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Rigetto dell'impedimento dell'imputato: Solo se dal referto si evince l'irrilevanza della patologia.

In tema di impedimento a comparire dell'imputato, il giudice, nel disattendere un certificato medico, deve attenersi alla natura dell'infermità e valutarne il carattere impeditivo, sicché può pervenire a un giudizio negativo circa l'assoluta impossibilità a comparire solo disattendendo, con adeguata valutazione del referto, la rilevanza della patologia dell'imputato. (Fattispecie in cui la Corte ha censurato la decisione con la quale, senza alcuna indicazione di dati concreti e massime di esperienza idonei a superare il giudizio espresso dal sanitario, aveva ritenuto non assoluto l'impedimento a comparire dell'imputato sul presupposto che l'intervento chirurgico, cui lo stesso avrebbe dovuto sottoporsi, pur attestato come indifferibile nel certificato medico rilasciato da uno specialista, avrebbe potuto essere riprogrammato a distanza di pochi giorni).

Cassazione penale , sez. V , 17/05/2022 , n. 21829


RITENUTO IN FATTO

1. La sentenza impugnata è stata pronunziata il 21 ottobre 2020 dalla Corte di appello di Brescia, che ha riformato, riconoscendo le attenuanti generiche e riducendo la pena, la sentenza del Tribunale di Bergamo, che aveva condannato C.R. in ordine al reato di cui all'art. 595 c.p. e L. 25 giugno 1993, n. 205, art. 3, per aver offeso, con frasi pronunciate nel corso di un comizio, l'onore e il decoro del Ministro per l'integrazione K.K.C..


2. Contro la sentenza della Corte di appello, l'imputato ha proposto ricorso per cassazione a mezzo dei propri difensori di fiducia.


2.1 Con un primo motivo di ricorso, deduce l'inosservanza di norme processuali, in relazione agli artt. 178,420-ter e 480 c.p.p..


Rappresenta che, all'udienza del 14 gennaio 2019, nel corso del giudizio di primo grado, il Tribunale aveva rigettato l'istanza di rinvio per legittimo impedimento, che l'imputato aveva presentato l'8 gennaio 2019, per gravi motivi di salute: la sottoposizione a un delicato intervento chirurgico. L'istanza era supportata da ampia documentazione medica, comprensiva di un messaggio di posta elettronica, con il quale il Dott. P.P. rappresentava al C. l'indifferibilità dell'intervento, già programmato da tempo. La grave patologia che, dal 2012, affligge il C., d'altronde, era già nota al Tribunale, atteso che, nel corso del giudizio di primo grado, aveva già dato causa ad alcuni rinvii per impedimento dell'imputato ritenuto sempre legittimo.


Palese, pertanto, secondo il ricorrente, sarebbe stata l'illegittimità dell'ordinanza di rigetto della richiesta di rinvio, censurata in appello con specifico motivo di impugnazione. La Corte di territoriale, tuttavia, aveva ritenuto infondato il motivo, sostenendo che l'intervento chirurgico sarebbe stato, comunque, differibile di un giorno o due e che, nella corrispondenza tra il C. e il Dott. P., la patologia del paziente fosse stata solo genericamente indicata.


Si tratterebbe, a parere del ricorrente, di una motivazione palesemente viziata, atteso che si trattava di un delicato intervento all'intestino non differibile e che il C. e il Dott. P., nella loro corrispondenza, non avevano alcuna necessità di specificare la patologia, atteso che entrambi sapevano bene di cosa stessero discutendo.


2.2 Con un secondo motivo, deduce l'inosservanza di norme processuali, in relazione all'art. 546 c.p.p..


Rappresenta che la sentenza di primo grado era stata redatta dal presidente del collegio, che l'aveva depositata in data 8 marzo 2019, quando non era più un magistrato del Tribunale di Bergamo, essendo cessata la sua applicazione dal Tribunale di Milano.


Tanto sarebbe avvenuto in violazione dell'art. 546 c.p.p., commi 2 e 3, dal quale sarebbe desumibile che la sentenza non potrebbe essere redatta da un magistrato che, successivamente alla deliberazione, venga trasferito a un diverso ufficio giudiziario.


Il trasferimento del magistrato ad altra sede giudiziaria dopo la deliberazione integrerebbe un impedimento del giudice, che, ai sensi dell'art. 546 c.p.p., comma 2, andrebbe risolto consentendo al componente più anziano del collegio giudicante di sottoscrivere il provvedimento, dando atto dell'impedimento del giudice trasferito.


2.3 Con un terzo motivo, deduce il vizio di motivazione, in relazione all'art. 546 c.p.p..


Rappresenta che la questione della redazione della sentenza da parte di un magistrato oramai trasferito ad altra sede era stata posta dalla difesa come specifico motivo di impugnazione, ma la Corte di appello, con motivazione apparente, si sarebbe limitata a riprodurre uno stralcio di una Delib. Consiglio Superiore della Magistratura, che, peraltro, riguardava il processo civile.


2.4 Con un quarto motivo, deduce il vizio di motivazione della sentenza, per omessa valutazione di uno specifico motivo di impugnazione.


Rappresenta che, mentre l'imputazione aveva ad oggetto la presunta diffamazione del ministro K.K.C., per averle attribuito, con finalità di discriminazione razziale, "delle sembianze di orango", dalla perizia dibattimentale espletata sulla riproduzione audio del discorso del C., era emerso che l'imputato aveva usato il plurale: "sembianze di oranghi".


Ebbene, nonostante la difesa avesse formulato specifico motivo di appello, finalizzato a dimostrare che l'utilizzo del plurale era significativo dell'intenzione dell'imputato di riferire "la metafora animalesca" non alla sola K., ma all'intero governo italiano, la Corte di appello non si era pronunciata sul punto, "superandolo sbrigativamente prescindendo dal prenderlo in considerazione".


2.5 Con un quinto motivo, deduce l'inosservanza della legge penale, con riferimento all'art. 595 c.p..


Sostiene che il C. andava assolto dai giudici di merito perché il fatto non sussiste o non costituisce reato, in quanto la "metafora animalesca utilizzata nel corso del comizio" non costituisce violazione dell'art. 595 c.p. Invero, "tali tipi di metafora, oramai da tempo entrati nel costume sociale, non sarebbero più percepiti come diffamatori, in quanto anche in ambito politico risultano piuttosto diffusi".


2.6 Con un sesto motivo, deduce l'inosservanza della legge penale, con riferimento all'elemento soggettivo del reato.


Sostiene che la Corte di appello non avrebbe esaminato "il profilo dell'elemento soggettivo putativo", non valutando la possibilità che l'imputato "abbia ritenuto di essere legittimato a utilizzare nei confronti di avversari politici l'arma dell'ironia, del sarcasmo, dell'iperbole e della satira, regolarmente utilizzata contro la sua persona".


2.7 Con un settimo motivo, deduce l'inosservanza della legge penale, con riferimento alla L. 25 giugno 1993, n. 205, art. 3.


Sostiene che, nel caso in esame, non sarebbe rinvenibile alcuna finalità di discriminazione razziale e, conseguentemente, andrebbe esclusa l'aggravante contestata. Il reato, pertanto, non sarebbe più perseguibile d'ufficio e, non avendo la persona offesa presentato querela, in relazione ad esso andrebbe dichiarato il non doversi procedere per difetto della condizione di procedibilità.


2.8 Con un ottavo motivo, deduce il vizio di motivazione, con riferimento al giudizio di equivalenza tra le circostanze attenuanti generiche e l'aggravante di cui all'art. 595 c.p., comma 3.


Rappresenta che la Corte di appello ha escluso la prevalenza delle attenuanti sull'aggravante in base a due argomenti: l'elevato disvalore della condotta; la non modesta diffusione mediatica del fatto, certamente prevista dall'imputato.


La diffusione mediatica del fatto, tuttavia, sostiene il ricorrente, non può essere attribuita al C. e l'affermazione che essa sarebbe stata da lui prevista con certezza non è sorretta da adeguata base probatoria.


2.9 Con un nono motivo, deduce l'inosservanza della legge penale e il vizio di motivazione, con riferimento alla mancata applicazione della sola pena pecuniaria.


Rappresenta che il reato contestato, anche nella forma aggravata, consentiva l'applicazione della sola pena pecuniaria, ma i giudici di merito avevano, invece, applicato la pena detentiva, basando la propria decisione su argomentazioni prive di fondamento e non considerando che la Corte EDU e la Corte costituzionale "spingono" nel senso che alla diffamazione a mezzo stampa - fatto più grave di quello contestato al C. - debba essere tendenzialmente applicata la pena pecuniaria.


3. Il Procuratore generale, nelle sue conclusioni scritte, ha chiesto di dichiarare inammissibile il ricorso.


4. L'avv. Piermaria Corso, nell'interesse dell'imputato, ha depositato conclusioni scritte, con le quali ha insistito per l'accoglimento del ricorso.


5. L'avv. Davide Calvi, nell'interesse dell'imputato, ha depositato conclusioni scritte, con le quali ha chiesto l'accoglimento del ricorso ovvero la declaratoria della prescrizione del reato.


CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo motivo di ricorso, relativo al rigetto dell'istanza di rinvio dell'udienza del 14 gennaio 2019 per legittimo impedimento dell'imputato, è fondato.


Dagli atti (che possono essere analizzati, atteso che è stata posta questione di inosservanza di norme processuali) emerge che il Tribunale di Bergamo aveva rigettato l'istanza, ritenendo l'impedimento non assoluto, in quanto relativo non a un ricovero d'urgenza, ma volontario. L'intervento al quale doveva essere sottoposto il C. (mucosectomia endoscopica), a parere del giudice di primo grado, poteva essere rinviato di un giorno o due, anche perché dagli atti non risultava che il differimento potesse mettere in grave e non evitabile pericolo la salute del C..


Nella stessa documentazione allegata all'istanza, aveva evidenziato il Tribunale, si faceva riferimento a un intervento "in elezione, così significando che l'esecuzione dell'atto chirurgico" obbediva "solo a un criterio di opportunità".


La Corte di appello ha ritenuto infondato lo specifico motivo di impugnazione, sostenendo che il ricovero non era finalizzato a una cura indifferibile e che l'intervento poteva essere rinviato di un giorno o due, così da consentire al C. di partecipare all'udienza. Ha evidenziato, inoltre, che, nella corrispondenza tra il C. e il Dott. P., la patologia del paziente fosse stata solo genericamente indicata.


Al riguardo occorre ricordare che, in tema di impedimento a comparire dell'imputato, il giudice, nel disattendere un certificato medico, "deve attenersi alla natura dell'infermità e valutarne il carattere impeditivo, potendo pervenire ad un giudizio negativo circa l'assoluta impossibilità a comparire solo disattendendo, con adeguata valutazione del referto, la rilevanza della patologia da cui si afferma colpito l'imputato" (Sez. U, n. 36635 del 27/09/2005, Gagliardi, Rv. 231810; Sez. 2, n. 12948 del 05/03/2004, Valentini, Rv. 228637).


Ebbene, nel caso in esame, i giudici di merito hanno ritenuto non assoluta l'impossibilità a comparire, sostenendo che l'intervento sarebbe stato rinviabile e che il suo differimento non avrebbe comportato un grave e non evitabile pericolo alla salute del C..


Tali affermazioni, tuttavia, appaiono delle mere asserzioni prive di un adeguato supporto argomentativo e smentite dalla documentazione addotta dall'imputato, dalla quale risulta che il Dott. P., a precisa richiesta del C. di rinviare l'intervento, ne specificava la non differibilità.


I giudici di merito, senza alcun approfondimento di carattere tecnico, hanno contraddetto la valutazione di un medico (che dalla documentazione risulta essere direttore del Dipartimento di chirurgia oncologica dell'Istituto oncologico veneto) che affermava l'indifferibilità di un delicato intervento, relativo a una grave patologia. La malattia che affliggeva l'imputato era nota all'autorità procedente, la tipologia di intervento era specificamente indicata nella documentazione allegata a supporto dell'istanza e l'indifferibilità dell'intervento era "attestata" da un medico con specifiche competenze. I giudici di merito hanno ritenuto non assoluto l'impedimento, non spiegando, però, in base a quali valutazioni tecniche o massime di esperienza era possibile superare il giudizio espresso dal Dott. P. di indifferibilità dell'intervento. Non hanno spiegato, poi, in base a quali elementi era possibile sostenere che il delicato intervento chirurgico potesse essere riprogrammato a distanza di uno o due giorni: affermazione che avrebbe dovuto essere supportata da dati concreti e massime di esperienza che consentivano di ritenere che tale differimento fosse compatibile con i tempi necessari per gli esami preparatori, con gli impegni dell'equipe medica e con le "liste di attesa" delle strutture sanitarie.


L'ordinanza di rigetto dell'istanza di rinvio per legittimo impedimento e gli atti ad essa conseguenti, per i motivi esposti, sono nulli.


L'accoglimento del primo motivo di ricorso determina l'assorbimento dei restanti motivi.


La sentenza impugnata e quella di primo grado, conseguentemente, devono essere annullate.


2. Non è fondata la richiesta dell'avv. Davide Calvi di declaratoria di estinzione del reato per prescrizione.


Il termine massimo di prescrizione del reato, pari ad anni sette e mesi sei, non risulta ancora decorso. Il termine, infatti, è stato più volte sospeso per ampi periodi (complessivamente 1.071 giorni): dal 6 maggio al 26 giugno 2014, per legittimo impedimento del difensore; dal 30 settembre 2014 al 13 gennaio 2015, ai sensi della L. 20 giugno 2003, n. 140, art. 3, commi 4 e 5, a seguito della trasmissione degli atti al Senato della Repubblica; dal 24 novembre 2015 al 27 marzo 2018, ai sensi della L. n. 87 del 1953, artt. 37 e 23 a seguito della trasmissione degli atti alla Corte costituzionale per il giudizio sul conflitto di attribuzioni; dal 17 settembre al 3 novembre 2018, per legittimo impedimento dell'imputato.


La difesa sostiene che il periodo di sospensione per lo svolgimento del giudizio relativo al conflitto di attribuzioni non andrebbe calcolato, atteso che il conflitto non era stato sollevato dall'imputato e che i tempi lunghi della decisione non potevano essere ascritti ad un comportamento processuale dilatorio del C..


La tesi della difesa non è fondata.


La L. 11 marzo 1953, n. 87, art. 23, sui giudizi di legittimità costituzionale, espressamente prevede che l'autorità giurisdizionale, nel disporre la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, sospenda il giudizio in corso.


Si tratta, dunque, di una sospensione del procedimento "imposta da una particolare disposizione di legge", che, ai sensi dell'art. 159 c.p., comma 1, determina la sospensione del corso della prescrizione.


In giurisprudenza, è pacifico che, nel caso di sospensione del procedimento a seguito di trasmissione degli atti alla Corte costituzionale per la risoluzione di una questione di legittimità costituzionale, il corso della prescrizione rimanga sospeso (Sez. 5, n. 7553 del 14/11/2012, Romano, Rv. 255017; Sez. 5, n. 48203 del 10/07/2017, Meluzio, Rv. 271273; Sez. 4, n. 3086 del 14/11/1979, Colombo, Rv. 144559). La giurisprudenza più recente - superando un risalente orientamento formatosi sotto la vigenza del precedente codice di rito, che riteneva che la prescrizione rimanesse sospesa fino al momento della decisione della Corte costituzionale (Sez. 3, n. 1411 del 21/05/1976, Cathieni, Rv. 135132) - ha precisato che la data finale del periodo di sospensione del termine prescrizionale coincide con quella in cui gli atti sono restituiti al giudice remittente (Sez. 5, n. 7553 del 14/11/2012, Romano, Rv. 255017).


La L. 11 marzo 1953, n. 87, art. 23 riguarda specificamente i giudizi di legittimità costituzionale, ma, per effetto dell'art. 37 della medesima legge, si applica anche ai giudizi sui conflitti di attribuzione tra poteri dello Stato. La L. 11 marzo 1953, n. 87, art. 37 infatti, prevede che nei giudizi sui conflitti di attribuzione si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni degli artt. 23, 25 e 26 della stessa legge.


Per effetto di tale rinvio e, in assenza di qualsiasi motivo di incompatibilità, appare indiscutibile che la sospensione della prescrizione debba operare anche nel caso di giudizio sui conflitti di attribuzioni.


Va evidenziato che le norme in questione prevedono la sospensione della prescrizione per il fatto oggettivo della trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e in maniera del tutto indipendente da qualsiasi condotta delle parti. Il legislatore, nel disciplinare la materia, di certo, non si è preoccupato di evitare eventuali condotte dilatorie delle parti - che, tenuto conto del "filtro" dell'autorità giudiziaria procedente, appaiono difficilmente configurabili - ma di consentire lo svolgimento del giudizio nei tempi adeguati a trattare questioni di evidente rilievo, senza che ciò possa pregiudicare l'esito del procedimento che ne aveva dato origine.


Le considerazioni esposte rendono evidente l'infondatezza della tesi difensiva. Il reato in esame è stato consumato il 13 luglio 2013 e', considerata la sospensione del termine per 1.071 giorni, non risulta ancora prescritto.


La sentenza impugnata e quella di primo grado, quindi, devono essere annullate senza rinvio, con conseguente trasmissione degli atti al Tribunale di Bergamo per l'ulteriore corso.


P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata e quella di primo grado, disponendo la trasmissione degli atti al Tribunale di Bergamo per l'ulteriore corso.


Così deciso in Roma, il 17 maggio 2022.


Depositato in Cancelleria il 6 giugno 2022



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