Corte appello Roma sez. II, 03/05/2024, n.4133
La condotta di un amministratore che preleva somme dalle casse sociali in assenza di documentazione giustificativa e senza delibera assembleare, ma proporzionate al lavoro svolto e alle spese sostenute, configura il reato di bancarotta preferenziale e non di bancarotta fraudolenta patrimoniale, qualora il pagamento costituisca una preferenza indebita rispetto ad altri creditori e non sia volto a distrarre risorse dalla società.
Svolgimento del processo
1. Il Tribunale di Roma, con sentenza in data 15 settembre 2022 emessa all'esito di giudizio ordinario, ha riconosciuto la responsabilità di Lo.An., quale amministratore unico dal 7 aprile 2011 e liquidatore dal 22 settembre 2017 della "Pr.Ud. S.r.l.", dichiarata fallita dal Tribunale di Roma in data 17 maggio 2018, del delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale e lo ha condannato come da dispositivo sopra trascritto.
La decisione è basata sulle circostanze desunte dalla testimonianza del curatore fallimentare, dott. Ma.Ca., e dalle relazioni ex art, 33 l.f. in data 13 aprile 2018 e 14 novembre 2018.
Il Tribunale ha rappresentato, in ordine alle vicende della società, che quest'ultima era costituita il 16 novembre 2005 ed aveva come oggetto sociale la vendita al dettaglio di apparecchi acustici, accessori ed assistenza alla clientela. La carica di amministratore unico era rivestita dalla costituzione fino al 2 aprile 2010 da Ma.Al.; Lo.An. era diventato co-amministratore il 2 aprile 2010 e amministratore unico dal 7 aprile 2011 fino al fallimento; il 22 aprile 2011 quest'ultimo aveva rilevato tutte le quote societarie, divenendo socio unico.
La sede legale della società era dapprima stabilita in Roma, via (…), dal 20 maggio 2006 al 30 dicembre 2016 in Roma, viale (…), e infine in Roma, via (…). La sede operativa effettiva era sempre stata in Ostia, dal 25 settembre 2012 al 30 novembre 2015 era stato aperto anche un punto vendita in Genzano e dal 3 luglio 2015 al 29 maggio 2017 un altro punto vendita in Roma, Via (…), queste ultime due cedute ad altre aziende.
La società, a seguito di totale perdita del capitale sociale, era stata posta in liquidazione volontaria in data 22 dicembre 2017. Con sentenza del 17 maggio 2018 il Tribunale di Roma dichiarava il fallimento, su istanza del fornitore "Ot. S.r.l." per un credito, insorto nel 2011, di Euro 83.539,36. Il curatore, in ordine alla situazione patrimoniale della società, rappresentava che l'attivo societario non era prontamente liquidabile, a parte dei pignoramenti presso terzi restituiti al fallimento (Euro 16.061,04), ed era costituito da crediti verso la ASL e l'INPS; che l'esposizione debitoria ammontava a Euro 170.000,00, poi divenuta Euro 257.000,00, per crediti fiscali, previdenziali e verso finanziatori; che la contabilità risultava correttamente tenuta ed i bilanci regolarmente depositati fino al 31 dicembre 2016; che il Lo. aveva collaborato con la procedura, partecipando agli incontri e fornendo tutta la documentazione contabile.
Venendo alla contestazione, il primo giudice ha desunto, dalle dichiarazioni e dalla relazione del curatore, la mancanza dei giustificativi e della documentazione di supporto di alcune operazioni di prelevamento dalle casse sociali, rilevate dall'analisi della contabilità. Si tratta delle operazioni contestate nel capo d'imputazione vale dire il "giroconto per annullamento credito" per Euro 54,573,94 e le "spese trasferta" per Euro 34.201,63. L'imputato, in sede di audizione, rappresentava che la prima somma corrispondeva al suo compenso da amministratore, mentre la seconda somma consisteva nel rimborso per tutti gli spostamenti effettuati per conto della società. Il compenso, però, non era stato deliberato dall'assemblea dei soci e le spese di trasferta non erano documentate. Ha poi riferito di avere, in realtà, conservato almeno parte della documentazione giustificativa delle spese, ma ha aggiunto di non essere in grado di produrla in giudizio al momento.
Il Tribunale ha dato atto che il consulente della difesa, nel corso dell'esame e con l'elaborato in atti, ha rilevato in ordine al giroconto, che, sebbene non fosse presente una formale delibera di determinazione del compenso, la carica di amministratore determina, comunque, il sorgere in capo a quest'ultimo di un credito verso società per l'opera prestata. Con il giroconto si sarebbero correttamente regolarizzati detti crediti come sopravvenienze passive, che non necessitano di alcuna delibera. Inoltre, il Lo. era socio unico ed amministratore unico della società, ragione per la quale la delibera sarebbe stata un atto puramente formale, in quanto autoprodotta. Infine, il consulente ha rilevato la congruità dei compensi percepiti, i quali, divisi per gli anni di carica, risultavano pari a poco più di 700 Euro mensili e delle pese sostenute per raggiungere le tre diverse sedi operative pari a Euro 475,00 Euro mensili.
Il Tribunale ha riconosciuto la responsabilità dell'imputato in quanto le giustificazioni offerte da costui non smentiscono l'ipotesi accusatoria. Il Lo., con riferimento all'operazione di giroconto a suo dire rappresentativa dei suoi emolumenti, non ha indicato alcuna prestazione specifica, come le singole attività gestorie, gli orari effettuati, i risultati raggiunti, e nemmeno ha allegato i termini di raffronto per valutare la congruità del compenso, come ali emolumenti riconosciuti a precedenti amministratori. Quanto al rimborso di spese di trasferta, l'imputato si è limitato ad indicare che le stesse sarebbero state compatibili con gli spostamenti tra le varie sedi operative, tuttavia non è stata dimostrata l'effettiva esistenza di detti spostamenti e delle spese sostenute per gli stessi, tenuto anche conto che fino al 25 settembre 2012 era operativa solo l'unità di Ostia e le tre sedi sono state congiuntamente operative solo per pochi mesi del 2015.
La pena di due anni di reclusione è stata determinata partendo dalla pena base di tre anni di reclusione, ridotta per il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche a due anni di reclusione, Il Tribunale ha ritento l'imputato meritevole di queste ultime circostanze in considerazione del suo corretto comportamento extraprocessuale e processuale, consistito nella collaborazione prestata al curatore e nell'avere ammesso i fatti; non ha, invece, ritenuto sussistente la circostanza attenuante di cui all'art. 219, comma 3, l.f. in ragione dell'importo della somma sottratta raffrontata all'esposizione debitoria della società. Infine, il primo giudice ha ritenuto dì quantificare la pena base nel minimo edittale, tra l'altro, perché l'imputato ha agito nella convinzione di non commettere un illecito.
2. La sentenza è stata impugnata dal difensore dell'imputato che ha chiesto, come riportato nelle conclusioni dell'atto di appello:
1) di assolvere l'imputato in quanto il fatto non sussiste;
2) di dichiarare la non punibilità dell'imputato in quanto il fatto non costituisce reato;
3) in via subordinate, di riconoscere il beneficio della speciale tenuità del fatto e ridurre la pena.
All'odierna udienza, svoltasi in camera di consiglio ai sensi dell'art. 23 bis L. 176/2020, la Corte preso atto delle sopra riportate conclusioni scritte fatte pervenire dal P.G. e dal difensore dell'imputato che ha prodotto anche giurisprudenza dì legittimità (C. Cass. Sez. 5, Sentenza n. 36416/2023), ha deciso come da separato dispositivo, tempestivamente trasmesso alle parti.
Motivi della decisione
1. Il primo e secondo motivo di gravame vanno trattati congiuntamente perché afferenti all'insussistenza della responsabilità dell'imputato basata sulla considerazione che il compenso per l'attività di amministratore e il rimborso per le spese sostenute per le trasferte sono dovute a chi riveste tale carica, con conseguente mancanza dell'elemento materiale e/o soggettivo del delitto contestato.
L'appellante, dopo avere premesso che lo stesso P.M. ha chiesto nel giudizio di primo grado l'assoluzione dell'imputato per insussistenza del fatto, ha evidenziato che gli importi asseritamente sottratti sono proporzionati al compenso minimo di un amministratore (Euro 700, mensili) e alle spese trasferta (Euro 700,00 mensili). La giurisprudenza richiamata dallo stesso giudice di primo grado (C. Cass. sentenza n. 15138/2022) ritiene non configurabile l'ipotesi distrattiva nell'ipotesi in cui il compenso dell'amministratore sia congruo corrispettivo dell'opera prestata. Quanto all'attività prestata dal Lo., che secondo il Tribunale non sarebbe stata ben spiegata, l'appellante ha evidenziato tutte le attività svolte dal medesimo per la gestione della società (cfr., pag. 2 dell'atto di appello) e che il compenso di un amministratore nel settore nel quale operava il Lo., è pari in media in Italia, come emerge da fonti aperte, da Euro 35.000,00 l'anno fino, per quelli con più esperienza, a Euro 80.000,00 l'anno. Quanto alle spese di trasferta, la difesa ha evidenziato che, anche volendo tralasciare il periodo in cui la società aveva tre sedi operative, gli spostamenti dell'imputato da casa (Castel Gandolfo) al luogo di lavoro (Ostia) comportavano la percorrenza di una distanza di 83 Km che determina una spesa, calcolata in base alle tabelle ACI e in base ai veicoli in uso al Lo., di Euro 1.077,00/1.266,80, a secondo del veicolo utilizzato, ogni quattro settimane ossia un costo di gran lunga superiore a quello di Euro 700,00 al mese, indicato dal consulente, Inoltre, lo stesso Tribunale ha rappresentato che l'imputato avrebbe "…presumibilmente agito nella convinzione di non commettere un reato".
La condotta dell'imputato va inquadra nella fattispecie astratta di bancarotta preferenziale.
Va, al riguardo, rammentato che in base alla giurisprudenza di legittimità, peraltro allegata dallo stesso difensore, "Risponde di bancarotta preferenziale e non dì bancarotta fraudolenta per distrazione l'amministratore che ottenga in pagamento di suoi crediti verso la società in dissesto, relativi a compensi e rimborsi spese, una somma congrua rispetto al lavoro prestato" (Sez. 5, Sentenza n. 48017/2015 Rv. 266311 - 01). L'anzidetto orientamento è stato ribadito dalla Corte di Cassazione (Sez. 5 -, Sentenza n. 36416/2023 Rv. 285115 - 01; Sez. 5, Sentenza n. 32378/2018 Rv. 273576 - 01 con riferimento al liquidatore) che ha evidenziato che il discrimine tra la bancarotta fraudolenta patrimoniale e la bancarotta preferenziale sta nella proporzionalità tra il compenso e la quantità e la qualità dell'attività prestata, che ove esistente esclude la configurabilità della bancarotta per distrazione. Inoltre, la circostanza della mancanza di una previsione statutaria o di una delibera assembleare che indichi il compenso di un amministratore va apprezza tenendo presente che il prelievo può essere dovuto ed essere congruo, se non anche necessitato per ragioni di sopravvivenza, nel qual caso la condotta non risulta distrattiva, in quanto non determinante per la riduzione della garanzia creditoria, ma a fronte della legittima sussistenza del credito, deve ritenersi lesiva della par condicio creditorum, integrando così la fattispecie di bancarotta preferenziale. Posto che all'assunzione della carica di amministratore consegue un compenso, il discrimine tra il delitto di bancarotta per distrazione e il diritto di bancarotta preferenziale si risolve, stante la mancanza di previsione statutaria e di delibera dell'assemblea, nel valutare se tale compenso sia congruo rispetto all'attività prestata e alla funzionalizzazione della stessa agli interessi della società.
È pacifico perché ammesso dallo stesso imputato che quest'ultimo ha prelevato dalle casse sociali la somma complessiva di Euro 88.775,57, di cui Euro 54.573,94 come compenso quale amministratore unico della fallita dal 7 aprile 2011 al 22 settembre 2017, vale a dire per circa sette anni, e quale liquidatore da quest'ultima data al fallimento, dichiarato il 16 luglio 2018 ed Euro 34.201,63, ossia per poco meno di un anno, come rimborso spese per le trasferte eseguite nelle varie sedi operative della società. È altrettanto pacifico che gli emolumenti percepiti quale amministratore non sono stati oggetto di delibera assembleare, come prescritto dall'art. 2389 c.c., e che i rimborsi delle spese per trasferte non sono documentati.
L'imputato, in sede di esame e nel corso della procedura fallimentare, ha rappresentato che nel 2010, quando ancora doveva finire l'università in tecniche audio-protesiche e quando la società aveva un'unica sede operativa a Ostia, acquistava, alla metà del valore di mercato, parte delle quote della società. Tuttavia, appena trascorso un anno, ha avuto dissapori con l'altro socio, che lamentava la riduzione del fatturato, sicché, in ragione della pressione dei dipendenti che non volevano che la società chiudesse e del fatto che si trattava di un'azienda a conduzione familiare dove avrebbe potuto lavorare insieme a sua moglie e suo fratello, decise di acquistare le altre quote, aumentando l'ipoteca insistente sulla sua casa e su quella dei suoi genitori. Le cause del fallimento della società consistevano nella mancanza di liquidità dovute al fatto che, operando la società nel settore degli apparecchi acustici, la clientela era fatta di persone anziane che avevano difficoltà a saldare il dovuto e che gli enti previdenziali pagavano solo dopo pratiche amministrative molto lunghe. Quanto precede determinava anche l'impossibilità di ottenere sconti dalle aziende di produzione. Poiché il fatturato si era ridotto, scelse, erroneamente, di aprire altri punti vendita in altre realtà; fu così che aprì il punto di Genzano. Successivamente, la società Be., facente capo alla società Wi. per le quali aveva lavorato, gli aveva prospettato, ufficiosamente, il suo interesse a una sede a Roma Nord, sicché aprì il punto di Monteverde eseguendo lui stesso insieme ai familiari i lavori, mentre la società Be. allestì le vetrine. Tuttavia, la società si tirò indietro, dicendo di non essere più interessata e rappresentando che aveva in zona un cliente storico. Si ritrovò, pertanto, senza liquidità e con tre sedi da gestire dove doveva recarsi ogni giorno; vendette la sede di Genzano a una cifra che non copriva neanche i costi dei materiali. L'imputato, quanto alla contestazione, ha riferito che egli aveva diritto alle somme, che andavano divise per tutti gli anni che aveva lavorato, e che le spese di trasferta, anch'esse da dividersi nei vari anni, rappresentavano il corrispettivo della benzina e di un panino, di cui aveva necessità per svolgere il suo lavoro. Non era stata adottata la delibera perché egli doveva gestire da solo tre sedi e doveva correre da un luogo all'altro, ricordava di avere gli scontrini delle spese sostenute per le trasferte, ma non era in grado di esibirle.
Dal narrato dell'imputato, dal fatto che le documentazione contabile e sociale, come riferito dal curatore, era completa e non ha dato adito a rilievi di sorta, circostanza quest'ultima che presuppone che l'amministratore abbia tenuto o fatto tenere le scritture contabili e i libri sociali in modo corretto, dalla circostanza che la società fino al 2012 operava solo presso la sede di Ostia, mentre tra settembre 2012 e maggio 2015 anche presso quella di Genzano, tra il maggio 2015 e luglio 2015 anche presso quella di Roma e tra luglio 2015 e maggio 2017 presso quella di Ostia e di Roma, dalla circostanza che l'imputato, essendo esperto in tecniche audioprotesiche, non si occupava solo della parte gestionale della società, ma lavorava in prima persona nei predetti centri inducono a ritenere che egli avesse diritto al compenso, peraltro contenuto (Euro 700,00 mensili), per l'attività prestata quale amministratore della società e al rimborso, anch'esso contenuto (Euro 475,00 mensili come si rileva dalla consulenza di parte), delle spese per le trasferte eseguite.
Non sussistono dubbi circa il fatto che l'imputato svolgesse esclusivamente attività gestionale e lavorativa per la fallita, essendo anche difficile mantenere ulteriori impegni stante la dislocazione delle varie sedi operative della società, sicché i compensi per la predetta attività costituivano i propri mezzi di sussistenza. La congruità del compenso si ricava dal fatto che il Lo. a fronte dell'attività gestionale e operativa all'interno dei singoli punti vendita ha percepito una somma mensile di Euro 1,175,00, di cui Euro 700,00 a titolo di compenso ed Euro 475,00 a titolo di rimborso spese, somma che è certamente non sproporzionata all'attività prestata e alle spese di trasferta sostenute.
La condotta dell'imputato deve essere, pertanto, qualificata come bancarotta preferenziale.
Non è accoglibile il rilievo difensivo in base al quale non sussiste l'elemento psicologico del reato.
L'elemento soggettivo del delitto di bancarotta preferenziale è costituito dal dolo specifico, ravvisabile quando l'atteggiamento psicologico del soggetto agente sia rivolto a preferire intenzionalmente un creditore, con concomitante riflesso, anche secondo lo schema tipico del dolo eventuale, nel pregiudizio per altri.
Non può porsi in dubbio che l'imputato, prelevando in violazione dell'art. 2389 c.c. e della par condicio creditorum nel 2016, ossia in epoca in cui la società si trovava già in difficoltà posto che nel predetto anno si sono verificate perdite pari a Euro 49.288,00 e che il decreto ingiuntivo relativo al mancato pagamento di fatture commerciali posto a base dell'istanza di fallimento risale al 7 marzo 2017, abbia voluto preferire, senza che ciò fosse giustificato dalla necessità di salvaguardare I' attività sociale o imprenditoriale, il proprio credito rispetto a quello degli altri o abbia, comunque, accettato l'eventualità di recare danno agli altri creditori.
Né ha pregio il rilievo difensivo che l'imputato avrebbe "… presumibilmente agito nella convinzione di non commettere un reato". Non incorre, infatti, in un errore sul fatto un soggetto, nel caso in esame l'amministratore di una società, che abbia ignorato la normativa applicabile, nel caso in esame il citato art. 2364 c.c. e l'art. 2741 c.c., a una situazione di fatto rispondente alla realtà, ma in un errore di diritto che non vale ad escludere la punibilità.
2. Con il terzo motivo di gravame la difesa ha sostenuto la configurabilità della circostanza attenuante del danno di speciale tenuità.
Il rilievo non può essere accolto.
E, invero, l'entità dell'importo pagato in via preferenziale a titolo di compensi e di rimborsi all'amministratore, pari a Euro 88.775,57, non può dirsi di speciale tenuità.
La pena va, tuttavia, ridotta in ragione della diversa qualificazione giuridica del fatto.
La non particolare gravità del fatto, sebbene non minima state l'entità del pagamento in via preferenziale, e la condotta collaborativa dell'imputato, unitamente alla sua incensuratezza, inducono a ritenere adeguata al fatto e alla personalità del Lo. la pena di mesi dieci di reclusione così determinata: pena base anni uno, mesi tre di reclusione, ridotta per le già concesse attenuanti generiche alla pena sopra indicata.
La sentenza impugnata deve essere pertanto riformata limitatamente alla qualificazione del fatto come bancarotta preferenziale, con conseguente rideterminazione della pena nel modo sopra indicato.
La durata delle pene accessorie di cui all'art. 216, ultimo comma, L.F. in considerazione della minore gravità del fatto e della personalità dell'imputato, come sopra descritta, va ridotta alla durata della pena principale.
Il termine per il deposito della motivazione, stante il carico di lavoro dell'Ufficio, è fissato in giorni sessanta.
P.Q.M.
Visti gli artt. 599 c.p.p. e 23 bis L. 176/2020
in riforma della sentenza del Tribunale di Roma in data 15 settembre 2022 appellata da Lo.An., riqualificati i fatti come bancarotta preferenziale, ridetermina la pena, con le già riconosciute circostanze attenuanti generiche, in anni uno di reclusione.
Riduce la durata delle sanzioni accessorie di cui all'art. 216 ultimo comma L.F. alla durata della pena principale.
Conferma nel resto.
Fissa in giorni sessanta il termine per il deposito della motivazione.
Così deciso in Roma il 9 aprile 2024.
Depositata in Cancelleria il 3 maggio 2024.