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Colpa medica: sulla responsabilità penale del gastroenterologo

Responsabilità medica penale

Colpa medica

Cassazione penale sez. IV, 19/04/2018, (ud. 19/04/2018, dep. 17/05/2018), n.21884

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di Appello di Bari, con la sentenza in epigrafe, ha riformato la pronuncia, emessa dal Tribunale di Trani il 16 gennaio 2013, con cui T.A. era stato dichiarato responsabile del reato di omicidio colposo, mentre D.M.A., G.F.W. e R.N. erano stati assolti, in relazione al seguente capo di imputazione: reato di cui all'art. 589 c.p., perchè, tenendo le condotte attive ed omissive di seguito descritte, nelle rispettive qualità di primario il G. (in quanto tale tenuto all'indirizzo e alla verifica delle prestazioni di diagnosi e cura riguardanti il caso clinico della Gi., nonchè ad impartire a tal fine le necessarie istruzioni e direttive e ad esercitare la verifica inerente all'attuazione di esse) e di dirigenti medici (gli altri) in servizio presso il reparto di gastroenterologia del presidio ospedaliero di (OMISSIS), per inosservanza delle leggi dell'arte medica gastroenterologica e comunque per imprudenza, negligenza ed imperizia ed inosservanza delle leggi e dei regolamenti concernenti le funzioni e le attribuzioni del personale medico appartenente alla posizione apicale ed intermedia, cagionavano in cooperazione colposa e/o con condotte tra loro causalmente indipendenti, la morte della paziente Gi.Ma.Pi. (n. (OMISSIS)),

ricoverata presso quel reparto alle ore 12:30 dell'(OMISSIS), la quale morte si verificava per uno "shock settico da peritonite acuta generalizzata, sostenuta da perforazione di due anse ileali in paziente già sottoposta a bendaggio gastrico laparoscopico e bypass gastro-digiunale". La peritonite anzidetta, a sua volta, derivava da una occlusione intestinale inevitabile (ma possibile e intuibile) conseguenza dell'intervento di by-pass gastro-digiunale subito dalla Gi. in (OMISSIS) e ben conosciuto dai sanitari tranesi. La donna, ricoveratasi in Trani l'(OMISSIS), aveva manifestato sin dal pomeriggio dell'(OMISSIS) tutti i segni clinici di una occlusione intestinale (algie addominali, malessere, stato di malnutrizione, vomito), e ciononostante e nonostante la persistenza di quei sintomi nei giorni successivi, era stata trattata esclusivamente ed incongruamente con una associazione di farmaci antidolorifici, ansiolitici e antipsicotici e con la richiesta di consulenza psichiatrica (anche quando la paziente presentava gravissime condizioni generali), omettendosi invece da parte dei sanitari la tempestiva esecuzione dei doverosi esami clinici (esame TAC, esame UGI, esame RX addome in ortostasi, anche più volte nella stessa giornata) e la doverosa consulenza chirurgica (questa inutilmente richiesta, seppure con urgenza, dalla D.M. soltanto alle ore 20:00 del 16 settembre 2008), esami e consulenza che, ove tempestivamente richiesti ed eseguiti, avrebbero evidenziato la impellente e non procrastinabile necessità dell'intervento chirurgico di viscerolisi (anche in laparoscopia), per recidere le aderenze intestinali prodottesi ed emendare la occlusione intestinale in atto e, in tal modo, salvare la vita della donna.


2. Il fatto è stato ricostruito dai giudici d'appello come segue: Gi.Ma.Pi., affetta da obesità di alto grado, era stata sottoposta ad intervento chirurgico di bendaggio gastrico il (OMISSIS) e ad intervento chirurgico di by-pass gastro-digiunale il (OMISSIS); i due interventi erano stati eseguiti presso la casa di cura "(OMISSIS)" di Bari e presso tale clinica la paziente era stata ricoverata, per accertamenti, il (OMISSIS), accusando epigastralgie; diagnosticata la sindrome aderenziale addominale, in data 16 gennaio 2008 era stata sottoposta ad intervento chirurgico di viscerolisi, rimozione del bendaggio gastrico con drenaggio di ascesso e rimozione del "port"; dopo un ulteriore ricovero presso la predetta clinica in data (OMISSIS), la Gi. si era determinata a rivolgersi il 6 agosto 2008 al Presidio Ospedaliero di (OMISSIS) ed era stata ricoverata nel reparto di gastroenterologia; a seguito di una serie di indagini diagnostiche e di laboratorio, era stata posta diagnosi di "malnutrizione e crisi subocclusive in paziente sottoposta a bendaggio e by-pass gastrico. Dolicocolon.

Gastrite del moncone gastrico residuo. Ernia discale L5-51"; la paziente era stata dimessa con prescrizione terapeutica e consigli dietetici il (OMISSIS); in data (OMISSIS) si era recata al Pronto Soccorso del medesimo nosocomio ed era stata ricoverata nel reparto di gastroenterologia per "algie addominali resistenti alla terapia analgesica in corso e feci picee"; all'ingresso nel reparto continuava a presentare algie addominali, con alvo canalizzato ai gas e riferito vomito di succhi gastrici; le era stata somministrata terapia analgesica e, alle ore 22:00, data la comparsa di uno stato ansioso agitato, terapia ansiolitica; nel diario infermieristico si era riportato che la paziente, dalle ore 20:30, aveva cominciato ad agitarsi, mettendosi stesa per terra e spogliandosi e che, contattata telefonicamente la Dott.ssa R., si era eseguito un flacone di ansiolitico; il (OMISSIS) la Gi. era stata sottoposta ad esofago-gastro-duodeno-scopia, che aveva confermato il quadro emerso in agosto di "iperemia della rima anastomotica"; era stata, quindi, chiesta consulenza psichiatrica urgente; nel diario clinico non si era fatta menzione dell'alvo, mentre nel diario infermieristico si era riportato "feci in visione"; il 13 settembre 2008 la paziente aveva continuato ad essere agitata ed a presentare algie addominali, per cui i sanitari avevano proseguito terapia analgesica ed avevano aumentato la terapia ansiolitica; il 15 settembre era stata iniziata la terapia antibiotica e, nella notte tra il (OMISSIS), la paziente aveva assunto di sua iniziativa il farmaco Lexotan; alle ore 14:30 del 16 settembre 2008 le condizioni cliniche della donna erano peggiorate, con sensazione di malessere, sudorazione profusa ed importante calo pressorio, per cui i sanitari avevano somministrato terapia cortisonica e plasma-espansiva richiedendo consulenza cardiologica urgente; il cardiologo aveva richiesto esami ematici d'urgenza, enzimi cardio-specifici, D-dimero e TAC torace e addome urgente; i sanitari dl reparto avevano, quindi, chiesto esame TAC urgente; alle ore 17:00 la paziente continuava a lamentarsi per le algie addominali e i sanitari del reparto avevano sollecitato consulenza psichiatrica; alle ore 20:00 i sanitari del reparto avevano preso visione del referto della TAC e richiesto consulenza chirurgica urgente; alle ore 20:45 il chirurgo aveva riscontrato condizioni generali gravi ed aveva preso in carico la paziente, somministrando terapia medica e sondino naso-gastrico senza procedere ad intervento chirurgico; alle ore 7:10 del (OMISSIS) era stato constatato il decesso della paziente.


3. Sul dato, pacifico, che la morte di Gi.Ma.Pi. fosse ascrivibile a "shock da peritonite per perforazioni intestinali in paziente con quadro di sindrome aderenziale intestinale e volvolo intestinale in torsione", la Corte di Appello, investita del giudizio di secondo grado su appello del pubblico ministero e del difensore di T.A., ha disposto procedersi a perizia medico-legale collegiale, ai cui esiti i giudici si sono affidati nella decisione.


Si è, dunque, affermato che la condotta attendista dei medici, G. e R., che avevano seguito la paziente sino al 13 settembre 2008, fosse corretta, in considerazione della situazione clinica tranquillizzante e della storia anamnestica della donna.


3.1. Per altro verso, si è accertato che il Dott. T. non fosse il medico di turno allorchè le condizioni cliniche della paziente erano bruscamente peggiorate, sicchè non poteva ritenersi in alcun modo responsabile dell'evento.


L'attenzione dei periti si è concentrata, piuttosto, sul succedersi degli eventi a decorrere dal 16 settembre 2008, allorchè nella cartella clinica si era annotato che la paziente aveva assunto nella notte circa 2/3 di boccetta di Lexotan di sua iniziativa e continuava ad essere irrequieta e che, alle 14:30, presentava sudorazione profusa, malessere generale, PA 60/40.


3.2. In tale contesto, si è rilevato che la consulenza cardiologica richiesta con urgenza aveva suggerito, oltre agli esami ematici ed enzimatici d'urgenza, anche una TAC torace e addome urgente, e che tale indicazione fosse stata raccolta dal curante Dott.ssa D.M., con relativa richiesta in via d'urgenza. Tuttavia, la TAC, sebbene eseguita alle ore 16:36 (come emergeva dall'orario 12 presente sui radiogrammi), non era stata trasmessa al reparto e dalla cartella clinica emergeva che alle ore 17:00 la Dott.ssa D.M. si fosse limitata a rilevare la persistenza dei dolori addominali ed a sollecitare una consulenza psichiatrica, prendendo visione del referto della TAC solo alle ore 20:00. Secondo i giudici, il gastroenterologo avrebbe avuto l'obbligo di sincerarsi in tempi rapidi degli esiti di tale esame, onde intervenire con terapia antibiotica e chiedere la consulenza chirurgica in tempo utile ad evitare il decesso della paziente, posto che in caso di perforazione intestinale con peritonite la tempestività del trattamento (terapia antibiotica ed intervento chirurgico) è uno dei fattori che maggiormente influenza il prognostico.


3.3. Sebbene la prova testimoniale avesse dimostrato che la dott.ssa D.M. si fosse recata più volte in radiologia per ottenere il referto dell'esame TAC, non ottenendolo per il comportamento negligente del radiologo dott. gi., che si era allontanato, i giudici hanno rilevato che di tale attività non vi fosse traccia nella cartella clinica, dalla quale invece la D.M. risultava aver sollecitato la consulenza psichiatrica, e che, secondo i periti, in ogni caso le condizioni della paziente avrebbero dovuto indurre il gastroenterologo a sollecitare, piuttosto, una visita chirurgica urgente pur in assenza del referto della TAC.


3.4. Per tali ragioni, i giudici di appello non hanno condiviso le conclusioni alle quali era pervenuto il Tribunale, che aveva escluso la colpa della dott.ssa D.M. a fronte della negligenza del radiologo, sottolineando che non vi fosse la prova di quanto tempo fosse trascorso "tra i due/tre solleciti rivolti dalla D.M. al gi. o tra la ricezione da parte della D.M. della notizia dell'irreperibilità del gi. e l'attivazione della stessa per contattare il Dott. N.", che aveva raggiunto il nosocomio alle ore 19:30 e rilasciato il referto alle ore 20:00 circa. A fronte di tale impasse l'imputata, secondo i giudici di appello, avrebbe dovuto chiedere il consulto di un chirurgo, atteggiandosi altrimenti la sua condotta in termini di negligenza, con sicura incidenza eziologica nel determinare il decesso della paziente.



3.5. La Corte di Appello ha, pertanto, assolto T.A. per non aver commesso il fatto, confermato l'assoluzione di G.F.W. e di R.N., e dichiarato colpevole del reato ascrittole D.M.A., condannandola alla pena ritenuta di giustizia ed al risarcimento dei danni in favore delle parti civili in solido con il responsabile civile (OMISSIS).


4. Il Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Bari ricorre per cassazione avverso la conferma dell'assoluzione dei dottori G.F.W. e R.N. per vizio di motivazione. Il Procuratore ricorrente ritiene illogica l'affermazione secondo la quale l'assistenza prestata alla Gi. dall'11 al 15 settembre 2008 sarebbe stata corretta sul presupposto che gli esami effettuati in occasione del precedente ricovero dell'(OMISSIS) per sub-occlusione intestinale, Rx addome e TAC, escludessero la necessità di ripetere gli approfondimenti diagnostici per immagini in occasione del nuovo ricovero per sindrome aderenziale. Deduce la contraddittorietà di tale affermazione rispetto alla successiva asserzione in base alla quale il 16 settembre 2008 il quadro clinico si sarebbe modificato bruscamente in quanto, riconoscendo che la sindrome aderenziale è suscettibile di evoluzione, anche improvvisa e peggiorativa, la paziente avrebbe dovuto essere sottoposta a controllo assiduo e costante attraverso esami diagnostici per immagini. La deriva occlusiva della sindrome aderenziale era già in atto al momento del ricovero per cui, se si poteva condividere la condotta attendista con riguardo alla scelta degli interventi curativi, non altrettanto si sarebbe potuto affermare con riguardo all'omissione delle necessarie indagini strumentali, indispensabili a fini diagnostici.


5. D.M.A. ricorre per cassazione e censura la sentenza proponendo quattro motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. c.p.p..


a) mancanza di motivazione sul nesso di causalità e violazione dell'art. 40 c.p., comma 1 e dell'art. 589 c.p., comma 1; manca del tutto la motivazione in punto di nesso di causalità tra le omissioni addebitate alla ricorrente e l'evento morte, posto che sarebbe stato indispensabile spiegare e dimostrare che le condotte asseritamente omesse avrebbero salvato la vita alla Gi.. Non è stato spiegato quale fosse il momento ancora utile perchè un intervento chirurgico asseritamente risolutivo potesse evitare l'evento;


b) mancanza e manifesta illogicità della motivazione sulla colpa ed erronea applicazione dell'art. 42 c.p., comma 2 e dell'art. 589 c.p., comma 1; non si spiega in sentenza in cosa si sarebbe sostanziata la negligenza correlata all'omessa pretesa di un'esecuzione anticipata della TAC ed in relazione a quale contesto la ricorrente avrebbe avuto la possibilità di agire altrimenti; le dichiarazioni testimoniali delle infermiere, dalle quali era emerso che la ricorrente avesse sollecitato ripetutamente l'invio del referto, sono state arbitrariamente trasformate in elementi a carico in quanto si è sottolineata l'assenza di prova del tempo trascorso tra la notizia dell'irreperibilità del dott. gi. e l'attivazione della dott.ssa D.M.; l'asserita negligenza nel non aver richiesto una visita chirurgica urgente contrasta con la dichiarazione del perito dott. M., secondo il quale l'acquisizione del referto TAC sarebbe stata imprescindibile per la consulenza chirurgica;


c) mancanza di motivazione in merito al grado della colpa, inosservanza della L. n. 189 del 2012, art. 3, comma 1, erronea applicazione dell'art. 589 c.p.; la problematica della colpa lieve si sarebbe dovuta affrontare anche in relazione alla condotta negligente ascritta alla ricorrente, posto che in molti casi le linee guida pongono regole rispetto alle quali il parametro valutativo della condotta dell'agente è quello della diligenza; nel negare che l'ipotesi in esame fosse ascrivibile a colpa lieve, i giudici di merito hanno negato l'applicabilità della c.d. legge Balduzzi ritenendo erroneamente che fosse necessario che la regola di diligenza fosse inserita nelle linee guida, trascurando che la legge Balduzzi fa riferimento anche alle buone pratiche accreditate, e fornendo motivazione apparente senza alcun riferimento ad elementi concreti e di scienza medica;


d) mancanza di motivazione circa l'insostenibilità sul piano logico e giuridico degli argomenti più rilevanti della sentenza di primo grado, non essendo altrimenti giuridicamente giustificato il ribaltamento della statuizione assolutoria in quella di condanna.


6. Con memoria depositata il 30 marzo 2018 il difensore di G.F.W. ha dedotto l'inammissibilità dell'impugnazione del Procuratore Generale in quanto meramente reiterativa di argomenti già sottoposti all'esame del giudice di appello, senza alcun confronto con la motivazione della sentenza impugnata.


CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con riferimento al ricorso del Procuratore Generale, osserva preliminarmente il Collegio che il fatto risale al 17 settembre 2009.


Pur considerando i periodi di sospensione del termine, pari a mesi 5 e giorni 18, deve ritenersi decorso, in data successiva alla sentenza di appello, il termine di prescrizione previsto dall'art. 157 c.p., per l'ipotesi di reato contestata. Il ricorso risulta, pertanto, inammissibile per carenza di interesse all'impugnazione. Secondo quanto già chiaramente espresso in una precedente pronuncia della Corte di Cassazione, è inammissibile, per difetto di interesse, l'impugnazione con la quale il pubblico ministero deduca profili di carenza nell'accertamento dei fatti in ordine a pronuncia assolutoria, quando nelle more sia intervenuta la causa estintiva della prescrizione del reato, atteso che il mezzo di impugnazione deve perseguire un risultato non solo teoricamente corretto ma anche praticamente favorevole, ovvero deve tendere alla tutela di un interesse concreto, anche se rispondente a una ragione esterna al processo purchè obiettivamente riconoscibile (Sez. 5^, n. 30939 del 24/06/2010, Mangiafico, Rv. 24797101). Interesse che non risulta, qui, allegato.


1.1. Tale conclusione è, altresì, suggerita dai principi enunciati nel 2009 dalle Sezioni Unite di questa Suprema Corte (Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009, Tettamanti, Rv. 24427501), posto che l'eventuale accoglimento del ricorso del Procuratore Generale per vizio della motivazione non potrebbe che condurre ad una declaratoria di annullamento con rinvio della sentenza impugnata, priva di utile conseguenza in quanto il giudice del rinvio avrebbe comunque l'obbligo di procedere immediatamente alla declaratoria della causa estintiva.


1.2. Non muta l'esito del giudizio la presenza, nel presente processo, delle parti private, che avevano promosso un'apposita azione civile nei riguardi degli imputati ma che non hanno promosso appello avverso la sentenza assolutoria di primo grado. In presenza del ricorso del solo rappresentante della pubblica accusa, la natura assolutoria delle sentenze di tutti e due i gradi di merito, dunque la mancanza di una precedente statuizione sugli interessi civili, è di ostacolo alla operatività dell'art. 578 c.p.p., (Sez. 6^, n. 16147 del 02/04/2014, Re Mario, Rv. 26012101).


2. L'esame della motivazione consente di escludere, peraltro, che il ricorso proposto da D.M.A. sia manifestamente infondato ed impone di rilevare, con riguardo a tale imputata, l'intervenuto decorso del termine di prescrizione del reato.


2.1. La delibazione dei motivi sopra indicati fa escludere l'emergere di un quadro dal quale possa trarsi ragionevole convincimento dell'evidente innocenza della ricorrente. Sul punto, l'orientamento della Corte di Cassazione è univoco. In presenza di una causa di estinzione del reato il giudice è legittimato a pronunciare sentenza di assoluzione a norma dell'art. 129 c.p.p., comma 2, soltanto nei casi in cui le circostanze idonee ad escludere l'esistenza del fatto, la commissione del medesimo da parte dell'imputato e la sua rilevanza penale emergano dagli atti in modo assolutamente non contestabile, cosi che la valutazione che il giudice deve compiere al riguardo appartenga più al concetto di constatazione, ossia di percezione ictu oculi, che a quello di apprezzamento e sia quindi incompatibile con qualsiasi necessità di accertamento o di approfondimento (Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009, Tettamanti, Rv. 24427501). Nel caso di specie, restando al vaglio previsto dall'art. 129 c.p.p., comma 2, l'assenza di elementi univoci dai quali possa trarsi, senza necessità di approfondimento critico, il convincimento di innocenza dell'imputata impone l'applicazione della causa estintiva.


2.2. Va disposto, pertanto, l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata agli effetti penali nei confronti di D.M.A., essendo il reato ascrittole estinto per prescrizione.


3. Ma, nel giudizio di impugnazione, in presenza di una condanna al risarcimento dei danni o alle restituzioni pronunziata dal primo giudice o dal giudice di appello ed essendo ancora pendente l'azione civile, il giudice penale, secondo il disposto dell'art. 578 c.p.p., è tenuto, quando accerti l'estinzione del reato per prescrizione, ad esaminare il fondamento dell'azione civile. In questi casi la cognizione del giudice penale, sia pure ai soli effetti civili, rimane integra e il giudice dell'impugnazione deve verificare, senza alcun limite, l'esistenza di tutti gli elementi della fattispecie penale al fine di confermare o meno il fondamento della condanna alle restituzioni ed al risarcimento pronunziata dal primo giudice o, come nel caso in esame, confermata dal giudice di appello.


3.1. Con riguardo, in particolare, all'impugnazione proposta anche in relazione alle statuizioni civili, secondo quanto già affermato da questa Sezione (Sez. 4^, n. 10802 del 21/01/2009, Motta, Rv. 24397601), trova applicazione il principio cosiddetto di immanenza della costituzione di parte civile. In ragione di tale principio, normativamente previsto dall'art. 76 c.p.p., comma 2, secondo il quale "la costituzione di parte civile produce i suoi effetti in ogni stato e grado del processo", il giudice di legittimità è tenuto a verificare l'esistenza dei presupposti per l'affermazione della responsabilità penale ai soli fini della pronuncia sull'azione civile, allorchè abbia rilevato una causa estintiva del reato. Tale principio comporta, infatti, che la parte civile, una volta costituita, debba ritenersi presente nel processo anche se non compaia, debba essere citata anche nei successivi gradi di giudizio anche se non impugnante e senza che sia necessario per ogni grado di giudizio un nuovo atto di costituzione.


3.2. Corollario di questo principio generale è che l'immanenza viene meno soltanto nel caso di revoca espressa e che i casi di revoca implicita - previsti dall'art. 82 c.p.p., comma 2, nel caso di mancata presentazione delle conclusioni nel giudizio di primo grado o di promozione dell'azione davanti al giudice civile - non possono essere estesi al di fuori delle ipotesi espressamente contemplate dalla norma indicata (Sez. 5^, n. 39471 del 04/06/2013, De Iuliis, Rv. 25719901; Sez. 6^, n. 48397 del 11/12/2008, Russo, Rv. 24213201; Sez. 4^, n. 2 4360 del 28/05/2008, Rago, Rv. 24094201; Sez. 5^, n. 12959 del 8/02/2006, Lio, Rv. 23453601; Sez. 6^, n. 25723 del 6/05/2003, Manfredi, Rv. 22557601; Sez. 1^, n. 9731 del 12/05/1998, Totano, Rv. 21132301).


4. Tanto premesso, si ritiene che il primo ed il quarto motivo di ricorso siano stati fondatamente proposti.


4.1. Nella sentenza di primo grado, elaborata previo accurato esame delle posizioni di tutti i consulenti tecnici di parte, era stato posto l'accento sulla diagnosi all'ingresso di "sub-occlusione intestinale", pacificamente condivisa nel reparto di gastroenterologia anche in considerazione del recente ricovero, avvenuto nel mese di agosto 2008, per analoga sintomatologia; si era, inoltre, attribuito all'"irrequietezza" della paziente il valore di sintomo della gravità di un fenomeno occlusivo intestinale in atto e si era sottolineato che la consulenza chirurgica fosse stata richiesta solo cinque giorni dopo il ricovero della paziente, sottoposta da subito a tempestiva consulenza psichiatrica e trattata con antidolorifici ed ansiolitici che avevano determinato la "soppressione" della più marcata ed intensa sintomatologia addominale.


4.2. I punti critici dell'operato dei medici emersi nel dibattimento erano stati così indicati dal Tribunale: la mancata richiesta di una consulenza chirurgica e/o di esami strumentali anche non tomografici (ecografia addominale, RX diretta addome) prima del pomeriggio del 16.9; la reiterazione della richiesta di consulenza psichiatrica, ritenuta "urgente" già dal 12.9, sulla base di erronee convinzioni diagnostiche e di una inadeguata valutazione differenziale; il tardivo riconoscimento del peggioramento delle condizioni della paziente. Tali omissioni avevano determinato che la condizione iniziale si evolvesse drammaticamente in peritonite settica, da attribuirsi alla torsione di segmenti intestinali tali da determinare occlusione, sofferenza ischemica delle pareti e conseguente perforazione con shock.


5. A carico dei sanitari, l'imputazione aveva individuato la cooperazione colposa nell'aver scelto il trattamento farmacologico con antidolorifici, ansiolitici ed antipsicotici e la richiesta di consulenza psichiatrica nonostante sin dal momento del ricovero la donna manifestasse tutti i segni clinici di una occlusione intestinale, laddove, secondo l'impostazione accusatoria, la tempestiva esecuzione di esami clinici (esame tac, esame ugi, esame rx addome in ortostasi, anche più volte nella stessa giornata) avrebbe evidenziato l'impellente e non procrastinabile necessità dell'intervento chirurgico di viscerolisi, che avrebbe salvato la vita della Gi..


5.1. I consulenti tecnici del pubblico ministero avevano precisato che tutto il corteo sintomatologico, incluse la irrequietezza ed agitazione, fosse correlato, non ad una insorta patologia psichiatrica tale da richiedere un accertamento specialistico urgente, bensì all'evoluzione di una sub-occlusione intestinale in un ben peggiore quadro di franca occlusione. Tali sintomi avrebbero dovuto indirizzare i medici, si legge nella sentenza di primo grado, verso una specifica richiesta di esami strumentali (RX diretta addome ed esame ecografico). Sulla base dell'osservazione diretta in sede autoptica, e segnatamente della quantità di liquido presente nell'addome, i predetti esperti avevano retrodatato l'evento perforativo a 24 prima dello shock registrato alle ore 14:30 del 16.9 e l'occlusione intestinale ai giorni 13 e 14 settembre, rilevabile con monitoraggio già in data 15.9 ed emendabile, data la giovane età e le condizioni generali di funzionalità epatica e renale e di equilibrio metabolico idroelettrolitico, mediante intervento chirurgico.


5.2. Ciononostante, erano pervenuti ad escludere la responsabilità di D.M.A. sia perchè non era stato acquisito il dato certo che, al momento in cui la stessa era di turno il 15 settembre mattina, l'esecuzione di un esame strumentale avrebbe evidenziato l'avvio di un quadro occlusivo o addirittura perforativo (a pag. 50 della sentenza di primo grado si legge "anche i consulenti del PM, pur evocando il giorno 15 come già determinante, non hanno potuto fissare una decorrenza temporale in modo categorico"), sia perchè, dal momento in cui l'imputata si era resa conto, agevolata dal suggerimento del cardiologo, della necessità dell'approfondimento strumentale, era provato che si fosse attivata con la dovuta solerzia, incontrando sul suo cammino una assurda inerzia prolungata del radiologo di turno ed il successivo comportamento di inaccettabile desistenza del chirurgo.


5.3. I periti nominati dalla Corte di Appello, sulle cui valutazioni la Corte ha fondato la decisione, avevano invece rimarcato che, al di là del dovere del radiologò che aveva effettuato in urgenza la TAC di comunicare al medico richiedente un risultato non tranquillizzante, da cui sarebbe dipesa la modifica del programma clinico, sarebbe stato dovere della dott.ssa D.M. sincerarsi, tempestivamente, della risposta di un esame che ella stessa aveva richiesto come urgente, piuttosto che attendere passivamente che tale risposta giungesse in reparto.


6. Giova ricordare che la Corte di Cassazione, nell'esaminare i rapporti tra la decisione del giudice e le determinazioni derivanti dalla perizia d'ufficio, ha affermato che il giudice ha piena libertà di apprezzamento delle risultanze della perizia ma che, al contempo, tale libertà è temperata dall'obbligo di motivazione. In presenza di tesi scientifiche contrapposte,. l'adesione alle conclusioni del perito d'ufficio può ritenersi adeguatamente motivata ove il giudice ne indichi l'attendibilità, mostrando di non aver ignorato le conclusioni dei consulenti tecnici di parte (Sez. 6^, n. 5749 del 09/01/2014, Homm, Rv. 25863001; Sez. 1^, n. 25183 del 17/02/2009, Panini, Rv. 24379101). La Corte di legittimità è, quindi, tenuta a valutare, piuttosto che l'esattezza di una tesi piuttosto che di un'altra, la correttezza metodologica dell'approccio del giudice di merito al sapere tecnico-scientifico, ossia la preliminare, indispensabile verifica critica in ordine all'affidabilità delle informazioni utilizzate ai fini della spiegazione del fatto (Sez. 5^, n. 6754 del 07/10/2014, dep. 2015, C, Rv. 26272201; Sez. 4^, n. 18933 del 27/02/2014, Negroni, Rv. 26213901).


7. Con riguardo alla valutazione della prova, i motivi di ricorso proposti consentono di richiamare l'insegnamento delle Sezioni Unite, per cui il giudice di appello che riformi totalmente la decisione di primo grado ha l'obbligo di delineare le linee portanti del proprio, alternativo, ragionamento probatorio e di confutare specificamente i più rilevanti argomenti della motivazione della prima sentenza, dando conto delle ragioni della relativa incompletezza o incoerenza, tali da giustificare la riforma del provvedimento impugnato (Sez. U, n. 33748 del 12/07/2005, Mannino, Rv. 23167901). Principi che la giurisprudenza di legittimità ha costantemente ribadito dopo il pronunziamento del Supremo Collegio, premurandosi tra l'altro di precisare che il giudice dell'appello non può limitarsi ad imporre la propria valutazione del compendio probatorio perchè preferibile a quella coltivata nel provvedimento impugnato (Sez. 5, n. 8361 del 17/01/2013, Rastegar, Rv. 25463801), ma deve provvedere ad una motivazione che, sovrapponendosi pienamente a quella della decisione riformata, dia ragione delle scelte operate e della maggiore considerazione accordata ad elementi di prova diversi o diversamente valutati (Sez. 5^, n. 42033 del 17/10/2008, Pappalardo, Rv. 24233001), giungendo ad affermare l'illegittimità della sentenza d'appello che, in riforma di quella assolutoria, condanni l'imputato sulla base di una alternativa interpretazione del medesimo compendio probatorio utilizzato nel primo grado di giudizio, occorrendo, invece, una forza persuasiva superiore della motivazione, tale da far cadere "ogni ragionevole dubbio" (Sez. 6^, n. 49755 del 21/11/2012, G., Rv. 25390901).


7.1. In altre parole, nel giudizio di appello, per la riforma di una sentenza assolutoria, devono essere evidenziati elementi ulteriori rispetto a quelli esaminati in primo grado perchè non è sufficiente, in mancanza di elementi sopravvenuti, una mera e diversa valutazione del materiale probatorio già acquisito in primo grado ed ivi ritenuto inidoneo a giustificare una pronuncia di colpevolezza, nè che tale valutazione sia caratterizzata da pari o addirittura minore plausibilità rispetto a quella operata dal primo giudice, occorrendo, invece, una forza persuasiva superiore, tale da far venir meno ogni ragionevole dubbio (Sez.6, n.45203 del 22/10/2013, Paparo, Rv. 25686901; Sez. 6^, n.8705 del 24/01/2013, Farre, Rv. 25411301; Sez. 2^, n. 11883 del 08/11/2012, dep. 2013, Berlingeri, Rv. 25472501; Sez. 6^, n. 34487 del 13/06/2012, Gobbi, Rv. 25343401).


7.2. La regola di giudizio introdotta formalmente dalla L. 6 febbraio 2006, n. 46, art. 5, mediante la sostituzione dell'art. 533 c.p.p., comma 1, impone, per altro verso, al giudice di procedere ad un completo esame degli elementi di prova rilevanti e di argomentare adeguatamente circa le opzioni valutative della prova, giustificando, con percorsi razionali idonei, che non residuino dubbi in ordine alla responsabilità dell'imputato. Si è, infatti, affermato (Sez. 2^, n. 7035 del 9/11/2012, dep. 2013, De Bartolomei, Rv. 25402501) che "la previsione normativa della regola di giudizio dell'al di là di ogni ragionevole dubbio, che trova fondamento nel principio costituzionale della presunzione di innocenza, non ha introdotto un diverso e più restrittivo criterio di valutazione della prova, ma ha codificato il principio giurisprudenziale secondo cui la pronuncia di condanna deve fondarsi sulla certezza processuale della responsabilità dell'imputato" (Sez. 2^, n. 7035 del 09/11/2012, dep. 2013, De Bartolomei, Rv. 25402501; Sez. 1^, n. 20371 del 11/05/2006, Ganci, Rv. 23411101; Sez. 2^, n. 19575 del 21/04/2006, Serino, Rv. 23378501).


7.3. La codificazione di tale principio ha assunto, nella giurisprudenza della Corte, particolare rilievo nel giudizio di legittimità circa la motivazione della sentenza di appello che abbia riformato la sentenza di assoluzione in primo grado (Sez. 6^, n. 1266 del 10/10/2012, dep. 2013, Andrini, Rv. 25402401; Sez. 2^, n. 11883 del 8/11/2012, dep. 2013, Berlingeri, Rv. 25472501; Sez. 6^, n. 8705 del 24/01/2013, Farre, Rv. 25411301), anche in relazione ai principi affermati in materia dalla CEDU (Corte EDU 5/07/2011, Dan c. Moldavia, parr. 32 e 33), imponendo, in tale ipotesi, particolare rigore metodologico ed argomentativo al giudice di secondo grado. Il giudice di appello potrà, dunque, pervenire a differente esito decisorio purchè sulla base di elementi istruttori trascurati dal giudice di primo grado, in particolare mettendo in rilievo di quali elementi decisivi quest'ultimo non abbia tenuto adeguato conto, ovvero rinnovando l'istruttoria ove ritenga di attribuire rilievo ad una prova dichiarativa trascurata dal primo giudice o di non condividere la valutazione della prova operata in primo grado (Sez. U, n.27620 del 28/04/2016, Dasgupta, Rv. 26748701).


7.4. In definitiva il giudice d'appello, quando, immutato il materiale probatorio acquisito al processo, afferma sussistente una responsabilità penale negata nel giudizio di primo grado, deve confrontarsi espressamente con il principio dell'oltre ogni ragionevole dubbio, non limitandosi pertanto ad una rilettura di tale materiale, quindi ad una ricostruzione alternativa, ma spiegando perchè, dopo il confronto puntuale con quanto di diverso ritenuto e argomentato dal giudice che ha assolto, il proprio apprezzamento sia l'unico ricostruibile al di là di ogni ragionevole dubbio, in ragione di evidenti vizi logici o inadeguatezze probatorie che abbiano caratterizzato il primo giudizio, minandone conseguentemente la permanente sostenibilità.


8. Esaminando la sentenza impugnata alla luce dei principi esposti, deve in primo luogo osservarsi la mancanza di analisi del ruolo salvifico del comportamento alternativo corretto che sarebbe stato esigibile dall'imputata nel pomeriggio del 16 settembre. Tale analisi, mancante nella sentenza assolutoria in ragione del dirimente giudizio d'inesigibilità di tale comportamento dal punto di vista soggettivo in relazione alle circostanze concrete messe in luce dalla prova dichiarativa, costituiva un passaggio logico ineludibile nella pronuncia di condanna; passaggio logico che è, tuttavia, mancato.


8.1. Deve, infatti, osservarsi come la Corte di Appello abbia fondato la riforma della decisione di primo grado attribuendo rilievo dirimente, ai fini del giudizio di sussistenza del nesso di causalità tra la condotta colposa dell'imputata D.M. e l'evento letale, al ritardo con cui il medico ha visionato l'esito della TAC da lei stessa sollecitata con urgenza ed all'omessa richiesta, indipendentemente dall'esito di tale esame, di una consulenza chirurgica. Da tali omissioni la Corte ha tratto il convincimento che la condotta dell'imputata fosse causalmente collegata al decesso della paziente sul presupposto che la tempestiva instaurazione di adeguata terapia antibiotica ed un tempestivo intervento chirurgico avrebbero avuto elevate probabilità logiche di evitare il decesso della Gi..


8.2. Le relative argomentazioni sono, tuttavia, sostenute da una ricostruzione del nesso di causalità carente di ogni valutazione controfattuale, che si sarebbe dovuta porre in correlazione al dato scientifico, che gli stessi giudici avevano riportato (pag.15), emergente da una recente pubblicazione sul management della sepsi addominale, in cui si era affermato che due fattori hanno un profondo effetto sulla sopravvivenza: il ritardo nell'intervento definitivo maggiore di 24 ore dall'inizio della sintomatologia e la impossibilità di ottenere il controllo della fonte della infezione al momento della chirurgia.


8.3. La pronuncia impugnata non risulta fondata, per altro verso, su una motivazione "rinforzata", idonea a spiegare come e perchè sarebbe stato possibile formulare, mediante la sola consulenza chirurgica, una corretta diagnosi senza gli esami strumentali, considerati indipensabili dal giudice di primo grado (pag. 33), nè idonea ad evidenziare quali fossero le emergenze istruttorie certe che confutassero il ragionamento del Tribunale (pag. 48), laddove aveva desunto dalla prova dichiarativa che il tempo trascorso tra la richiesta dell'esame TAC e la visione del referto non fosse ascrivibile ad inerzia, dunque, a negligenza della dott.ssa D.M..


8.4. Il giudizio negativo in punto di prova del tempo trascorso tra i due/tre solleciti rivolti dalla dott.ssa D.M. al dott. gi., o del tempo trascorso tra la ricezione della notizia dell'irreperibilità del dott. gi. e l'attivazione della dott.ssa D.M. per contattare il dott. N., si risolve in una pura, generica, affermazione non posta in correlazione a riferimenti di natura tecnico-scientifica, indipensabili per istituire un nesso di causa tra il comportamento alternativo corretto e l'evento. Trovandosi, peraltro, ad argomentare sulla scorta delle tesi dei periti in merito alla rilevanza del fattore tempo nella valutazione del comportamento salvifico, la Corte territoriale ha ritenuto di aderirvi senza fornire ulteriori riscontri di matrice scientifica che rapportassero la generica affermazione dell'importanza del fattore tempo alle peculiarità del caso concreto, connotato altresì dal pacifico comportamento attendista del chirurgo che aveva preso in carico la paziente alle ore 20:45.


9. Conclusivamente, la sentenza deve essere annullata senza rinvio agli effetti penali nei confronti dell'imputata D.M.A. perchè il reato è estinto per prescrizione, mentre dovrà essere annullata agli effetti civili per vizio di motivazione nei confronti di D.M.A., dandosi luogo ad annullamento con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello, ai sensi dell'art. 622 c.p.p., (Sez. U, n. 40109 del 18/07/2013, Sciortino, Rv. 25608701) affinchè sviluppi idonea motivazione in aderenza ai criteri di giudizio sopra enunciati; a detto giudice, inoltre, deve essere demandato il complessivo regolamento delle spese tra le parti private anche per il presente giudizio di legittimità.


Il ricorso del Procuratore Generale va, invece, dichiarato inammissibile.


PQM

Annulla la sentenza impugnata nei confronti di D.M.A. senza rinvio agli effetti penali perchè il reato è estinto per prescrizione e con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello, cui demanda la regolazione delle spese fra le parti, agli effetti civili.


Dichiara inammissibile il ricorso del Procuratore Generale.


Così deciso in Roma, il 19 aprile 2018.


Depositato in Cancelleria il 17 maggio 2018



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