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Indebita compensazione: si configura anche in caso di crediti e debiti di imposta di natura diversa


Indebita compensazione: si configura anche in caso di crediti e debiti di imposta di natura diversa

Con la sentenza n. 22372/2023, la Terza sezione della Corte di Cassazione ha affermato che il reato di indebita compensazione possa configurarsi sia in caso di compensazione "verticale", riguardante crediti e debiti afferenti alla medesima imposta, sia in caso di compensazione "orizzontale", concernente crediti e debiti di imposta di natura diversa, in quanto può avere ad oggetto tutte le somme dovute che possono essere inserite nell'apposito modello F24, incluse quelle relative ai contributi previdenziali e assistenziali.


Cassazione penale sez. III, 24/03/2023, (ud. 24/03/2023, dep. 24/05/2023), n.22372

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza emessa in data 22/09/2021, in esito a giudizio abbreviato, il Giudice per l'udienza preliminare presso il Tribunale di Brescia dichiarava A.A. e A.A. (il primo quale amministratore di fatto e il secondo quale legale rappresentante delle società "AZ Costruzioni s.r.l." e "Cosf s.r.l.") responsabili dei reati a loro ascritti ai capi 1), 4), 6), 7), 8), 9), 12),13), 14) e 15), relativi a fatti di cui agli artt. 2,3,5,8 e 10-quater D.Lgs. n. 74 del 2000.


Per l'effetto, riconosciuta la continuazione tra tutti i fatti:


- quanto all' A., riconosciuta la continuazione con quelli già giudicati con sentenza della Corte d'Appello di Milano n. 114 del 9 gennaio 2020, esclusa la recidiva, concesse le circostanze attenuanti generiche e operata la riduzione per il rito, lo condannava alla pena ulteriore, a titolo di aumento per la continuazione, di anni uno di reclusione, rideterminando la pena complessiva in anni tre e mesi dieci di reclusione;


- quanto ad A., riconosciuta la continuazione tra tutti i reati, concesse circostanze attenuanti generiche ed operata la riduzione per il rito, lo condannava alla pena di anni due di reclusione.


Dichiarava A.A. e A.A., interdetti dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese, incapaci di contrattare con la pubblica amministrazione, interdetti dalle funzioni di rappresentanza e assistenza in materia tributaria per anni due e interdetti in perpetuo dall'ufficio di componente di commissione tributaria.


Disponeva la pubblicazione della sentenza per estratto sul sito internet del Ministero della Giustizia per la durata minima.


Disponeva inoltre la confisca del profitto del reato di cui al capo 8) nella misura di Euro 3.360.142,97, qualora nella effettiva disponibilità, a qualsiasi titolo, della società "AZ Costruzioni s.r.l." e del profitto del reato di cui al capo 15) nella misura di Euro 4.079.343,32, qualora nella effettiva disponibilità, a qualsiasi titolo, della società "COSF s.r.l.".


Disponeva altresì - in caso di esito totalmente o parzialmente negativo della ricerca del profitto del reato, e comunque fino alla concorrenza delle somme complessive suindicate - la confisca delle somme di denaro esistenti sui conti correnti nonché dei depositi titoli ed altre disponibilità finanziarie oppure, alternativamente, dei beni mobili registrati, dei cespiti immobiliari o di altri diritti reali economicamente valutabili e di qualsiasi altra utilità nella disponibilità di A.A. e A.A..


Dichiarava infine non doversi procedere nei confronti di A.A. e A.A., in relazione ai reati di cui ai capi 2), 3), 5), 10) e 11) in quanto estinti per intervenuta prescrizione.


2. Con sentenza del 12/04/2022 la Colte di appello di Brescia, in parziale riforma della sentenza di primo grado, assolveva gli odierni ricorrenti dal reato loro ascritto al capo 14), in quanto il fatto non sussiste; dichiarava non doversi procedere nei confronti di entrambi gli imputati in relazione al reato loro ascritto al capo 1), in quanto estinto per intervenuta prescrizione; riduceva la pena inflitta ad A.A., a titolo di continuazione sulla pena di cui alla sentenza della Corte di Appello di Milano del 09/01/2020 a mesi 9 e giorni 10 di reclusione e rideterminava la pena complessiva in anni 3 mesi 7 e giorni 10 di reclusione; rideterminava la pena inflitta ad A.A. in anni 1 mesi 8 e giorni 20 di reclusione; confermava nel resto.


3. Avverso tale ordinanza gli imputati proponevano, tramite i rispettivi difensori di fiducia, ricorso disgiunto per cassazione.


4. Il ricorso di A.A..


4.1. Con il primo motivo, il ricorrente lamenta l'inosservanza e la erronea applicazione della legge penale o di norme giuridiche di cui si deve tener conto nell'applicazione della legge penale ed integratrici della stessa; mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione (artt. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), ed e)); la difesa censura in particolare la carenza di motivazione sulla riconducibilità all'odierno ricorrente della carica di amministratore "di fatto" delle società "AZ Costruzioni s.r.l." e "Cosf s.r.l."; sostiene in particolare che le condotte materiali poste in essere dall' A., non possono far ritenere che lo stesso fosse amministratore di fatto delle società e che l'esistenza di un amministratore di diritto, e non di un mero "prestanome", escluderebbe la qualifica di amministratore di fatto in capo ad A..


I giudici di appello hanno inoltre ritenuto il ricorrente quale concorrente nelle condotte illecite perpetrate dall'amministratore di diritto senza specificare il suo effettivo contributo nelle diverse fattispecie.


Infine, gli eventuali atti gestori compiuti dal ricorrente sarebbero atti isolati e condotte non speculari a quelle di un soggetto ritualmente investito nel ruolo di amministratore. Da qui la carenza motivazionale in merito al contributo dell'odierno ricorrente, soprattutto in materia di reati tributari


4.2. con il secondo motivo lamenta l'inosservanza e la erronea applicazione della legge penale o di norme giuridiche di cui si deve tener conto nell'applicazione della legge penale ed integratrici della stessa; mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione (artt. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e); sostiene il ricorrente che il reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 5, può essere commesso esclusivamente dai soggetti titolari di redditi oppure da coloro che sono obbligati alla tenuta delle scritture contabili appunto.


Nel caso di specie la presenza di un amministratore di diritto rende lo stesso unico soggetto destinatario dell'obbligo previsto per la dichiarazione.


Inoltre, la Corte di appello sarebbe incorsa in un errore di calcolo posto che ha sistematicamente escluso le fatture per operazioni inesistenti dal calcolo ai fini della dichiarazione, nonché ha escluso altre Fatture che tuttavia hanno concorso a determinare il conteggio;


4.3. con il terzo motivo lamenta l'inosservanza e la erronea applicazione della legge penale o di norme giuridiche di cui si deve tener conto nell'applicazione della legge penale ed integratrici della stessa (art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), il ricorrente lamenta che, erroneamente, la Corte di appello ha considerato, ai fini della sussistenza del reato di cui all'art. 10-quater del decreto legislativo 74/2000, anche i contributi previdenziali e non solo le imposte sul reddito e/o sul valore aggiunto;


4.4. con il quarto motivo lamenta la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione (artt. 606 c.p.p., comma 1, lett. e)) in riferimento alla quantificazione della pena.


Sostiene, il ricorrente, come la Corte abbia motivato in modo irragionevole e contraddittorio in ordine alla quantificazione dell'aumento per la continuazione, avendo da un lato rifiutato di operare la riduzione al minimo dell'aumento per l' A. "in regione del numero della gravità dei reati", mentre l'avrebbe concessa al coimputato A. "tenuto conto del numero e la gravità dei reati per i quali è stato riconosciuto colpevole".


5. Il ricorso di A.A..


5.1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta l'inosservanza e la erronea applicazione della legge penale (art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), in riferimento all'art. 2 D.Lgs. n. 74 del 2000; sostiene in particolare che i giudici della Corte territoriale non hanno preso in considerazione le contestazioni mosse nell'atto di appello ed in particolare la prova, in atti, relativa al pagamento delle fatture suppostamente fittizie, in quanto sui conti correnti della società AZ Costruzioni sarebbero transitati e pagati ai creditori gli importi relativi alle fatture in contestazione come inesistenti.


Sostiene, quindi, la mancanza o la contraddittorietà della motivazione laddove al contrario afferma che le operazioni economiche di cui sopra possano essere avvenute su "conti occulti", in quanto i pagamenti sono avvenuti in favore dei nominativi indicati nelle fatture stesse. I giudici hanno quindi ritenuto provato l'elemento psicologico del reato nonostante la prova oggettiva del pagamento delle fatture passive annotate in contabilità;


5.2. con il secondo motivo il ricorrente lamenta l'inosservanza e la erronea applicazione della legge penale (art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), in riferimento al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10-quater; il ricorrente lamenta che, erroneamente, la Corte di appello k considerato ai fini della sussistenza del reato di cui all'art. 10-quater del D.L. 74/2000 anche i contributi previdenziali e non solo le imposte sul reddito e/o sul valore aggiunto.


5.3. con il terzo motivo il ricorrente Lamenta l'inosservanza e la erronea applicazione della legge penale (art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), in riferimento al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 5; sostiene che la Corte territoriale ha omesso completamente di motivare il riferimento all'elemento psicologico del reato, ritenendo la sussistenza dello stesso unicamente dalla violazione dell'obbligo dichiarativo ma senza indicare la sussistenza di elementi fattuali dimostrativi della volontà di evadere le imposte. La Corte di appello ha infatti proceduto ad indicare i metodi di determinazione dell'imposta evasa, operazione non compiuta dai giudici di primo grado, ma non ha motivato nulla in ordine all'elemento soggettivo del reato.


CONSIDERATO DIRITTO

1. Preliminarmente appare necessario rammentare che secondo la costante giurisprudenza della Corte (Sez. 3, n. 46288 del 28/06/2016, Musa, non massimata sul punto) "in presenza di una doppia conforme affermazione di responsabilità, va, peraltro, ritenuta l'ammissibilità della motivazione della sentenza d'appello per relationem a quella della decisione impugnata, sempre che le censure formulate contro la sentenza di primo grado non contengano elementi ed argomenti diversi da quelli già esaminati e disattesi, in quanto il giudice di appello, nell'effettuazione del controllo della fondatezza degli elementi su cui si regge la sentenza impugnata, non è tenuto a riesaminare questioni sommariamente riferite dall'appellante nei motivi di gravame, sulle quali si sia soffermato il primo giudice, con argomentazioni ritenute esatte e prive di vizi logici, non specificamente e criticamente censurate. In tal caso, infatti, le motivazioni della sentenza di primo grado e di appello, fondendosi, si integrano a vicenda, confluendo in un risultato organico ed inscindibile al quale occorre in ogni caso fare riferimento per giudicare della congruità della motivazione, tanto più ove i giudici dell'appello abbiano esaminato le censure con criteri omogenei a quelli usati dal giudice di primo grado e con frequenti riferimenti alle determinazioni ivi prese ed ai passaggi logico-giuridici della decisione, sicché le motivazioni delle sentenze dei due gradi di merito costituiscano una sola entità (Cass. pen., Sez. II,


252615)".


La c.d. "doppia conforme" si verifica in particolare (Sez. 2, n. 37295 del sentenza n. 1309 del 22 novembre 1993 - 4 febbraio 1994, CED Cass. n. 197250; Sez. III, sentenza n. 13926 del 1 dicembre 2011 - 12 aprile 2012, CED Cass. n.


12/05/2019, EI Rharbi, RV. 277218) quando sono stati rispettati i seguenti parametri: a) la sentenza di appello ripetutamente richiama la sentenza di primo grado; b) entrambe le sentenze di merito adottano gli stessi criteri di valutazione delle prove (Sez. 3, n. 44418/2013, Argentieri, RV. 257595)".


In tal caso (Sez. 2, n. 3892 del 20/12/2022, Riccobono, non massimata), "eventuali carenze della seconda decisione in ordine alle censure contenute nell'atto d'impugnazione sono superabili mediante il richiamo agli argomenti adottati dalla prima sentenza (cfr., tra le tante, Sez. 2 -, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218 - 01; Sez. 3, n. 13926 del 01/12/2011, Valerio, Rv. 252615 01; Sez. 3, n. 10163 del 01/02/2002, Lombardozzi, Rv. 221116 - 01)".


Nel caso di specie si è per l'appunto in presenza di una doppia conforme di merito (la sentenza di secondo grado riporta infatti integralmente - pag. 9-17 -la motivazione di quella di primo grado), per cui le doglianze difensive andranno confrontate con entrambe le sentenze, che andranno considerate unitariamente anche sotto il profilo dell'ammissibilità dell'impugnazione.


2. Il ricorso di A.A..


2.1. Quanto al primo motivo di ricorso, esso è inammissibile.


Come affermato dalla citata sentenza n. 46288/2016, secondo "consolidato e condivisibile orientamento di questa Corte Suprema (per tutte, Sez. IV, sentenza n. 15497 del 22 febbraio - 24 aprile 2002, CED Cass. n. 221693; Sez. VI, sentenza n. 34521 del 27 giugno - 8 agosto 2013, CED Cass. n. 256133), è inammissibile per difetto di specificità il ricorso che riproponga pedissequamente le censure dedotte come motivi di appello (al più con l'aggiunta di frasi incidentali contenenti contestazioni, meramente assertive ed apodittiche, della correttezza della sentenza impugnata) senza prendere in considerazione, per confutarle, le argomentazioni in virtù delle quali i motivi cl appello non siano stati accolti".


La Corte ha altresì osservato (Sez. V:L, sentenza n. 8700 del 21 gennaio 21 febbraio 2013, CED Cass. n. 254584) che "la funzione tipica dell'impugnazione è quella della critica argomentata avverso il provvedimento cui si riferisce. Tale critica argomentata si realizza attraverso la presentazione di motivi che, a pena di inammissibilità (artt. 581 e 591 c.p.p.), debbono indicare speciFicamente le ragioni di diritto e gli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta. Contenuto essenziale dell'atto di impugnazione e', pertanto, innanzitutto e indefettibilmente il confronto puntuale (cioè con specifica indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che fondano il dissenso) con le argomentazioni del provvedimento il cui dispositivo si contesta)".


Il motivo di ricorso in cassazione deve quindi essere caratterizzato da una duplice specificità: "deve essere sì anch'esso conforme all'art. 581 c.p.p., lett. c) (e quindi contenere l'indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta presentata al giudice dell'impugnazione); ma quando "attacca" le ragioni che sorreggono la decisione deve, altresì, contemporaneamente enucleare in modo specifico il vizio denunciato, in modo che sia chiaramente sussumibile fra i tre, soli, previsti dall'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), deducendo poi, altrettanto specificamente, le ragioni della sua decisività rispetto al percorso logico seguito dal giudice del merito per giungere alla deliberazione impugnata, sì da condurre a decisione differente" (Sez. VI, sentenza n. 8700 del 21 gennaio - 21 febbraio 2013, CED Cass. n. 254584).


Secondo questa Corte, pertanto, è ben possibile la riproduzione, totale o parziale, del motivo d'appello nel ricorso, ma ciò solo "quando ciò serva a "documentare" il vizio enunciato e dedotto con autonoma specifica ed esaustiva argomentazione, che, ancora indefettibilmente, si riferisce al provvedimento impugnato con il ricorso e con la sua integrale motivazione si confronta. A ben vedere, si tratta dei principi consolidati in materia di "motivazione per relazione" nei provvedimenti giurisdizionali e che, con la mera sostituzione dei parametri della prima sentenza con i motivi d'appello e della seconda sentenza con i motivi di ricorso per cassazione, trovano piena applicazione anche in ordine agli atti di impugnazione" (Sez. VI, sentenza n. 8700 del 21 gennaio - 21 febbraio 2013, CED Cass. n. 254584)".


2.2. Nel caso di specie, il ricorso si limita alla mera riproposizione delle medesime censure disattese dal giudice di seconda cura, senza confrontarsi con i contenuti della sentenza impugnata.


Come riaffermato anche di recente (Sez. 3, n. 20553 dell'8/02/2022, Della Valle), "ai fini dell'attribuzione della qualifica di amministratore di fatto è necessaria la presenza di elementi sintomatici dell'inserimento organico del soggetto con funzioni direttive in qualsiasi fase della sequenza organizzativa, produttiva o commerciale dell'attività dela società, quali i rapporti con i dipendenti, i fornitori o i clienti ovvero in qualunque settore gestionale di detta attività, sia esso aziendale, produttivo, amministrativo, contrattuale o disciplinare ed il relativo accertamento costituisce oggetto di una valutazione di fatto insindacabile in sede di legittimità, ove sostenuta da congrua e logica motivazione (Sez. 5 -, Sentenza n. 45134 del 27/06/2019 Ud. (dep. 06/11/2019) Rv. 277540 - 01)"; nello scrutinio, il giudice dovrà quindi "porre l'accento non sul dato formale (amministratore di diritto, prestanome) ma sul criterio funzionalistico, o dell'effettività, e il dato fattuale della gestione sociale deve prevalere su quello solo formale".


Di tali principi la Corte di appello di Brescia ha fatto buon governo.


Ed infatti, a pagina 10 della sentenza si riporta il passo della sentenza di primo grado che concerne in primis la "continuità aziendale" tra le società oggetto del presente procedimento e le società "F. Costruzioni srl" e "New Service srl", oggetto della precedente sentenza della corte di appello di Milano (di cui si parlerà in appresso), evidenziando la sussistenza di numerosi indici sintomatici di tale rapporto di continuità, i quali, congiuntamente considerati, costituiscono indizi gravi, precisi e concordanti a sostegno dell'accusa:


- l'esito della perquisizione eseguita dalla Guardia di Finanza il 5 settembre 2013 nell'ufficio della società "New Service srl", occasione in c:ui A., era stato trovato in possesso non sdlo dei timbri appartenenti a detta società e alla "F. Costruzioni srl" (come detto a lui riferibili), ma anche dei timbri delle società "AZ Costruzioni srl" e la "COSF srl"; inoltre, all'interno dell'ufficio perquisito era stata rinvenuta documentazione relativa ai dipendenti della "AZ Costruzioni srl", un preventivo di acquisto di un'automobile da parte della "AZ Costruzioni srl" (a nome di A.A.) e due e-mail avente ad oggetto la modifica della sede sociale della "COSE srl" e la richiesta di informazioni circa la visura camerale e l'atto costitutivo di "COSF srl";


- la perquisizione del (Omissis) presso l'ufficio della "AZ Costruzioni srl" sito a Bergamo, in cui la Guardia di Finanza di Sarnico aveva rinvenuto documentazione amministrativa e contabile relativa sia alla società "AZ Costruzioni srl", sia alla società "COSF srl", nonché numerosi assegni solo parzialmente compilati, in quanto muniti di timbro e firrna dell'amministratore A., ma senza specificazione dell'importo e del beneficiario;


- le dichiarazioni rese da P.R., impiegata amministrativa della "New Service srl", la quale ha riferito che la sede della "AZ Costruzioni srl" coincideva con quella della "New Service srl" (in via (Omissis)), ove erano impiegate, oltre a lei, altre due segretarie, una delle quali addetta esclusivamente agli adempimenti amministrativi della "AZ Costruzioni srl";


- le informazioni acquisite presso l'archivio centrale dell'INPS, dal quale emerge che la maggior parte dei lavoratori assunti negli anni 2012 e 2013 dalla "AZ Costruzioni srl" ( hanno riferito che A., si occupa del cambio degli pneumatici di tali autovetture)".


Ancora: "dalle dichiarazioni rese dalla responsabile dell'ufficio postale di V., D.F.I., e dalla sportellista di tale ufficio postale, L.E. emerge inoltre che in numerose occasioni A., si era ivi recato per eseguire dei prelievi di denaro (per importi di circa 14.000,00 curo) dai conti della "AZ Costruzioni srl" e della "COSF srl". Anche numerosi dipendenti della Banca Popolare di Milano ( M.M. e S.D.) e di Poste Italiane (La (Omissis)) hanno riferito che A. si presentava spesso, solo o in compagnia di A., per effettuare prelievi o occuparsi dei rapporti bancari".


I giudici rammentano anche "le dichiarazioni di P.R., la quale ha riferito in sede di sommarie informazioni testimoniali di avere ricevuto, a seguito della perquisizione effettuata dalla Guardia di Finanza, precise indicazioni proprio da A.A. circa la necessità di spostare tutta la documentazione contabile della "AZ Costruzioni srl" dall'ufficio di (Omissis) all'ufficio di via (Omissis)", oltre alla circostanza, già evidenziata, del ritrovamento in possesso dell' A. dei timbri della AZ Costruzioni srl e della COSE srl.


A fronte di tale mole argomentativa, già in sede di appello l' A. si è limitato a sostenere, come nel ricorso odierno, che "il coimputato non era una mera "testa di legno" ma un soggetto che operava anch'esso e contribuiva fattivamente alla realizzazione dei reati ed alla gestione delle società" (pag. 27 sentenza), censura ritenuta priva di pregio dalla Corte, la quale osserva che "che l' A. tenesse un ruolo defilato e non si presentasse come il reale dominus dell'operazioni appare evidente e ciò giustifica le affermazioni dei soggetti citati nell'atto di appello. Peraltro i soggetti evidenziano che l' A. aveva presentato lui l' A., aveva presenziato alle trattative ed alla stipula del contratto presso il notaio (per la Az Costruzioni sri) inoltre aveva presentato l' A. e lo aveva seguito da vicino nel compimento delle operazioni (per la COSF srl). Si tratta di condotta che se di per sé non può far ritenere che l' A. fosse l'amministratore di fatto delle società, tuttavia denota un atteggiamento interessato alle sorti della società e non certo quello di un soggetto estraneo, mero presentatore dell'acquirente (non si spiega, qualora ricorresse tale caso, l'interessamento alle clausole della trattativa o del contratto)".


Con riferimento alle impiegate dell'ufficio postale, evidenzia la Corte come "la D.F., ha reso precisazioni sul ruolo dell'appellante dopo aver ammesso che si


era confusa con altra società e ciò spiega perché era stato necessario risentirla. Quanto, poi, al contenuto delle dichiarazioni si concorda con la difesa che A. non era il solo ad operare per le società, purtuttavia la circostanza che vi operasse, da solo o in compagnia dell' A., lo rende soggetto non estraneo alla gestione della società. Anche per tali elementi; essi di per sé soli, non consentono di attribuire all' A. il ruolo di amministratore di fatto, ma tale ruolo emerge dall'esame complessivo di tutti gli elementi considerati dalla sentenza di primo grado".


La Corte rigetta poi l'eccezione di inutilizzabilità delle dichiarazioni rese dai dipendenti degli istituti di credito e dell'impiegata P.R., nonché dei lavoratori assunti in quanto facenti parte di altro procedimento penale, così come la perquisizione, essendosi proceduto nelle forme del rito abbreviato, utilizzando gli atti contenuti ritualmente nel fascicolo del pubblico ministero. Evidenzia la Corte come tali atti siano "rilevanti e decisivi ai fini della attribuzione della qualifica di amministratore di fatto dell'imputato. Infatti le dichiarazioni della P. (di aver ricevuto indicazioni dall' A., a seguito della perquisizione, di spostare la documentazione contabile di "AZ Costruzioni") esplicitano il potere gestorio che aveva l'appellante sulla società cosi come il ritrovamento in suo possesso dei timbri delle due società. Anche con riferimento all'acquisto delle vetture è significativo che l'appellante sia stato lui a condurre le trattative salvo, poi, intervenire l'amministratore formale per firmare gli atti che impegnavano la società".


Evidenzia la Corte territoriale a pagina 29 della sentenza che "del pari la circostanza che l'appellante avesse effettuato il cambio gomme di una delle vetture della società "Az Costruzioni" se di per sé solo non è dimostrativo del ruolo di amministratore di fatto delle società, concorre, peraltro, quale tassello dell'insieme a comporre il quadro che sulla base della valutazione complessiva del ruolo dell'imputato, e dei singoli elementi che lo compongono e che trovano conforto nel quadro d'insieme, gli conferiscono il ruolo di amministratore di Fatto delle società".


Ritiene infine inconsistenti le argomentazioni addotte dalla difesa in ordine alle


dichiarazioni rese dagli impiegati P., M., F. e B. che avevano avuto contatti solo con A., evidenziando come esse "non incrinano il quadro probatorio sopra evidenziato", in quanto "con riferimento al Paia ed al M., dipendenti delle società, nessuna domanda è stato loro rivolta in ordine al ruolo svolto dall' A.. Quanto agli altri due si trattava di dipendenti dello studio di consulenza che avevano rapporti con gli impiegati e con il rappresentante formale delle società".


Il ricorso non si confronta affatto con tane dovizia argomentativa, limitandosi ad affermazioni assertive ed apodittiche, per ciò solo destinandosi all'inammissibilità.


2.3. Il secondo motivo è del pari inammissibile. Quanto all'errore di calcolo, peraltro riportato in modo generico, esso pertiene al fatto ed è come tale insindacabile in sede di legittimità, né viene indicato sé tale errore avrebbe determinato il mancato superamento di soglie di punibilità.


In secondo luogo, la circostanza che l' A., fosse il gestore di fatto della società non esclude in alcun modo che egli partecipi alla commissione del fatto con l'amministratore di diritto secondo le ordinarie regole sul concorso di persone nel reato (110 ss. c.p.).


Come è stato infatti reiteratamente affermato dalla Corte (da ultimo v. Sez. 3, n. 32241 del 02/07/2021, Zuffanelli), si "ammette pacificamente la responsabilità per il delitto di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 5, anche nei confronti dell'amministratore di fatto (Sez. III, n. 3780 del 14/05/2015). Si e', infatti, affermato che il reato di omessa presentazione della dichiarazione ai fini delle imposte dirette o IVA (D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 5) è configurabile nei confronti dell'amministratore di fatto, e l'amministratore di diritto, quale mero prestanome, risponde a titolo di concorso per omesso impedimento dell'evento (art. 40 c.p., comma 2, e art. 2932 c.c.). Infatti, in tema di reati tributari, il prestanome non risponde dei delitti in materia di dichiarazione previsti dal D.Lgs. n. 74 del 2000 solo se è privo di qualunque potere o possibilità di ingerenza nella gestione de era società. (Sez. III n. 47110 del 19/11/2013)".


Quanto all'ipotesi in cui l'amministratore di diritto non sia un mero prestanome, si è quindi affermato che "il reato di omessa dichiarazione, di cui al D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 5, è configurabile anche nei confronti dell'amministratore di fatto, in quanto egli va equiparato a quello di diritto in quanto titolare effettivo della gestione sociale e, pertanto, nelle condizioni di poter compiere l'azione dovuta" (Sez. 3, n. 41:L48 del 05/07/2016, Greco; Sez.4, n. 24650 del 16/04/2015, Rv.263728; Sez.3, n. 38780 del 14/05/2015, Rv.264971).


2.4. Il terzo motivo di ricorso presentato dall' A. e il secondo motivo di ricorso presentato da A. saranno trattati congiuntamente, essendo di tenore sostanzialmente analogo.


Il motivo è manifestamente infondato.


Costituisce giurisprudenza consolidata della Corte (da ultimo v. Sez. 6, n. 37085 del 28/09/2021, De Maio) il principio secondo cui "il reato di indebita compensazione possa configurarsi sia in caso di compensazione "verticale", riguardante crediti e debiti afferenti alla medesima imposta, sia in caso di compensazione "orizzontale", concernente crediti e debiti di imposta di natura diversa, in quanto può avere ad oggetto tutte le somme dovute che possono essere inserite nell'apposito modello F24, incluse quelle relative ai contributi previdenziali


e assistenziali. Tale giurisprudenza ravvisa la ratto della disposizione in esame nella necessità di punire tutti quei comportamenti che si concretizzano in realtà nell'omesso versamento del dovuto e nel conseguimento di un indebito risparmio di imposta mediante l'indebito ricorso al meccanismo della compensazione tributaria, ossia attraverso la materiale redazione di un documento ideologicamente falso, idoneo a prospettare una compensazione che non avrebbe potuto avere luogo, o per la non spettanza o per l'inesistenza del credito. Ed è evidente che, in questa prospettiva, l'indebito risparmio di imposta che la norma incriminatrice tende a colpire non può essere limitato al mancato versamento delle imposte dirette o dell'Iva, ma coinvolge necessariamente anche le somme dovute a titolo previdenziale e assistenziale, il cui mancato pagamento, attraverso lo strumento della compensazione effettuata utilizzando crediti inesistenti o non spettanti, determina per il contribuente infedele un analogo risparmio di imposta (ex plurimis, Sez. 3 n. 13149 del 03/03/2020, Rv. 279118; Sez. 3, n. 5934 del 12/09/2018, Rv. 275833; Sez. 3, n. 8689 del 30/10/2018, Rv. 275015; 4/02/2015, n. 5177; Sez. 3, n. 15236 del:16/01/2015, Rv. 263051; Sez. 3, n. 42462 del 11/11/2010, Rv. 248754)".


Deve quindi ribadirsi che risponde del reato del D.Lgs. n. 74 del 2000, ex art. 10-quater, non solo chi omette di versare imposte dirette o IVA utilizzando indebitamente in compensazione crediti concernenti altre imposte o crediti di natura previdenziale, ma anche chi si avvalga di analogo artificio per evitare di corrispondere tali ultime imposte ovvero contributi dovuti ad enti di previdenza".


Il principio, peraltro, è stato affermato da questa Sezione (n. 11795 del 24/11/2020, dep. 2021) in procedimento che vedeva imputato proprio l'odierno ricorrente A., in riferimento alla società AZ Costruzioni srl, in quella sede ricorrente avverso la sentenza del 9/12/2019 della Corte di appello di Milano.


La sentenza impugnata, a pagina 30 ss. si confronta con la doglianza già sollevata con l'atto di appello, confutandola, condivisibilmente, facendo uso dei principi dianzi evidenziati.


2.5. Il quarto motivo è parimenti inammissibile.


La Corte territoriale ha ritenuto che "non può essere accolta la richiesta di riduzione al minimo dell'aumento per la continuazione in ragione del numero e della gravità dei reati".


Tale affermazione non appare né illogica né contraddittoria, anche alla luce della considerazione (pag. 29) che il ricorrente era stato già condannato per fatti analoghi con sentenza della Corte d'Appello di Milano n. 114 del 9 gennaio 2020 (in relazione alla quale il ricorso per cassazione presentato dagli imputati è stato dichiarato inammissibile con sentenza n. 19149 del 22/01/2021), la quale, con autorità di regiudicata, ha stabilito che l' A., andava ritenuto, in qualità di amministratore di fatto delle società F. Costruzioni srl e New Service srl, responsabile dei reati contestati, in tutto analoghi a quelli di cui al presente processo, in concorso con gli amministratori formali T. e B. (dalla sentenza, in atti, emerge come il meccanismo ricostruito dal giudice meneghino fosse sovrapponibile al presente: le società portavano in compensazione crediti inesistenti ed omettevano di presentare quasi tutte le dichiarazioni fiscali. Il


personale della prima società veniva poi fatto transitare nella seconda; l' A., era colui che gestiva sia contabilmente che nella movimentazione bancaria le società, mentre gli amministratori di diritto si limitavano ad operazioni minori).


La dedotta circostanza che al coimputato sia stata irrogata una sanzione leviore con formula simile (ma dal senso evidentemente opposto, stante la natura "gregaria" dell' A.), non mina in alcun modo la correttezza dell'assunto.


A maggior ragione, si aggiunge, laddove si consideri che la sentenza di primo grado (che per quanto detto al par. 1 va considerata come un corpo unico con quella di secondo grado) aveva giustificato la disparità di trattamento considerando che ì A. sia "soggetto settantenne e incensurato, sicché deve ritenersi che la sua condotta illecita si sia concentrata esclusivamente nell'arco temporale tra il 2012 e il 2015 e solo nell'ambito dei reati qui accertati".


Il dictum della Corte territoriale ha pertanto fatto buon governo del principio espresso dalla Corte (v., ex multis, Sez. 3, n. 9450 del 24/02/2022, Palladino; Sez. 3, n. 27115 del 19/02/2015, La Penna) secondo cui "in tema di ricorso per cassazione, il diverso trattamento sanzionatorio riservato, nel medesimo procedimento, ad altri imputati, anche se correi, non implica un vizio di motivazione della sentenza, salvo che il giudizio di merito sul diverso trattamento di situazione prospettata come identica sia sostenuto da asserzioni irragionevoli", circostanza non ricorrente, come visto, nel caso di specie.


La Corte aggiunge peraltro come la pena irrogata ai due coimputati non sia suscettibile di sovrapposizione, stante la disomogeneità dei criteri di computo: per l' A. è infatti stata determinata in continuazione sulla pena inflitta dalla Corte di appello di Milano, per l' A. in via principale ed autonoma in riferimento ai reati contestati nel presente procedimento.


Si conferma quindi l'inammissibilità del motivo di ricorso.


3. Il ricorso di A.A..


3.1. Il primo motivo di ricorso è inammissibile, costituendo pedissequa ripetizione di analoga censura, proposta con l'atto di appello, motivatamente disattesa dalla Corte territoriale.


Si legge infatti a pagina 35 della sentenza impugnata: "si censurava la dichiarazione di responsabilità in ordine ai capi 4-6-9-12 in quanto le fatture non erano inesistenti essendosi trascurati gli avvenuti pagamenti delle fatture. Al riguardo non può che richiamarsi quanto evidenziato nella sentenza impugnata in ordine all'affermazione degli asseriti emittenti delle fatture di non aver mai avuto rapporti commerciali con le società gestite dall'imputato. Quanto, poi, ai pagamenti si rinvia, anche qui, alla illustrazione dei singoli capi di imputazione evidenziando che i pagamenti non risultano pervenuti agli emittenti delle fatture ma su conti che nulla avevano a che fare con tali soggetti. Ne consegue il rigettò delle censure difensive".


Il ricorso non si confronta con le argomentazioni della Corte, né indica in che modo il pagamento sarebbe avvenuto in favore degli utilizzatori (che non conoscevano le società emittenti), presentandosi pertanto come totalmente "aspecifico".


3.2. Del secondo motivo di ricorso, del pari inammissibile, si è ampiamente discettato al par. 2.4.


3.3. Il terzo motivo di ricorso, riferito ai Capi 8) e 15) della rubrica, è anch'esso inammissibile.


Quanto alla portata del dolo specifico nella fattispecie in esame, va ribadito (v. Sez. 3, n. 45891 del 14/06/2022, Ricci), che "il fine di evasione, richiesto dalla fattispecie incriminatrice, non ricomprende anche la consapevolezza del superamento della soglia di punibilità; tale ultimo elemento, infatti, al pari degli altri elementi costituitivi del reato, deve essere oggetto di semplice previsione e volizione da parte dell'agente e, quindi, rientra nel dolo generico che deve sorreggere la condotta tipica, sia nella forma del dolo diretto che in quella del dolo eventuale". La prova del dolo specifico va, quindi, circoscritta alla finalità evasiva.


Quanto alla prova dell'elemento psicologico del reato, Sez. 4, n. 39482 del 14.09.2022 ha affermato che "la prova del dolo nella fattispecie in esame sconta le difficoltà tipiche dell'accertamento di fatti che non sono accadimenti materiali esterni, ma puramente interni e che, in quanto tali, devono essere desunti indirettamente. La ricostruzione della volontà del soggetto è procedimento che passa attraverso la considerazione di tutte le circostanze esteriori che possono essere espressioni di atteggiamenti psichici o comunque accompagnarli e attraverso l'inferire da tali circostanze l'esistenza di una volizione, sulla base delle comuni regole di esperienza, rapportate al caso concreto".


La prova del dolo, nella normalità dei casi, sarà quindi frutto di un procedimento di tipo induttivo (salvo che essa non possa desumersi da prove dirette come dichiarazioni testimoniali o confessorie, intercettazioni telefoniche, ecc.). In tal senso (a titolo meramente esemplificativo stante la complessità fenomenica) possono essere considerati, tra gli elementi utili ad inferire la sussistenza del dolo specifico di evasione:


- il comportamento successivo del mancato pagamento delle imposte dovute e non dichiarate, dimostrativo della volontà preordinata di non presentare la dichiarazione (sez. 3, n. 16469 del 28/02/2020, Veruari Rv. 278966);


- l'entità del superamento della soglia di punibilità vigente, unitamente alla piena consapevolezza, da parte del soggetto obbligato, dell'esatto ammontare dell'imposta dovuta (Sez. 3, n. 18936 del 19/01/2016, V., Rv, 267022);


- il complesso dei rapporti tra amministratore di diritto e l'amministratore di fatto, nell'ambito dei quali assumono decisiva valenza la macroscopica illegalità dell'attività svolta e la consapevolezza di tale illegalità (Sez. 3 n. 2570 del 28/09/2018, dep. 2019, Marni, Rv. 275830).


La Corte di appello, sul punto, (pag.:36, che richiama pag. 34) ha ritenuto che "quanto al dolo specifico appare evidente che l'omessa presentazione della dichiarazione ha consentito di non versare all'erario ingenti somme e, pertanto, la condotta appare sorretta proprio dal fine di non versare tali somme e, quindi, dal fine di evasione".


Tale considerazione, decisamente stringata, va tuttavia letta, giusto il riferimento alla "condotta" e alle "ingenti somme", insieme al corpo della motivazione in cui si inserisce, relativa ad una complessa vicenda concernente illeciti fiscali di diversa natura (D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 2,3,5,10-quater) posti in essere in un arco temporale considerevole e per importi elevati (per la AZ Costruzioni, capo 8 della rubrica, Euro 2.329.397,13 per il 2014 e 1.030.745,84 per il 2015; per la COSF srl, capo 15 della rubrica, 2.540.259,38 per il 2014 e 1.539.083,94 per il 2015), in esecuzione di un medesimo disegno criminoso (attestato dall'applicazione dell'istituto della continuazione).


Così meglio precisata la portata della motivazione, essa può essere considerata come implicitamente riferita all'intero corpo della estesa motivazione. Sul punto la giurisprudenza della Corte ritiene che "non è censurabile, in sede di legittimità, la sentenza che non motivi espressamente in relazione a una specifica deduzione prospettata con il gravame, quando il suo rigetto risulti dalla complessiva struttura argomentativa della sentenza" (Sez. 4, n. 5396 del 15/11/2022, Lakfrafy, Rv. 284096 - 01), e che "il difetto di motivazione, quale causa di nullità della sentenza, non può essere ravvisato sulla base di una critica frammentaria dei singoli punti di essa, costituendo la pronuncia un tutto coerente ed organico, per cui, ai fini del controllo critico sulla sussistenza di una valida motivazione, ogni punto di essa va posto in relazione agli altri, potendo la ragione di una determinata statuizione anche risultare da altri punti della sentenza ai quali sia stato fatto richiamo, sia pure implicito" (Sez. 2, n. 38818 del 07/06/2019, Perelli, Rv. 277091 - 01).


In tal senso ragionando, la motivazione non può dirsi inesistente, né illogica o contraddittoria e il ricorso è pertanto inammissibile.


4. Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che i ricorsi debbano essere dichiarati inammissibili, con conseguente onere per i ricorrenti, ai sensi dell'art. 616 c.p.p., di sostenere le spese del procedimento. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza "versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", si dispone che i ricorrenti versino la somma, determinata in via equitativa, di Euro 3.000,00 ciascuno in favore della Cassa delle Ammende.


P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.


Così deciso in Roma, il 24 marzo 2023.


Depositato in Cancelleria il 24 maggio 2023

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