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Bancarotta fraudolenta patrimoniale: non è necessario che le condotte siano consequenziali allo stato di decozione

Bancarotta fraudolenta patrimoniale condotte consequenziali stato di decozione

Tribunale Cassino, 18/04/2023, n.120

Ai fini della sussistenza del reato di bancarotta fraudolenta, non è necessario che le condotte indicate dall'art. 216, comma primo, n. 1) R.D. 267/1942 si pongano in rapporto di stretta consequenzialità con la dichiarazione di fallimento o con lo stato di decozione, trattandosi di comportamenti da considerare nell'implicita capacità di sottrarre beni alla loro naturale destinazione di supporto economico dell'impresa, ciò essendo sufficiente a giustificare un collegamento con lo stato di decozione e con la conseguente procedura esecutiva.

Responsabilità per bancarotta documentale: dolo specifico e condotta successiva

Bancarotta documentale: negligenza e volontà fraudolenta nella tenuta delle scritture contabili.

Responsabilità dell’amministratore inattivo nella bancarotta fraudolenta: obblighi di vigilanza e tenuta delle scritture contabili.

Assoluzione per bancarotta semplice documentale per mancanza di prove certe

Assoluzione dell’amministratore per mancata prova dello stato di insolvenza durante il suo incarico

Responsabilità dell’amministratore formale nella tenuta delle scritture contabili in fase liquidatoria.

Esclusione di responsabilità per l’amministratore: regolare cessione delle quote e assenza di gestione di fatto.

Responsabilità del concorrente estraneo nel reato di bancarotta fraudolenta per distrazione

Condanna per bancarotta fraudolenta distrattiva e documentale aggravata con riconoscimento delle attenuanti generiche

La mancata tenuta delle scritture contabili come bancarotta semplice e il principio di responsabilità per omessa dichiarazione IVA

La sentenza integrale

Svolgimento del processo
De.Fa. è stato tratto a giudizio con decreto ex art. 429 c.p.p. del 20 gennaio 2017 per rispondere del reato trascritto in epigrafe.

L'udienza del 15.6.2017 è stata rinviata per il rinnovo della notifica del decreto all'imputato. Il 17.10.2017, dichiarata l'assenza dell'imputato, il P.M. ha fatto rilevare la modifica dell'imputazione intervenuta nel corso dell'udienza preliminare, nel senso che al posto delle parole "Fo." devono leggersi le parole "Mi.". Preso atto della modifica, il Tribunale ha disposto il rinvio dell'udienza, con notifica del verbale all'imputato assente.

Il 3.4.2018, dato atto della regolare notifica del verbale all'imputato, la trattazione è stata rinviata per impedimento della Presidente del Collegio.

L'udienza del 3.7.2018 è stata rinviata, a fronte dell'elevato carico del ruolo.

L'udienza del 20.11.2018 è stata rinviata per l'adesione del difensore all'astensione dall'attività giudiziaria indetta dagli organismi rappresentativi della categoria (prescrizione sospesa per n. 168 giorni).

Il 7.5.2019, è stato aperto il dibattimento e sono state ammesse le prove richieste dalle parti. Quindi, si è proceduto ad assumere le deposizioni dei testi a calicò, Pi.D'O. e il luogotenente Te.. All'esito, il P.M. ha rettificato il capo d'imputazione, nel senso che dove è scritto "84.019,18 euro" deve leggera "60.851,61 Euro".

Il 24.9.2019, dato atto della rinuncia della difesa al teste Pa., la trattazione è stata rinviata per l'assenza giustificata del teste a discarico Cr..

Il 4.2.2020, dato atto della mutata composizione del Collegio, la difesa ha prodotto documentazione, l'udienza è stata rinviata per l'esame del teste della difesa. L'udienza del 5.5.2020 è stata rinviata in base all'art. 83 del d.l. n. 18/2020 (prescrizione sospesa per n. 64 giorni).

Dato atto della diversa composizione del Collegio, l'udienza del 10.11.2020 è stata rinviata per l'assenza del teste della difesa.

Il 16.2.2021,l'udienza è stata rinviata per l'assenza del teste a discarico. L'udienza del 29.6.2021 è stata rinviata per impedimento della Presidente del Collegio. Dato atto della mutata composizione del Collegio, l'udienza del 14.12,2021 è stata rinviata per l'assenza della teste Cr..

Il 31.5.2022 si è proceduto ad escutere la teste della difesa.

Quindi, il 24,1.2023, sulle conclusioni delle patti riportate in epigrafe, il Tribunale ha pronunciato dispositivo di sentenza di cui è stata data lettura in aula, riservando il deposito dei motivi nei termini indicati.

Diritto
Motivi della decisione
Ritiene il Tribunale che la verifica dibattimentale abbia fornito riscontro alla prospettazione accusatoria nei termini che di seguito si andrà ad enucleare.

Si contesta a Fa.De., quale amministratore della "Su. s.r.l.", corrente in Broccostella, alla via (…) s.n.c. (dichiarata fallita dal Tribunale di Cassino in data 29.1.2014), il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale per dissimulazione dei crediti vantati verso le società "St. s.r.l." e "Pu. s.r.l.", nonché verso la ditta individuale "Mi.". L'esame del curatore e la relazione ex art. 33 L. F. hanno consentito di ricostruire la vicenda nei termini che seguono.

La "Su. S.r.l.", avente ad oggetto l'attività di commercio al dettaglio di generi alimentali, abbigliamento, merceria, giocattoli e casalinghi, fu costituita il 30.12.2008 dalle socie Si.Sa., Ti.Di. e Ro.Ga. Quest'ultima mantenne l'amministrazione della società lino all'avvicendamento, avvenuto il 22.5.2013, con l'odierno imputato. All'apertura della procedura concorsuale, giusta sentenza del Tribunale di Cassino del 29.1.2014, fu nominato, quale curatore, l'avv. Pi.D'O. che, nel contraddittorio delle parti, ha enucleato i dati contenuti nella relazione ex art. 33 L. F., redatta in base alle scritture contabili consegnategli dall'odierno imputato.

Il teste ha ricondotto i motivi del dissesto alla sopravvenuta impossibilità di fai - fronte ai pagamenti in corso.

Pur escludendo di avere ravvisato indici di mala gestio, ha evidenziato la "discutibilità" dell'incasso del compenso di 2.000,00 Euro da parte dell'imputato, protrattosi anche nell'ultimo periodo di attività, quando la società era già inadempiente verso i dipendenti. In sede di insinuazione al passivo, il debito principale, pari a circa 179.000 Euro, fu azionato dalla curatela del fallimento della "St. s.n.c.", società proprietaria dei locali commerciali e del complesso aziendale affittati alla Su., cui si aggiunsero le domande degli ex dipendenti e di Eq. S.p.A. (cfr. documentazione in atti).

Il luogotenente Te., all'epoca in servizio presso la Guardia di Finanza di Sora, ha riferito in merito alle verifiche condotte sulle scritture contabili, da cui emerse che, alla data del fallimento, la Su. vantava crediti: per 43.403,43 Euro nei confronti del "Mi. di Fi.Ma."; per 60.851,61 Euro verso la "Pu. S.r.l."; per 597.467,68 nei confronti della "St. S.r.l.", a sua volta dichiarata fallita il 17 dicembre 2014.

L'anomala contabilizzazione di tali crediti, ingiustificatamente riportati fra le passività di bilancio, indusse a ritenere che le vendite senza incasso di corrispettivo fossero servite per distrarre beni e per evitare il pagamento dei fornitori (cfr. pag. 12).

Il luogotenente ha illustrato il contesto di cointeressenze societarie tra la Su. e la St..

Anzitutto, entrambe le società - la St. dal 15.4.2011 e la Su. dal 22.5.2013 - erano amministrate da Fa.De.

Le quote sociali erano intestate a Ti.Di., la quale risultò, nell'ordine: socia della Su.; socia unica e amministratrice della St. fino all'avvicendamento, avvenuto nel 2011, con l'odierno imputato; moglie di uno dei fratelli Di., proprietari del gruppo cui faceva capo la St., parte concedente nel contratto di affitto d'azienda con la Su.. Dalla visura camerale relativa alla St., è emerso altresì che la Di. ne acquistò le quote sociali, in data 20.5.2010, da In.Mo. e Sa.Ro., a sua volta legale rappresentante della "Pr. s.r.l." (cfr. atti di cessione prodotti dalla difesa all'udienza del 4.2.2020). La teste a discarico Pi.Cr., dipendente della società che si occupò della gestione contabile della Su., ha dichiarato che, prima del fallimento, fornì documentazione per il recupero del credito vantato nei confronti dell'impresa "Mi.". Ha riconosciuto i prospetti delle operazioni di conto ("mastrini") prodotti dalla difesa, concernenti i rapporti commerciali tra la Su. e le società Pu. e St. (pag. 9 "È il nostro software, è roba nostra, della CSA o Pu.. Questa è CSA e questa, invece, è già Pu.. Comunque cambia poco. Li abbiamo elaborati nei nostri uffici"), protrattisi sino alla dichiarazione di fallimento, confermando - quanto alla Pu. - la reciprocità nei rapporti di scambio e il ricorso ad un sistema di compensazione dei rispettivi crediti, gestito tramite emissione di buoni pasto (pag. 11).

Per ciò che attiene invece al debito di 597.467,68 Euro della St. s.r.l., ha spiegato trattarsi di un saldo finale su rapporti intercorsi dal 2010 al settembre 2013 (quando era amministratore il De.), determinato in parte da forniture dirette dalla Su. alla St. e in parte da un sistema di cessioni tramite una terza società, la Pr. s.r.l., amministrata da Sa.Ro., precedente proprietario della St., che riforniva quest'ultima dei prodotti per la vendita nei supermercati e che, a sua volta, acquistava i beni ortofrutticoli dalla Su., pagando tali forniture mediante cessione dei crediti vantati verso la St. (pag. 14 "il debito che la St. aveva nei confronti di Pr. è stato ceduto con delle cessioni regolarmente registrate di cui ha parlato l'Avvocato prima. St. ha ceduto il proprio debito nei confronti di Pr. a Su.. Pr. ha ceduto il proprio credito a Su.").

La testimone ha dichiarato che le era noto lo stato di insolvenza della St., per le forniture dirette ricevute dalla Su. (pag. 21).

Nulla ha potuto riferire su eventuali tentativi di recupero del predetto credito. La difesa ha prodotto in giudizio le copie degli atti registrati di cessione del credito dalla Pr., amministrata dal Ro., alla Su., il cui legale rappresentante era all'epoca ancora la Ga.

Circa i rapporti con la Pu., ha rilevato l'esistenza di un credito di quest'ultima nei confronti della fallita per un importo di 70.438,73 Euro e, dunque, di ammontare superiore al suo debito.

Tale essendo il compendio istruttorio raccolto, deve affermarsi che l'illecito in imputazione trova convergenza con i fatti provati, quantomeno per ciò che riguarda il credito vantato dalla fallita nei confronti della St. s.r.l.

Giova premettere che, ai fini della sussistenza del reato di bancarotta fraudolenta, non è necessario che le condotte indicate dall'art. 216, comma primo, n. 1) R.D. 267/1942 si pongano in rapporto di stretta consequenzialità con la dichiarazione di fallimento o con lo stato di decozione, trattandosi di comportamenti da considerare nell'implicita capacità di sottrarre beni alla loro naturale destinazione di supporto economico dell'impresa, ciò essendo sufficiente a giustificare un collegamento con lo stato di decozione e con la conseguente procedura esecutiva Ora, nel caso di specie, la condotta di dissimulazione del credito di 597.467,68 Euro fu realizzata mediante il suo finale ed ingiustificato trasferimento nello stato passivo ad opera dell'imputato, come si ricava dalle fidefacenti dichiarazioni rese dal luogotenente Te., della cui attendibilità non si ha motivo di dubitare, in considerazione dell'assoluta carenza di un proprio interesse personale nel presente procedimento, della obiettiva plausibilità delle circostanze di fatto da lui riferite - in quanto apprese nell'espletamento di attività d'indagine - e della mancanza di elementi di segno contrario (pag. 11-12 "come se lo spiega quindi che c'erano questi crediti, non richiesti e che poi addirittura erano nello stato passivo?" "sì anche nel passivo, sì, perché ci sono state delle anomalie nella gestione della contabilità, perché ci sono stati questi crediti di compensazione di pentite che sono vietate sotto l'aspetto della ragioneria e della contabilità e poi ci sono questi spostamenti che non sono riuscito a capire, i crediti messi nel passivo e nel passivo non riesco a capire per quale motivo").

Tale condotta, consistita nel celare l'esistenza dell'ingente credito, risulta essere solo l'ultimo segmento di una più ampia operazione di depauperamento della Su. (in favore della St. e della Pr.), a monte realizzata facendo fuoriuscire beni dell'attivo attraverso atti di disposizione patrimoniale (le operazioni di compravendita) caratterizzati da un concreto squilibrio nel sinallagma contrattuale, poiché compiuti senza incasso di corrispettivo in favore di altre società gravitanti attorno al medesimo gruppo, ossia la Pr. e la St., quest'ultima già inadempiente ed in stato di decozione che, a pochi mesi di distanza dalla Su., portò alla declaratoria di fallimento.

L'appartenenza al medesimo contesto "di gruppo", già emersa dalla deposizione di Te., è stata ulteriormente riscontrata dalla documentazione confluita in fascicolo (cfr. visura camerale sulla St. s.r.l.), che attesta l'identità dell'assetto proprietario tra la creditrice/Su. e la debitrice/St., facente capo a Ti.Di., e l'identità della veste gestoria assunta dall'odierno imputato, dal 2011, nella St. (ove in precedenza amministratrice era la stessa Di.) e dal 2013 nella Su..

Un ulteriore dato di sicuro rilievo indiziario è costituito dal trasferimento, avvenuto il 20.5.2010, delle quote sociali della St., che passarono alla Di. da Sa.Ro., legale rappresentante della Pr., che cedette alla Su. proprio il credito verso la (inadempiente) St..

Nel caso in giudizio, le cessioni dei beni, da cui derivò il credito oggetto di dissimulazione, benché compiute formalmente nell'esercizio di facoltà legittime, rappresentarono uno strumento di frode in danno dei creditori, in quanto incisero sul patrimonio sociale della fallita, depauperandolo, in favore delle altre società appartenenti al gruppo, nei cui confronti i creditori della fallita non avevano, chiaramente, la possibilità di rivalersi.

Le vendite senza incasso di corrispettivo alla St. avvenute sino al 2013 e, nel contempo, le vendite alla Pr., contro la cessione di crediti nei confronti di una società (la St.) il cui stato di decozione - seguito nel 2014, come per la Su., dall'apertura del fallimento - era necessariamente noto al De., suo legale rappresentante, rappresentano operazioni dissipative del patrimonio sociale, poiché compiute in un contesto caratterizzato da evidenti commistioni nelle compagini societarie e in assenza di un qualsivoglia vantaggio compensativo ritratto aliunde a fronte delle alienazioni, il cui importo finale è attestato nell'ingente saldo negativo di 597.467,68 Euro.

In tale quadro, deve darsi atto che l'ipotesi antagonista non assume carattere di decisività tale da intaccare la fondatezza del costrutto accusatorio.

Quanto al dedotto pagamento "in contanti" delle forniture dirette dalla Su. alla St., per un importo indicato in 147.202,32 Euro, è sufficiente osservare come tale circostanza sia rimasta sprovvista di un qualsivoglia supporto dimostrativo.

Su altro piano, la tesi della natura satisfattiva delle cessioni di credito (Su./cessionaria-Pr./cedente-St./ceduta), corretta sotto un profilo strettamente formale, nella sostanza fa leva su una lettura parcellizzata dei rapporti intercorsi tra le società Invero, le considerazioni già formulate in ordine all'appartenenza degli enti giuridici al medesimo gruppo, unite all'ulteriore dato obiettivo della mancata riscossione dei crediti oggetto di cessione (Cass. sez. 5, n. 57153 del 15/11/2018, Rv. 275232 "integra il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale di ad all'art. 216, comma 1, legge fall., la mancata riscossione di un credito, poiché oggetto delle condotte di depauperamento è il patrimonio in senso lato, comprensivo delle ragioni di credito che devono concorrere alla formazione dell'attivo patrimoniale"), consentono di ritenere dimostrata la natura artatamente depauperativa sottesa alle operazioni in disamina, culminate nell'appostamento al passivo del cospicuo credito di 597.467,68 Euro, composto in parte da vendite dirette alla St. e in parte dalle predette cessioni di credito, che scivi a celare la distrazione dei beni sociali compiuta a monte, mediante il trasferimento senza ""rispettivo alle altre società del gruppo (Cass. sez. 5, n. 37920 del 05/07/2010, Rv. 248505 "non viola il principio di correlazione con l'accusa la sentenza che condanni l'imputato del reato di bancarotta fraudolenta per una delle condotte alternativamente previste dalla norma incriminatrice e diverse da quella indicata in imputazione, purché quest'ultima contenga la descrizione, anche sommaria, del comportamento addebitato").

Nel corso dell'iter processuale, l'imputato si è ampiamente difeso in ordine all'oggetto dell'accusa, fornendo la propria versione, le relative prove a discarico e contribuendo alla disamina dei vari profili di dettaglio sin qui ripercorsi, che non valgono a mutare il puntuale contenuto dell'addebito, contribuendo semmai ad approfondirlo in chiave diacronica. Sull'elemento soggettivo, giova rammentare che, nella bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione, esso è costituito dal dolo generico, per la cui integrazione è dunque sufficiente che la condotta di colui che pone in essere o concorre nell'attività distrattiva sia assistita dalla consapevolezza che le operazioni che si compiono sul patrimonio sociale siano idonee a cagionare un danno ai creditori, senza che sia necessaria l'intenzione di causarlo (cfr. Cass. Sez. V,n. 51715 del 05/11/2014).

L'argomento può essere esteso alle ulteriori condotte fraudolente - qual è anche la dissimulazione - che si estrinsecano nella sostanziale riduzione delle poste attive del patrimonio, diversamente da quanto accade per le ipotesi di illecito aumento delle passività, che per assumere rilevanza penale richiedono il dolo specifico del fine di recare pregiudizio al ceto creditorio. Nella specie, non v'è dubbio sulla volontà e rappresentazione del fatto da parte dell'imputato, ricavabile dai plurimi elementi sintomatici sin qui ripercorsi, tra cui la veste gestoria assunta anche nella St. s.r.l., cui si correla la consapevolezza dello stato di dissesto in cui versava la debitrice della fallita, che ne attesta la volontà di sottrarre poste attive del patrimonio, che di lì a poco sarebbe stato escusso per soddisfare le ragioni dei creditori.

Per quanto sopra esposto, De.Fa. va riconosciuto responsabile del reato ascrittogli ai sensi degli artt. 216 co. 1, n. le 223 co. 1, L. F.

Quanto alla condotta illecita concernente i crediti vantati verso la società Pu. s.r.l. e la ditta individuale Mi., si rileva anzitutto che dall'istruttoria non sono emersi elementi relativi ad eventuali cointeressenze nelle rispettive compagini societarie. Per ciò che concerne la posizione del Mi., la ridotta capacità dimostrativa della deposizione di Te. - limitatosi nella specie ad indicare il quantum del debito - risulta peraltro vulnerata dalle dichiarazioni della Cr., relative alla predisposizione dei documenti per un tentativo di recupero del credito, rimasto insoluto a seguito dell'emissione di cambiali ed assegni. Avuto riguardo alla società Pu. le produzioni documentali della difesa e la testimonianza della Cr. hanno invece introdotto un principio di prova circa l'avvenuta compensazione dei crediti tra la Pu. e la Su., maturati nell'ambito di rapporti commerciali costituiti da reciproche cessioni di beni (pag. 11 "affinché il pagamento fosse… la cessione fosse tracciatile, veniva elaborata una fattura al valore nominale della cessione di questi buoni pasto che, poi, venivano incassati dalla Super C tramite il bonifico bancario dalla società emittente. Questo permetteva, appunto, di portare in compensazione un debito della Pu. nei confronti della Super C").

Benché il riferimento al saldo del debito sconti una non marginale "astrattezza", trattandosi di pagamenti asseritamente effettuati attraverso l'emissione di buoni pasto da parte della Pu., va dato atto che, all'esito dell'istruttoria, non appare certo se, all'apertura della procedura concorsuale, residuasse una posizione debitoria ancora pendente a carico della Pu..

Tali sintetiche considerazioni impongono di concludere per la insussistenza del fatto, essendo insufficiente, o comunque contraddittoria, la prova emersa in relazione alla condotta dissimulativa contestata rispetto ai crediti vantati verso la Pu. e il Mi..

All'imputato possono essere riconosciute le circostanze attenuanti generiche, al fine di mitigare il rigore del trattamento sanzionatorio altrimenti applicabile, così da renderlo maggiormente conforme alle esigenze retributive e special-preventive ravvisabili nella specie. Quanto alla dosimetria della pena, valutati i fattori orientativi di cui all'art. 133 c.p., De.Fa. deve essere condannato alla equa pena finale di due anni di reclusione, cui così si perviene: pena base, attestata nel minimo, pari a tre anni di reclusione, diminuita nella misura massima di un terzo per le concesse attenuanti generiche.

Il certificato penale dell'imputato, già gravato da una precedente condanna a pena detentiva, osta al riconoscimento del beneficio della sospensione condizionale della pena In base all'art. 58 legge n. 689/1981, non si ravvisano i presupposti per procedere alla sostituzione della pena detentiva ex art. 545 bis c.p.p., tenuto conto della gravità obiettiva della condotta, del considerevole danno patrimoniale dalla stessa provocato e del conseguente allarme sociale che desta il fatto in giudizio.

Tali elementi portano ad escludere che le pene sostitutive di cui agli artt. 53 ss. legge 698/81 possano rivelarsi satisfattive delle indeclinabili esigenze di rieducazione dell'imputato e prevenire, nel contempo, il pericolo di reiterazione di altri reati.

In base all'art. 216, comma 4, L. F., nella riformulazione seguita alla pronuncia n. 222/2018 della Corte Costituzionale, all'imputato va applicata la pena accessoria dell'inabilitazione all'esercizio di un'impresa commerciale e dell'incapacità a esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa per una durata che, avuto riguardo alla quantificazione della pena principale, si reputa equo determinare in due anni.

Alla condanna segue l'onere delle spese processuali.

L'imputato va infine condannato al risarcimento del danno patrimoniale cagionato alla curatela fallimentare, la cui esatta determinazione nel quantum va demandata al separato giudizio in sede civile, nonché al rimborso delle spese di rappresentanza e costituzione in giudizio sostenute dalla parte civile, liquidate in 3.000,00 Euro per compensi, oltre rimborso forfettario, iva e epa come per legge (Cass. Sez. 6, Sentenza n. 7643 del 22/10/2009 Ud. (dep. 25/02/2010) Rv. 246165 "L'omessa indicazione nel dispositivo della sentenza di primo grado delle statuizioni di carattere civile, quantunque dovuta a mera dimenticanza, non può essere sanata ricorrendo alla procedura di correzione dell'errore materiale, ma il giudice d'appello può, entro i limiti del devoluto, emendare tale omissione decidendo nel merito sulle richieste della parte civile senza necessità di annullale il provvedimento impugnato").

La complessità dell'istruttoria e il carico di lavoro impongono di riservare il deposito della motivazione nel termine di novanta giorni.

P.Q.M.
Visti gli artt. 533 e 535 c.p.p. dichiara De.Fa. colpevole del reato a lui ascritto, concesse le circostanze attenuanti generiche, e lo condanna alla pena di due anni di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali.

Applica all'imputato le pene accessorie di cui all'art. 216 u.c. R.D. 267/1942 per la durata di due anni.

Visto l'art. 544, comma 3, c.p.p., fissa in novanta giorni il termine per il deposito della motivazione.

Così deciso in Cassino il 24 gennaio 2023.

Depositata in Cancelleria il 18 aprile 2023.

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