RITENUTO IN FATTO
1. Viene impugnata la sentenza della Corte d'Appello di Palermo con cui è stata confermata la decisione di primo grado che ha condannato Me.Pi. alla pena di tre anni di reclusione in relazione ai reati di bancarotta fraudolenta per distrazione (di beni strumentali come apparecchiature informatiche e mobili d'ufficio, nonché di altri arredi e attrezzature commerciali) e bancarotta fraudolenta documentale per sottrazione delle scritture contabili, avuto riguardo al fallimento della società F.M.R. Team Srl, di cui l'imputato era stato legale rappresentante e liquidatore, dichiarato il 25.6.2013. Le pene accessorie fallimentari sono state determinate nella stessa misura della pena principale.
2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso Me.Pi., tramite il difensore di fiducia, deducendo tre distinti motivi.
2.1. Il primo argomento eccepito denuncia vizio di motivazione quanto all'affermazione di responsabilità del ricorrente per il reato di bancarotta fraudolenta distrattiva.
Il ricorrente evidenzia, in chiave difensiva, il valore pressoché nullo dei beni sottratti, con conseguente inoffensività della condotta di reato, inidonea ad arrecare pregiudizio ai creditori, e la mancata determinazione di tale valore attraverso una perizia, inutilmente richiesta in sede di rinnovazione dell'istruttoria in appello.
La Corte d'Appello avrebbe ignorato completamente il tema di prova del valore del tutto nullo dei beni distratti e dell'inoffensività della condotta a recare danno alle pretese creditorie, nonostante il reato configuri una fattispecie di pericolo concreto. Si deduce, in proposito, il vizio di travisamento della prova in relazione al valore di un'imbarcazione (un gommone), tradotto in Euro dal primo giudice (80.400 euro), mentre invece la somma risultante dalla documentazione contabile era espressa in Lire (80.000.000 di lire) e pari a meno della metà di quella considerata nelle sentenze di merito.
Si tratta di un errore che avrebbe determinato, secondo la difesa, anche l'erronea valutazione della stessa affidabilità della relazione di consulenza tecnica della difesa a firma del dott. Pa., allegata al ricorso (si richiama anche il verbale di udienza, trascritto, del 12.3.2019, egualmente allegato al ricorso) con cui si era dimostrato che il valore dei beni distratti era pari a zero, tenuto conto anche dell'obsolescenza delle attrezzature informatiche pure contestate come oggetto di distrazione (risalenti al 2004 e, infatti, in parte, quelli rinvenuti, rimasti invenduti al fallimento).
2.2. Il secondo motivo di censura eccepisce violazione di legge e vizio di motivazione manifestamente illogica in ordine alla ritenuta sussistenza dell'elemento soggettivo del reato di bancarotta fraudolenta documentale.
La Corte d'Appello ha errato nel ritenere indicatore di dolo la mancata consegna proprio e soltanto delle scritture contabili più recenti, dimenticando che la società era sostanzialmente inattiva dal 2007 e che era stata depositata non soltanto una serie di bilanci fino al 2007 ma anche una situazione contabile aggiornata al 2012, nella quale vengono analiticamente ricostruite le attività e passività della società. Tale circostanza prova, a giudizio della difesa, l'assenza di qualsivoglia volontà di occultare ai creditori lo stato patrimoniale ed economico della società. Inoltre, la sentenza impugnata non ha tenuto conto del fatto che l'ipotesi di bancarotta fraudolenta documentale per sottrazione contestata è considerata a dolo specifico dalla giurisprudenza di legittimità dominante.
2.3. Un terzo motivo di censura eccepisce vizio di motivazione generica ed insufficiente in relazione alla mancata concessione della circostanza attenuante di cui all'art. 219 L.Fall., nonostante un valore dei beni distratti praticamente nullo e la considerazione che comunque anche il Tribunale ha determinato un valore minimo per la condotta distrattiva, pari a 30.000 euro. La valutazione, peraltro, va riferita non già all'entità del passivo o alla differenza tra attivo e passivo ma alla diminuzione patrimoniale cagionata direttamente ai creditori.
La sentenza impugnata si è espressa mediante clausole di stile sulla non irrilevante entità del danno ed è erronea quanto alla indicazione di mancata consegna della documentazione contabile invece compendiata nella nota del 2012 ricostruttiva della situazione patrimoniale della società, peraltro inattiva già dal 2007.
3. Il Sostituto Procuratore Generale ha chiesto con requisitoria scritta l'inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato, quanto ai primi due motivi proposti, per le ragioni che si indicheranno di seguito. Il terzo motivo formulato dalla difesa, di conseguenza, deve ritenersi assorbito dalla valutazione di fondatezza del primo argomento di censura.
2. La prima eccezione difensiva pone il tema dell'offensività reale della condotta contestata nell'egida della bancarotta patrimoniale prefallimentare, tema che merita di essere valutato secondo una dimensione ermeneutica costituzionalmente orientata, di rinnovata attenzione alla natura della fattispecie di bancarotta distrattiva prefallimentare quale reato di pericolo concreto.
La difesa, in proposito, ha messo in risalto il valore quasi nullo dei beni sottratti - in relazione ai quali la Corte d'Appello non ha dato corso alla richiesta di perizia di stima, da cui deriverebbe la conseguente inoffensività della condotta di reato, che, proprio per l'irrilevanza del valore economico dei beni mai rinvenuti e ritenuti distratti, sarebbe inidonea ad arrecare pregiudizio ai creditori.
La questione che si pone, quindi, è quella di verificare se l'offensività del reato di bancarotta patrimoniale pre-fallimentare sia stata adeguatamente valutata dalla decisione impugnata, secondo i canoni interpretativi declinati dal diritto vivente, ricostruito dalla giurisprudenza di legittimità alla luce dei principi costituzionali.
2.1. Non vi è dubbio che la Corte di cassazione disegni attualmente il paradigma tipologico del delitto previsto dall'art. 216, comma primo, n. 1, prima parte, L. Fall., secondo lo schema del reato di pericolo concreto, con particolare riguardo - per quel che interessa alla presente analisi - alla condotta dell'imprenditore che abbia distratto, occultato, dissimulato, distrutto o dissipato, in tutto o in parte i suoi beni (per tutte, cfr. Sez. 5, n. 17819 del 24/3/2017, Palitta, Rv. 269562 e Sez. 5, n. 38396 del 23/6/2017, Sgaramella, Rv. 270763; in tema di bancarotta fraudolenta dissipativa cfr. Sez. 5, n. 533 del 14/10/2016, dep. 2017, Zaccaria, Rv. 269019), ma il pericolo deve valutarsi ex ante, ancorché al momento della declaratoria dello stato di insolvenza ed in riferimento agli atti depauperativi compiuti nella ed. zona di rischio penale (cfr. Sez. 5, n. 16579 del 24/03/2010, Fiume, Rv. 246879, in motivazione, e Sez. 5, n. 18517 del 22/2/2018, Lapis, Rv. 273073) ed alla qualità oggettiva della distrazione, ancorché realizzata in un tempo lontano dal fallimento, se particolarmente condizionante in negativo per le sorti future della società.
La zona di rischio penale è quella che in dottrina viene comunemente individuata come "prossimità dello stato di insolvenza", quando l'apprezzamento di uno stato di crisi, normalmente conosciuto dall'agente imprenditore o figura equiparata, è destinato a orientare la "lettura" di ogni sua iniziativa di distacco dei beni - fatte salve quelle inquadrabili nelle altre ipotesi di reato pure previste dalla legge fallimentare del 1942 -nel senso della idoneità a creare un pericolo per l'interesse dei creditori sociali (così la sentenza Palitta, cit.).
Senza dubbio un'esegesi costituzionalmente orientata del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale pre-fallimentare come reato di pericolo concreto (in tema, oltre alla citata sentenza Palitta, cfr. anche Sez. 5, n. 47616 del 17/07/2014, Simone, Rv. 261683), impone di valutare la rilevanza penale delle condotte e la loro offensività in base all'idoneità ex ante degli atti depauperativi a mettere realmente a rischio la garanzia dei creditori della massa fallimentare, in un parametro spazio-temporale ragionevole (la zona penale di rischio) entro il quale l'apprezzamento di uno stato di crisi dell'impresa, conosciuto dall'agente, è destinato ad orientare l'interpretazione di ogni iniziativa di distrazione dei beni da parte di quest'ultimo.
Tuttavia, si è altrettanto condivisibilmente chiarito che non deve confondersi l'esposizione a pericolo, sufficiente per l'integrazione del reato, con il danno alla massa dei creditori, requisito non richiesto dalla norma come essenziale e che costituisce un post-factum, anche perché l'assenza di danno non è essa stessa prova di mancata esposizione a pericolo, poiché tale assenza, invece, può derivare dalla complessiva attività di recupero posta in essere, dopo il fallimento, dal curatore, con individuazione di assi patrimoniali capaci di neutralizzare le esposizioni passive (cfr., in tal senso, Sez. 5, n. 17819 del 24/3/201, Palitta, Rv. 269562, in motivazione; Sez. 5, n. 13382 del 3/11/2020, Verdini, Rv. 281031, che, entro tali coordinate di ragionamento, ha affermato, ai fini della configurabilità del delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione, l'irrilevanza, sotto il profilo dell'elemento oggettivo e soggettivo del reato, dell'assenza di un danno per i creditori).
Il pericolo previsto dalla bancarotta pre-fallimentare - che è anche l'evento giuridico del reato, come ribadito da Sez. U, n. 21039 del 27/1/2011, Loy, in motivazione - va abbinato, dunque, alla idoneità dell'atto di depauperamento a creare un vulnus alla integrità della garanzia della "categoria" dei creditori, in caso di apertura di procedura concorsuale, con un'analisi che deve riguardare in primo luogo l'elemento oggettivo, per investire poi in modo omogeneo l'elemento soggettivo, e che deve poggiare su criteri "ex ante", in relazione alle caratteristiche complessive dell'atto stesso e della situazione finanziaria della società, laddove ("anteriorità", di regola, è tale relativamente al momento della azione tipica, senza però che sia esclusa dalla valutazione la permanenza o meno della stessa situazione, fino all'epoca che precede l'atto di apertura della procedura. E senza dimenticare che il reato di bancarotta fraudolenta distrattiva, per sua struttura, può agganciarsi anche a fatti ex ante non illeciti, che il fallimento successivo colora di rilevanza penale.
La sentenza Sez. 5, n. 17819 del 24/3/2017, Palitta, Rv. 269562 segna idealmente il passaggio della giurisprudenza di legittimità ad una linea interpretativa più consapevole e approfondita per la definizione del delitto di bancarotta distrattiva prefallimentare quale forma di reato a pericolo concreto, puntando sulla valorizzazione del peso dell'atto di depauperamento, che, incidendo negativamente sulla consistenza del patrimonio sociale, deve essere idoneo a creare un pericolo per il soddisfacimento delle ragioni creditorie, che deve permanere fino al tempo precedente all'apertura della procedura fallimentare (conforme, esplicitamente, Sez. 5, n. 50081 del 14/9/2017, Zazzini, Rv. 271437; vedi anche Sez. 5, n. 13382 del 3/11/2020, Verdini, Rv. 281031-04, in motivazione). La sentenza Palitta, in particolare, avverte l'interprete della necessità di ancorare la distrazione penalmente rilevante (o il depauperamento comunque causato della massa attiva) non semplicemente al "concetto di distrazione" in sé considerato ed in qualunque tempo realizzato, bensì alla qualità, natura ed oggetto del distacco, che deve sempre rappresentare "una sottrazione, un permanente segno "meno" nel patrimonio inteso come garanzia per la massa dei creditori, quali risulteranno titolati per la procedura concorsuale".
Detto altrimenti, la richiamata decisione, cui il Collegio intende ispirarsi, invita ad abbandonare posizioni ermeneutiche che schiacciano in termini assertivi la prospettiva della ricerca della prova del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale pre-fallimentare sul punto genetico del distacco, senza esplorare ed approfondire i caratteri qualitativi di tale distacco patrimoniale, vale a dire:
a) il tempo in cui esso avviene, poiché lontano dalla fase di crisi o di insolvenza, e soprattutto quando l'impresa o la società sono in bonis, l'imprenditore può dare dinamicamente a singoli propri beni le destinazioni che ritiene utili alla conservazione del valore del patrimonio sociale nel suo complesso, senza che possa essere esasperato il concetto, pur presente nella giurisprudenza di questa Corte regolatrice, secondo cui l'atto distrattivo rileva in qualsiasi tempo sia stato commesso precedentemente al fallimento (Sez. 5, n. 316 del 27/11/1985, dep. 1986, Benedetti, Rv. 171578): la dimensione ermeneutica della zona di rischio penale segna la crisi di tale prospettiva e sigla il passaggio definitivo alla visione costituzionalmente orientata del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale pre-fallimentare;
b) la sua "qualità" oggettiva, e cioè il suo valore economico reale e la sua concreta idoneità a porre in pericolo la garanzia che la massa dei creditori, al momento del fallimento, sarà in grado di escutere.
Soprattutto rileva, nel caso in esame, la qualità del distacco patrimoniale, data l'obiezione difensiva riferita al valore quasi nullo della massa attiva ritenuta dolosamente distratta dal ricorrente ed alla non adeguata considerazione di tale variabile da parte del giudice d'appello.
In tale ottica, l'offesa provocata dal reato non può ridursi al mero impoverimento dell'asse patrimoniale dell'impresa, ma deve essere rapportata alla diminuzione della consistenza patrimoniale idonea a danneggiare le aspettative dei creditori (così la sentenza Palitta che richiama Sez. 5, n. 16388 del 23/3/2011, Barbato, in motivazione). In altre parole, può affermarsi che tutta la prospettiva di tutela penale del delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale pre-fallimentare ruota intorno ai creditori: è integrativa del reato non già la sottrazione di ricchezza tout court, ma solo quella concretamente idonea a recare danno alle pretese dei creditori, e cioè a mettere in pericolo la garanzia patrimoniale dei crediti verso l'impresa.
Anche analizzando la giurisprudenza delle Sezioni Unite, si ritrova diffusamente l'affermazione che indica la fattispecie di bancarotta, nel disegno normativo congegnato dalla legge fallimentare, come reato posto a tutela dell'integrità del patrimonio della società in decozione, nella sua peculiare funzione di garanzia dei creditori (oltre alla citata sentenza Loy, si richiamano: Sez. U, n. 24468 del 26/2/2009, Rizzoli, in motivazione e Sez. U, n. 22474 del 31/3/2016, Passarelli, Rv. 266804, in motivazione). Tale ricostruzione non è mutata neppure per il legislatore del Codice della crisi d'impresa, che ha riproposto il consueto schema tipico della disposizione dell'art. 216, comma primo, n. 1, L. Fall., nella fattispecie dell'art. 322, comma primo, lett. a) del Codice introdotto dal D.Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14, sostituendo il lessico di riferimento per l'autore della condotta: non più "il fallito", ma l'imprenditore "dichiarato in liquidazione giudiziale" (per l'affermazione di piena continuità normativa tra le due previsioni, stante l'identità della formulazione delle norme incriminatrici, al netto di aggiornamenti lessicali non rilevanti in sede penale, cfr. Sez. 5, n. 33810 del 26/5/2023, Rizzo, Rv. 285107). In altre parole, il reato di bancarotta patrimoniale prefallimentare è contraddistinto dal pericolo che, ove per qualsiasi ragione si dia luogo ad una procedura concorsuale, l'esito della stessa venga condizionato da atti distrattivi che abbiano comunque ridotto il patrimonio disponibile.
Nella stessa linea di pensiero, la Corte costituzionale, con l'ordinanza n. 268 del 1989, ha osservato che anche l'estensione della tutela penale - disposta dall'art. 236, secondo comma, L. fall. - "è preordinata alla conservazione dell'integrità del patrimonio dell'impresa costituente la garanzia per i creditori della medesima, in vista della mera eventualità del loro non pieno soddisfacimento".
Vale la pena osservare come tale cornice interpretativa complessiva sia confermata anche dalla giurisprudenza in tema di "bancarotta riparata", attraverso cui - come sottolineato da autorevole dottrina - si rivela chiaramente che l'offensività della condotta di reato, cristallizzata nel momento consumativo coincidente con la dichiarazione di fallimento, è limitata ai fatti che creano un pericolo concreto e, dunque, attiene non alla punibilità ma alla oggettività del reato (come noto, la bancarotta riparata impedisce di configurare il reato nel caso in cui la distrazione o qualsiasi sottrazione di attività sia incontrovertibilmente riversata nella sua integralità - dai soci che l'avevano prelevata -nelle casse della società prima della dichiarazione di fallimento, intesa quest'ultima come momento consumativo del pericolo: ex multis, Sez. 5, n. 28514 del 23/04/2013, Grazioli Gauthier, Rv. 255576; Sez. 5, n. 52077 del 04/11/2014, Lelli, Rv. 261347; Sez. 5, n. 4790 del 20/10/2015, dep. 2016, ric. Budola, Rv. 266025; Sez. 5, n. 57759 del 24/11/2017, Liparoti, Rv. 271922).
In sintesi, la giurisprudenza sulla "bancarotta riparata" ha contribuito alla riflessione sulla necessaria verifica di offensività della condotta di pericolo concreto alla base della previsione di tipicità penale del reato di bancarotta patrimoniale, riflettendo un'ispirazione ermeneutica di fondo, costituzionalmente orientata, che deve guidare l'interprete, sempre e comunque, nella valutazione delle condotte distrattive prefallimentari, al di là delle manifeste ipotesi "riparatone" antecedenti alla dichiarazione di fallimento.
2.2. Alla luce di tutti gli approdi ermeneutici richiamati, va ribadito, in ogni caso, il rifiuto di qualsiasi ricostruzione, ancorché surrettizia, della fattispecie di bancarotta fraudolenta patrimoniale come reato di "pericolo presunto", vale a dire come ipotesi criminosa che, basandosi sulla constatazione tout court dell'esistenza dell'atto distrattivo, si affidi ad una catena di presunzioni fondate sulla rimproverabilità della esposizione a pericolo del patrimonio, destinate a divenire reato fallimentare solo con la successiva declaratoria giudiziale.
Ed è per questo che la giurisprudenza di questa Corte ha enucleato anche una teoria degli "indici di fraudolenza" dai quali è possibile desumere, nel singolo caso, l'elemento oggettivo della concreta pericolosità del fatto distrattivo (e del dolo generico); si tratta di indicatori di fraudolenza, che supportano la verifica dell'interprete chiamato ad accertare la sussistenza del reato di bancarotta e rinvenibili, ad esempio: nella disamina della condotta alla luce della condizione patrimoniale e finanziaria dell'azienda; nel contesto in cui l'impresa ha operato, avuto riguardo a cointeressenze dell'amministratore rispetto ad altre imprese coinvolte; nella irriducibile estraneità del fatto generatore dello squilibrio tra attività e passività rispetto a canoni di ragionevolezza imprenditoriale (Sez. 5, n. 38396 del 23/6/2017, Sgaramella, Rv. 270763).
In conclusione, può affermarsi che il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale prefallimentare è un reato di pericolo concreto, in quanto l'atto di depauperamento, incidendo negativamente sulla consistenza del patrimonio sociale, deve essere idoneo a creare un pericolo per il soddisfacimento delle ragioni creditorie, che deve permanere fino al tempo che precede l'apertura della procedura fallimentare, sicché, ai fini della prova del reato, il giudice non può basarsi soltanto sulla mera constatazione dell'esistenza dell'atto distrattivo in quanto tale, ma deve valutare la qualità del distacco patrimoniale.
2.3. Poste le basi ermeneutiche esatte, la lettura del caso all'esame del Collegio trova agevole soluzione.
La Corte d'Appello non ha sviluppato adeguatamente la necessaria verifica sulla pericolosità in concreto della condotta distrattiva prefallimentare contestata al ricorrente, vale a dire sul se essa sia stata idonea a mettere a rischio la garanzia patrimoniale dei creditori dell'impresa fallita (i debiti sono risultati pari a 135.000 Euro nei confronti del fisco ed a 95.116 Euro verso i privati).
Fermo restando il principio consolidato secondo cui la prova della distrazione o dell'occultamento dei beni della società dichiarata fallita è desumibile dalla mancata dimostrazione, da parte dell'amministratore, della loro destinazione (cfr., tra le molte, Sez. 5, n. 17228 del 17/1/2020, Costantino, Rv. 279204; Sez. 5, n. 8260 del 22/9/2015, dep. 2016, Aucello, Rv. 267710), la "qualità" della distrazione doveva essere accertata dal giudice d'appello, per consentire la verifica necessaria sulla pericolosità concreta reale della condotta rispetto alla garanzia dei creditori sociali. Invece, la sentenza impugnata, pur dando atto di un valore attualizzato dei beni strumentali sottratti che, al momento della redazione dell'inventario, era pari alla cifra minimale di 1.870 euro, si è limitata a sostenere come "una distrazione di beni dal patrimonio sociale sia avvenuta", disallineandosi anche esplicitamente, subito dopo (cfr. par. 3.1 della decisione d'appello), rispetto alla corretta prospettiva ermeneutica invocata dal ricorrente e volta a determinare il valore economico effettivo da attribuire ai beni contestati come distratti, al fine di orientare la verifica necessaria circa la pericolosità concreta della condotta.
In altre parole, la sentenza impugnata ha mostrato di aderire ad un'errata esegesi del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale pre-fallimentare, disinteressata alla verifica di pericolosità in concreto ex ante delle condotte distrattive dei beni della società fallita - in merito alla quale, infatti, non sono state spese argomentazioni se non apodittiche, al par. 3.3. della decisione d'appello - e costruita sulla constatazione tout court dell'esistenza di atti distrattivi considerati come monadi autosufficienti. Tale errore di prospettiva ermeneutica ha impedito al Collegio di legittimità di confrontarsi con i parametri di configurabilità della fattispecie di reato in esame e impone l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata, quanto alla contestazione di bancarotta fraudolenta distrattiva pre-fallimentare, affinchè il giudice d'appello esamini la concreta proiezione offensiva degli atti distrattivi contestati al ricorrente, alla luce dei principi esposti, eventualmente provvedendo a rinnovazione istruttoria (avuto riguardo al valore non soltanto dei beni strumentali - mobili e dotazione informatica - ma anche di beni patrimoniali qualora esistenti e, in particolare, al gommone tipo SACS 680 mod. Gosth, solo evocato in sentenza).
Non è di poca importanza sottolineare come i giudici di secondo grado abbiano superato la richiesta difensiva di disporre una rinnovazione istruttoria, mediante la nomina di un perito che rideterminasse compiutamente e precisamente i valori dei beni non rinvenuti nel patrimonio della fallita, assertivamente ed illogicamente osservando che tali valori "sono desumibili dalle documentazioni allegate agli atti, comunque confermate dall'ingiustificato rinvenimento di parte del patrimonio sociale".
3. Il secondo motivo di ricorso è dedicato alla contestazione della condanna per il reato di bancarotta fraudolenta documentale, condotta che, pur nella sua autonomia ontologica, deve necessariamente confrontarsi con la configurabilità del delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale, cui è comunque abbinata.
Sulla prima contestazione può, dunque, incidere il disposto annullamento con rinvio della decisione impugnata relativamente alla seconda contestazione.
Ed infatti, non è priva di ricadute la ricostruzione dei termini esatti della condotta distrattiva rispetto alle argomentazioni spese dalla Corte territoriale per ritenere configurato il coefficiente soggettivo del dolo sottostante alla condotta di omesso deposito delle scritture contabili relative agli anni immediatamente precedenti al fallimento.
D'altra parte, il ricorrente evidenzia proprio la necessità di motivare sul dolo specifico di fattispecie di aver agito per recare pregiudizio ai creditori.
Ed effettivamente, in tema di bancarotta fraudolenta documentale, l'occultamento delle scritture contabili, per la cui sussistenza è necessario il dolo specifico di recare pregiudizio ai creditori, consistendo nella fisica sottrazione delle stesse alla disponibilità degli organi fallimentari, anche sotto forma della loro omessa tenuta, costituisce una fattispecie autonoma ed alternativa - in seno all'art. 216, comma primo, lett. b), legge fall. - rispetto alla fraudolenta tenuta di tali scritture, in quanto quest'ultima integra un'ipotesi di reato a dolo generico, che presuppone un accertamento condotto su libri contabili effettivamente rinvenuti ed esaminati dai predetti organi (Sez. 5, n. 33114 del 8/10/2020, Martinenghi, Rv. 279838).
Sarà necessario, pertanto, disporre l'annullamento della sentenza impugnata anche con riguardo all'ipotesi di reato della bancarotta fraudolenta documentale ex art. 216, comma primo, n. 2, prima parte, L. fall., al fine di valutare adeguatamente, come richiesto anche dal ricorrente, il coefficiente soggettivo specifico.
4. Il terzo motivo di censura rimane assorbito dall'annullamento deciso in relazione al delitto di bancarotta fraudolenta distrattiva.
Deve disporsi, in conclusione, l'annullamento della sentenza impugnata, con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte d'Appello di Palermo.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte d'Appello di Palermo.
Così deciso in Roma il 14 febbraio 2024.
Depositato in Cancelleria il 17 luglio 2024.