessione delle circostanze attenuanti attenuanti generiche, così facendo buon governo del principio di diritto secondo cui "il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche può essere legittimamente motivato dal giudice con l'assenza di elementi o circostanze di segno positivo, a maggior ragione dopo la riforma dell'art. 62-bis, disposta con il di. 23 maggio 2008, n. 92, convertito con modifiche nella legge 24 luglio 2008, n. 125, per effetto della quale, ai fini della concessione della diminuente, non è più sufficiente il solo stato di incensuratezza dell'imputato" (Sez. 4, n. 32872 del 08/06/2022, Guarnieri, Rv. 283489; Sez. 1, n. 39566 del 16/02/2017, Starace, Rv. 270986). In proposito, deve anche rimarcarsi come, in tema di concessione delle circostanze attenuanti generiche, il giudice di merito non sia tenuto a esprimere una valutazione circa ogni singola deduzione difensiva, essendo, invece, sufficiente l'indicazione degli elementi di preponderante rilevanza ritenuti ostativi alla concessione del beneficio. (Sez. 2, n.3896 del 20/01/2016, De Cotiis, Rv. 265826).
7. Manifestamente infondato è anche il sesto e ultimo motivo che censura la mancata concessione dell'attenuante del danno di speciale tenuità di cui all'art. 219, comma 3, legge fall.
Invero, con la pronuncia in verifica, i giudici di appello hanno considerato non solo l'ammontare del passivo, pari a Euro 250.000,00, e del saldo attivo, pari a Euro 1.500,00, ma anche l'entità della cifra distratta e il danno arrecato alla massa dei creditori a seguito della preferenza accordata a taluni di essi (Sez. 5, n. 52057 del 26/11/2019, Giannone, Rv. 277658; Sez. 5, n. 19981 del 01/04/2019, Rancati, Rv. 277243).
8. Dalle suesposte considerazioni consegue la declaratoria di inammissibilità del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 24/11/2023.
Depositato in Cancelleria il 19 gennaio 2024.