Relazione al codice di procedura penale del 1988
Indice:
4.1 Premessa
1. La competenza del giudice penale
Il capo II, relativo alla competenza, presenta alcune significative varianti rispetto alle disposizioni del codice di procedura penale previgente.
I provvedimenti sulla giurisdizione e sulla competenza, la rilevabilita' nei vari stati o gradi del processo e gli effetti dell'inosservanza delle regole relative alla competenza non sono disciplinati nel presente capo e sono stati collocati nel successivo capo III per consentire una piu' razionale sistemazione dei casi di incompetenza.
Il capo comprende, invece, la norma che regola la competenza per i procedimenti riguardanti magistrati, ormai non piu' considerata, nemmeno nel vigente codice, come caso di rimessione dei procedimenti, dopo l'entrata in vigore della legge 22 dicembre 1980, n. 879, con la quale e' stato introdotto l'art. 41-bis.
Sotto il profilo sistematico e' importante rilevare che, nel Progetto, il tema della connessione e' stato introdotto nella sezione III come vera e propria disciplina di criteri attributivi della competenza, riprendendo in tal modo la scelta sistematica del codice di procedura penale del 1913.
Tale sistemazione rispecchia una precisa linea di politica legislativa diretta ad una rigorosa delimitazione della connessione al fine di non vulnerare il principio costituzionale del "giudice naturale precostituito per legge" (art. 25 comma 1 Cost.).
Anzi, proprio nel rispetto di tale criterio - che, non solo è richiamato dalla delega con "i principi della Costituzione" nell'alinea dell'art. 2, ma ispira numerose direttive della stessa delega: la 14, prima e seconda parte; la 19 - si e' costruita la disciplina della connessione, innovando in parte a quella prevista nel codice di procedura penale vigente: cosi', l'istituto e' diventato criterio attributivo della competenza analogo a quello stabilito per materia e per territorio; si sono escluse norme corrispondenti a quelle che nel codice vigente demandano in taluni casi ad un organo di competenza superiore, in generale la corte di cassazione, la facolta' di stabilire discrezionalmente quale sia il giudice competente; si sono, infine, ridotti al minimo i casi di connessione, allo scopo di evitare i processi cumulativi e di conseguire la massima semplificazione.
La normativa sulla competenza e' preceduta da una norma di portata generale (articolo 4) che contiene le regole per determinare la gravita' del reato, agli effetti della competenza, con riferimento alla pena stabilita dalla legge.
Tali regole trovano applicazione sia in tema di competenza per materia, sia in tema di competenza per connessione.
Si e' preferita, in luogo del testo del Progetto del 1978 (basato su una direttiva diversa da quella attuale), la formulazione contenuta nell'articolo 32 c.p.p., sostanzialmente identica al contenuto della direttiva 2, prima parte, della delega.
Si e' ritenuto, in particolare, di dover reintrodurre l'esplicito riferimento alla pena stabilita per il delitto tentato, tenendo presente l'orientamento della corte di cassazione che ha piu' volte ribadito l'autonomia del delitto tentato ai fini della determinazione della competenza.
E' da sottolineare che si e' omessa la previsione (contenuta nell'articolo 32 c.p.p.) della rilevanza della diminuente della minore eta' (art. 98 c.p.), atteso che, a seguito della sentenza della Corte costituzionale 15 luglio 1983, n. 222, la cognizione dei reati a carico di minorenni e' attualmente attribuita in via esclusiva al tribunale per i minorenni.
2. La competenza per materia
L'articolo 5 stabilisce la competenza della corte di assise. Nella formulazione si e' tenuto conto sia della pena edittale, sia della qualità del reato, anche se la delega, quando si riferisce in particolare alla corte di assise, sembra dare indicazioni di carattere prevalentemente quantitativo.
Per la determinazione della competenza della corte di assise, il criterio quantitativo sino ad oggi seguito e' quello che ha riguardo ai reati puniti piu' gravemente.
E cio' perche' costituisce principio tradizionale del nostro ordinamento che la cognizione dei reati piu' gravi sia assegnata ad un organo che esprima la partecipazione popolare all'amministrazione della giustizia.
La formula usata nel comma 1 lett. a) dell'art. 5 ("delitti per i quali la legge stabilisce la pena dell'ergastolo o della reclusione non inferiore nel massimo a ventiquattro anni") riproduce letteralmente la direttiva 12.
In tal modo vengono riservati alla corte di assise, cosi' come nel sistema vigente, reati quali la strage, l'omicidio, l'epidemia, l'avvelenamento di acque o di sostanze alimentari e il commercio di sostanze alimentari contraffatte o adulterate. Diventa, invece, di competenza del tribunale l'omicidio tentato, qualora non ricorrano una delle aggravanti previste dagli articoli 576 e 577 c.p. ne' aggravanti ad effetto speciale.
A questo riguardo deve ricordarsi che la direttiva 12, nel fissare i criteri per il calcolo della pena ai fini della determinazione della competenza per materia, non fa alcuna menzione della diminuzione stabilita per il delitto tentato, che è stato, pertanto, configurato come una figura di reato autonoma. Ne consegue che, considerata la diminuzione prevista dall'art. 56 c.p., il tentato omicidio semplice o, comunque, non aggravato dalle circostanze di cui si deve tener conto nella determinazione della pena ai fini della competenza a norma dell'art. 4, ha come pena massima la reclusione di anni 16 e non rientra nei limiti del comma 1, lett. a), dell'art. 5.
Tale innovazione comportera' certamente effetti positivi sul carico di lavoro delle corti di assise. Da un'indagine statistica eseguita sui registri riguardanti i procedimenti trattati dalle corti di assise di Roma negli ultimi cinque anni, si e' potuto constatare che i tentati omicidi coprono circa il 40% del carico complessivo e tra essi circa la meta' si riferiscono ad ipotesi per le quali non ricorre alcuna delle aggravanti rilevanti ai fini della determinazione della competenza.
Alla stessa logica si ispirano due eccezioni alla regola generale fissata dal comma 1 lett. a): la prima esclude dalla competenza della corte di assise il reato di cui all'art. 630 comma 1, c.p.; la seconda i delitti previsti dalla legge sugli stupefacenti. trattasi, invero, di reati che ricorrono frequentemente e che, se venissero sottratti alla competenza del tribunale (cui sono demandati secondo la vigente disciplina), finirebbero per avere una rilevante incidenza sul carico delle corti di assise.
Inoltre, per quanto riguarda i reati previsti dalla legge sugli stupefacenti, si richiede una specifica conoscenza di nozioni di carattere tecnico che difficilmente puo' essere acquisita dai giudici popolari.
Per il reato di cui all'art. 630 comma 1 c.p. debbono, infine, richiamarsi le argomentazioni addotte a suo tempo, in relazione al Progetto del 1978, dalla Commissione consultiva, che si dichiaro' favorevole alla conservazione della competenza del tribunale, al fine di evitare un'inversione di tendenza rispetto alla legge 14 ottobre 1974, n. 497, che aveva modificato l'art. 29 c.p.p. sopprimendo il comma che prevedeva la competenza della corte di assise per i reati di rapina aggravata, estorsione aggravata e sequestro a scopo di rapina o di estorsione.
Resta di competenza della corte di assise il sequestro di persona a scopo di estorsione, nelle ipotesi previste dai commi 2 (se ne deriva la morte del sequestrato, come conseguenza non voluta) e 3 (in caso di morte voluta) dell'art. 630 c.p., essendosi ritenuto che si tratti di ipotesi del tutto diverse da quella del comma 1 dello stesso art. 630 c.p.: la prima, rientrante oltretutto anche nella categoria prevista dal comma 1 lett. c) dell'art. 5, l'altra, invece, assimilabile, di fatto, all'omicidio.
E' apparso altresi' opportuno riservare, nel comma 1, lett. b), alla competenza della corte di assise le ipotesi di reato consumato e non anche tentato - previste dagli articoli 579 (Omicidio del consenziente), 580 (Istigazione o aiuto al suicidio), 584 (Omicidio preterintenzionale), 600 (Riduzione in schiavitu'), 601 (Tratta e commercio di schiavi) e 602 (Alienazione e acquisto di schiavi) del codice penale: tutti questi reati hanno pene edittali inferiori nel massimo a 24 anni di reclusione, ma per essi - se consumati - si e' ritenuto che debba valere il rilievo della attribuzione ad un giudice piu' sensibile nell'interpretare il sentimento della collettivita' di cui e' parte in un determinato momento storico. Il comma 1 lett. c) dell'art. 5 attua la direttiva 12, laddove e' menzionato "ogni delitto doloso, se dal fatto e' derivata la morte di una o piu' persone". In questa categoria rientrano (oltre ad alcune ipotesi gia' comprese nel comma 1 lett. a) e b) o nel comma 2 dell'art. 5) i reati di cui agli articoli 396 comma 2 n. 2 c.p. (Uso delle armi in duello con morte); 571 comma 2 c.p. (Abuso dei mezzi di correzione o di disciplina, con morte); 572 comma 2 c.p. (Maltrattamenti, con morte); 588 comma 2 c.p. (Rissa, nel caso in cui taluno rimanga ucciso); 591 comma 3 c.p. (Abbandono di persone minori od incapaci, con morte) e 593 comma 3 c.p. (Omissione di soccorso, con morte); vi rientrano, altresi', i reati di cui agli articoli 18 comma 4 e 19 comma 6, legge 22 maggio 1978, n. 194 (Morte della donna a seguito di aborto) e 1 comma 4 della legge 10 maggio 1976, n. 342 (Morte a seguito di dirottamento aereo).
Vi dovrebbero rientrare, inoltre, ai sensi della norma generale di cui all'articolo 586 c.p., tutti i delitti dolosi dai quali sia derivata come conseguenza non voluta la morte di una persona: l'inclusione di tali delitti, anche se astrattamente conforme alla delega, non e' pero' sembrata opportuna, sia per la qualita' di essi, sia perche' la pena stabilita e' quella dell'omicidio colposo (aumentata di un terzo, sulla base del richiamo all'art. 83 c.p.) e cioe' di un reato per il quale si e' previsto di stabilire la competenza del pretore.
Il comma 2 dell'art. 5 si riferisce, infine, ad una serie di ipotesi scelte in base ad un criterio puramente qualitativo, individuato con riguardo al carattere oggettivamente politico dei reati.
Non e' stata presa in considerazione l'intera categoria dei delitti politici, ma sono stati enucleati quelli di maggiore rilevanza, sul presupposto che essi vanno piu' opportunamente affidati ad un giudice, quale il giudice popolare, che abbia maggiore sensibilita' ai problemi politici e che meglio del giudice togato possa sentire ed interpretare il sentimento della collettivita'.
Sulla base di tale criterio si e' deciso, pertanto, di attribuire alla competenza della corte di assise i delitti previsti nel titolo I del libro II del codice penale (Delitti contro la personalita' dello Stato) e dalla legge 9 ottobre 1967, n. 962 (sulla prevenzione e repressione del delitto di genocidio), che anche attualmente sono di competenza della corte di assise, e di estendere, inoltre, tale competenza ai delitti previsti dalla legge 20 giugno 1952, n. 645 (contenente le norme di attuazione della XII disposizione transitoria e finale della Costituzione, sulla riorganizzazione del partito fascista).
Per tutti questi delitti e' apparso, peraltro, opportuno fissare lo stesso limite di pena (reclusione non inferiore a 10 anni nel massimo), che il Progetto del 1978 prevedeva soltanto per i delitti contro la personalita' dello Stato: infatti, in tal modo, per tutti i delitti menzionati nel comma 2, e non solo per alcuni di essi, il criterio dell'interesse politico violato non e' considerato isolatamente, ma e' combinato con il criterio della gravita' del reato.
Non sono stati ravvisati, invece, validi motivi per estendere la competenza della corte di assise anche ai delitti previsti dalle leggi elettorali e dalla legge 10 maggio 1976, n. 342 (sulla repressione dei delitti contro la sicurezza della navigazione area), soprattutto in considerazione della particolare complessita' tecnica caratterizzante le fattispecie penali in questione.
Nell'articolo 6, riguardante la competenza del tribunale, si e' osservato il criterio informatore del vigente art. 30 c.p.p.
In sede di coordinamento dovranno essere riconsiderate le disposizioni contenute nelle leggi speciali che attribuiscono particolari reati alla cognizione del tribunale, indipendentemente dalle norme previste dal nuovo codice.
L'articolo 7 definisce la competenza del pretore.
Il legislatore delegante del 1987 ha individuato, in linea generale, nel tetto di quattro anni di pena massima l'effetto della combinazione del criterio quantitativo con quello della qualita' del reato indicato nel primo periodo della direttiva 12, prevedendo peraltro che tale limite possa essere superato con riferimento a "delitti specificamente indicati".
Nello stabilire quali debbono essere questi delitti, si e' tenuto conto, da un lato, della linea di tendenza, emersa anche nella piu' recente legislazione, volta ad aumentare il numero di reati di competenza del pretore e, dall'altro, del venir meno, nel nuovo processo, dell'ostacolo costituito dal cumulo, nel pretore, delle funzioni requirenti e giudicanti.
Per individuare i reati da attribuire al pretore, oltre a quelli rientranti nel limite generale di pena fissato dalla legge-delega, si sono, in primo luogo, considerate le fattispecie attribuite alla competenza del pretore dalla novella n. 400/84 (rispetto alla quale sono state ritenute inopportune modificazioni regressive) e le fattispecie indicate nel Progetto del 1978.
In secondo luogo, ci si e' ispirati ad una serie di criteri orientativi - a volte concorrenti - e si e' considerato competente il pretore:
per il reato aggravato quando l'eventuale aggravante (modificativa della competenza) non comporta accertamenti qualitativamente diversi rispetto al reato base gia' di competenza pretorile (ad es. art. 614 ultimo comma c.p.: violazione di domicilio aggravata da violenza sulle cose o alle persone ovvero se il colpevole e' palesemente armato);
per reati "omogenei", quanto alle modalita' del fatto ed agli accertamenti da compiere, ad altro reato spettante alla competenza del pretore (ad es. il reato di omicidio colposo previsto dall'art. 589 c.p. rispetto al reato di lesioni colpose);
per reati in relazione ai quali le relative indagini non sono incompatibili con la maggiore snellezza e celerita' del procedimento pretorile rispetto a quello davanti al tribunale (ad es. truffa aggravata di cui all'art. 640 comma 2 c.p.); per ipotesi criminose divenute residuali a seguito dell'innalzamento a quattro anni della soglia "normale" determinativa della competenza del pretore (ad es. art. 343 comma 2: oltraggio a magistrato in udienza con attribuzione di un fatto determinato).
In particolare, sulle singole fattispecie incluse nel comma 2 dell'art. 7 puo' dirsi:
art. 336 (Violenza o minaccia a un pubblico ufficiale) e art. 337 (Resistenza a un pubblico ufficiale): la modifica si giustifica sulla base della mancanza di complessita' delle indagini relative ai fatti; si e' pure tenuto presente il criterio dell'incidenza statistica, finalizzato a decongestionare il carico di lavoro dei tribunali;
art. 343 (Oltraggio a un magistrato in udienza): la modifica risponde a criteri logico-sistematici. A seguito dell'innalzamento del "tetto" a quattro anni, con conseguente attrazione dei reati previsti dagli artticoli 343 comma 3 (Oltraggio a Corpo politico, amministrativo o giudiziario, con l'aggravante dell'attribuzione di un fatto determinato) e 343, comma 1 (Oltraggio a un magistrato in udienza), e' parsa infatti illogica (a parte il criterio della residualita') la esclusione dell'ipotesi aggravata dalla attribuzione di un fatto determinato;
art. 349 comma 2 (Violazione di sigilli commessa dal custode): non e' parso che vi sia ragione di conservare la competenza del tribunale su fatti dei quali sostanzialmente gia' conosce il pretore e per i quali non si impongono indagini complesse o comunque diverse (in riferimento alla aggravante in questione). Va pure osservato che la modifica proposta appare opportuna in relazione a tutti quei casi (sequestro di manufatti abusivi, di cantieri non in regola con le norme sulla prevenzione degli infortuni, etc.) nei quali l'accertamento in ordine alla violazione dei sigilli e' spesso connesso a quello sul fatto in relazione al quale e' stato disposto il sequestro;
art. 379 (Favoreggiamento reale): per ragioni di ordine sistematico e per la tipologia delle indagini richieste e' parso opportuno attribuire alla competenza pretorile una ipotesi che presenta molte analogie con la ricettazione (art. 648 c.p.) e con il favoreggiamento personale (art. 378), per i quali e' competente il medesimo giudice;
art. 588 comma 2 (Rissa aggravata): si richiamano le considerazioni svolte sub art. 5 per trarne argomento circa la ritenuta opportunita' di non estendere la competenza del pretore oltre l'ipotesi dell'art. 588 gia' prevista dall'attuale art. 31 c.p.p. come novellato nel 1984;
art. 589 (Omicidio colposo): va considerato che degli omicidi colposi il 92% e' conseguenza di violazioni alle norme sulla circolazione stradale, onde appare opportuna la attribuzione di tale reato al pretore cui non puo' non riconoscersi una competenza specifica in materia di norme sulla disciplina della circolazione stradale. Quanto alla particolare delicatezza degli accertamenti a volte richiesti da talune fattispecie di omicidio colposo, soprattutto con riguardo alle indagini sulla causa della morte, si ricorda che il pretore compie gia' accertamenti del genere, poiche' indagini medico-legali di particolare complessita' sono, non raramente, indispensabili anche nel caso di lesioni colpose. Tale ultimo rilievo consente di superare l'obiezione avanzata, in relazione al Progetto del 1978 (secondo cui la competenza in ordine alla liquidazione del danno appartiene al tribunale) posto che anche nel caso di lesioni colpose puo' essere superata - in ordine al danno - la competenza civile corrispondente. La necessità di una particolare organizzazione del relativo servizio (ad es. la previsione di turni per la rimozione del cadavere, l'espletamento di perizie necroscopiche) e' esigenza che ben puo' essere soddisfatta dalla previsione dell'ufficio del pubblico ministero presso il pretore;
art. 614 comma 4 c.p. (Violazione di domicilio aggravata da violenza), art. 640 comma 2 c.p. (Truffa aggravata) e art. 572 c.p. (Maltrattamenti in famiglia): semplicita' di accertamento e competenza per il reato base consigliano l'ampliamento della competenza pretorile;
la inclusione del furto aggravato a norma dell'art. 625 c.p. e della ricettazione prevista dall'art. 648 c.p. e' conforme alla novella del 1984.
3. La competenza per territorio
Nella elaborazione del Progetto del 1978, malgrado il silenzio della delega del 1974 circa la competenza per territorio, fu discusso in modo approfondito il problema se mantenere, come regola generale, la competenza del giudice del luogo in cui il reato fu consumato od introdurre la competenza del "giudice del luogo in cui si e' verificata l'azione o l'omissione".
In un primo tempo fu preferito, essenzialmente per la sua semplicita' pratica, il primo criterio; successivamente, tenuto conto del parere della Commissione consultiva, fu scelto il secondo criterio. Per giustificare tale scelta si osservo', tra l'altro, che, specie in tema di omicidio, doloso o colposo, si verificano, in misura sempre piu' frequente, casi in cui la morte sopravviene in luoghi talvolta assai lontani da quello in cui si e' concretata la condotta criminosa, dove, cioe', e' da presumere che siano state compiute le prime indagini e si sia manifestato l'allarme sociale.
A cio' aggiungasi che il criterio attributivo della competenza sulla base della consumazione e' inoltre causa di gravi inconvenienti di ordine pratico come la difficolta' di dirigere da lontano le indagini e come l'aggravio creato a testimoni e funzionari di polizia che devono trasferirsi per le esigenze del processo dai luoghi di residenza e di ufficio.
La legge-delega del 1987, nella direttiva 13, contiene la "previsione che la competenza per territorio possa essere stabilita, per reati predeterminati, a seconda dei casi, in relazione al luogo in cui ha avuto inizio o si e' esaurita l'azione o l'omissione".
Si e' ritenuto di dover interpretare tale direttiva nel senso che la regola generale per la determinazione della competenza per territorio e' quella del luogo della consumazione e, solo per determinati reati, quella del luogo ove ha avuto inizio o si e' esaurita l'azione.
Pertanto, secondo il comma 1 dell'articolo 8, "la competenza per territorio e' determinata dal luogo in cui il reato e' stato consumato". Secondo il comma 2, pero', nei casi in cui dal fatto-reato e' derivata la morte di una o piu' persone, il criterio attributivo della competenza non e' piu' quello del luogo della consumazione del reato, ma quello del luogo "in cui si e' verificata l'azione o l'omissione".
L'art. 8 comma 3 stabilisce che per il reato permanente e' competente il giudice del luogo in cui ha avuto inizio la consumazione, anche se dal fatto e' derivata la morte di una o piu' persone. Tale disposizione corrisponde alla riforma del capoverso dell'art. 39 c.p.p. operata con l'art. 1 della l. 8 agosto 1977, n. 534 e si ispira a chiari motivi di carattere tecnico e pratico.
Infatti il reato permanente, qualunque sia la teoria strutturale alla quale si aderisce, e' pur sempre un unico reato la cui consumazione si verifica quando risultino integrati gli elementi della fattispecie, indipendentemente dalle vicende relative alla sua permanenza; la quale potrebbe anche ridursi a un tempo trascurabile o protrarsi per anni o in diversi luoghi senza che vi sia una sufficiente ragione logico-giuridica per sottrarre la competenza al giudice del luogo ove ne e' cominciata la consumazione. D'altra parte, proprio in tale luogo si verifica l'allarme sociale (si pensi alle ipotesi del sequestro di persona, del ratto, etc.) e vengono compiute le prime indagini, mentre e' spesso occasionale e indifferente quello in cui cessa la permanenza.
Nel comma 4 dell'art. 8 e' sostanzialmente ripetuta la disposizione del citato art. 1 l. 8 agosto 1977, n. 534 che ha modificato la lettera dell'art. 39 comma 2 c.p.p. sostituendo all'espressione "reato tentato" quella di "delitto tentato", dato che nel codice penale il tentativo e' previsto solo per i delitti.
Non si e' riprodotta la disposizione relativa alla competenza per il reato continuato in quanto la diversa e piu' restrittiva disciplina della connessione adottata nel successivo art. 12 non prevede la continuazione fra le ipotesi di connessione e non crea quindi problematiche circa i criteri di competenza cui fare riferimento in tal caso.
E' opportuno peraltro aggiungere che la riunione dei procedimenti aventi ad oggetto reati legati dal vincolo della continuazione potra' essere disposta, ai sensi dell'art. 17, solo quando i procedimenti stessi siano pendenti avanti al medesimo giudice per effetto delle norme sulla competenza per materia e per territorio. La connessione ovviamente operera' anche nei confronti del reato continuato ogni qualvolta questo risulti compreso nella disciplina generale prevista dagli artt. 12 e 16; ma, in tal caso, opereranno i criteri generali degli artt. 15 e 16.
L'articolo 9 riproduce nel comma 1 la prima parte dell'art. 40 comma 1 c.p.p. Si e' pero' operata una revisione e semplificazione dei criteri succedanei per la determinazione della competenza quando risulti inapplicabile il criterio dell'ultimo luogo in cui si e' verificata una parte dell'azione o dell'omissione costituente il reato. Sono infatti stati soppressi i criteri del luogo in cui fu eseguito l'arresto, del giudice che ha emesso un mandato o un decreto di citazione a giudizio o che ha compiuto il primo atto del procedimento, in base alla considerazione che nella nuova disciplina processuale l'arresto puo' essere ordinato nel solo caso di flagranza e questa presuppone, per definizione, che sia noto il luogo dove il reato e' stato commesso.
Nel comma 2 si e' conservata, quale criterio subordinato di determinazione, la disposizione contenuta nel comma 2 dell'art. 40 c.p.p.
Nell'ultimo comma, alla designazione da parte del giudice superiore contenuta nella terza parte dell'art. 40 comma 1 c.p.p. e che implica una valutazione discrezionale risultante in evidente contrasto col principio del giudice naturale precostituito per legge, si e' sostituito, quale estremo criterio, il principio secondo cui e' competente il giudice "del luogo in cui ha sede l'ufficio del pubblico ministero che ha provveduto per primo alla iscrizione della notizia di reato nel registro previsto dall'art. 335". Tale criterio suppletivo, ispirato alla direttiva 35, anche se non consente di superare ogni riserva in ordine alla possibilita' del denunciante di scegliere il giudice competente, e' sembrato tuttavia preferibile al criterio del "luogo in cui ha sede l'ufficio del pubblico ministero che ha acquisito per primo la notizia del reato", adottato nel Progetto del 1978, essendo l'iscrizione nel registro l'unico riscontro formale certo dell'acquisizione della notizia di reato.
Nell'articolo 10 sono fissati i criteri di competenza per i reati commessi interamente o parzialmente all'estero.
La prima parte del comma 1 riproduce sostanzialmente il disposto dell'art. 41 comma 2 c.p.p. In sede di coordinamento sara' opportuno richiamare l'art. 240 del codice della navigazione che integra la disciplina della competenza per i reati commessi all'estero ovvero fuori del mare o dello spazio aereo territoriale.
Nel comma 1 e' stata introdotta l'ipotesi del reato commesso all'estero da una pluralita' di imputati aventi residenza, domicilio o dimora diversi. In tal caso l'individuazione del giudice competente, per effetto del rinvio alle norme sulla competenza per territorio determinata da connessione, avverra' secondo il criterio del reato piu' grave indicato dall'art. 16.
Tale criterio, se si ammette la tesi, ormai prevalente in giurisprudenza, che l'unicita' del fatto attribuito (cumulativamente od alternativamente) a piu' persone non esclude la pluralita' delle fattispecie giudiziali, potra' essere applicato anche nel caso di concorso di persone o di imputazioni alternative.
Tuttavia, poiche' il criterio suddetto sarebbe inidoneo a consentire l'individuazione del giudice competente quando piu' persone con residenza o domicilio o dimora diversi siano imputate di un medesimo fatto senza differenziazioni di gravita', si e' introdotto anche il criterio del giudice competente per il maggior numero di imputati, ritenuto preferibile al criterio del giudice che ha acquisito per primo la notizia di reato, il quale, trattandosi di reati commessi all'estero, si presta maggiormente ad eventuali strumentalizzazioni.
Il criterio da ultimo indicato, convertito in quello del giudice del luogo ove ha sede l'ufficio del pubblico ministero che ha provveduto per primo ad iscrivere la notizia di reato nel registro di cui all'art. 335, e' stato cosi' mantenuto quale criterio sussidiario.
Nel comma 2 e' disciplinata la competenza per il caso di reato commesso solamente in parte all'estero mediante rinvio alle disposizioni contenute nei due articoli precedenti, conformemente a quanto dispone l'art. 41 comma 1 del codice di procedura vigente.
Non si e' ritenuto di riprodurre una disposizione analoga a quella contenuta nell'ultimo comma dell'art. 41 c.p.p. in quanto si applica, anche alla materia de qua, la regola generale contenuta nell'art. 346 (concernente gli "atti compiuti in mancanza di una condizione di procedibilita'" nelle indagini preliminari). Per rispettare il principio del giudice naturale precostituito per legge, inoltre, non
si e' attribuito alla corte di cassazione il potere di rimettere l'istruzione o il giudizio a un giudice diverso, anche se piu' vicino, rispetto a quelli tassativamente determinati per le varie ipotesi.
Nell'articolo 11 e' contenuta la disciplina della competenza per i procedimenti riguardanti i magistrati.
Il testo dell'articolo e' stato redatto in attuazione della direttiva 18, a sua volta formulata con evidente riferimento all'art. 41- bis del codice vigente, introdotto con la l. 22 dicembre 1980, n. 879.
La direttiva 18 ha anche consentito di superare, nella formulazione del nuovo testo, alcuni problemi sorti nell'applicazione dell'art. 41- bis, e che hanno dato luogo a contrasti nella giurisprudenza. E' stata, infatti, introdotta esplicitamente l'ipotesi del magistrato che assuma la qualita' di danneggiato dal reato, al quale il prevalente orientamento giurisprudenziale tende invece a non applicare l'articolo 41- bis. Inoltre, con il riferimento ai procedimenti che "sarebbero attribuiti alla competenza di un ufficio giudiziario ricompreso nel distretto in cui il magistrato esercita le funzioni ovvero le esercitava al momento del fatto", la disposizione risulta applicabile anche ai procedimenti, riguardanti il pretore eil conciliatore, di competenza di un giudice superiore, eliminando in tal modo il vuoto normativo che ha formato oggetto della questione di illegittimita' costituzionale dichiarata inammissibile dalla Corte costituzionale con sentenza n. 232 del 30 luglio 1984.
Si e' anche ritenuto di dover mantenere il riferimento all'ufficio ove il magistrato esercitava le funzioni al momento del fatto, introdotto dall'art. 41- bis per risolvere alcuni problemi sorti nell'applicazione dell'art. 60 prima vigente.
Con il comma 2 e' stata introdotta l'eccezione riguardante i reati commessi in udienza, espressamente prevista dalla delega, con la clausola di salvezza delle norme sull'astensione e sulla ricusazione.
Si e' inoltre esaminata l'opportunita' di inserire una disposizione di contenuto analogo a quello dell'attuale art. 48- ter c.p.p., per i casi di connessione di procedimenti alcuni dei quali concernenti magistrati. La proposta e' stata tuttavia abbandonata sul rilievo della sostanziale coincidenza tra le ipotesi dell'art. 12 del Progetto e quelle per le quali l'art. 48- ter fa salva l'applicazione delle regole sulla connessione. Non si e' ritenuto d'altra parte opportuno derogare alla disciplina sulla connessione, tenuto anche conto del limitato ambito nel quale essa trova applicazione in base all'art. 12 del Progetto.
In sede di disposizioni di attuazione, al fine della determinazione del distretto viciniore, dovra' essere formulata una previsione analoga a quella dell'art. 5 l. 22 dicembre 1980, n. 879.
4. La competenza per connessione
4.1 Premessa
I principi relativi alla disciplina della connessione (direttiva 14) non hanno subito rilevanti modifiche rispetto alla precedente delega. Tuttavia nel corso dei lavori preparatori la connessione e' stata spesso al centro delle discussioni per dimostrare che, con la nuova disciplina, rigorosamente basata sulla "esclusione di ogni discrezionalita' nella determinazione del giudice competente" e sulla "espressa previsione" e conseguente notevole riduzione dei casi di connessione, potranno essere superati - almeno sul piano processuale ed in attesa, sul piano sostanziale, di una riforma dei reati associativi - sia i problemi posti dai cosiddetti "maxi-processi", sia i problemi, altrettanto gravi, posti da numerosi conflitti di competenza per connessione, spesso iniziati o risolti sulla base di interpretazioni non univoche.
D'altra parte, il tema dei "maxi-processi" - strettamente legato a quello della connessione - ha costituito un nodo centrale dei lavori parlamentari, durante i quali si e' spesso posta la domanda se il nuovo processo penale - che proprio attraverso la disciplina della connessione dovrebbe, almeno tendenzialmente, escludere il fenomeno dei cosiddetti maxi-processi - sara' in grado di reggere di fronte ad una criminalita' che si caratterizza per la complessita' della sua organizzazione e per l'associazione di molte persone.
A questa domanda il Parlamento ha dato una risposta positiva e concreta attraverso la introduzione delle direttive 15 e 16, con le quali, chiarito che il problema della connessione sorge soprattutto ai fini del dibattimento, mentre nei rapporti tra uffici del pubblico ministero il problema del collegamento delle indagini si presenta in modo del tutto diverso, viene lasciata al legislatore delegato la possibilita' di scegliere gli strumenti piu' idonei ad evitare distorsioni sia relative all'instaurazione di indagini preliminari parallele, sia relative al trasferimento di una indagine, da una sede all'altra, in forza della connessione.
La tendenziale esclusione di "maxi-processi" non significa, invero, la esclusione di "maxi-indagini" o di indagini collegate anche sotto il profilo meramente probatorio, che possano rendersi necessarie per affrontare i problemi posti dalla criminalita' organizzata.
Alla luce dei principi generali e delle osservazioni sopra richiamati ed al fine di ottenere la massima semplificazione del nuovo processo, nell'elaborazione delle singole norme, e' stato seguito l'orientamento di ridurre notevolmente i casi di connessione, in armonia con quanto previsto dalle principali legislazioni straniere che hanno processi basati sul sistema accusatorio.
In questa prospettiva l'innovazione di maggior rilievo e' l'eliminazione dei casi di connessione probatoria, previsti dall'attuale art. 45 n. 4 c.p.p. I delicati problemi sollevati dall'eliminazione della connessione probatoria, relativi all'utilizzazione delle prove nei diversi procedimenti e al potenziale contrasto tra giudicati, sono stati tenuti presenti e risolti, da un lato regolando (art. 238), in maniera diversa rispetto alla disciplina attuale, l'utilizzazione dei mezzi di prova acquisiti in separato procedimento, dall'altro ampliando (art. 622) i casi di revisione del giudicato.
L'eliminazione dei casi di connessione probatoria consente inoltre di rispettare pienamente la direttiva 14 della delega, in quanto l'attuale disciplina lascia ampio spazio alla discrezionalita' del giudice proprio perche' il rapporto di connessione probatoria non e' definibile attraverso una rigorosa formula legislativa. Sul terreno dell'economia processuale l'esperienza ha poi insegnato che il ricorso alla connessione probatoria ritarda e talora impedisce la sollecita definizione dei procedimenti, che vengono ad acquisire una mole elefantiaca e pletorica.
Per le medesime ragioni di economia processuale, sono stati, infine, notevolmente ristretti i casi di connessione soggettiva (art. 45 n. 3 c.p.p.).
Gia' in relazione alla stesura del Progetto 1978, era stato proposto di comprendere, tra le ipotesi di connessione, anche quella del reato continuato, non solo per la importanza dell'istituto, ma anche per garantire il diritto dell'imputato a fruire dei benefici propri del reato continuato.
Si e' invece ritenuto di mantenere la soluzione prescelta nel Progetto del 1978, soprattutto in considerazione dell'ampiezza che ha assunto l'istituto della continuazione dopo la riforma del 1974 e dopo l'estensiva applicazione giurisprudenziale che ne e' stata fatta; d'altra parte i problemi relativi alla determinazione della pena per il reato continuato sono stati risolti in sede di
esecuzione, consentendo un piu' ampio intervento del giudice dell'esecuzione in merito al relativo aumento di pena (art. 662).
4. 2 Illustrazione degli articoli
L'articolo 12, prevede, al comma 1, i vari casi di connessione.
Nella lett. a) le ipotesi di connessione per pluralita' di imputati sono state ridotte a due: quella del concorso o cooperazione di piu' persone nel reato e quella del concorso di cause indipendenti nella causazione dell'evento.
La seconda ipotesi - che non figurava nel Progetto del 1978 - e' stata introdotta perche' si e' ritenuto di dover accogliere il suggerimento, a suo tempo contenuto nel parere della Commissione consultiva, di attribuire rilevanza alla connessione fra piu' reati quando essi sono effetto di piu' condotte indipendenti ma concorrenti nella produzione di un medesimo evento. La previsione e' tanto più necessaria in quanto il criterio di competenza per territorio fissato nell'art. 8 comma 2, porterebbe a far giudicare da giudici diversi (per esempio, nel caso in cui la morte di una persona sia attribuita, alternativamente o cumulativamente, a colui che le abbia cagionato lesioni e al medico che l'abbia malamente curata) imputati che, pur non avendo concorso o cooperato nel reato, devono rispondere dello stesso evento per averlo autonomamente cagionato.
La lett. b) restringe le ipotesi di connessione soggettiva, previste dall'attuale n. 3 dell'art. 45 c.p.p., ai soli casi di concorso formale di reati e di concorso materiale, quando le azioni od omissioni siano state poste in essere in unita' di tempo e di luogo. Il concetto di unita' di tempo intende fare riferimento ad una frazione temporale piu' ampia della mera contestualita', ma tale comunque da consentire una concentrazione cronologica delle varie condotte.
Infine la lett. c) riproduce, in parte i casi di connessione teleologica, limitandoli a quelli in cui dei reati teleologicamente connessi sia imputata la stessa persona.
Non e' stato riprodotto il comma 2 di questo articolo che compare nel Progetto del 1978, del seguente tenore: "La connessione opera solo se i procedimenti si trovano nel medesimo stato e grado". Tale disposizione non e' pertinente al tema della connessione, concepita come criterio autonomo di attribuzione di competenza, ma a quello della riunione dei procedimenti che e' effetto solo eventuale della competenza per connessione.
L'articolo 13 prevede la disciplina della connessione nei rapporti tra giurisdizione ordinaria e speciale. Nel comma 1 e' contenuto un mero rinvio alla disciplina prevista dalla legislazione speciale in tema di connessione tra procedimenti di competenza dei giudici ordinari e procedimenti di competenza della Corte costituzionale: la Commissione ha ritenuto infatti, in mancanza di qualsiasi accenno al riguardo nella legge-delega, di non avere i poteri per disciplinare la materia.
In seguito al d.P.R. 9 dicembre 1987, n. 496, che ha abrogato, tra l'altro, l'art. 5 l. 10 maggio 1987, n. 170 sui procedimenti di accusa, non si pone piu' il problema del coordinamento tra la disposizione in esame e il citato art. 5 l. 170/1978. Del coordinamento dovra' pero' farsi carico il legislatore chiamato a disciplinare la materia dei procedimenti di accusa in conseguenza del risultato del recente referendum popolare.
Nel comma 2 dell'art. 13 i rapporti con l'autorita' giudiziaria militare sono regolati alla stregua del principio, gia' oggi vigente, che il giudice ordinario ha giurisdizione su tutti i reati connessi.
Questa norma dovra' essere, da una parte, integrata con una disposizione che definisca le ipotesi di connessione rilevanti in materia di rapporti tra giurisdizione ordinaria e giurisdizione militare e, altresi', chiarisca i rapporti del codice con l'art. 264 c.p.m.p. e le norme speciali che disciplinano il sistema.
In particolare si dovra' decidere se sopprimere il potere accordato dall'articolo 264 c.p.m.p. alla corte di cassazione di ordinare, per ragioni di convenienza, la separazione dei procedimenti, tenuto conto che la direttiva 14 della legge-delega sembra riguardare l'istituto della connessione in tutte le sue implicazioni, ivi compresi i rapporti tra giurisdizione ordinaria e giurisdizione militare.
L'articolo 14 riproduce la direttiva 14 della legge-delega ed attua il principio, sancito dalla sentenza della Corte costituzionale 15 luglio 1983, n. 222, che esclude l'operativita' della connessione in caso di reati commessi da imputati minorenni e maggiorenni. Nel comma 2 e' prevista una specificazione della medesima direttiva, nel senso che la connessione e' altresi' esclusa tra reati commessi prima e reati commessi dopo che l'imputato ha compiuto gli anni diciotto.
L'articolo 15 riproduce, nella sostanza, la disciplina dell'art. 46 c.p.p., stabilendo che in caso di procedimenti connessi appartenenti singolarmente alla competenza di giudici diversi, la cognizione appartiene per tutti i procedimenti al giudice di competenza superiore.
L'articolo 16 contiene una conferma degli ordinari criteri della competenza per territorio determinati dalla connessione. Va tenuto conto, pero', che, nel nuovo codice, la regola generale prevista nell'art. 4, vale anche per tutti i casi di competenza per connessione ivi compresa quella per territorio.
La disciplina adottata nel comma 1 si discosta da quella dell'art. 47 c.p.p. solo in quanto il criterio sussidiario del luogo in cui e' stato commesso il maggior numero di reati e' stato sostituito da quello del primo reato. La modifica si e' resa necessaria in considerazione della disciplina limitativa che e' stata prevista nei
casi di connessione: in base a tale disciplina, infatti, il criterio del luogo in cui e' stato commesso il maggior numero di reati potrebbe rivelarsi non praticabile, in quanto tendenzialmente non dovrebbero verificarsi le attuali situazioni di pluralita' di reati attribuiti alla cognizione del medesimo giudice.
La regola del comma 2 ha lo scopo di aggiungere, a quelli stabiliti dall'art. 4, ulteriori criteri per la determinazione del reato piu' grave nella ipotesi di concorso di reati. Nella prima parte si da' la prevalenza al criterio qualitativo e si stabilisce che fra delitti e contravvenzioni devono ritenersi piu' gravi i delitti, mentre nella seconda si fa riferimento all'entita' ed alla specie della pena. Recependo le conclusioni cui e' pervenuta la giurisprudenza della corte di cassazione, si e' previsto che il primo elemento da prendere in considerazione per valutare la gravita' di un reato e' quello della sua pena massima. Quando i reati sono puniti con pena di specie diversa si e' previsto che debba aversi riguardo a quello punito con la pena detentiva e che, solo in caso di parita' di pene detentive, rileva la pena pecuniaria.
Fonte: Relazioni al progetto preliminare e al testo definitivo del codice di procedura penale, delle disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni e delle norme per l'adeguamento dell'ordinamento giudiziario al nuovo processo penale ed a quello a carico degli imputati minorenni. (GU n.250 del 24-10-1988 - Suppl. Ordinario n. 93 )