Tribunale Nola sez. uff. indagini prel., 22/06/2018, (ud. 15/06/2018, dep. 22/06/2018), n.176
La stipula di un contratto di cessione d'azienda senza corrispettivo, nell'imminenza del fallimento e con finalità distrattive in danno dei creditori, integra il delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione. Inoltre, la mancata consegna delle scritture contabili obbligatorie pregiudica la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari, configurando bancarotta documentale fraudolenta.
Motivi della decisione
Con richiesta in atti il P.M. presso il Tribunale di Nola, chiedeva il rinvio a giudizio di M.C. e P.T. per il reato di cui agli artt. 110 cp, 216 comma 1 n. 1 e 2, 223 del RD n. 267/42.
All'udienza preliminare del 15/6/2018, i difensori e procuratori speciali degl'imputati, avanzavano richiesta di giudizio abbreviato.
Il Giudice ammetteva gl'imputati al giudizio abbreviato e, su richiesta della difesa, rinviava alla successiva udienza del 20 giugno 2018 per la discussione delle parti, all'esito delle quali pronunciava sentenza, mediante lettura del dispositivo.
La vicenda processuale in oggetto trae origine dalla sentenza dichiarativa di fallimento, pronunciata dal Tribunale di Nola in data 31.3.2014 nei confronti della società Caseificio La Bufala s.r.l. in liquidazione.
Tale società era stata costituita il 31/1/2008, con sede in Pomigliano d'Arco, via N.P., ed amministrata da P.T..
La curatela fallimentare, a seguito di opportuni sopralluoghi, rinveniva in Castello di Cisterna, via G. la sede operativa della società, occupata da una diversa società, di nome "Caseificio La Bufala srl di M.C.", amministrata dal figlio della P.T., M.C., a seguito di contratto di cessione di ramo d'azienda stipulato il 14 febbraio 2013, soltanto un mese prima della dichiarazione di fallimento.
Dal contratto emergeva, in particolare, che la società Caseificio La Bufala srl cedeva alla società Caseificio La Bufala di M.C. srl il ramo d'azienda sito in Castello di Cisterna, via P.G., per il corrispettivo di 57.000 euro, corrispettivo, tuttavia, mai versato, ma rateizzato in 19 rate da 3000 euro ciascuna.
A causa dell'assenza delle scritture contabili nessuna prova era acquisita relativamente al pagamento delle suddette rate. Va altresì aggiunto che, dalla ricostruzione in ordine al patrimonio della fallita compiuta dal Tribunale, emergeva l'esistenza di debiti tributari per 30000 euro, e pretesti per oltre 60000 euro.
Il 7 luglio 2014 M.C. rendeva dichiarazioni asserendo di avere ricoperto il ruolo di dipendente della società Caseificio La Bufala, gestita dalla madre P.T., che, a causa dello stato di insolvenza, cessava le attività nel marzo del 2013, per dar vita ad una nuova attività (Caseificio La Bufala di M.C.. Sempre il M.C. affermava che il commercialista della società era pasquale Serino, il quale deteneva materialmente le scritture contabili, mai consegnate né alla madre né a lui stesso.
Al contrario, sentito a sit. S.P. pur confermando di essere stato consulente e depositario delle scritture della ditta Caseificio la Bufala, riferiva che l'incarico era cessato alla fine del 2012, e di avere successivamente consegnato dette scritture alla amministratrice P.T., unitamente agli estratti conto della società. Quindi il commercialista esibiva copia della ricevuta attestante li avvenuta consegna, in data 28/3/2013, della documentazione contabile alla P.
Successivamente, la società facente capo a M.C. era sottoposta a sequestro giudiziario e, a seguito di transazione la Caseificio La Bufala srl corrispondeva in favore della Curatela fallimentare l'importo di 30000 euro.
Orbene, sulla base degli elementi esposti e delle prove acquisite agli atti, si ritiene provata, oltre ogni ragionevole dubbio, la responsabilità penale di P.T., nella qualità di amministratore della Caseificio La Bufala S.r.l., e di M.C., nella qualità di amministratore della Caseificio La Bufala di M.C. srl, per il delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione di cui agli artt. 216 comma 1 n. 1 e 223 comma 1 del RD n. 267/42 per avere posto in essere le operazioni economiche che, esulando dagli scopi dell'impresa, determinavano, senza a un utile per il patrimonio sociale, un effettivo depauperamento di questo, in danno dei creditori (C. Cass. Sez. V, Sent. N. 15679/13).
Nel caso di specie, infatti, la società Caseificio La Bufala S.r.l. nell'imminenza della messa in liquidazione, provvedeva a stipulare con la Caseificio La Bufala di M.C. S.r.l. un contratto cessione di azienda, avente ad oggetto i propri beni strumentali e l'avviamento commerciale, pattuendo la cessione senza incassare alcun corrispettivo.
Del resto, l'esistenza di un rapporto di parentela tra L"amministratrice della Caseificio La Bufala S.r.l. e l'amministratore della Caseificio La Bufala di M.C. avvalora la prova della consapevolezza, piena, in entrambi, di favorire la società acquirente e consentire, pertanto, l'agevole distrazione del patrimonio e dell'azienda della fallita.
Era chiara, in altre parole, la finalità di porre il M.C. al riparo dalla azione esecutiva dei creditori, consentendo a quest'ultimo di continuare a svolgere la medesima attività d'impresa, in nuova veste societaria, pur dopo la dichiarazione di fallimento della Caseificio La Bufala S.r.l.
Si ritiene pienamente provata, inoltre, l'ulteriore contestazione di bancarotta fraudolente documentale, atteso che, come riferito dal curatore fallimentare, la mancata consegna dei libri e delle scritture contabili obbligatorie per legge non consentiva a quest'ultimo di ricostruire il volume di affari e le cause del dissesto, in pregiudizio del ceto creditorio.
E'stata, infatti, acquisita prova positiva del fatto che le scritture contabili furono restituite alla P.T. dal commercialista Pasquale Serino e che, dunque, furono sottratte, distrutte, occultate allo scopo di danneggiare i creditori e, in definitiva, in modo da non rendere possibile la ricostruzione dèi patrimonio e del movimento degli affari.
Ricorre l'aggravante prevista dall'art. 219 co. 2 n. 1 del RD n. 267/1942 per avere gl'imputati compiuto più fatti di bancarotta.
Possono concedersi le circostanze attenuanti generiche, per l'incensuratezza e per la dimostrata volontà di riparare il danno, stipulando atto transattivo con la curatela e permettendo, così, alla procedura di recuperare, in parte, il valore dei beni sottratti.
Pena congrua è, ritenuta più grave l'ipotesi di cui all'art. 216 co. 1 n. 1 RD 267/1942, e considerate le circostanze attenuanti generiche equivalenti all'aggravante contestata, quella di anni tre di reclusione, diminuita, per il rito, alla pena di anni due di reclusione.
Segue per legge, la condanna degl'imputati al pagamento delle spese processuali ed alla pena accessoria dell'inabilitazione, per anni dieci, all'esercizio di un'impresa commerciale e l'incapacità, per la stessa durata, ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa.
Gli imputati vanno condannati, altresì, alla pena accessoria dell'interdizione dai pubblici uffici per cinque anni.
Può essere riconosciuta in favore degli imputati il beneficio della sospensione condizionale dell'esecuzione delle pene come sopra applicate, sussistendo i presupposti oggettivi e soggettivi previsti dalla legge, attesa l'incensuratezza di entrambi ed il corretto comportamento processuale e successivo agli eventi.
P.Q.M.
Letti gli artt. 442,533,535 c.p.p., dichiara M.C. e P.T. colpevoli dei reati agii stessi ascritti e, riconosciute le circostanze attenuanti generiche equivalenti all'aggravante contestata e tenuto conto della riduzione per il rito, li condanna alla pena di anni due di reclusione ciascuno, oltre al pagamento delle spese processuali.
Letti gli artt. 163 e ss c.p. ordina la sospensione condizionale dell'esecuzione della pena nei termini ed alle condizioni di legge.
Letti gli artt. 29 e ss. c.p., 216 ult. co. RD 267/1942, dichiara gli imputati interdetti dai pubblici uffici per cinque anni, inabilitati all'esercizio di una impresa commerciale nonché incapace ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa, per anni dieci.
Nola, 15/6/18