Responsabilità medica: Quando e a che titolo risponde la struttura sanitaria? - Avvocato Salvatore Del Giudice
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Responsabilità medica:
Quando e a che titolo risponde la struttura sanitaria?

1. La natura "contrattuale".

Secondo l'ormai consolidato orientamento della giurisprudenza, in ipotesi di danni riportati a seguito di intervento chirurgico, il titolo della responsabilità ascrivibile alla struttura sanitaria (nonché al medico operante) è di natura contrattuale, che si origina grazie al contatto che si instaura tra medico e paziente.

Con sentenza 1 luglio 2002, n. 9556, in particolare, la Corte di Cassazione a Sezioni Unite ha definitivamente sposato l'orientamento alla stregua del quale, in ipotesi di intervento chirurgico non correttamente eseguito, quella della Casa di Cura (ovvero dell'ente ospedaliero) è ascrivibile al novero della responsabilità contrattuale per inadempimento dell'obbligazione che la stessa Casa di Cura assume, direttamente con i pazienti, di prestare la propria organizzazione aziendale per l'esecuzione dell'intervento richiesto.

Ed infatti, all'adempimento dell'obbligazione predetta è collegata la rimunerazione della prestazione promessa, in essa incluso anche il costo inteso come rischio dell'esercizio dell'attività di impresa della Casa di cura.

In particolare, si è in presenza di un contratto atipico a prestazioni corrispettive (cosiddetto contratto di spedalità), che si conclude all'atto dell'accettazione del paziente presso la struttura e da cui, a fronte dell'obbligazione al pagamento del corrispettivo (da parte del paziente, dell'assicuratore ovvero del Servizio Sanitario Nazionale) insorgono, a carico della struttura sanitaria, accanto a quelli di tipo alberghiero (somministrazione di vitto e alloggio), obblighi di messa a disposizione del personale medico ausiliario, del personale paramedico, nonché di apprestamento di tutte le attrezzature necessarie, anche in vista di eventuali complicazioni o emergenze (cfr., Cass., sez. Un., n. 9556/2002, cit.; in senso conforme, Cass. Sez. III, 11 maggio 2009, n. 10473; si devano anche Cass., sez. III, 14 giugno 2007, n. 13593, Cass. Sez. III, 26 gennaio 2006, n. 1698, Cass., sez. III, 14 luglio 2004, n. 13066).

La struttura sanitaria risponde quindi, in via contrattuale, non solo delle obbligazioni direttamente poste a proprio carico (servizio alberghiero, attrezzature, eccetera), ma anche dell'opera svolta dai propri dipendenti ovvero ausiliari (personale medico e paramedico), secondo lo schema proprio dell'art. 1228 c.c.. (cfr. motivazione della sentenza n. 9556/2002. La coscienza sociale, prima ancora che l'ordinamento giuridico, non si limita a chiedere un non facere e cioè il puro rispetto della sfera giuridica di colui che gli si rivolge fidando nella sua professionalità, ma giustappunto quel facere nel quale si manifesta la perizia che ne deve contrassegnare l'attività in ogni momento (l'abilitazione all'attività, rilasciatagli dall'ordinamento, infatti, prescinde dal punto fattuale se detta attività sarà conseguenza di un contratto o meno).

In altri termini la prestazione (usando il termine in modo generico) sanitaria del medico nei confronti del paziente non può che essere sempre la stessa, vi sia o meno alla base un contratto d'opera professionale tra i due.

Ciò è dovuto al fatto che, trattandosi dell'esercizio di un servizio di pubblica necessità, che non può svolgersi senza una speciale abilitazione dello Stato, da parte di soggetti di cui il "pubblico è obbligato per legge a valersi" (art. 359 c.p.), e quindi trattandosi di una professione protetta, l'esercizio di detto servizio non può essere diverso a seconda se esista o meno un contratto.

Va poi osservato che non rileva la circostanza per cui il medico che eseguì l'intervento chirurgico fosse o meno inquadrato nell'organizzazione aziendale della casa di cura (ovvero dell'ospedale), né che lo stesso fosse stato scelto dal paziente ovvero fosse di sua fiducia (cfr., in tal senso, Cass., sez. III, 14 giugno 2007, n. 13593; Cass. 26 gennaio 2006, n. 1698), posto che la prestazione del medico è comunque indispensabile alla casa di cura (ovvero all'ospedale) per adempiere l'obbligazione assunta con il paziente e che, ai fini qualificatori predetti, è sufficiente la sussistenza di un nesso di causalità (rectius, di occasionalità necessaria) tra l'opera del suddetto ausiliario e l'obbligo del debitore (cfr., in tal senso, Cass., sez. III, 11 maggio 1995, n. 5150; si vedano anche Cass., sez. III, 8 gennaio 1999, n. 103 e Cass., S.U., n. 9556/2002, cit.).

In conclusione, in ipotesi di danno conseguente ad intervento chirurgico, la struttura sanitaria risponde a titolo di responsabilità contrattuale, sia per fatto proprio, ex art. 1218 cod. civ., laddove vengano inadempiute obbligazioni connesse al contratto di spedalità e direttamente a carico dell'ente debitore (assistenza post - operatoria; sicurezza delle attrezzature e degli ambienti; custodia dei pazienti, tenuta della cartella clinica; vitto ed alloggio), sia per fatto dei dipendenti ovvero degli ausiliari, ex art. 1228 cod. civ., con riferimento all'inadempimento della prestazione medico - professionale svolta dal sanitario.

È bene precisare, a questo punto, che non incide sui principi giurisprudenziali sin qui esposti, elaborati dalla Suprema Corte, il disposto dell'art. 3 del d. l. 13 settembre 2012, n. 158, come modificato dalla legge di conversione 8 novembre 2012, n. 189; ed invero, come chiarito dalla Suprema Corte, L'art. 3, comma 1, del d.l. 13 settembre 2012, n. 158, come modificato dalla legge di conversione 8 novembre 2012, n. 189, nel prevedere che "l'esercente la professione sanitaria che nello svolgimento della propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve", fermo restando, in tali casi, "l'obbligo di cui all'articolo 2043 del codice civile", non esprime alcuna opzione da parte del legislatore per la configurazione della responsabilità civile del sanitario come responsabilità necessariamente extracontrattuale, ma intende solo escludere, in tale ambito, l'irrilevanza della colpa lieve (così Cass., sez. VI-III, ord. 17 aprile 2014, n. 8940; in senso conforme, Cass., sez. VI-III, ord. 24 dicembre 2014, n. 27391.

Nella giurisprudenza di merito, si veda, nello stesso senso, Trib. Milano, 18 novembre 2014, n. 13574: in tema di responsabilità civile sanitaria il tenore letterale dell'art. 3, comma 1, d.l. 158/2012, conv. in l. 189/2012 (c.d. decreto Balduzzi) anche alla luce dell'esame dell'intenzione del legislatore non consente di ritenere che la responsabilità del medico, per condotte interne ad una struttura sanitaria pubblica o privata, sussista solo in presenza di tutti gli elementi costitutivi dell'illecito aquiliano perché tale distinzione non è ricavabile dal tenore della norma che ha ad oggetto esclusivo, in punto di delimitazione della responsabilità, l'esimente penale della colpa lieve per tutti gli esercenti le professioni sanitarie senza distinzione tra sanità pubblica e privata; si veda anche Trib. Milano, 23 luglio 2014, n. 9693.

 L'art. 3, comma 1, della legge Balduzzi non incide né sul regime di responsabilità civile della struttura sanitaria (pubblica o privata) né su quello del medico che ha concluso con il paziente un contratto d'opera professionale (anche se nell'ambito della cosiddetta attività libero professionale svolta dal medico dipendente pubblico): in tali casi sia la responsabilità della struttura sanitaria (contratto atipico di spedalità o di assistenza sanitaria) sia la responsabilità del medico (contratto d'opera professionale) derivano da inadempimento e sono disciplinate dall'art. 1218 c.c., ed è indifferente che il creditore/ danneggiato agisca per ottenere il risarcimento del danno nei confronti della sola struttura, del solo medico o di entrambi.

Il richiamo nella norma suddetta all'obbligo di cui all'art. 2043 c.c. per l'esercente la professione sanitaria che non risponde penalmente (per essersi attenuto alle linee guida), ma la cui condotta evidenzia una colpa lieve, non ha nessun riflesso sulla responsabilità contrattuale della struttura sanitaria, che ha concluso un contratto atipico con il paziente (o, se si preferisce, è comunque tenuta ex lege ad adempiere determinate prestazioni perché inserita nel Ssn) ed è chiamata a rispondere ex art. 1218 c.c. dell'inadempimento riferibile direttamente alla struttura anche quando derivi dall'operato dei suoi dipendenti e/o degli ausiliari di cui si è avvalsa.

La medesima pronuncia ha ritenuto che la responsabilità del medico per condotte che non costituiscono inadempimento di un contratto d'opera (diverso dal contratto concluso con la struttura) venga ricondotta dal legislatore del 2012 alla responsabilità da fatto illecito ex art. 2043 c.c. e che, dunque, l'obbligazione risarcitoria del medico possa scaturire solo in presenza di tutti gli elementi costitutivi dell'illecito aquiliano (che il danneggiato ha l'onere di provare).

 

2. Il riparto dell'onere della prova.

Per quanto concerne, poi, il riparto dell'onere della prova nelle controversie concernenti la responsabilità professionale del medico, un risalente orientamento giurisprudenziale della Suprema Corte distingueva tra intervento di semplice esecuzione (in cui la dimostrazione, da parte del paziente, dell'aggravamento della propria situazione patologica o l'insorgenza di nuove patologie era ritenuta idonea a fondare una presunzione semplice in ordine all'inadeguata o negligente prestazione, spettando al medico fornire la prova che la prestazione professionale era stata eseguita in modo diligente e che gli esiti peggiorativi erano stati determinati da un evento imprevisto ed imprevedibile) e interventi di difficile esecuzione (in cui spettava al paziente allegare dimostrare quali erano state le inidonee modalità di esecuzione: cfr., in tal senso, Cass., sez. III, 21 dicembre 1978, n. 6141).

Dopo la nota sentenza delle Sezioni Unite Civili della Suprema Corte del 30 ottobre 2001, n. 13533, in tema di riparto dell'onere della prova in ipotesi di inadempimento ovvero inesatto adempimento di un contratto, tuttavia, tre pronunce della Suprema Corte (cfr. Cass., sez. III, 19 maggio 2004, n. 9471; Cass., sez. III, 28 maggio 2004, n. 10297; Cass., sez. III, 21 giugno 2004, n. 11488) hanno chiarito che, in applicazione dei criteri di ripartizione dell'onere della prova dettati dalle Sezioni Unite con la suddetta pronuncia, il paziente che agisce in giudizio deducendo l'inesatto adempimento dell'obbligazione sanitaria deve provare il contratto (fondato sul contatto sociale) ed allegare l'inadempimento del medico, restando a carico del debitore l'onere di provare l'esatto adempimento.

Con la conseguenza per cui la distinzione tra interventi di facile esecuzione e prestazioni implicanti la risoluzione di problemi tecnici di particolare complessità non rileva più quale criterio di distribuzione dell'onere della prova, ma deve essere apprezzata per la valutazione del grado di diligenza e del corrispondente grado di colpa, restando in ogni caso a carico del sanitario allegare e provare che la prestazione era di particolare difficoltà.

In buona sostanza, al paziente è richiesto di provare l'esistenza del contratto e l'aggravamento della situazione patologica ovvero l'insorgenza di nuove malattie, senza dover provare specifici e peculiari aspetti di responsabilità professionale.

Il medico (ovvero l'ente ospedaliero o la struttura sanitaria) deve dimostrare che la prestazione fu eseguita in maniera diligente e che gli esiti peggiorativi furono determinati da un evento imprevisto ed imprevedibile (cfr. sul punto Cass., sez. III, 18 aprile 2005, n. 7997).

Da ultimo, tale impostazione è stata recepita dalle Sezioni Unite della Suprema Corte (cfr. sentenza 11 gennaio 2008, n. 577), che hanno altresì affrontato la questione della dimostrazione del nesso di causalità, rilevando che l'inadempimento rilevante nell'ambito dell'azione di responsabilità per risarcimento del danno nelle obbligazioni così dette di comportamento non è qualunque inadempimento, ma solo quello che costituisce causa (o concausa) efficiente del danno. Ciò comporta che l'allegazione del creditore non può attenere ad un inadempimento, qualunque esso sia, ma ad un inadempimento, per così dire, qualificato, e cioè astrattamente efficiente alla produzione del danno. Competerà al debitore dimostrare o che tale inadempimento non vi è proprio stato ovvero che, pur esistendo, non è stato nella fattispecie causa del danno".

Con specifico riguardo a tale ultimo profilo, del nesso di causalità tra condotta del medico (ovvero della struttura sanitaria) ed evento (danno riportato all'esito dell'operazione ovvero del trattamento sanitario), va premesso, sul piano generale, che la valutazione del nesso causale in sede civile, pur ispirandosi ai criteri di cui agli artt. 40 e 41 c.p. (secondo i quali un evento è da considerare causato da un altro se il primo non si sarebbe verificato in assenza del secondo, nonché al criterio della cosiddetta causalità adeguata, sulla base del quale, all'interno della serie causale, occorre dar rilievo solo a quegli eventi che non appaiano - ad una valutazione "ex ante" - del tutto inverosimili) presenta tuttavia notevoli differenze in relazione al regime probatorio applicabile, stante la diversità dei valori in gioco tra responsabilità penale e responsabilità civile. Nel processo civile vige la regola della preponderanza dell'evidenza o del "più probabile che non", mentre nel processo penale vige infatti la regola della prova "oltre il ragionevole dubbio" (cfr. Cass., sez. III, 11 maggio 2009, n. 10741; si veda anche Corte di Appello di Bari, sez. III, 13 marzo 2012, n. 274).

In sede civile, in particolare, nell'imputazione di un evento dannoso per omissione colposa il giudizio causale assume come termine iniziale la condotta omissiva del comportamento dovuto; il giudice, pertanto, è tenuto ad accertare se l'evento sia ricollegabile all'omissione (causalità omissiva) nel senso che esso non si sarebbe verificato se (causalità ipotetica) l'agente avesse posto in essere la condotta doverosa impostagli, con esclusione di fattori alternativi.

L'accertamento del rapporto di causalità ipotetica passa attraverso l'enunciato "controfattuale", che pone al posto dell'omissione il comportamento alternativo dovuto, onde verificare se la condotta doverosa avrebbe evitato il danno lamentato dal danneggiato (cfr. Cass., sez. III, 18 luglio 2011, n. 15709), il tutto secondo un criterio di "credibilità razionale" o "probabilità logica", in base alle effettive circostanze fattuali (cfr. sul punto Cass. Pen., Sez. IV, 12 novembre 2013, n. 8073).

La giurisprudenza più recente, in particolare, ha valorizzato, rispetto al criterio dell'alto o elevato grado di credibilità razionale o probabilità logica, quello del "più probabile che non", quale regola che presiede il giudizio qualificatorio del nesso eziologico (cfr., da ultimo, Cass., sez. III, 16 ottobre 2007, n. 21619; Cass., sez. Un. 10 gennaio 2008, n. 576; Cass., Sez. Un., 11 gennaio 2008, n. 582; Cass., sez. Un., 11 gennaio 2008, n. 584; Cass., n. 10741/2009, cit.; Cass., sez. III, 8 luglio 2010, n. 16123).

Conseguentemente, con specifico riguardo alla responsabilità del medico, essendo quest'ultimo tenuto ad espletare l'attività professionale secondo canoni di diligenza e perizia scientifica, il giudice, accertata l'omissione di tale attività, può ritenere, in assenza di altri fattori alternativi, che tale omissione sia stata causa dell'evento lesivo e che, per converso, la condotta doverosa, se fosse stata tenuta, avrebbe impedito il verificarsi dell'evento stesso (cfr. Cass., sez. III, 8 luglio 2010, n. 16123).

In tema di riparto dell'onere probatorio in tema di causalità materiale, si evidenzia come la Suprema Corte di Cassazione anche di recente abbia in più occasioni ribadito il principio secondo cui in tema di responsabilità contrattuale della struttura sanitaria, incombe sul paziente che agisce per il risarcimento del danno l'onere di provare il nesso di causalità tra l'evento di danno (aggravamento della patologia preesistente ovvero insorgenza di una nuova patologia) e l'azione o l'omissione dei sanitari, non potendosi predicare, rispetto a tale elemento della fattispecie, il principio della maggiore vicinanza della prova al debitore, in virtù del quale, invece, incombe su quest'ultimo l'onere della prova contraria solo relativamente alla colpa ex art. 1218 cod. civ. (cfr. in tal senso Cass. Ordinanza n.20812 del 2018).

In particolare con la sentenza n.28991 del 2019 si è affermato il condivisibile principio secondo cui in tema di inadempimento di obbligazioni di diligenza professionale sanitaria, il danno evento consta della lesione non dell'interesse strumentale alla cui soddisfazione è preposta l'obbligazione (perseguimento delle "leges artis" nella cura dell'interesse del creditore) ma del diritto alla salute (interesse primario presupposto a quello contrattualmente regolato); sicché, ove sia dedotta la responsabilità contrattuale del sanitario per l'inadempimento della prestazione di diligenza professionale e la lesione del diritto alla salute, è onere del danneggiato provare, anche a mezzo di presunzioni, il nesso di causalità fra l'aggravamento della situazione patologica (o l'insorgenza di nuove patologie) e la condotta del sanitario, mentre è onere della parte debitrice provare, ove il creditore abbia assolto il proprio onere probatorio, la causa imprevedibile ed inevitabile dell'impossibilità dell'esatta esecuzione della prestazione.

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Sopra, l'intervento dell'avv. Salvatore del Giudice durante il convegno "La riforma della responsabilità in ambito sanitario", organizzato dalla Scuola Bruniana di Nola.

Sono intervenuti all'incontro il Dott. Luigi Picardi, Presidente del Tribunale di Nola, la Dott.ssa Stefania Castaldi, Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Nola, il Sen. Francesco Urraro, l'On. Benedetto Fucci, il Dott. Marcello Amura, Giudice del Tribunale di Napoli, il Dott. Sergio Amato, Sostituto Procuratore presso il Tribunale di Napoli, il Dott. Vincenzo Viggiani, Direttore Generale A.O.U. Federico II, il Dott. Agostino Bonauro e gli avvocati Mattia Floccher, Pasquale Mautone, Gaetano Scotto e Giuseppe Boccia.

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