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Pubblicare frasi offensive sulla bacheca facebook della persona offesa è diffamazione, non ingiuria


Il caso di studio riguarda una sentenza della corte di cassazione pronunciata in un procedimento penale per il reato di diffamazione aggravata dall'utilizzo dei social media (art. 595 comma 3 c.p.).

In particolare, all'imputato veniva contestato di avere pubblicato sulla bacheca della pagina facebook della persona offesa un contenuto diffamatorio.

All'esito del processo di primo grado, l'imputato veniva condannato e la sentenza di condanna veniva confermata nel successivo grado di appello.

Avverso la sentenza di condanna pronunciata dal giudice di appello, l'imputato proponeva ricorso per cassazione.

Analizziamo nel dettaglio la decisione della suprema corte.

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Autorità Giudiziaria: Quinta Sezione della Corte di Cassazione

Reato contestato: Diffamazione a mezzo social media

Esito: Ricorso rigettato (condanna definitiva) - sentenza n. 3453/23 (ud. 12/01/2023, dep. 26/01/2023)

Indice:


1. La sentenza di condanna

Oggetto dell'impugnazione è la sentenza con la quale la Corte d'appello di Milano ha confermato la condanna pronunciata in primo grado nei confronti di D.M.D. per il reato di diffamazione aggravata commessa ai danni di M.M..


2. I motivi di ricorso

Il ricorso si compone di tre motivi di censura, tutti formulati sotto i profili della violazione di legge e del vizio di motivazione. In particolare:

  • con il primo, si deduce la mancanza della necessaria condizione di procedibilità, dovendosi qualificare il verbale di ricezione di querela orale una mera denuncia, in quanto priva dell'esplicita manifestazione di volontà di procedere in ordine al fatto denunciato.

  • Con il secondo, invece, si lamenta l'erronea qualificazione dei fatti oggetto della contestazione. Le frasi offensive, invero, sarebbero state pubblicate sulla pagina Facebook della stessa persona offesa e, quindi, rivolte direttamente a quest'ultima. La circostanza per cui queste fossero percepibili da una pluralità di persone, integrando la sola aggravante di cui all'ultimo comma dell'art. 594 c.p., non trasformerebbe l'ingiuria in diffamazione.

  • Il terzo, in ultimo, attiene all'invocata esimente della provocazione, esclusa, secondo la difesa, alla luce di un parziale travisamento del fascicolo del difensore e di un'errata valutazione della relativa produzione documentale.


3. La decisione della Corte

3.1 L'espressione "verbale di ricezione di querela orale" è sufficiente

Il primo motivo è manifestamente infondato Ai fini della validità della querela presentata oralmente alla polizia giudiziaria, la manifestazione di volontà della persona offesa di perseguire l'autore del reato è univocamente desumibile dall'espressa qualificazione dell'atto, formato su richiesta della persona offesa, come "verbale di ricezione di querela orale" (Sez. 2, n. 9968 del 02/02/2022, Rv. 282816), attesa la sottoscrizione della persona offesa "previa lettura e conferma" (Sez. 5, n. 42994 del 14/09/2016, Rv. 268201). Circostanza, in concreto, riscontrabile documentalmente.


3.2 Pubblicare un post diffamatorio sulla bacheca facebook è diffamazione, non ingiuria

Il secondo motivo e', invece, infondato. Com'e' noto, l'elemento distintivo tra ingiuria e diffamazione è costituito dal fatto che nell'ingiuria la comunicazione, con qualsiasi mezzo realizzata, è diretta all'offeso, mentre nella diffamazione l'offeso resta estraneo alla comunicazione offensiva intercorsa con più persone e non è posto in condizione di interloquire con l'offensore (Sez. 5, n. 10313 del 17/01/2019, Rv. 276502).

Tant'e' che la missiva a contenuto diffamatorio diretta a una pluralità di destinatari, oltre l'offeso, non integra il reato di ingiuria aggravata dalla presenza di più persone, bensì quello di diffamazione, stante la non contestualità del recepimento delle offese medesime e la conseguente maggiore diffusione della stessa (Sez. 5, n. 18919 del 15/03/2016, Rv. 266827). La ricorrente deduce che le frasi offensive sarebbero state pubblicate sulla pagina Facebook della stessa persona offesa e, quindi, sarebbero state rivolte direttamente a quest'ultima. In ciò la necessaria qualificazione dei fatti in termini di ingiuria aggravata. La ricostruzione prospettata collide con la consolidata interpretazione offerta da questa Corte di legittimità, secondo cui l'offesa diretta a una persona "distante" costituisce ingiuria solo quando la comunicazione offensiva avviene, esclusivamente, tra autore e destinatario (Sez. 5, n. 13252 del 04/03/2021, Viviano, Rv. 280814). Cosicché, laddove vengano in rilievo comunicazioni (scritte o vocali), indirizzate all'offeso e ad altre persone non contestualmente "presenti" (in accezione estesa alla presenza "virtuale" o "da remoto"), ricorreranno i presupposti della diffamazione (Sez. 5, n. 29221 del 06/04/2011, De Felice, Rv. 250459; Sez. 5, n. 44980 del 16/10/2012, Nastro, Rv. 254044; Sez. 5 n. 12603 del 02/02/2017, Segagni, non massimata sul punto; Sez. 5, n. 34484 del 06/07/2018, Badalotti, non massimata; Sez. 5., n. 311 del 20/09/2017, dep. 2018, Orlandi, non massimata; Sez. 5, n. 14852 del 06/03/2017, Burcheri, non massimata) Ebbene, alla luce di quanto osservato, proprio la natura, pacificamente, pubblica della bacheca ove le frasi sono state pubblicate permette di qualificare il fatto in termini di diffamazione aggravata ai sensi dell'art. 595, comma 3, c.p., poiché questa modalità di comunicazione ha potenzialmente la capacità di raggiungere un numero indeterminato di persone (non contestualmente presenti), perché attraverso questa ‘piattaforma virtuale' gruppi di soggetti valorizzano il profilo del rapporto interpersonale allargato ad un numero indeterminato di aderenti al fine di una costante socializzazione (Sez. 5, n. 8328 del 13/07/2015 - dep. 01/03/2016, Martinez, non massimata sul punto; Sez. 5, n. 4873 del 14/11/2016, dep. 2017, Rv. 269090).


3.3 La reazione non fu immediata (dopo un mese): non sussiste la provocazione

Il terzo motivo e', invece, in parte inammissibile ed in parte manifestamente infondato. E' inammissibile nella parte in cui, nel dedurre che la corte territoriale avrebbe omesso di motivare in ordine alla riferibilità all'imputata dei post offensivi asseritamente pubblicati dalla persona offesa, rinvia genericamente al contenuto del fascicolo del difensore, senza offrire il concreto riferimento documentale. E' manifestamente infondata in quanto è pur vero che ai fini dell'integrazione dell'esimente della provocazione, l'immediatezza della reazione deve essere intesa in senso relativo, avuto riguardo alla situazione concreta e alle stesse modalità di reazione. Ciononostante, è comunque necessario che tra l'insorgere della reazione e tale fatto sussista una reale contiguità temporale, così da escludere che il fatto ingiusto altrui diventi pretesto di aggressione alla sfera morale dell'offeso, da consumare nei tempi e con le modalità ritenute più favorevoli (Sez. 5, n. 30502 del 16/05/2013, Rv. 257700). Ed in concreto è incontestato che, quanto meno con riferimento ad un post, la distanza temporale è di oltre un mese.


4. Dispositivo

In conclusione, il ricorso devono essere rigettato e la ricorrente condannata al pagamento delle spese processuali, oltre che alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Condanna, inoltre, l'imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile ammessa al patrocinio a spese dello Stato, nella misura che sarà liquidata dalla Corte d'appello di Milano con separato decreto di pagamento, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002 gli artt. 82 e 83, disponendo il pagamento in favore dello Stato. Così deciso in Roma, il 12 gennaio 2023. Depositato in Cancelleria il 26 gennaio 2023

 


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