Indice:
2.1. Il dato normativo
2.2. Metodo mafioso
7. Narcotraffico ed associazioni di associazioni: maxi-associazioni sotto la guida della 'ndrangheta
1. Inquadramento
Comunemente, la mafia, quale prototipo delle associazioni di tipo mafioso, è riguardata come “anti-Stato”, in quanto ordinamento (anti-)giuridico in concorrenza con lo Stato. L'anti-statualità delle mafie storiche è entrata nel linguaggio delle massime, atteso che, in materia di misure di prevenzione, si è incominciato a ragionare della «condivisione del progetto antagonista e anti-statuale dell’associazione mafiosa[,] manifestatosi nella reiterata commissione di crimini violenti finalizzati agli scopi criminali dell’associazione»[,] quale indice ostativo al superamento della presunzione semplice di pericolosità sociale dell’appartenente a tali concrezioni che pure abbia dato prova di buona condotta carceraria 1.
L'attribuzione alle associazioni di tipo mafioso della natura di ordinamenti antistatali “aperti”, ossia di ordinamenti che, nell’evolvere dei paradigmi organizzativi, attraversano il tempo e si dimensionano ai luoghi di insistenza in proiezione espansiva, permea la giurisprudenza di legittimità, la quale, per quanto recentemente appaia talvolta orientata - come si vedrà - ad affrancare dette associazioni dal requisito di un controllo “fisico” del territorio, ne individua comunque il tratto peculiare nella «carica intimidatrice nascente dal vincolo associativo», che «si manifesta [anzitutto] internamente attraverso l'adozione di uno stretto regime di controllo degli associati» e, in un momento logicamente successivo eppur necessario, «si proietta anche all’esterno[,] attraverso un'opera di controllo del territorio e di prevaricazione nei confronti di chi vi abita, tale da determinare uno stato di soggezione e di omertà non solo nei confronti degli onesti cittadini, nei riguardi dei quali si dirige l’attività delittuosa, ma anche nei confronti di coloro che abbiano intenti illeciti, costringendoli ad aderire al sodalizio criminale» 2.
In siffatta impostazione si rintraccia la tensione dell'associazione di tipo mafioso all'egemonia tipica di un ordinamento, che, affermatosi di imperio al proprio interno, proietta all’esterno un'assoluta capacità di dominio, oltreché sul “quisque de populo”, in quanto irretito «strumento indiretto o passivo o, quanto meno, testimon[e] mut[o] dei delitti e degli illeciti commessi dal sodalizio criminale» 3, anche sui “delinquenti in concorrenza”, o comunque sui malfattori non passivi e non muti, in quanto semplicemente soccombenti rispetto al monopolio della forza illecita esercitato dal sodalizio stesso.
2.1. Il dato normativo
In confronto alla giurisprudenza, il dato normativo pare muovere da una prospettiva parzialmente non coincidente. Infatti esso, - da un lato, riguarda la “res mafiosa”, come fenomeno, non solo collettivo, ma anche individuale, alla stregua, segnatamente, dell'aggravante del metodo mafioso di cui all’odierno art. 416-bis.1, comma 1, cod. pen., che ha attratto all'orbita codicistica il vecchio art. 7 del decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 1991, n. 203; - dall'altro lato, pur quando la riguarda come fenomeno collettivo, lo fa, o sembra farlo, non come ordinamento, ma, più limitatamente, già a partire dalla rubrica dell'art. 416-bis cod. pen., come «associazione di tipo mafioso», ossia. come concrezione penalmente illecita corrispondente al modello storicosociologico della mafia siciliana, restando nondimeno insoluto il nodo dei rapporti rispetto all'associazione per delinquere di cui all'art. 416 cod. pen.
2.2. Metodo mafioso
Partendo dal primo punto,.il “trait d'union” tra i fenomeni collettivo ed individuale è rappresentato dai metodo mafioso, che integra l'in sé della “res mafiosa”: esso, financo sul versante del fenomeno collettivo, non è estrinsecazione dell’'associazione, ma di «coloro che ne fanno parte» (art. 416- bis, comma 1, cod. pen.), ragion per cui costituisce una qualità della condotta individuale e non dell'agire del gruppo.
Ciò detto, però, l'impianto definitorio del metodo mafioso non è sovrapponibile sui due versanti collettivo ed individuale:
- sul primo consiste nell'avvalimento «della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva» (art. 416-bis, comma 1, cod. pen.);
- sul secondo consiste soltanto nell'avvalimento «delle condizioni previste dall'art. 416-bis [cod. pen.]» (art. 416-bis-1, comma 1, cod. pen.), perdendosi, dunque, quantomeno alla lettera, il riferimento alla «forza di intimidazione del vincolo associativo».
Nell’alternativa esegetica, che pertanto si apre, di considerare detto riferimento implicito anche nella prospettiva del fenomeno individuale, oppure da essa radicalmente assente, una volta che, come sembra fare la giurisprudenza, si incominci a percorrere la seconda strada 4, si aprono orizzonti nuovi, dacché la «condizione di assoggettamento e di omertà», che nell'art. 416-bis, comma 1, cod. pen. «deriva» dalla «forza di intimidazione del vincolo associativo», con riferimento invece alla natura aggravata di un qualsivoglia reato, finisce per - affrancarsi - e dunque per prescindere - da questa.
In tal senso, l'aggravante del metodo mafioso tende ad autonomizzarsi dall'esistenza di un'associazione di tipo mafioso, vivendo di per se stessa.
A misura che si consideri che, come si dirà 5, una prospettiva analoga caratterizza la più recente evoluzione altresì con riguardo alla seconda delle aggravanti codificate dall'art. 416-bis.1 cod. pen., ossia quella dell’agevolazione, si delinea un quadro di sintesi tale per cui la mafiosità assume differenti guise a seconda che acceda alla condotta di un partecipe ad un'associazione di tipo mafioso ovvero ad un soggetto a questa estraneo.
2.3. Specialità dell’associazione di tipo mafioso rispetto alla comune associazione per delinquere
Passando al secondo dei punti cennati in precedenza, incentrato sulla natura associativa della “res mafiosa’, tradizionalmente si ritiene che l'associazione di tipo mafioso si atteggi ad una specie della comune associazione per delinquere, in relazione, da un lato, al perseguimento di «particolari obiettivi criminosi, costituiti non soltanto dalla perpetrazione di fatti antigiuridici, sibbene anche dalla gestione e dal controllo di settori di attività economiche», e, dall'altro, alla «particolare efficacia intimidatrice sprigionantesi dal sodalizio, nel senso che esso assume il connotato di mafioso allorché gli associati si avvalgano della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva per realizzare le finalità indicate nel comma terzo dell'art. 416 bis [cod. pen.] 6.
Un profilo saliente in cui rileva il tema della specialità riguarda la legge applicabile “ratione temporis” alla condotta partecipativa.
Nondimeno il diverso modo di concretamente ritenere l'operatività della specialità conduce a soluzioni parimenti diverse:
- un primo risalente indirizzo - la cui eco riecheggia anche oggi 7 - opina che tra l'associazione ex art. 416 cod. pen. e quella ex art. 416-bis cod. pen. possa intercorrere un “continuum” da riguardarsi unitariamente alla luce della disciplina del reato permanente: poiché, in questo, «nel caso di successione di leggi più severe, qualora la permanenza si protragga sotto il vigore della nuova legge, e questa soltanto che deve trovare applicazione, in quanto vigente la nuova legge il reato è commesso con la realizzazione di tutti gli elementi costitutivi, né trova ingresso in questo caso il comma terzo dello art. 2 cod. pen.», aveva detto indirizzo concluso che, «a seguito dell’introduzione[,] con l'art. 1 [della] legge 13 settembre 1982[,] n. 646[,] della fattispecie criminosa dell’associazione di tipo mafioso nel codice penale (art. 416 bis), con natura di disposizione speciale rispetto alla fattispecie dell’associazione per delinquere comune (art. 416 cod. pen.), qualora la permanenza di una fattispecie associativa si [fosse protratta] dopo l'entrata in vigore della nuova legge, e [fosse] inquadrabile nella sua previsione, trova[va] applicazione soltanto la legge successiva anche se più severa» 8;
- altro più articolato indirizzo sostiene invece che «[...] il reato di associazione mafiosa costituisce [...] un[']ipotesi di delitto a condotta multipla, per cui, quando l'associazione risulta finalizzata alla commissione di delitti, l'elemento del metodo mafioso vale a caratterizzarla, rispetto all[']associazione per delinquere “comune”, nella previsione speciale, ai sensi dell'art. 15 cod. pen.; mentre, nell'ipotesi in cui le finalità perseguite s[ia]no diverse, l'elemento stesso vale a costituire un titolo autonomo di reato, il cui evento va individuato nella situazione di pericolo per la libera espressione delle attività socio economiche - e nella specie dei diritti civili e politici - insita nel particolare vincolo associativo con quelle specifiche caratterizzazioni» 9.
In punto di specialità dell’associazione di tipo mafioso rispetto all'associazione per delinquere, uno spunto critico di riflessione potrebbe sovvenire dalle affermazioni sistematizzate nella sentenza relativa a “Mafia capitale”, volta a rimarcare le profonde differenze tra l'una e l’altra associazione, tali da renderle irriducibili ad unità. In questa sentenza, infatti, si legge, pur al fine precipuo di sostenere che quello ex art. 416-bis cod. pen. «è un reato di pericolo [unicamente] perché I[']esistenza dell'associazione pone in pericolo l'ordine pubblico, l'ordine economico, la libera partecipazione dei cittadini alla vita politica ed altri interessi ancora[, senza tuttavia che ciò significhi] che gli elementi costitutivi della fattispecie possano anche [solo] eventualmente manifestarsi [...] in futuro»,
- in primo luogo, che «l'associazione mafiosa non è un reato associativo "puro", che si perfeziona sin dal momento della costituzione di una organizzazione illecita che si limiti a programmare di utilizzare la propria forza di intimidazione e di sfruttare le conseguenti condizioni di assoggettamento e omertà per la realizzazione degli obiettivi indicati dalla norma;
- in secondo luogo che, «diversamente dall'associazione per delinquere semplice, l'associazione mafiosa non è strutturata sulle "intenzioni", ma su una rete di effettive derivazioni causali. Dunque, non un'associazione per delinquere, ma un'associazione che delinque; il metodo mafioso costituisce il mezzo, lo strumento, il modo con cui l'associazione persegue gli scopi indicati dalla norma e per tale ragione è necessaria, sempre, la sua concreta manifestazione esterna») 10
Così opinando, l'associazione di tipo mafioso non è un'associazione per delinquere cui aggiunge la qualifica di mafiosità, ma un'associazione altra e diversa, che condivide con quella comune il solo tratto dell'entificazione e nulla più: in particolare, non condivide con essa l'attitudine ad anticipare la soglia della rilevanza penale delle condotte degli aderenti sino al livello della mera programmazione di un generico catalogo delittuoso, esigendo invece il concreto esercizio del metodo mafioso quale effetto del conseguimento, nell'ambiente di riferimento, di ‘un'effettiva e palese capacità di intimidazione.
Le conseguenze da trarre dal descritto mutamento di prospettiva sono notevoli: sia, come visto, quanto alla legge applicabile, sia, e soprattutto, quanto ai profili contestativi.
2.4. Continuazione tra partecipazione ad un'associazione di tipo mafioso e reati-fine
A prescindere dalle tesi sui rapporti tra associazione di tipo mafioso ed associazione per delinquere, corrisponde all'osservazione della realtà che anche l'associazione di tipo mafioso è generalmente un'associazione che programma ed esegue reati-fine (e dunque, in questa declinazione, che delinque).
Ciò pone il problema dei requisiti per la configurabilità della continuazione tra la partecipazione all'associazione ed i predetti reati, tenuto conto che l'associazione può essere descritta con l'immagine di un treno in viaggio lungo i binari della delinquenza, su cui il partecipe può salire sin dalla stazione di partenza oppure, come di solito accade, in una fermata successiva.
In argomento, l'indirizzo più recente, predica la configurabilità della continuazione «a condizione che il giudice verifichi puntualmente che questi ultimi siano stati programmati al momento in cui il partecipe si è determinato a fare ingresso nel sodalizio», giacché, «ove si ritenesse sufficiente la programmazione dei reati-fine al momento della costituzione del sodalizio, si finirebbe per configurare una sorta di automatismo nel riconoscimento della continuazione e del conseguente beneficio sanzionatorio, in quanto tutti i reati commessi in ambito associativo dovrebbero ritenersi in continuazione con la fattispecie di cui all'art. 416-bis cod. pen.» 11.
Si registra però anche un indirizzo contrario, volto a considerare rilevante la programmazione dei reati-fine al momento della costituzione dell’associazione. La contrarietà, tuttavia, è meno spiccata di quanto sembra. Il secondo indirizzo, in disparte che trova terreno fertile soprattutto con riguardo all'associazione per delinquere 12, anche quando si occupa dell’associazione di tipo mafioso, lo fa sostanzialmente per escludere che possa ricondursi al programma associativo l'omicidio commesso dal partecipe come reazione punitiva dell’associazione 13, a nulla rilevando finanche che ne sia stata giudizialmente riconosciuta la natura aggravata ai sensi dell'art. 7 d.l. n. 152 del 199 14.
Talché il secondo indirizzo giunge in definitiva alla medesima conclusione del primo circa l'inesistenza di «[alc]una sorta di "presunzione di continuazione" [della partecipazione all'associazione] rispetto ai reati-fine», potendosi ammettere il vincolo «soltanto nella eccezionale ipotesi in cui risulti che[,] fin dalla costituzione del sodalizio criminoso o [- notasi -] dalla adesione ad esso, un determinato soggetto, nell'ambito del generico programma criminoso, abbia già individuato uno o più specifici fatti di reato, da lui poi effettivamente commessi» 15.
Talché pare cogliere nel segno la tesi che, peraltro in relazione tanto all'associazione per delinquere 16 quanto all'associazione di tipo mafioso 17, ritiene risolversi «il problema della configurabilità della continuazione tra reato associativo e reati-fine [...] in una "quaestio facti" la cui soluzione è rimessa di volta in volta all'apprezzamento del giudice di merito».
3. Coesistenza di fenomeni associativi: principi fondamentali
Premesso che nulla osta a che distinte associazioni criminali insistano sugli stessi elementi personale e territoriale e condividano, quantomeno in parte, i fini illeciti rispettivamente perseguiti o comunque collaborino l'una alla realizzazione di quelli dell'altra o delle altre, in concreto, il fenomeno della coesistenza di associazioni acquisisce rilevanza alla stregua di un assetto stratificato, o parzialmente tale, che, sempre più spesso, i sodalizi mafiosi esibiscono, sia sul fronte di un’‘organizzazione allargata” (perché esorbitante dal singolo sodalizio) della linea strutturale di comando, sia sul fronte di una “razionalizzazione” funzionale ed eventualmente “anche” strutturale all'esercizio delle attività economiche, lecite ma soprattutto illecite. In termini generali, detto assetto può generare strutture o sovra-strutture interne, necessariamente sotto-ordinate, e sovra-strutture esterne, che possono essere o pari-ordinate o sovra-ordinate. Un punto fermo è la sussistenza in capo al singolo di tante condotte partecipative quante sono le associazioni - tutte di tipo mafioso 18, oppure di tipo mafioso e comuni, nella maggior parte dei casi dedite al narcotraffico 19 - cui egli simultaneamente aderisce.
In tal caso, ai fini dell'art. 101 cod. pen., è ravvisabile la stessa indole tra i distinti reati qualora «present[i]no nei casi concreti - per la natura dei fatti che li costituiscono o dei motivi che li hanno determinati - caratteri fondamentali comuni» 20.
Peraltro, l'omogeneità nell’alterità” delle associazioni non costituisce “ex se” elemento sufficiente a fondare tra esse il vincolo della continuazione 21.
4. Super-associazioni di "ndrangheta: similitudini e differenze con la cupola di cosa nostra
Una questione centrale riguardante la ‘ndrangheta concerne la sua struttura interna, dal momento che è andata delineandosi, nelle dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia, una camera di vertice con competenze di indirizzo e di “raffreddamento” delle tensioni tra le cosche.
Si potrebbe azzardare un paragone con la “cupola” di cosa nostra.
La realtà è tuttavia più complessa. In primo luogo, le sembianze della camera di vertice della ‘ndrangheta non sono distintamente delineate, neppure quando le emergenze più complete esprimono una convergenza nell'attribuirle un nodo di raccordo, efficace soprattutto nella spartizione dei ruoli apicali, facendola coincidere con la provincia o crimine 22.
In secondo luogo, tale convergenza neppure trova generalizzato riscontro, sol che si consideri come talune pronunce seguitino ad affermare, all'opposto, che carattere distintivo della ‘ndrangheta è l'assenza di unitarietà, con conseguente impossibilità fattuale di un'espressione superiore pur solo di raccordo 23.
In tale incerto contesto, spicca Sez. 6, n. 43548 del 15/05/2019, Alvaro e altri (massimata sotto altro profilo), dal momento che, alla luce dell'imputazione, ad alcuni esponenti di vertice di famiglie storiche della ‘ndrangheta reggina era. ascritta la partecipazione ad un «organismo decisionale destinato a garantire la gestione unitaria delle diverse attività delittuose dell'organizzazione, con particolare riguardo al controllo delle attività economico-imprenditoriali ed alla riscossione del denaro o altra utilità a titolo di tangente nel territorio di competenza» 24.
La particolarità del caso è che «la Corte d'appello, pur ritenendo provata l'affiliazione dei suddetti imputati ai diversi clan di provenienza, aveva tuttavia escluso la sussistenza di un organismo di tipo verticistico costituito dagli apicali delle diverse organizzazioni ‘ndranghetist[e] attive nella provincia reggina ed integrante una diversa associazione per delinquere di stampo mafioso dotata di autonomia sul piano ontologico, giuridico e strutturale, nonché munita di un'effettiva capacità d’intimidazione, esteriormente riconoscibile, diversa da quella promanante dal prestigio criminale conseguito da ciascuno dei sodalizi di appartenenza dei componenti [...].
Esclusa la sussistenza della “super-associazione”, il collegio di merito aveva nondimeno confermato la condanna dei predetti per partecipazione ad associazione di stampo ‘ndranghetista in relazione al medesimo capo [della rubrica], evidenziando come l’esistenza delle cosche [“primigenie”, in tesi d'accusa “super-associate”,] nonché la partecipazione alle stesse dei ricorrenti[, fossero] state pacificamente accertate con sentenze irrevocabili e come, sulla scorta delle prove acquisite [...], [potesse] ritenersi dimostrata la protrazione della partecipazione di tali imputati alle compagini di appartenenza, trattandosi di reato permanente» 25.
In accoglimento delle eccezioni difensive, la S.C. ha ritenuto integrata una violazione del principio di necessaria correlazione tra contestazione e sentenza, in quanto «gli imputati sono stati rinviati a giudizio e chiamati a difendersi (nonché condannati in primo grado) per avere fatto parte di una compagine associativa distinta ed autonoma rispetto alle rispettive cosche di riferimento, ad esse sovraordinata in chiave direzionale, e sono stati invece riconosciuti responsabili dal giudice del gravame per avere continuato a fare parte delle consorterie per la cui intraneità [erano] già stati condannati in ‘ passato con sentenza irrevocabile» 26.
Evidenziata la portata eminentemente processuale dell'insegnamento della S.C., ci si consente tuttavia di richiamare l’attenzione sull’affermazione - certamente condizionata, ripetesi, dall’imputazione - a termini della quale la “super-associazione” è una «compagine associativa» a sé stante, «distinta ed autonoma» rispetto alle singole cosche in essa rappresentate, che, a loro volta, paiono essere intese come alcunché di diverso dalla ‘ndrangheta complessivamente considerata.
In altre parole, la lente dell'imputazione parrebbe aver imposto di considerare la “super-associazione” in una dimensione “esterna”, di per sé parametrata sul paradigma (non ritenuto in fatto) dell'art. 416-bis cod. pen., anziché in una dimensione “interna”, alla stregua di un'articolazione strutturale della ‘ndrangheta tutta (o, meglio, di quelle particolari manifestazioni ‘ndranghetiste sottoposta a giudizio).
Ciò, per riprendere il paragone cui dianzi si accennava, traccia una profonda differenza rispetto alla cupola di cosa nostra 27.
Infatti in cosa nostra - a differenza di quel che accade nella ‘ndrangheta - la cupola rappresentava (e verosimilmente rappresenta) un effettivo centro decisionale, costituente parte integrante della struttura criminale, in cui si deliberavano eclatanti azioni di sangue.
Per tale ragione si è ritenuta configurabile la responsabilità a titolo di concorso nel reato-fine ex art. 110 cod. pen. del capo-mandamento «qualora quest’ultimo - ancorché non sussista la prova che abbia partecipato alle riunioni della cd. commissione in cui si sia deliberato il delitto - sia, tuttavia, in virtù della [sua] qualità [...], membro di detta “commissione” e legato ai soggetti che all’epoca ne detenevano il controllo e [qualora il] delitto sia [stato] eseguito nel territorio appartenente al mandamento di cui egli abbia, quale i capo, il controllo» 28.
In definitiva, solo relativamente a cosa nostra, ma non (o non ancora) anche alla ‘ndrangheta, la comprovata struttura verticistica in un quadro organizzativo unitario dell'associazione complessivamente intesa ha consentito l'elaborazione di una concettualizzazione volta, per gli aventi diritto ad un seggio in commissione, ad una sorta di attenuazione dei rigori del principio - trasversalmente valido per tutte le organizzazioni criminali, appartenenti o meno alla criminalità organizzata — dell'esclusione «di qualsiasi forma di anomala responsabilità di “posizione” o da “riscontro d'ambiente”» 29: attenuazione che peraltro - insufficiente comunque essendo «la sola appartenenza all'organismo centrale [di cosa nostra ad acquisire] valenza dimostrativa univoca circa il contributo di ciascuno dei suoi componenti alla realizzazione del reato-fine, essendo necessario che i singoli componenti, informati in ordine alla delibera da assumere, prestino il proprio consenso, anche tacito, fornendo così il loro contributo allo specifico reato 30 — esige in compenso l'emersione di precisi «elementi aggiuntivi» preordinati ad «una verifica rigorosissima circa l'effettiva “necessità” (cioè ineluttabilità) dell'inferenza proposta» 31.
5. Cartelli di camorra: forme organizzative in funzione delle attività di narcotraffico
Figure di stratificazione tendenzialmente piramidale, ma non organica, popolano la storia della camorra, in seno alla quale i clan di sovente si affratellano in cartelli egemonizzati da quello più potente, senza tuttavia che ciò elimini le sanguinose guerre interne, poiché lo scopo dei cartelli è unicamente quello di consentire ai clan di spartirsi le attività connesse allo spaccio, anche al dettaglio, di droga.
Riguardo alla condotta di partecipazione all'associazione egemonizzata dal clan più potente, ascritta al capo di un clan affratellato particolarmente dinamico nell'attività di spaccio, merita menzione Sez. 5, n. 33186 del 22/02/2019, Rv. 276589-01, Abbinante, in quanto giunge, per la prima volta, ad affermare che «la titolarità di una “piazza di spaccio” per conto di una famiglia criminale confederata in un unitario e più ampio sodalizio mafioso può costituire elemento indicativo della posizione apicale dell'imputato nell'ambito di quest'ultimo, quando risulti che il ruolo egemone dispiegato dall’imputato nelia gestione dell'attività di traffico degli stupefacenti si è riflesso sul livello del suo inserimento nel sodalizio mafioso».
La massima, che rende conto di quanta influenza eserciti il narcotraffico sulle alleanze di camorra, fa appello, per indicare l'associazione riunita sotto il cartello, al concetto di confederazione, nella motivazione della sentenza reso ripetutamente con le espressioni «macro-clan» e «macro-sodalizio confederato» 32.
Per vero, dietro il fenomeno delle confederazioni in specie camorristiche, si nasconde il nodo dei rapporti tra il singolo clan e il macro-clan, atteso che, in linea teorica, può ritenersi che la confederazione si sovrapponga alle associazioni confederate, non pregiudicandone l'esistenza, di guisa che l'una concorre con le altre; ma può anche ritenersi che la prima assorba le seconde, le quali per l’effetto cessano di esistere individualmente per confluire nella struttura sovraordinata.
Se, sullo sfondo di Sez. 5, n. 33186 del 2019, si ha l'impressione di intravedere un’implicita adesione alla prima tesi, un diverso avviso, sebbene non la apra, neppure chiude la porta alla seconda, concentrando l'indagine sui presupposti atti a configurare nella confederazione una struttura nuova ed autonoma ed a tal fine sostenendo che questa ben può siffattamente manifestarsi, ma «solo se vi è prova che sia scaturita da un diverso patto criminale oppure che quella originaria abbia cessato di esistere» 33.
Donde, in conformità all'avviso che si va illustrando, la confederazione può, ma anche non, doppiare le associazioni aderenti.
La rilevanza pratica della differenza tra le due tesi si apprezza - oltreché sul piano del regime contestativo - sul piano sostanziale degli effetti del principio del “ne bis in idem”. Invero, premesso che «sussiste la preclusione derivante dal giudicato [...] allorché nel secondo giudizio venga contestata al condannato la partecipazione ad una consorteria criminale che, sebbene connotata da un'articolazione più ristretta di quella risultante dal primo giudizio, si' presenta identica, quanto alla sfera operativa e di interessi, all'identità degli affiliati ed al ruolo di vertice attribuito ad uno di loro, essendo a tal fine irrilevante [...] la parziale difformità del profilo temporale delle due contestazioni» 34, nel contesto della seconda tesi, la relativa eccezione può essere superata solo nella misura in cui l'organo dell'accusa assolva all'onere di dimostrare l'appartenenza del soggetto “anche” alla coesistente confederazione.
6.1. Ricadute organizzative delle attività di narcotraffico sulle strutture della sacra corona unita....
Anche la conformazione delle frange della sacra corona unita (s.c.u.) risente profondamente dell'attività legata al narcotraffico, a dimostrazione di uno stadio evolutivo che, come per buona parte dei clan camorristici, non pare ancora “ex se” proiettato, alla stregua di quel che accade invece in cosa nostra e nella ‘ndrangheta, ad una gestione “globale” delle attività illecite.
Con riguardo ad una formazione della s.c.u., in una prospettiva di stratificazione, questa volta, non esogena, ma endogena, Sez. 6, n. 31908 del 14/05/2019, Rv. 276469-01, Perrone, rammenta in massima che, «quando il sodalizio mafioso strutturi al proprio interno un riconoscibile assetto organizzativo specificamente funzionale al narcotraffico», l'associazione di tipo mafioso concorre con l'associazione finalizzata al traffico di stupefacenti; indi, in motivazione,
- soggiunge che non importa che «la compagine [votata al narcotraffico] sia o meno coincidente [con quella mafiosa “principale”], essendo invece rilevante l'esistenza di [detto] riconoscibile assetto, [...] per lo più implica[nte] un’attribuzione di ruoli, che ben possono essere diversi nelle due associazioni, in quanto comunque possa dirsi che l'operatività costituisca emanazione di entrambe» 35;
- rammenta come ciò nondimeno un'associazione di tipo mafioso possa anche “autonomamente” occuparsi di traffico di stupefacenti 36, ribadendo il principio 37 a termini del quale il tratto distintivo tra le due associazioni ex art. 416-bis cod. pen. ed ex art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990 - che viene precipuamente in linea di conto, a fini qualificatori, nei casi in cui non emerga “ex se” una distinta esistenza delle stesse determinante il concorso - «è costituito dal profilo programmatico dell'utilizzo del metodo, che, nell'associazione di cui all'art. 416-bis cod. pen., si estrinseca nell’imposizione di una sfera di dominio sul territorio, con un’operatività non limitata al traffico di sostanze stupefacenti, ma estesa a svariati settori, in cui si inseriscono l'acquisizione della gestione o del controllo di attività economiche, concessioni, appalti e servizi pubblici, l'impedimento al libero esercizio del voto, il procacciamento di voti in occasione delle consultazioni elettorali»; - conclude che nella specie non rileva che «la posizione del[l'imputato] fosse accostata al settore degli stupefacenti, [...] ciò non val[endo] ad escludere la riconducibilità della relativa operatività ad un sodalizio mafioso, che utilizzi programmaticamente quel metodo per realizzare i propri obiettivi egemonici»38.
6.2. (Segue) ... rassegnate (come nella ‘ndrangheta) in evidenze documentali
Cambiando momentaneamente registro, colpisce come efferate compagini criminali, che ci si attenderebbe lontane da formalismi, avvertano invece la necessità di mettere per iscritto il “contratto d'ingaggio”.
Nel caso di Sez. 6, n. 31908 del 2019, al momento dell'arresto, era stata trovata in possesso dell'imputato la cd. “sfoglia”, contenente le «direttive strategiche» della cosca indirizzate [al predetto] dal vertice, con la raccomandazione di affidarsi ad altro sodale 39.
La ‘documentalità” è tratto comune alle diverse associazioni mafiose.
In ambito di ‘ndrangheta, per esempio, Sez. 6, n. 32373 del 04/06/2019, Aiello, di cui ci si occuperà ancora in seguito, inchioda uno degli imputati alle sue responsabilità facendo leva, tra l’altro, sul «ritrovamento, in occasione di una perquisizione eseguita nell'ottobre del 2012 dai carabinieri nell'abitazione [del medesimo], esattamente in una tasca di un suo capo di abbigliamento, di una “copiata”, e cioè di un documento attestante il grado di “sgarro” che gli era stato riconosciuto all’interno [dell']organizzazione criminale e riportante i termini che egli avrebbe dovuto utilizzare per essere riconosciuto dagli altri affiliati: ritrovamento dovuto ad un maldestro comportamento [dell'imputato], il quale avrebbe dovuto distruggere il documento, fatto che [il capo-cosca], in occasione di coeva intercettazione ambientale, aveva con significativa preoccupazione stigmatizzato, così riscontrando il significato di attualità di quel ritrovamento» 40
7. Narcotraffico ed associazioni di associazioni: maxi-associazioni sotto la guida della ‘ndrangheta
Gli intrecci tra associazioni di tipo mafioso e tra le stesse ed associazioni dedite al traffico di stupefacenti sono eterogenei.
Normalmente si è portati a pensare, come del resto fatto sin qui, che una struttura deputata al narcotraffico costituisca un segmento interno ad un'associazione di tipo mafioso in funzione della specializzazione “imprenditoriale” della parte in rapporto al tutto.
Peraltro, qualora così accada, il preposto a siffatto segmento interno ben può acquisire la qualifica di organizzatore, “a latere” del capo”. 41
Tuttavia può anche darsi che la struttura deputata al narcotraffico si ponga come sovrastruttura rispetto, non ad una, ma a più di tali associazioni, le quali alla prima danno vita allo stesso modo in cui, nel mondo degli affari leciti, più società possono dar vita ad un'altra società.
È il caso di Sez. 4, n, 43241 del 08/10/2019, Scalia, occupatasi, in sede cautelare, «di una maxi-associazione [ex art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990 avente carattere di transnazionalità], fondata sull'esistenza di tre sotto-gruppi [di cui uno ‘ndranghetista], ognuno capace di condurre i propri traffici nel settore, ma strettamente connesso agli altri nel perseguimento del comune scopo criminoso». 42
La Corte, chiamata a giudicare della condotta di un soggetto accusato di partecipazione a detta maxi-associazione, ha ritenuto avere il tribunale del riesame «dato [congruamente] conto [sia] del fatto che l'associazione [...] usufruiva di canali privilegiati di controllo dei porti nordeuropei e di collegamenti con fornitori esteri, capaci di importare stupefacente con alta periodicità, [sia] della circostanza che il sodalizio si avvaleva anche dell'operato di alcune cellule operative, espressione dell[a 'ndrangheta], di stanza nel Nord Europa.
Una vera e propria rete operativa, dunque, che consentiva il controllo delle rotte di fornitura e garantiva un costante approvvigionamento»; pertanto ne ha tratto la conseguenza della corretta contestazione di due aggravanti: - sia quella della natura armata dell’associazione, atteso «lo stretto vincolo con un'associazione di tipo mafioso [... e] considerato altresì che alcuni dei sodali erano stabilmente inseriti nei ranghi della criminalità organizzata di tipo mafioso»; - sia quella dell’agevolazione mafiosa, avendo il tribunale «debitamente valorizzato il rinvio alle attività d[i un'eminente cosca di ‘ndrangheta], tra le quali il narcotraffico rappresenta una fonte privilegiata di proventi illeciti [...]» 43.
In sostanza, la partecipazione alla maxi-associazione di una primaria cosca di ‘ndrangheta, associazione di tipo mafioso indiscutibilmente armata, comunica alla prima la natura di associazione armata e qualifica di agevolazione la condotta di chi vi partecipa, in quanto, sia pur mediatamente, rivolta (anche) a vantaggio della cosca. Il riferimento alla natura armata dell’associazione consente, per omogeneità, di chiamare in causa un’altra pronuncia parimenti improntata, ancorché in diverso ambito, alla comunicabilità di tale caratteristica. Trattasi della già citata Sez. 6, n. 32373 del 2019, Rv. 276831-02, massimata in riguardo al principio che «l'aggravante della disponibilità di armi, di cui all'art. 416-bis, commi 4 e 5, cod. pen., è configurabile a carico dei partecipi che siano consapevoli del possesso delle stesse da parte della consorteria criminale o che, per colpa, lo ignorino», ma qui evocata per la fattispecie, «relativa alla riconosciuta esistenza di un'associazione autonoma, formata da cellule “locali” di ‘ndrangheta federate, in cui la Corte ha ritenuto che, ai fini della ravvisabilità dell’anzidetta aggravante, è necessario fare riferimento al sodalizio nel suo complesso, prescindendo dallo specifico soggetto o dalla specifica cellula “locale” che abbia la concreta disponibilità delle armi»).
1
Sez. 2, n. 23128 del 15/03/2018, Rv. 272880-01, Formoso e altri.
2
Sez. 2, n. 18773 del 31/03/2017, Rv. 269747-01, Lee e altri, riconducente all’art. 416-bis cod. pen. il gruppo criminale nigeriano noto come Eye, particolarmente attivo in Castel Volturno nelle attività di sfruttamento della prostituzione e di narcotraffico.
3
Sez. 6, n. 2402 del 23/06/1999, Rv. 214923-01, P.M. in proc. D'Alessandro.
4 Cfr. infra, parr. 15 e 16.
5
Cfr. infra, par. 17.
6
Sez. 1, n. 14134 del 30/09/1986, Rv. 174636-01, Amerato.
7
Sez. 2, n. 20098 del 03/06/2020, Rv. da attribuire, Buono.
8
Sez. 1, n. 11669 del 07/10/1987, Rv. 177071-01, Liccardo.
9
Sez. 2, n. 22989 del 30/04/2013, Gioffrè A. e altri, ultimo par. di p. 13 sino all’inizio di p. 14.
10
Sez. 6, n. 18125 del 22/10/2019 (dep. 2020), Bolla Claudio, par. 2, intitolato «L'associazione mafiosa come reato associativo», pp. 282 s.
11
Sez. 1, n. 23818 del 22/06/2020, Rv. 279430-01, Toscano Francesco, che riprende pressoché alla lettera Sez. 1, n. 1534 del 09/11/2017 (dep. 2018), Rv. 271984-01, Giglia.
12
Cfr. ad es. Sez. 1, n. 40318 del 04/07/2013, Rv. 257253-01, Corigliano.
13
Sez. 5, n. 23370 del 14/05/2008, Rv. 240489-01, Pagliara; Sez. 6, n. 2960 del 27/09/1999, Rv. 214555- 01, Ingarao.
14
Come (alla luce della motivazione, nonostante il tenore della fattispecie riassunta in massima) nel caso di Sez. 1, n. 8451 del 21/01/2009, Rv. 243199-01, Vitale.
15
Sez. 1, n. 6530 del 18/12/1998 (dep. 1999), Rv, 212348-01, Zagaria.
16
Sez. 5, n. 44606 del 18/10/2005, Rv. 232797-01, Traina.
17
Sez. 6, n. 15889 del 02/03/2004, Rv. 228874-01, Drago, da cui sono tratte le citazioni a seguire nel testo.
18
Sez, 5, n. 9429 del 13/10/2016 (dep. 2017), Rv. 269362-01, P.G. in proc. Mancuso e altri.
19
Sez. U, n. 1149 del 25/09/2008 (dep. 2009), Rv. 241883-01, Magistris; conf. da ult. Sez. 1, n. 4071 del 04/05/2018 (dep. 30/01/2020), Rv. 278583-01, Rumbo Riccardo.
20
Cfr., ad es., Sez. 3, n. 38009 del 10/05/2019, Rv. 278166-06, Assisi Pasquale Michael, ravvisante la stessa indole «nel reato previsto dall'art. 416-bis cod. pen. e in quello di cui all'art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990, avendo l'imputato assicurato lo smercio di imponenti quantitativi di stupefacenti avvalendosi di una rete di conoscenze nel medesimo contesto criminoso di tipo ’ndranghetistico». Il principio è suscettibile di avere ricadute in tema di recidiva qualificata. A proposito di questa, allargando l'orizzonte d'indagine, rammentasi Sez. 2, n. 9744 del 16/01/2020, Rv. 278829-01, Guida Vincenzo, la quale ha ritenuto che, ai fini dell’integrazione della stessa, «nel caso di imputato di delitto non colposo aggravato ai sensi dell’art. 7, legge 12 luglio 1991, n. 203 (ora art. 416-bis.1 cod. pen.), già condannato per il delitto di cui all'art. 416-bis cod. pen., la contestata aggravante del metodo mafioso si lega, in termini di continuità ed omogeneità delittuosa, alla condanna precedentemente riportata, atteso che nella individuazione dei "reati della stessa indole" ex art. 101 cod. pen. deve farsi riferimento, aldilà dell'identità dei titoli di reato e della loro riferibilità alla lesione di analoghi beni giuridici, alla concreta natura dei fatti ed ai motivi che li hanno determinati, al fine di ravvisare specifici indici identitari».
21
Come chiarito da Sez. 4, n. 3337 del 22/12/2016 (dep. 2017), Rv. 268786-01, Napolitano e altri, in relazione a condotte di partecipazione ad un'associazione ex art. 74 del decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre del 1990, n. 309, e nel contempo ad un'associazione di tipo mafioso a sua volta dedita “anche” al narcotraffico.
22
Sez. 1, n. 55359 del 17/06/2016, P.G. in proc. Pesce e altri, par. 2.16, fg. 312. 23 Sez, 2, n. 34525 del 19/06/2014, Garzo P.S. e altri, par.
23
p. 27; Sez. 2, n. 22989 del 2013, dall’ult. par. di p. 14 al secondo di p. 15; e — in riferimento ad una struttura decentrata come il locale di Lonate Pozzolo, vicino a Legnano — Sez. 2, n. 19483, del 16/04/2013, Avallone e altri, ult. par. di p. 29 in prosecuzione sino a p. 30.
24
Par. 2.2, p.27.
25
Loc. ult. cit.
26
Par. 2.3, p. 29.
27
Per la descrizione del cui funzionamento cfr. la sentenza conclusiva del primo maxiprocesso alla mafia (Sez. 1, n. 80 del 30/01/1992, Abbate e altri).
28
Sez. 5, n. 7660 del 31/01/2007, Rv. 236523-01, Virga e altri.
29
Così, icasticamente, Sez. 6, n. 3194 del 15/11/2007 (dep. 2008), Rv. 238402-01, P.M. in proc. Saltalamacchia, a proposito di un’associazione dedita al traffico di stupefacenti. La trasposizione del principio ‘funditus” sul versante delle associazioni di tipo mafioso si deve a Sez. 6, n. 8929 del 17/09/2014 (dep. 2015), Rv. 263654-01, Tagliavia, riguardante una delle costole giudiziarie scaturite dalla strategia stragista elaborata da cosa nostra negli anni ’ 90 del secolo scorso. Detta trasposizione è infine espressamente ribadita da Sez. 5, n. 390 del 24/06/2019 (dep. 2020), Rv. 278550-01, Di Muro Angelo e altro, in rapporto ad una cosca ex art. 416-bis cod. pen. esercitante il controllo del territorio in Lucania, nelle zone del Vulture e di Melfi.
30
Sez. 1, n. 42990 del 18/09/2008, Rv. 241820-01, Montalto e altri. Conf. Sez. 2, n. 3822 del 18/11/2005 (dep. 2006), Rv. 233327-01, Aglieri e altri.
31
Sez. 6, n. 8929 del 2015, par. 12.2, p. 25.
32 Cfr. in part., par. 4.1, p. 12.
33
Sez. 2, n. 31541 del 30/05/2017, Rv, 270466-01, Abbamundo e altri, a proposito del varo di nuove alleanze tra clan di camorra.
34 Sez. 6, n. 48691 del 05/10/2016, Rv. 268226-01, Maesano.
35
Par. 8, p. 5. Conf, in prec., Sez. 6, n. 43890 del 21/06/2017, Aruta, par. 1.4, p. 44 (massimata sotto altri profili).
36
Par. 8, p.4. .
37
Già enunciato da Sez. 6, n. 563 del 29/10/2015 (dep. 2016), Rv. 265762-01, Viscido.
38
Par. 12, p. 6. Tale conclusione è avvalorata, su altro piano, dalla «licenza di uccidere» di cui, in un contesto programmatico più ampio rispetto al solo settore del narcotraffico, l'imputato era investito.
39
..che «“non ci deluderà ... ascolta quello che dirà [costui] e aiutatelo ...’», fermo restando che «“se c’è da ammazzare ammazzerà senza problemi”» (parr. 2 e 3, pp. 2 € 3).
40
Par. 6.4, pp. 46 e 47.
41
Sez. 2, n. 20098 del 2020, a proposito di un clan camorristico.
42
Par. 2, p.4.
43
Ivi, pp.7e9.
Fonte: Relazione tematica "Relazione tematica sugli sviluppi della giurisprudenza di legittimità nell'ultimo biennio in ordine ai temi principali inerenti al fenomeno della criminalità organizzata", Rel. n. 83/20, CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE UFFICIO DEL MASSIMARIO E DEL RUOLO.