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La bancarotta fraudolenta documentale richiede il dolo specifico e la sottrazione delle scritture contabili può essere prova dell’intento fraudolento

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Tribunale Pescara, 04/04/2024, n.439

Il reato di bancarotta fraudolenta documentale, nella sua forma specifica, si configura come reato di pericolo, richiedendo il dolo specifico consistente nella volontà di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizio ai creditori, anche mediante la sottrazione o distruzione delle scritture contabili. La mancata giustificazione plausibile della perdita o distruzione della documentazione e l'assenza di collaborazione con gli organi fallimentari possono essere valutate come elementi probatori dell'intento fraudolento.

Responsabilità per bancarotta documentale: dolo specifico e condotta successiva

Bancarotta documentale: negligenza e volontà fraudolenta nella tenuta delle scritture contabili.

Responsabilità dell’amministratore inattivo nella bancarotta fraudolenta: obblighi di vigilanza e tenuta delle scritture contabili.

Assoluzione per bancarotta semplice documentale per mancanza di prove certe

Assoluzione dell’amministratore per mancata prova dello stato di insolvenza durante il suo incarico

Responsabilità dell’amministratore formale nella tenuta delle scritture contabili in fase liquidatoria.

Esclusione di responsabilità per l’amministratore: regolare cessione delle quote e assenza di gestione di fatto.

Responsabilità del concorrente estraneo nel reato di bancarotta fraudolenta per distrazione

Condanna per bancarotta fraudolenta distrattiva e documentale aggravata con riconoscimento delle attenuanti generiche

La mancata tenuta delle scritture contabili come bancarotta semplice e il principio di responsabilità per omessa dichiarazione IVA

La sentenza integrale

Svolgimento del processo
All'esito dell'udienza preliminare, veniva disposto il rinvio a giudizio innanzi a questo Tribunale di VA.Ma. in forza di decreto emesso dal GUP presso il Tribunale di Pescara in data 17 ottobre 2023 onde rispondere di quanto contestato in epigrafe. Il dibattimento si articolava nelle seguenti udienze:

Udienza del 20.12.2023 nella quale, accertata la regolare costituzione delle parti, il Tribunale dichiarava aperto il dibattimento ed ammetteva la richiesta, concordemente avanzata dalle parti, di lettura ai sensi dell'art. 493 co. 3 c.p.p. di tutti gli atti di indagine contenuti nel fascicolo del PM, nonché la richiesta di esame dell'imputato avanzata dal difensore.

Udienza del 14.02.2024 che risultava di rinvio per legittimo impedimento dell'imputato.

Udienza del 07.03.2024 nella quale, attesa la diversa composizione del Collegio, si procedeva al rinnovo delle formalità di apertura del dibattimento e di ammissione delle richieste istruttorie; quindi si svolgeva l'esame dell'imputato VA.Ma. e il Tribunale dichiarava chiusa l'istruttoria; all'esito, le parti rassegnavano le rispettive conclusioni nei termini riportati in epigrafe.

Motivi della decisione
Alla luce dell'attività istruttoria espletata, questo Collegio ritiene accertata al di là di ogni ragionevole dubbio la penale responsabilità di VA.Ma. in ordine al reato a lui ascritto. Invero, dalle prove documentali acquisite, in particolare dalla relazione ex art. 33 L.F. e dai documenti allegati alla stessa, emerge che:

presso l'indirizzo indicato come sede legale della società (…) s.r.l., dichiarata fallita con sentenza del Tribunale di Pescara resa in data 17.06.2021, non risultava presente il nominativo della stessa né alcun altro nominativo ad essa riferibile; dalle informazioni acquisite in loco, nessuno era in grado di riferire se in tale sede fosse mai esistita una società.

Il curatore fallimentare non era riuscito ad ottenere alcun documento contabile da VA.Ma., legale rappresentante della società "(…) s.r.l.", atteso che, come riferito dal VA. con dichiarazioni acquisite in apposito verbale di audizione del fallito, tutto l'incarto contabile era conservato in un garage/deposito situato presso la propria abitazione ed era andato distrutto a causa di un'alluvione che aveva allagato detto garage; il VA. non aveva ritenuto di dover denunciare l'evento agli organi competenti, avendolo soltanto indicato alla Guardia di Finanza quando era stato convocato per verifiche fiscali (a detta del VA., la Guardia di Finanza aveva raccolto tale dichiarazione in un verbale di cui però egli non possedeva copia).

Il curatore fallimentare apprendeva dal VA. che l'attività commerciale della società fallita era di fatto cessata almeno dal 2018, avendo perso remuneratività negli anni a causa di vicende familiari e personali che avevano coinvolto il VA. (separazione dalla moglie, depressione, ludopatia) e che lo avevano portato a disperdere tutto il suo patrimonio.

Il curatore verificava che il patrimonio societario non annoverava beni né crediti né altri elementi attivi, come riferitogli anche dal VA., il quale non sapeva nemmeno spiegare l'esistenza, nell'ultimo bilancio depositato, della voce "beni materiali".

L'esposizione debitoria della società fallita ammontava complessivamente ad almeno euro 200.000, come risultava dall'istanza di fallimento presentata dalla banca creditrice (…), dalle istanze di ammissione al passivo proposte da ulteriori creditori (INAIL per la somma di euro 509,63; Agenzia delle Entrate per la somma di euro 142.412,24; Camera di Commercio Chieti-Pescara per la somma di euro 951,45) nonché da una comunicazione di cessione del credito per l'importo di euro 32.337,44 avvenuta tra (…), (cedente) e la società (…) s.p.a. (cessionario).

In sede di audizione a sommarie informazioni, il curatore fallimentare confermava integralmente le circostanze da lui rappresentate nella relazione ex art. 33 L.F. ed aggiungeva che presso la società fallita non risultavano registrati lavoratori dipendenti; precisava, inoltre, che, come da visura storica camerale della società, l'ultimo bilancio depositato risaliva al 2017. L'imputato VA.Ma., acconsentendo di sottoporsi ad esame in dibattimento, ha riferito che:

dopo aver assunto, nel 2015, l'esercizio dell'impresa in questione, aveva condotto l'attività sino al 2018/2019, allorquando si era risolto a cessarla attesi i margini di rendimento non conformi alle aspettative.

• Con la cessazione dell'attività, tutta la relativa documentazione contabile, fino a quel momento custodita dal suo commercialista, era stata restituita al VA., il quale l'aveva depositata in un garage di pertinenza dell'appartamento dove all'epoca viveva.

• Anche in assenza di attività, il VA. aveva delegato il commercialista a continuare comunque ad inviare dichiarazioni dei redditi, seppure pari a zero, e bilanci, anche se non attivi. Pertanto, il mancato controllo sull'effettiva tenuta di tale documentazione da parte del commercialista era riconosciuto dal VA. come frutto di disattenzione a sé imputabile.

Nell'estate del 2018 o del 2019, una bomba d'acqua aveva completamente allagato il garage dove era custodita la documentazione contabile dell'impresa, così distruggendola. Sottovalutando l'accaduto, il VA. non aveva ritenuto di dover informare dell'evento alcun soggetto, salvo poi essere sentito sul punto dalla Guardia di Finanza.

Nel periodo in cui la società era attiva, la PEC aziendale era gestita direttamente dal commercialista, pertanto il VA. non era a conoscenza dell'esistenza di esposizioni debitorie o comunque di esse non era mai stato informato.

Il VA. era a conoscenza soltanto del debito esistente nei confronti della banca che aveva presentato istanza di fallimento, debito che non era riuscito ad onorare a causa dell'abbattimento progressivo del proprio reddito.

La cessione di credito avvenuta in favore della società (…) s.r.l. si riferiva a un veicolo che il VA. possedeva a titolo di leasing, per conto della società da lui legalmente rappresentata, appartenente al patrimonio societario; dopo una prima fase di regolare pagamento delle rate, il VA. non era più riuscito a ottemperarvi per via del proprio declino patrimoniale, quindi aveva venduto il mezzo ad un acquirente privato, utilizzando il ricavato per far fronte alle necessità della propria vita privata.

Tanto premesso, il Collegio ritiene che, alla luce delle sopra descritte risultanze probatorie, siano ravvisabili nel caso di specie tutti gli elementi costitutivi del reato di bancarotta fraudolenta documentale contestato all'imputato.

Pacifica è, innanzitutto, la sussistenza in capo al VA. della qualifica di amministratore unico della società "(…) s.r.l.", che consente di ritenere integrate le disposizioni civilistiche che impongono a suo carico l'obbligo di tenuta delle scritture contabili. Tale dato, già emergente ictu oculi dalla visura camerale della società, nonché confermato dalle indagini del curatore fallimentare compendiate nella relazione ex art. 33 L.F., risulta corroborato dalle dichiarazioni rese dall'imputato in dibattimento, avendo egli riferito di aver intrapreso la gestione dell'attività imprenditoriale a partire dal 2015 e di averla esercitata continuativamente fino al 2018/2019, allorquando aveva deciso di cessarla per scarsa remuneratività della stessa nonché per problemi di natura personale.

Quanto agli elementi oggettivo e soggettivo del reato, in Collegio osserva, in adesione al maggioritario e preferibile orientamento della giurisprudenza di legittimità, che la fattispecie criminosa ascritta al VA. È costituita dalla bancarotta fraudolenta documentale c.d. "specifica", la quale consiste nella sottrazione, distruzione o falsificazione (quest'ultima tuttavia non rilevante nel caso in esame), totale o parziale, dei libri e delle altre scritture contabili e richiede il dolo specifico consistente nello scopo di arrecare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizio ai creditori.

In particolare, è stato puntualizzato dalla giurisprudenza di legittimità che la fattispecie in questione integra un reato di pericolo, volto a sanzionare penalmente la condotta dell'imprenditore che si risolve a far scomparire ogni supporto documentale destinato a dare conto dell'attività imprenditoriale, sottraendo fisicamente le scritture contabili alla disponibilità degli organi fallimentari (anche nella forma dell'omessa tenuta ab origine delle stesse), allo scopo di impedire ai creditori (e agli organi fallimentari che operano nell'interesse della massa) di venire in possesso dei dati contabili necessari alla veridica ricostruzione del patrimonio e degli affari del soggetto dichiarato fallito.

L'accertamento della materialità della condotta è, pertanto, inscindibile dall'accertamento dell'animus del soggetto agente, di modo che, per ritenere sussistente l'occultamento delle scritture contabili, è necessario verificare l'integrazione del dolo specifico di procurare a sé o ad altri un profitto o di recare pregiudizio ai creditori.

Orbene, nel caso di specie, il rilievo penale della condotta in termini di bancarotta fraudolenta documentale "specifica" emerge dalle dichiarazioni dello stesso imputato, rese sia dinanzi al curatore fallimentare che in sede dibattimentale.

Infatti, il VA. ha innanzitutto riferito che, alla cessazione dell'attività d'impresa, aveva custodito tutta la documentazione contabile societaria in un garage di sua pertinenza. Incontestato è dunque che il VA. avesse acquisito la piena disponibilità della documentazione contabile societaria.

Il VA. ha, poi, dichiarato che tale documentazione era andata distrutta a seguito di un'alluvione che aveva inondato il garage ma, al verificarsi di tale evento, aveva preso la consapevole decisione di non informare nessuna autorità. E, dunque, lo stesso imputato ad aver chiarito, con tali affermazioni, le modalità con cui ha posto in essere la sottrazione delle scritture contabili alla disponibilità degli organi fallimentari: si consideri, infatti, che egli non ha fornito alcun riscontro dell'evento calamitoso asseritamente distruttivo della documentazione, dovendosi perciò ritenere tale evento indimostrato; inoltre, pure a fronte della cessazione di fatto dell'attività d'impresa, il VA. non risulta essersi mai attivato per ottenere la cancellazione della società dal relativo registro, avendo, invece, come da lui stesso riferito, conferito incarico al commercialista per continuare a depositare le dichiarazioni dei redditi ed i bilanci, seppure pari a zero; tale circostanza, unitamente alla decisione di non informare alcun soggetto dell'asserita perdita delle scritture contabili, evidenzia una ben delineata volontà di far figurare formalmente una situazione societaria di incapienza patrimoniale e di sottrarsi all'interlocuzione leale con i creditori.

Altresì deve ritenersi provato il dolo specifico di recare pregiudizio ai creditori, atteso che, per espressa ammissione del VA., egli era sicuramente a conoscenza, quantomeno, della considerevole esposizione debitoria nei confronti della banca che ha successivamente presentato istanza di fallimento; inoltre, l'imputato ha riferito di aver ceduto a un privato acquirente un veicolo oggetto di un contratto di leasing intestato alla società, dichiarando di aver utilizzato consapevolmente il ricavato dalla vendita per soddisfare le proprie necessità contingenti di vita; inverosimile appare, infine, la ricostruzione secondo cui, durante il periodo in cui l'impresa era attiva, il VA. fosse completamente all'oscuro dell'esposizione debitoria della società verso gli altri creditori (che successivamente hanno presentato istanza di ammissione al passivo), atteso che l'imputato rivestiva la carica di amministratore unico nonché socio unico della società fallita; non vi sono pertanto ragioni per ritenere che la gestione del patrimonio sociale fosse esclusivamente affidata al commercialista del VA.

Passando al trattamento sanzionatorio, il Collegio ritiene l'imputato meritevole del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, in ragione della condotta collaborativa tenuta dal VA. nei confronti del curatore fallimentare nonché della condotta collaborativa in sede processuale, manifestata con il consenso all'acquisizione di tutti gli atti di indagine contenuti nel fascicolo del Pubblico Ministero e la generalizzata ammissione della condotta di reato. Le circostanze attenuanti generiche possono essere valutate prevalenti sulla contestata recidiva, della quale va riconosciuta l'operatività nel caso di specie essendo evidente come il reato oggi in valutazione costituisca ulteriore manifestazione dell'inclinazione a delinquere che ha indotto l'imputato a rendersi autore dei reati documentati dal Certificato del Casellario Giudiziale in atti (in particolare dei reati di cui al n. 2 del Casellario, tra i quali vi è quello di occultamento o distruzione di documenti contabili ex art. 10 D.Lgs. n. 74/2000, corrispondente sul piano fiscale a quello per cui si procede).

Conseguentemente si ritiene, tenuti presenti i parametri di cui all'art. 133 c.p., che il trattamento sanzionatorio vada così determinato:

pena base da quantificarsi, in ragione della gravità della condotta tenuta, nel minimo edittale di anni tre di reclusione;

tale pena va ridotta di un terzo per il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche valutate prevalenti sulla contestata recidiva, così da giungere alla pena finale da irrogare in concreto a VA.Ma. pari ad anni due di reclusione.

In ragione dell'entità della pena irrogata consegue che, in applicazione dell'ultimo comma dell'art. 216 L. Fall., risulta doveroso dichiarare l'imputato inabilitato all'esercizio di un'impresa commerciale ed incapace ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa per la durata di anni due.

Si ritengono non sussistenti le condizioni di legge per concedere al VA. il beneficio della sospensione condizionale delle suddette pene (beneficio peraltro già concesso in relazione a precedente condanna e revocato in data 26.10.2021 con ordinanza del Tribunale di Roma), non potendosi presumere, anche alla luce del Casellario Giudiziale in atti, che l'imputato si asterrà dal commettere ulteriori delitti in ragione delle modalità del fatto e della capacità a delinquere dell'imputato quali emergenti dall'istruttoria.

Dalla riconosciuta colpevolezza dell'imputato discende altresì la sua condanna al pagamento delle spese processuali.

La molteplicità dei processi non consente la redazione immediata della motivazione della presente sentenza in camera di consiglio.

P.Q.M.
Visti gli artt. 533 e 535 c.p.p. dichiara VA.Ma. colpevole del reato a lui ascritto e, concesse le circostanze attenuanti generiche da ritenere prevalenti sulla contestata recidiva, lo condanna alla pena di anni due di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali. Visto l'art. 216 u.c. R.D. n. 267/1942 dichiara VA.Ma. inabilitato all'esercizio di un'impresa commerciale ed incapace ad esercitare uffici direttivi preso qualsiasi impresa per la durata di anni due.

Visto l'art. 544 c.p.p. dichiara che la motivazione sarà depositata nel termine di novanta giorni.

Così deciso in Pescara il 7 marzo 2024.

Depositata in Cancelleria il 4 aprile 2024.

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