Omissione diagnostica

In questo articolo si affronta il caso di due pediatri condannati in via definitiva per omicidio colposo di un paziente di 10 anni, per omessa diagnosi.
Indice:
1. Il caso
2. Il processo
4. La linea difensiva dei medici
6. La massima
7. La sentenza della corte di cassazione
1. Il caso
Due pediatri venivano accusati di aver cagionato colposamente il decesso di un piccolo paziente, avvenuto per arresto cardiocircolatorio in conseguenza di una stenosi tracheale iatrogena post-intubazione in un quadro di diffusa e severa bronchite.
In particolare, ai medici veniva contestato dal pubblico ministero di aver omesso (malgrado la mancata risposta medica alla terapia somministrata per molti giorni sino al decesso, il peggioramento delle condizioni respiratorie, il tipo di dispnea, la progressiva comparsa di intensa astenia e disfonia) di disporre il ricovero del bambino al fine di sottoporlo ad ulteriori accertamenti.
2. Il processo
All'esito del processo di primo grado, i medici venivano condannati per il reato di omicidio colposo e la sentenza veniva confermata (con una rideterminazione della pena) nel successivo giudizio di appello.
In particolare, la condanna si fondava sulle conclusioni raggiunte da un collegio peritale nominato dalla corte di appello che riscontrava l'esistenza di gravi profili di colpa professionale a carico dei due pediatri.
La corte di cassazione dichiarava inammissibile il ricorso presentato dai due medici e la condanna pronunciata nei loro confronti diveniva definitiva.
3. I riferimenti
Giudici di merito: Tribunale di Lucca - Corte di Appello di Firenze
Autorità Giudiziaria: Quarta Sezione della Corte di Cassazione
Reato contestato: Omicidio colposo ex art. 590 c.p.
Sentenza: n.36044 (ud. 26/05/2022, dep. 26/09/2022)
4. La linea difensiva dei medici
Il primo pediatra si difendeva dall'addebito affermando che sulla base delle conoscenze in suo possesso, al momento del fatto, non era possibile individuare una condotta alternativa.
In secondo luogo, il sanitario affermava che la sua condotta rientrava in una ipotesi di colpa lieve, penalmente non rilevante ai sensi del Decreto Balduzzi (normativa che trovava applicazione nel caso specifico).
Il secondo pediatra accusato dell'omicidio colposo della minore contestava le conclusioni dei periti nominati dalla corte di appello che riconoscevano una elevata probabilità di guarigione del paziente qualora lo stesso fosse stato sottoposto ad intervento chirurgico.
Ad avviso del medico, le possibilità di decesso del paziente nel post operatorio si aggiravano intorno al 30 % dei casi.
5. Le ragioni della condanna
Ad avviso dei giudici della corte di cassazione, i medici erano nelle condizioni di individuare l’occlusione e avrebbero dovuto disporre esami clinici per confermare la diagnosi di sospetta stenosi.
Il decesso del paziente è riconducibile all’omessa formulazione del sospetto diagnostico, alla mancata vigilanza del paziente ed all’omessa indicazione di approfondimenti diagnostici.
La condotta non è riconducibile in una ipotesi di cd. “colpa lieve” e ciò in quanto il pediatra, sulla base della sua specializzazione, dopo aver visitato il minore avrebbe dovuto:
1) riscontrare sintomi evidenti;
2) formulare il sospetto diagnostico suindicato;
3) prescrivere accertamenti ulteriori atti a confermare il sospetto.
I periti hanno sostenuto che gli esami e controlli volti ad indagare il sospetto diagnostico avrebbero potuto essere eseguiti dai pediatri nell’arco di una giornata di ricovero ospedaliero e che l'intervento chirurgico di rimozione della stenosi in un centro pediatrico con esperienza nel settore (presenti in varie città italiane), sarebbe stato praticabile, tenuto conto delle condizioni del paziente, e altresì salvifico con alto grado di razionalità logica.
Sicché poteva dirsi che la morte, intervenuta a distanza di cinque giorni rispetto alla condotta incriminata, sarebbe stata evitata dal comportamento alternativo corretto.
6. La massima
Nella sentenza in argomento, la Suprema Corte ha affermato che per l'esistenza del nesso di causa, in base al disposto degli artt. 40 e 41 c.p., occorrono due elementi: il primo, positivo, secondo il quale la condotta umana deve aver posto una condizione dell'evento; il secondo, negativo, per cui il risultato non deve essere conseguenza dell'intervento di fattori eccezionali. In particolare, quando si tratta di condotte omissive, il primo elemento si rivela nella regola cautelare violata, se l'evento rappresenta la concretizzazione del rischio creato con un non facere da colui che riveste la posizione di garanzia.