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Responsabilità del sindaco nei reati fallimentari: limiti e condizioni nella bancarotta fraudolenta impropria delle società partecipate (Cassazione penale n. 7723/23)


Bancarotta fraudolenta

1. La massima

In tema di reati fallimentari, il sindaco non risponde del delitto di bancarotta fraudolenta impropria derivante da operazioni dolose poste in essere da una società interamente partecipata dal comune per effetto della sola qualifica di legale rappresentante dell'ente pubblico, posto che, nel caso in cui non vi sia prova della sua qualità di amministratore di fatto della società partecipata, la sua responsabilità sarà configurabile solo in qualità di extraneus, concorrente nel reato, a condizione che sia dimostrato lo specifico contributo fornito al legale rappresentante della società.

consulenza legale penale

2. La sentenza integrale

Cassazione penale sez. V, 29/11/2023, (ud. 29/11/2023, dep. 22/02/2024), n.7723

RITENUTO IN FATTO

l. Con sentenza del 22 dicembre 2022 la Corte di appello di Salerno, in parziale riforma della pronunzia del Gup del tribunale cittadino del 20 dicembre 2019, per quanto di specifico interesse:

- ha assolto per non avere commesso il fatto l'imputato Me.Ma. dal reato ascrittogli in concorso con altri di cui al capo C) - nella sua qualità di Sindaco e legale rappresentante del Comune di E dal maggio 2010 a settembre 2014 - di bancarotta fraudolenta impropria derivante da operazioni dolose della società E multiservizi Spa, di cui il Comune di E era titolare dell'intero capitale sociale, società dichiarata fallita con sentenza del Tribunale di Salerno del 20 luglio 2015; con l'aggravante di avere commesso più fatti di bancarotta e di avere cagionato un danno di rilevante gravità;

- ha rideterminato la pena nei confronti di Ca.An. imputato per i reati di cui ai capo A), B) C), diversamente qualificati con la sentenza di primo grado in bancarotta semplice, nella qualità di componente effettivo del collegio sindacale (unitamente ai coimputati Be. e Gi. rispettivamente Presidente e altro componente del collegio sindacale nei confronti dei quali si procede separatamente), previa concessione delle circostanze attenuanti generiche ravvisate come prevalenti rispetto alle circostanze aggravanti.

Avverso siffatta decisione hanno proposto ricorso il Sostituto procuratore generale presso la Corte di Appello, in relazione all'assoluzione dell'imputato Me.Ma., e l'imputato Ca.An. .

2.Il Sostituto Procuratore generale ha articolato i seguenti motivi di censura di seguito enunciati nei limiti di cui all'art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.

2.1. Con il primo motivo è stata dedotta violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla penale responsabilità di Me.Ma. quale concorrente extraneus nel reato di bancarotta fraudolenta impropria posta in essere dai coimputati Ma., Ca. e Ri. (rispettivamente Presidente e consiglieri del Consiglio di amministrazione della società per i quali si è proceduto separatamente).

L'imputato Me.Ma. risulta concorrente nel reato nella qualità di Sindaco e legale rappresentante del Comune di E, socio unico della società fallita, attraverso il compimento di operazioni dolose che ne avevano aggravato il dissesto e in particolare attraverso la mancata effettiva ricapitalizzazione dopo l'azzeramento del capitale per perdite nel bilancio di esercizio 2010, sostituita da una fittizia ed irregolare copertura delle perdite con la iscrizione a bilancio 2012 di un credito verso il Comune cui non faceva seguito il reale ripianamento delle stesse.

Siffatta fittizia operazione, causalmente decisiva rispetto al dissesto, non si sarebbe potuta realizzare senza il contributo dell'attuale imputato Sindaco, il quale in sede di interrogatorio ha ammesso che la società era mantenuta in vita per conservare il posto di lavoro ai dipendenti e che all'impegno comunale di ripianamento delle perdite non aveva fatto seguito alcuna concreta ed effettiva disponibilità di risorse.

Siffatta ricostruzione è riscontrata dalle dichiarazioni del coimputato Ca.An., come detto, componente del collegio sindacale, che ha evidenziato la consapevolezza del Sindaco delle difficoltà strutturali della società e dell'oggettiva sussistenza di perdite nascoste dalle successive iscrizioni in bilancio.

La sentenza impugnata, pur riconoscendo a Me.Ma. siffatta consapevolezza, non ha ritenuto sufficientemente raggiunta la prova che le azioni realizzate siano univocamente indicative di un contributo causale alla condotta, essendo compatibili con l'esercizio di un potere politico animato da una superficiale intenzione di sanare la situazione.

Una tale ricostruzione omette di considerare l'essenziale dato in base al quale l'operazione di iscrizione in bilancio dell'impegno finanziario per la copertura della perdita non poteva realizzarsi senza il contributo di Me.Ma. .

A fronte dell'evidente dissesto risalente all'anno 2010 (con capitale negativo) le alternative possibili erano la ricapitalizzazione della società o lo scioglimento della stessa.

L'espediente descritto (fittizia copertura delle perdite con un impegno finanziario del Comune) è avvenuto in violazione dell'art.2447 cod. civ. e quindi senza la convocazione da parte degli amministratori di una assemblea straordinaria alla presenza del notaio e senza la reale copertura della perdita perché il Comune socio non forniva la indicazione di un credito, ma di una "aspettativa di credito". I principi contabili in materia societaria non consentono la promessa di copertura di una perdita.

La sentenza impugnata, non considerando il decisivo apporto di Me.Ma. rispetto alla dolosa realizzazione degli amministratori della società dell'iscrizione in bilancio, ha erroneamente applicato i principi giurisprudenziali relativi al concorso dell'extraneus nel reato di bancarotta sia in relazione all'elemento oggettivo che in relazione all'elemento soggettivo: l'imputato era assolutamente consapevole che con quella condotta di fittizia operazione di ripianamento di perdite sì sarebbe consentito alla società di proseguire l'attività e di aggravare il dissesto.

L'istruttoria dibattimentale ha peraltro provato che il Sindaco partecipava costantemente alle assemblee della società comunale di servizi, era consapevole del suo dissesto ed intendeva far proseguire l'attività: lo si ricava dai verbali assembleari del febbraio e del settembre 2012; dalle pronunzie della Corte dei Conti che nella deliberazione del marzo 2014 aveva sì approvato il piano di riequilibrio finanziario del Comune di E anche rispetto alla società, ma aveva chiesto ulteriori approfondimenti per conoscere la reale situazione debitoria delle partecipate; dai pignoramenti dei crediti della società; dal parere del collegio dei revisori dei conti dell'ottobre 2011 e del segretario Comunale del novembre 2011.

La condotta del Sindaco di intervento presso i creditori per evitare la esecuzione forzata è espressione di un impegno personale e non istituzionale per consentire la prosecuzione della società anche secondo una gestione antieconomica.

La sentenza impugnata presenta vizi motivazionali laddove:

- non considera il principale contributo causale fornito dall'imputato alla fittizia operazione di copertura delle perdite;

- interpetra erroneamente la concreta volontà di realizzare un'azione dolosa causalmente rivolta al dissesto quale superficiale e avventato esercizio del potere politico.

2.2. Con il secondo motivo è stato dedotto vizio di motivazione in punto di motivazione rafforzata.

A fronte di una sentenza di condanna di primo grado, la Corte territoriale nel capovolgere la decisione in senso assolutorio, non ha adempiuto all'obbligo di motivazione rafforzata come richiesto dalle S.U. "Troise".

La sentenza, nel ritenere non provato il contributo causale fornito dall'imputato alle condotte degli amministratori, appare contraddittoria rispetto al giudizio di penale responsabilità espresso nei confronti dei sindaci e di Ca.An. per i quali evidenzia che gli stessi non potevano semplicemente affidarsi alle iniziative degli amministratori e dei soci e confidare nella buona riuscita del piano.

3. L'imputato Ca.An., con ricorso sottoscritto dal difensore di fiducia ha articolato i seguenti motivi di censura di seguito enunciati nei limiti di cui all'art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.

3.1. Con il primo motivo è stata dedotta violazione di legge e vizio di motivazione quanto all'applicabilità dell'art.2403 cod. civ.

Le sentenze di merito hanno erroneamente sostenuto che nelle relazioni al bilancio il ricorrente, nella sua qualità di componente il collegio sindacale, nulla avesse segnalato a proposito della grave debitoria con il fisco, ignorando tuttavia gli espressi rilievi che il collegio sindacale aveva posto con riferimento agli esercizi finanziari oggetto di accertamento: il collegio aveva addirittura rappresentato che l'inerzia degli amministratori in relazione alla perdurante elusione degli obblighi di natura fiscale e previdenziale li avrebbe esposti a condotte di rilievo penale.

Ca.An. nella relazione al bilancio 2011 aveva altresì segnalato la necessità di una adozione immediata di provvedimenti ai sensi dell'art.2466 cod. civ.

La sentenza impugnata, pur prendendo atto di siffatte indicazioni, ha ritenuto che le stesse siano risultate timide ed inefficaci.

Tuttavia, siffatto giudizio presuppone in capo ai sindaci un potere di controllo così penetrante da surrogarsi all'attività degli amministratori.

I sindaci avevano esercitato il loro potere con la conseguente convocazione dell'assemblea; tuttavia, l'organo di vigilanza non può impedire una scelta imprenditoriale legittima che si riveli poi fallimentare.

3.2. Con il secondo motivo è stata dedotta violazione di legge e vizio di motivazione quanto all'omessa risposta a specifiche deduzioni difensive in punto di regole cautelari asseritamente violate.

3.2.1. In relazione alle prospettate violazioni delle regole cautelari ad opera del ricorrente, la sentenza impugnata, consapevole dell'insufficiente richiamo all'art. 2403 cod. civ., ha individuato la violazione di altre norme quali l'art.2403 bis, l'art. 2405 e l'art. 2407 cod. civ.

Tuttavia, la sentenza non chiarisce come la corretta osservanza di tali disposizioni che prescrivono obblighi di segnalazione e, dunque, il corretto comportamento alternativo lecito avrebbe impedito l'aggravarsi del dissesto che deriva unicamente dalla scelta degli amministratori di proseguire l'iniziativa economica.

Così come la regola cautelare fissata dall'art. 2403 cod. civ. non mira a prevenire il rischio derivante dal mancato scioglimento: il dovere di sorveglianza non è dovere d'impedimento dell'evento penalmente rilevante.

3.2.2. La sentenza impugnata ha omesso di motivare anche in relazione a ulteriori censure collegate e cioè perché la scelta di proseguire l'attività non potesse ricadere nel ed. rischio di impresa e perché gli amministratori, a fronte di una decretata ricapitalizzazione con atti del Consiglio Comunale, avrebbero dovuto procedere ad una messa in liquidazione.

La sentenza non ha dimostrato che la condotta doverosa e colposamente omessa sarebbe stata idonea ad impedire l'altrui operato che ha generato l'aggravio del dissesto.

4.La difesa dell'imputato Me.Ma. non ricorrente ha depositato memoria con la quale ha chiesto il rigetto del ricorso del Sostituto Procuratore generale in quanto propone una rilettura nel merito della impostazione contenuta nella sentenza, volta a rivalutare elementi di fatto in modo contraddittorio eludendo il tema centrale della sentenza che ha escluso la prova di un nesso di causalità tra la condotta dell'imputato e l'aggravio del dissesto che ha condotto al fallimento.


CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso del Sostituto Procuratore generale presso la Corte di appello di Salerno è inammissibile.

Il ricorso presentato nell'interesse di Ca.An. è infondato per le ragioni e nei termini di seguito esposti.

Ricorso del Sostituto Procuratore generale

1. il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato non confrontandosi con i contenuti della sentenza impugnata e con la giurisprudenza di questa Corte secondo cui l'indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, esulando dai poteri della Corte di cassazione quello di una "rilettura" degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali. (S.U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone, Rv. 207944).

1.1 La Cotte territoriale con motivazione in fatto non manifestamente illogica, né contraddittoria, ha chiarito che (p.25 e ss.):

- Me.Ma. non era amministratore di fatto della società partecipata: siffatto ruolo non solo è stato già escluso dal giudice di primo grado e non ha formato oggetto di impugnazione del Pubblico Ministero, ma è circostanza condivisa dalla Corte territoriale non essendo emerso dall'istruttoria dibattimentale "(..) l'esercizio in modo continuativo e significativo di una ingerenza ben più pregnante nella gestione della società rispetto alla intrusione episodica rinveniente dalle tre condotte enucleate nella sentenza (..)" di primo grado;

- le condotte contestate sub C) quali la mancata convocazione dell'assemblea straordinaria per deliberare la riduzione di capitale o la trasformazione della società stante la significativa perdita di esercizio, la violazione delle norme sulla evidenzia pubblica nell'affidamento a terzi di lavori, la irregolarità dello sconto bancario e l'assunzione antieconomica dei nuovi dipendenti, sono attribuite all'imputato, quale concorrente extraneus, a titolo omissivo e causalmente collegate al dissesto e successivo fallimento della società: occorreva, dunque, dimostrare, che l'imputato - quale socio della fallita- fosse titolare di poteri idonei ad impedire quegli eventi in base alle disposizioni di natura civilistica;

- esclusa la ricorrenza concreta dell'esercizio del ed. "controllo analogo" in assenza di un apposito procedimento, l'imputato nella sua veste di socio, non era tuttavia, titolare di poteri impeditivi dell'evento dedotto in imputazione: "(..) a fronte di una gestione scellerata, aveva potere di reagire e richiedere la rimozione degli amministratori infedeli o incapaci ex art.2449 cod. civ., ma tali facoltà rimangono ben distinte dalle omissioni in esame e sono estranee alla gestione diretta che si pretende costruire^.) (p.27)."

1.2. La sentenza impugnata ha poi affrontato un ulteriore tema: le condotte "fattive" imputabili a Me.Ma. nella ricostruzione del primo giudice consistite nella falsificazione del bilancio, attraverso l'occultamento della perdita del 2010 ed il suo ripianamento "corrispondente all'impegno finanziario assunto dal socio unico Comune di E."

Anche in tal caso la motivazione della Corte territoriale appare immune da vizi logici atteso che evidenzia (p.27) che siffatte condotte non sono mai state oggetto di contestazione: la pubblica accusa ha costruito l'imputazione in termini omissivi e non ha mai individuato Me.Ma. quale concorrente extraneus rispetto alla falsa appostazione in bilancio.

Non solo: si tratta di condotte non univoche compatibili con una lettura alternativa, "(..) valutabili per diverso tipo di responsabilità politica, appunto, contabile o amministrativa(..)".

Il motivo di ricorso del Sostituto procuratore generale, nel riprendere integralmente la ricostruzione in fatto operata sul punto dal giudice di primo grado e confutata logicamente dalla sentenza impugnata, risulta dunque non confrontarsi con la specifica condotta oggetto di contestazione.

1.3. Il motivo, inoltre, non si confronta con la giurisprudenza in tema di concorso dell 'extraneus nella bancarotta fraudolenta impropria per operazione dolose secondo cui:

- la condotta contestata costituisce contributo causalmente rilevante rispetto alla condotta tipica di bancarotta solo nel caso in cui sia risultato decisivo per l'assunzione della condotta da parte deW'intraneus" (Sez. 5 n. 37101 del 15/06/2022, Rv. 283597 che ha escluso la responsabilità del legale per avere lo stesso reso consigli di incerta valenza causale in merito ad un'operazione - di fatto aggravante il dissesto della società - di aumento fittizio del capitale sociale e di emissione di un prestito obbligazionario convertibile in azioni).

- il concorso dell'extraneus" - istigatore e beneficiario delle operazioni - è configurabile quando questi è consapevole del rischio che le suddette operazioni determinano per le ragioni dei creditori della società, non essendo, invece, necessario che egli abbia voluto causare un danno ai creditori medesimi. (Sez. 5, n. 41055 del 04/07/2014, Rv. 260932);

- la condotta realizzata in concorso col fallito deve risultare efficiente per la produzione dell'evento e il terzo concorrente deve avere operato con la consapevolezza e la volontà di aiutare l'imprenditore in dissesto a frustrare gli adempimenti predisposti dalla legge a tutela dei creditori dell'impresa. (Sez. 5, n. 27367 del 26/04/2011, Rv. 250409).

1.4. La sentenza impugnata ha inoltre correttamente richiamato i principi fissati dalla giurisprudenza civile di questa Corte che a seguito di una lunga e complessa elaborazione - nell'affermare che la società di capitali con partecipazione in tutto o in parte pubblica è assoggettabile al fallimento in quanto soggetto di diritto privato agli effetti dell'art. 1 I. fall. - ha delineato, per quanto di specifico interesse, il rapporto esistente tra l'ente pubblico socio unico e la società interamente partecipata.

1.4.1.Al riguardo le Sezioni unite civili di questa Corte hanno chiarito che la società per azioni con partecipazione pubblica non muta la sua natura di soggetto di diritto privato solo perché il Comune ne possegga, in tutto o in parte, le azioni: il rapporto tra società ed ente locale è di assoluta autonomia, al Comune non essendo consentito incidere unilateralmente sullo svolgimento del rapporto medesimo e sull'attività della società per azioni mediante l'esercizio di poteri autoritativi o discrezionali, ma solo avvalendosi degli strumenti previsti dal diritto societario, da esercitare a mezzo dei membri di nomina comunale presenti negli organi della società. (S. U. civ. n.7799 del 15/04/2005, Rv. 580283 - 01).

La giurisprudenza successiva, in applicazione dei principi suindicati, ha ribadito che la posizione dell'ente pubblico è unicamente quella di socio in base al capitale conferito, senza che gli sia consentito influire sul funzionamento della società avvalendosi di poteri pubblicistici, né detta natura privatistica della società è incisa dall'eventualità del ed. "controllo analogo", mediante il quale l'azionista pubblico svolge un'influenza dominante sulla società, così da rendere il legame partecipativo assimilabile ad una relazione interorganica che, tuttavia, non incide affatto sulla distinzione sul piano giuridico-formale, tra Pubblica Amministrazione ed ente privato societario, che è pur sempre centro di imputazione di rapporti e posizioni giuridiche soggettive diverso dall'ente partecipante. (Sez.l civ., n. 5346 del 22/02/2019, Rv. 653095).

Più precisamente "(..)La relazione interorganica determinata dal ed. controllo analogo non incide sull'alterità soggettiva dell'ente societario nei confronti dell'amministrazione pubblica: i due enti - quello pubblico e quello privato societario - restano distinti sul piano giuridico - formale, in quanto la società in house rappresenta pur sempre un centro dì imputazione di rapporti e posizioni giuridiche soggettive diverso dall'ente partecipante.(..) Resta intatta la considerazione, però, che nell'ambito dell'ordinamento nazionale (che solo rileva ai fini specifici) non è prevista - per le società in house così come per quelle miste - alcuna apprezzabile deviazione rispetto alla comune disciplina privatistica delle società di capitali, nel senso che la posizione dei comuni all'interno della società è unicamente quella di socio in base al capitale conferito. Donde soltanto in tale veste l'ente pubblico può influire sul funzionamento della società, avvalendosi non di poteri pubblicistici ma dei soli strumenti previsti dal diritto societario, da esercitare a mezzo dei membri presenti negli organi della società (..)" (Sez.l civ., n. 5346 del 22/02/2019, cit.)

1.4.2. Tali indicazioni sono state riaffermate nell'ambito dell'ampio dibattito dottrinario e giurisprudenziale sulle società a partecipazione pubblica ed in particolare su quelle di gestione dei servizi pubblici locali affidatane di servizi "in house providing" evidenziando che in tema di reddito d'impresa, la società "in house providing" anche sotto il profilo fiscale è centro autonomo di imputazione di rapporti e posizioni giuridiche soggettive rispetto all'ente locale che su di essa esercita il ed. "controllo analogo", con conseguente sussistenza di autonomo titolo giuridico per dedurre i costi e detrarre l'I VA in relazione a contratti dalla stessa stipulati, operando essa come società di diritto privato. (Sez. 5 civ., n. 21658 del 29/07/2021, Rv. 661900).

1.4.3. Di recente questa Corte (Sez. trib. n.7646 del 03/04/2023, non mass.), nel considerare soggetto passivo ai fini dell'applicazione dell'IVA una società interamente partecipata dall'ASI-, ha ribadito che il rapporto di sostanziale autonomia tra la società e l'ente locale non viene meno in caso di società ed. in house providing in funzione dell'esistenza di un controllo analogo dell'ente: il controllo che consente all'azionista pubblico di svolgere "un'influenza dominante" sulla società, se del caso attraverso strumenti derogatori rispetto agli ordinari meccanismi di funzionamento, non incide sull'alterità soggettiva della società rispetto all'amministrazione pubblica "(..) in quanto la società in house rappresenta pur sempre un centro di imputazione di rapporti e posizioni giuridiche diverso dall'ente partecipante(..)"; la circostanza che le società interamente partecipate risultino affidatane di servizi d'interesse pubblico o gestiscano beni di natura demaniale non crea un rapporto di immedesimazione tra l'ente territoriale e le stesse (Sez. 1 civ., Ord. n. 8794 del 28/03/2023, Rv. 667470 quanto alla assoggettabilità di tali società alla procedura concorsuale).

1.5 La sentenza impugnata ha operato buon governo dei principi ora richiamati evidenziando che il Sindaco, quale legale rappresentante del Comune socio unico, era in rapporto di alterità rispetto al Consiglio di amministrazione della società partecipata: nella sua veste di legale rappresentante del Comune socio, non era titolare di poteri impeditivi dell'evento dedotto in imputazione.

Non è ravvisabile una responsabilità penale del Sindaco sulla base della mera qualifica rivestita e della coincidenza di legale rappresentante del Comune socio unico della società in house e di rappresentante dell'Ente locale: se non vi è la prova della sua qualità di amministratore di fatto della società partecipata, la sua responsabilità sarà configurabile solo quale extraneus concorrente nel reato a condizione che sia dimostrato in concreto il contributo specifico dallo stesso fornito al legale rappresentante della società.

2. Il secondo motivo risulta in parte generico e in parte manifestamente infondato.

2.1. Risulta, infatti, aspecifico nella parte in cui richiama la violazione da parte della sentenza impugnata dell'obbligo di motivazione rafforzata nell'ipotesi di ribaltamento dell'epilogo decisorio sia pure, come nel caso di specie, in senso favorevole all'imputato: una motivazione puntuale e adeguata, che fornisca una razionale giustificazione della difforme conclusione adottata, anche riassumendo, se necessario, la prova dichiarativa decisiva. (S.U., n. 14800 del 21/12/2017, dep.2018, Troise, Rv. 272430- 01).

A fronte, infatti, di una motivazione che ha fornito esaustiva giustificazione della conclusione difforme cui è pervenuta, il motivo non indica in concreto quale siano state le specifiche lacune argomentative della sentenza impugnata.

2.2. Il motivo risulta manifestamente infondato nella parte in cui ravvisa una contraddittorietà nella motivazione della sentenza impugnata in relazione alle conclusioni cui perviene nella conferma della penale responsabilità del collegio sindacale.

Come meglio in seguito nei paragrafi dedicati al ricorso presentato nell'interesse di Ca.An., la sentenza con motivazione immune da vizi logici ha argomentato circa le ragioni che hanno condotto ad una diversa decisione nei confronti degli organi societari rispetto al socio unico.

3. La inammissibilità del ricorso proposto avverso la sentenza di assoluzione pronunziata nei confronti di Me.Ma. comporta il rigetto della richiesta risarcitoria di parte civile avanzata nei di lui confronti.

Ricorso nell'interesse di Ca.An.

4. Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato non confrontandosi con i contenuti della sentenza impugnata e con la giurisprudenza di questa Corte secondo cui l'indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, esulando dai poteri della Corte di cassazione quello di una "rilettura" degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali. (S.U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone, Rv. 207944).

4.1 La Corte territoriale con motivazione in fatto non manifestamente illogica, né contraddittoria, immune da vizi logici e come tale non censurabile in questa sede, ha chiarito che (p.17 e ss.):

- le "macroscopiche" irregolarità formali erano nei bilanci relativi ai vari esercizi e il collegio sindacale nulla aveva rilevato e, di fatto, "(..)ometteva di esercitare i poteri di competenza che avrebbero consentito di evitare l'ingravescenza del danno(..)";

- il curatore fallimentare segnalava che già al 31 dicembre 2010 la società aveva ridotto il capitale al di sotto del limite legale e il collegio sindacale avrebbe dovuto sopperire alla inerzia del Presidente del Consiglio di amministrazione che avrebbe dovuto convocare l'assemblea per deliberare la riduzione del capitale sociale e l'aumento o la messa in liquidazione della società.

- i rilievi che i sindaci (e quindi anche il ricorrente Ca.An.) avevano mosso al bilancio- evidenziati nell'atto di appello- debbono considerarsi insufficienti, "(..)timidi e inefficaci(..)" a fronte di "(..) effettive e macroscopiche incongruenze contabili emerse dalla relazione del curatore e del consulente del PM(..);"

- il collegio sindacale non poteva semplicemente affidarsi alle iniziative "procrastinanti" degli amministratori e dei soci e confidare nella buona riuscita del piano, essendo titolare di un autonomo e distinto potere al fine di segnalare e di attivare meccanismi di controllo, potere non esercitato.

4.2. La ricostruzione fattuale operata dalla Corte di merito, coerente e logica, contribuisce a fornire risposta anche al secondo motivo di ricorso circa la asserita mancata indicazione delle "regole" fissate dal Codice civile che gli amministratori avrebbero violato, essendo state le stesse semplicemente "elencate", censura questa da ritenersi infondata.

4.2.1. Contrariamente a quanto lamentato con la richiamata doglianza la Corte territoriale, ha in primo luogo richiamato l'art.2403 cod. civ. evidenziando le concrete ricadute applicative.

Ai sensi dell'art. 2403 cod. civ., "il collegio sindacale vigila sull'osservanza della legge e dello statuto, sul rispetto dei principi di corretta amministrazione ed in particolare sull'adeguatezza dell'assetto organizzativo, amministrativo e contabile adottato dalla società e sul suo concreto funzionamento".

La norma pone a carico del sindaco obblighi di "vigilanza" e non solo di "controllo" quanto all'osservanza da parte degli amministratori della legge e dello statuto nonché della "corretta amministrazione."

A tal fine i sindaci sono titolari di una serie di poteri: possono procedere, in ogni momento, ad "atti di ispezione e controllo"; possono chiedere informazioni agli amministratori su ogni aspetto dell'attività sociale o su determinati affari (art. 2403/bis cod. civ.) e devono convocare l'assemblea societaria quando ravvisino fatti censurabili di rilevante gravità (art. 2406 cod. civ.).

La violazione di tali obblighi è fonte di responsabilità risarcitoria, quando il danno (per la società, per i soci o per i creditori) non si sarebbe prodotto se i sindaci avessero vigilato e agito in conformità agli obblighi della loro carica (artt. 2407, 2393, 2393/bìs, 2394, 2394/bis e 2395 cod. civ.).

Come più volte è stato ribadito in costanti pronunce di questa Corte (Sez. 5, n. 17393 del 13/12/2006; Sez. 5, n. 26399 del 05/03/2014, Rv. 260215; Sez.5, n.44107dell'l 1/05/2018, Rv.274014) l'obbligo di vigilanza dei sindaci si estende al contenuto della gestione, perché la previsione della prima parte del primo comma dell'art. 2403 cod. civ. deve essere correlata con tutte le altre norme che conferiscono ai sindaci il potere-dovere di chiedere agli amministratori notizie sull'andamento delle operazioni e su determinate operazioni quando queste possono suscitare, per le modalità della loro scelte o della loro esecuzione, delle perplessità.

La giurisprudenza civile di questa Corte ha anche precisato che, in tema di responsabilità degli organi sociali, per la configurabilità dell'inosservanza del dovere di vigilanza imposto ai sindaci dall'art. 2407, comma secondo cod. civ. non si richiede l'individuazione di specifici comportamenti che si pongano espressamente in contrasto con tale dovere, ma è sufficiente che essi non abbiano rilevato una macroscopica violazione o comunque non abbiano in alcun modo reagito di fronte ad atti di dubbia legittimità e regolarità, così da non assolvere l'incarico con diligenza, correttezza e buona fede (Sez. 1 civ., Ord. n. 16314 del 03/07/2017, Rv. 644767; Sez. 1 civ., n. 32397 del 11/12/2019, Rv. 656128) eventualmente anche segnalando all'assemblea le irregolarità di gestione riscontrate o denunciando i fatti al Tribunale per consentirgli di provvedere ai sensi dell'art. 2409 cod. civ.

Certamente le regole e i princìpi valevoli nel campo della responsabilità contrattuale non possono essere automaticamente trasferiti nel campo della responsabilità penale. Questa Corte ha, tuttavia, anche in tempi recenti chiarito che in tema di bancarotta semplice, i sindaci di una società dichiarata fallita rispondono del reato di cui agli artt. 217, comma primo, n. 4, e 224 legge fall., per aver omesso di attivarsi per rimediare all'inerzia dell'amministratore che non abbia chiesto il fallimento in proprio della società, così aggravandone il dissesto, solo quando la situazione di insolvenza sia rilevabile dagli atti posti a loro disposizione, dovendo il giudice di merito verificare, mediante un giudizio controfattuale, se, qualora fossero state poste in essere le attività di impulso e controllo omesse, si sarebbe comunque realizzato l'aggravamento del dissesto. (Sez.5, n. 28848 del 21/09/2020, Rv. 279599).

Nell' iter seguito dalla Corte territoriale per rispondere ai motivi di appello, la sentenza impugnata (condividendo le argomentazioni della sentenza di primo grado in ipotesi di ed. doppia conforme) ha operato buon governo dei principi ora richiamati evidenziando (pp.18/19) che la condotta di Ca.An. è consistita:

- nella mancata denunzia delle macroscopiche violazioni attuate dagli amministratori della società (non riducibili semplicemente al debito tributario e previdenziale) ed in particolare della inerzia a fronte della mancata convocazione da parte degli amministratori dell'assemblea nella ipotesi di riduzione del capitale al disotto del minimo legale;

- nella attestazione, nella relazione al bilancio di esercizio chiuso al 31 dicembre 2013, della conformità alla legge delle azioni deliberate, indicandole come "non manifestamente imprudenti, azzardate o tali da compromettere il patrimonio sociale."

Siffatta condotta, con il conseguente occultamento delle perdite di esercizio, ha consentito alla società di continuare ad operare accrescendo la esposizione debitoria.

La sentenza impugnata ha dunque fornito risposta in punto di casualità tra azione omissiva e aggravamento del dissesto nonché di efficacia del comportamento alternativo lecito: il rimedio era quello di una convocazione dell'assemblea per la delibera di ricostituzione del capitale o di trasformazione della società. Sono questi passaggi necessari per validare la tesi dell'eziologia della contestata condotta omissiva dei sindaci rispetto all'aggravamento del dissesto della società poi fallita.

Ha poi, rispondendo alle censure, correttamente distinto:

- la condotta colposa del ricorrente- quale componente del collegio sindacale - gravemente negligente, tradottasi nella violazione del compito di vigilanza e del mancato esercizio del potere surrogatorio tipico della figura;

- la condotta dolosa degli amministratori della società tradottasi in una "scellerata gestione".

4.2.2. Le risposte contenute nell'articolata e logica motivazione della sentenza impugnata ora richiamate risultano esaustive: le disposizioni del Codice civile contenenti le regole cautelari violate non sono state semplicemente elencate, ma "riempite di contenuto" avuto riguardo alle condotte concretamente tenute in violazione degli obblighi di legge e a quelle che invece sarebbe stato necessario tenere per evitare il dissesto.

4.3. Quanto poi alla pretesa risarcitoria delle parti civili, la sentenza impugnata ne aveva espressamente escluso la sussistenza rispetto al ricorrente (p.28); né vi è stata impugnazione sul punto.

Come per Me.Ma., dunque, alcuna statuizione in relazione alle spese di costituzione e rappresentanza deve essere disposta in favore delle stesse.

5. Al rigetto del ricorso dell'imputato Ca.An. consegue il pagamento delle spese processuali.


P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso del P.G.

Rigetta il ricorso di Ca.An. e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Nulla per spese alle parti civili.

Così deciso in Roma 29 novembre 2023.

Depositato in Cancelleria il 22 febbraio 2024.

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