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L’omessa tenuta delle scritture contabili integra bancarotta semplice documentale, con responsabilità per amministratori di diritto e di fatto

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Tribunale Genova sez. II, 22/05/2024, n.1888

Il reato di bancarotta semplice documentale si configura come reato di pura condotta e di pericolo presunto, sanzionando l’omessa tenuta delle scritture contabili obbligatorie, indipendentemente dalla prova di un danno concreto ai creditori. L’amministratore di fatto risponde penalmente come l’amministratore formale quando esercita funzioni gestorie in modo non occasionale, e quest’ultimo, in forza della posizione di garanzia, è tenuto a prevenire condotte illecite, anche se poste in essere dall’amministratore di fatto.

Responsabilità per bancarotta documentale: dolo specifico e condotta successiva

Bancarotta documentale: negligenza e volontà fraudolenta nella tenuta delle scritture contabili.

Responsabilità dell’amministratore inattivo nella bancarotta fraudolenta: obblighi di vigilanza e tenuta delle scritture contabili.

Assoluzione per bancarotta semplice documentale per mancanza di prove certe

Assoluzione dell’amministratore per mancata prova dello stato di insolvenza durante il suo incarico

Responsabilità dell’amministratore formale nella tenuta delle scritture contabili in fase liquidatoria.

Esclusione di responsabilità per l’amministratore: regolare cessione delle quote e assenza di gestione di fatto (Collegio - Presidente Piscitelli)

Responsabilità del concorrente estraneo nel reato di bancarotta fraudolenta per distrazione (Collegio - Presidente Aurigemma)

Condanna per bancarotta fraudolenta distrattiva e documentale aggravata con riconoscimento delle attenuanti generiche

La mancata tenuta delle scritture contabili come bancarotta semplice e il principio di responsabilità per omessa dichiarazione IVA

La sentenza integrale

Svolgimento del processo
In data 02.09.22, RE.Ta. e M.Ma. erano tratti a giudizio siccome imputati in concorso tra loro - in qualità, di titolare dell'omonima ditta individuale e di amministratore di fatto della stessa - di bancarotta semplice documentale.

All'udienza del 08.03.24, il difensore degli imputati, munito di procura speciale, ha richiesto di procedersi con il rito abbreviato.

Ammesso il rito, all'udienza del 05.04.2024 l'imputato ha inteso rendere dichiarazioni spontanee ed il processo è stato aggiornato all'udienza del 17.05.24, per discussione, su richiesta del difensore.

All'udienza del 17.5.24, il Tribunale ha invitato le parti a rassegnare le conclusioni, espresse nei termini riportati a verbale, rinviando il processo per eventuali repliche all'udienza del 22.5.24.

In tale sede, difettando repliche, il giudice dopo essersi ritirato in Camera di Consiglio ha pronunciato sentenza dando lettura del dispositivo e della contestuale motivazione.

Motivi della decisione
In via preliminare deve osservarsi che M.Su. nel rendere dichiarazioni spontanee ha confermato di aver operato quale amministratore di fatto della società al fianco della moglie ("abbiamo provato a fare questa attività, non eravamo in grado e abbiamo smesso"), sostenendo di aver consegnato la documentazione al commercialista ("lui ha detto che non gliela abbiamo portata") e chiedendo scusa. Dalla documentazione in atti (relazione ex art. 33, comma I, L.F. del curatore dott. Br.Ba., e relativi allegati, depositata in data 11 luglio 2019) è emerso quanto segue:

- la ditta individuale (…) è stata costituita in data 06.02.12 con iscrizione alla sezione speciale del registro delle imprese con qualifica di "piccolo imprenditore" ed aveva per oggetto sociale la gestione di minimercati per la vendita al pubblico di sostanze alimentari e bevande;

- la ditta operava a Genova, in tre distinte sedi: in via (…) ed altri (…).

- La ditta è stata cancellata dal Registro delle imprese in data 26.06.18 ma, prima del decorso dell'anno dalla cancellazione, è stata dichiarata fallita a fronte di ricorso di un creditore che vantava pretese per oltre 30.000,00 euro;

- tanto l'attività quanto i locali commerciali in cui operava sono stati trasferiti, pur in assenza di atti di trasferimento di azienda o di cessione di ramo d'azienda, prima della cancellazione dal registro delle imprese, dalla società (…) alla "(…) s.r.ls.";

- la "(…)", risultava socia unica della "(…) s.r.l.s";

- la ditta individuale è stata dichiarata fallita con sentenza del Tribunale di Genova emessa in data 09.05.2019.

Nel corso delle operazioni preliminari, il curatore Dott. Ba. ha convocato l'amministratrice Re.Ta. che, tuttavia, non si è presentata. Il curatore ha interloquito con il coniuge della donna, M.Su., il quale -dimostrandosi collaborativo - ha riferito di essere il reale amministratore delle attività, prima gestite dalla ditta individuale e, poi, confluite nella "(…) s.r.ls."

Inizialmente, la società era seguita dal commercialista Gi.Sa. che, sentito a S.I.T., ha riferito di aver dismesso l'incarico a fronte della carenza di documentazione contabile necessaria da lui richiesta sia alla legale rappresentante della società, sia all'amministratore di fatto, individuato nel M.Ma. (L'assenza di scritture contabili, peraltro, è stata appurata anche in relazione alla "(…) s.r.ls.").

Proprio con riferimento alla contabilità deve evidenziarsi che la totale carenza di scritture contabili obbligatorie ha reso impossibile per il curatore ricostruire tanto la situazione patrimoniale economica quanto la situazione conti economici, permanendo opacità circa l'attivo e il passivo della ditta, in relazione ai tre anni antecedenti alla dichiarazione di fallimento.

Infatti, non erano stati consegnati, né altrimenti rinvenuti, il libro giornale, il libro inventari; analogo discorso per I registri Iva acquisti e Iva vendite, questi ultimi, tuttavia, documenti contabili non richiesti dalla normativa fiscale in caso di contabilità semplificata.

Quanto all'attivo inventariato, il curatore ha evidenziato la presenza di un bene mobile, un'autocarro Fiat, intestato alla società fallita, già sottoposto a sequestro amministrativo, a fronte di un passivo accertato superiore a 60.000,00 euro per via della presenza di crediti dell'Agenzia delle Entrate (pari ad euro 40.917,38) portati da cartelle esattoriali e di crediti vantati da un fornitore e da un dipendente.

Così ricostruita la vicenda della ditta fallita, va considerato come sia il legale rappresentante che l'amministratore di fatto non abbiano consegnato le scritture contabili obbligatorie per la normativa civilistica (libro giornale e libro degli inventari), ed è risultato che non siano stati istituiti i libri obbligatori indicati dall'art. 2214 c.c. come livello minimo di contabilità.

Va, sul punto, osservato che l'art. 18, comma 1, D.P.R. n. 600 del 1973, nel prevedere l'esonero dalla tenuta dei libri previsti dalla normativa fiscale per le imprese minori, è chiaro nel fare "salvi gli obblighi di tenuta delle scritture previste da disposizioni diverse dal presente decreto", tra cui rientrano indubbiamente gli obblighi previsti dalle norme del codice civile, il cui art. 2214 c.c. statuisce l'obbligo per l'imprenditore che esercita attività commerciale di tenere il libro giornale (che ex art. 2216 c.c. deve indicare giorno per giorno le operazioni relative all'esercizio dell'impresa) e il libro degli inventari (che deve essere redatto all'inizio dell'attività e poi per ogni annualità di esercizio sociale).

Peraltro, in giurisprudenza è stato più volte ribadito che persino la eventuale inattività non esonera dalla tenuta dei libri obbligatori. L'obbligo di tenere le scritture contabili non viene infatti meno se l'azienda non abbia formalmente cessato l'attività, ma "viene meno solo quando la cessazione dell'attività commerciale sia formalizzata con la cancellazione dal registro delle imprese " (Cass., sez. V, 28/02/2017, n. 14846). Nel caso in esame, quindi, se anche al cessare dell'operatività a seguito del "travaso" di attività alla "(…) s.r.l. sa partire dal 23.01.2018, il titolare avrebbe comunque dovuto tenere le scritture e i libri obbligatori fino alla data di cancellazione dal registro delle imprese, avvenuta il 26.06.2018.

Venendo al merito.

In relazione all'elemento oggettivo, va rammentato che, nel reato di bancarotta semplice, l'illiceità della condotta è circoscritta alle scritture obbligatorie ed ai libri prescritti dalla legge.

A tal proposito, va precisato come il dato processualmente rilevante sia quello attestato dal curatore - nella relazione ex art. 33 L.F. - non solo della omessa consegna della documentazione contabile obbligatoria, ma anche della omessa tenuta dal momento dell'apertura della ditta fino alla cessazione della stessa.

Il delitto di bancarotta semplice documentale, infatti, è reato di pericolo presunto e mira ad evitare che vi siano ostacoli alla attività dì ricostruzione del patrimonio e del movimento di affari della società da parte degli organi fallimentari, con possibile pregiudizio degli interessi dei creditori: il reato consiste nel mero inadempimento al precetto formale dell'art. 2214 c.c. ed è quindi un reato di pura condotta, che si realizza anche quando non vi sia un danno per i creditori (Cass., sez. V, 29/01/2016, n. 20695). Pacifico come, nel caso di specie, sia la legale rappresentante che l'amministratore di fatto, abbiano trascurato ed omesso la regolare tenuta delle scritture; tale negligente inadempienza si è altresì declinata in un danno ai creditori, tenuto conto che le merci presenti negli esercizi commerciali e gli stessi locali sono stati "travasati" nella nuova società, avente la medesima struttura societaria.

Sotto il profilo soggettivo, l'ipotesi di bancarotta semplice è punita indifferentemente a titolo di dolo o di colpa che sono ravvisabili quando l'agente ometta, con coscienza e volontà o per semplice negligenza, di tenere le scritture (cfr. Cass. pen. Sez. V, Sent., 30-04-2019, n. 17918).

Sul punto, orientamento consolidato chiarisce che la mancanza dei libri e delle scritture contabili deve essere ricondotta alla ipotesi criminosa della bancarotta semplice (e, quindi, non fraudolenta) "laddove sia assente o insufficiente l'accertamento in ordine allo scopo che si è proposto l'agente " (v. Cass. Pen., sez. V, sent. n. 13059/2021), scopo che, nel caso di specie, è rimasto privo di adeguati riscontri e accertamenti. La totale assenza delle scritture contabili depone in maniera plastica per una colpa grave. A ciò si aggiunga che, all'atto della perquisizione, il Su. ha negato di detenere alcuna scrittura contabile riconducibile alla società; tuttavia, la perquisizione ha permesso di rinvenire, presso la sede sita in Piazza Cavour n.38 la documentazione poi sequestrata (es. fatture riconducibili alla società).

Infine, deve evidenziarsi che i coniugi hanno reiterato il medesimo "modus operandi" anche nella nuova società "(…) s.r.l.s." da loro aperta per convogliare le attività e le merci della (…), peraltro, ponendo in essere una condotta larvatamente distrattiva e pregiudizievole per i creditori.

Quanto ai ruoli rivestiti dai due coniugi, in primo luogo, deve evidenziarsi che dai verbali di sommarie informazioni è emerso chiaramente il ruolo gestorio del Su., quale amministratore di fatto.

Sul punto, Pa.Cl., sentito a S.I.T. in data 28.10.2019, ha riferito di aver svolto trattative esclusivamente con il Su. e che le richieste egli ordini per l'affiliazione del mini-market alla catena "(…) mediante stipula di un contratto di franchising, erano state attuate dall'imputato.

Inoltre, anche Pe.Da. e Co.Ma., dipendenti della "(…) hanno confermato di aver ricevuto istruzioni esclusivamente dal Ma., il quale gestiva i rapporti con i fornitori e le attività della ditta.

A tal proposito, va precisato che l'amministratore di fatto, ai sensi dell'art. 2639 c.c. è colui che esercita un'apprezzabile attività gestoria, svolgendola in modo non occasionale.

Tale qualificazione, nel caso di specie, poggia su solidi indici sintomatici: da un lato la diretta partecipazione alla gestione dell'attività d'impresa (es. trattative finalizzate alla stipula di contratti, richieste di fornitura) e dall'altro la generalizzata identificazione nelle funzioni amministrative da parte di dipendenti e terzi.

Quanto all'assimilazione tra amministratore di fatto ed amministratore formale, la giurisprudenza - facendo un'applicazione estensiva del dettato di cui all'art. 2639 c.c. - è granitica nell'affermare che l'amministratore di fatto risponde penalmente in quanto le norme indicano gli amministratori con riferimento, non a una formale attribuzione di qualifiche, ma "all'esercizio concreto delle funzioni che dette qualifiche sostanziano" (cfr. Cass. pen., sez. V, 5 giugno 2003, n. 36630; Cass. Pen. Sez. V, sentenza n. 25952 dell'8 febbraio 2022).

Sul punto, si è precisato che "l'amministratore di fatto di una società risponde del reato di bancarotta documentale per la semplice omissione dei doveri discendenti da tale ruolo" (cfr. Cassazione penale sez. V, sent. n.39681 del 2016). Non vi sono peraltro riscontri a quanto riferito dal Su. in relazione alla consegna della documentazione al commercialista, a fronte della mancata produzione di verbali di consegna e delle univoche dichiarazioni del professionista che ha rinunciata al mandato proprio in ragione di tale carenza.

Quanto al ruolo della Re., invece, deve rimarcarsi che l'amministratore in carica, in forza della posizione di garanzia delineata dall'art. 2392 c.c., risponde penalmente dei reati commessi dall'amministratore "di fatto", ai sensi dell'art. 40 c.p., comma 2, per non avere impedito l'evento che aveva l'obbligo giuridico di impedire. Il consolidato orientamento di legittimità, formatosi con riferimento alla posizione della c.d. "testa di legno", infatti, afferma che, in tema di bancarotta documentale per sottrazione o per omessa tenuta delle scritture contabili, ben può ritenersi la responsabilità del soggetto investito solo formalmente dell'amministrazione dell'impresa fallita "atteso il diretto e personale obbligo dell'amministratore di diritto di tenere e conservare le suddette scritture".

La Re., quindi, quale amministratore formale, da un lato non è intervenuta per impedire la realizzazione delle fattispecie criminose da parte dell'amministratore "di fatto", Ma.M. mentre, dall'altro, ha reso possibile la reiterazione di tale comportamento mediante l'apertura della (…).

In tale ottica, oltre al dato formale, deve valorizzarsi la circostanza che la Re., in quanto coniuge del Su., non era persona solo "nominalmente" connessa all'esercizio dell'attività gestoria, ma aveva uno specifico interesse alla conduzione dell'attività (ed era al corrente del suo decorso, poiché le entrate veniva convogliate nel mantenimento del nucleo familiare). Inoltre, la donna, benché invitata dal curatore non ha offerto alcuna spiegazione circa il suo ruolo, asseritamele marginale, nella compagine societaria; peraltro, lo stesso Su., nel rendere dichiarazioni spontanee, ha fatto riferimento ad una conduzione condivisa con la moglie. Per quanto sopra esposto tanto la RE. quanto il SU. vanno riconosciuti colpevoli del reato di cui all'art. 217, co. 2, R.D. n. 276/1942.

Con specifico riferimento alla richiesta della difesa in merito all'applicazione della causa di non punibilità prevista dall'art. 131 bis c.p. e che i limiti edittali dell'art. 217 L.F. ne consentono, astrattamente, l'applicazione, pare opportuno evidenziare che l'offensività della condotta non pare rientrare nei parametri imposti dall'istituto. Da un lato, la totale assenza di scritture contabili ha impedito agli organi fallimentari di riscostruire il patrimonio ed il movimento degli affari della ditta fallita, tanto che il curatore non ha potuto svolgere nessuna delle sue attività tipiche per cercare di acquisire all'attivo fallimentare beni, crediti o somme di denaro, il tutto a discapito dei creditori.

Dall'altro, l'apertura di una diversa società con "svuotamento" della ditta individuale, oltre a manifestare una particolare conoscenza del sistema societario - connessa all'intensità dell'elemento soggettivo - denota una particolare carica offensiva del comportamento illecito attuato dai coniugi.

In particolare, la giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. pen. Sez. V, 15/09/2021, n. 41016) ha chiarito che nel valutare l'eventuale tenuità del fatto di una condotta di bancarotta semplice documentale, il primo elemento che il giudice deve considerare è l'esistenza ed il quantum del danno patrimoniale conseguente al fatto. In tale ottica, la quantificazione del "danno" va rapportata sia all'impossibilità di ricostruire totalmente o parzialmente la situazione contabile dell'impresa fallita o di esercitare le azioni revocatone o altre azioni a tutela dei creditori, sia in relazione alla diminuzione che l'omessa tenuta dei libri contabili abbia determinato nella quota di attivo oggetto di riparto tra i creditori.

In particolare, nel caso di specie, va considerato come l'omessa tenuta delle scritture contabili abbia determinato un danno - non irrilevante - per i creditori posto che ì creditori si sono visti privati sia delle garanzie patrimoniali a tutela del credito sia di possibili beni mobili su cui rivalersi.

Infine, deve porsi l'attenzione sulla circostanza che sia la Re. sia il Su., risultino attinti da un precedente penale.

A tal proposito, il precedente della Re. impedisce di ipotizzare un difetto dell'elemento soggettivo (peraltro, declinato nel coefficiente colposo), tenuto conto che la donna era stata punita proprio per una carenza formale e, quindi, resa edotta della necessità di porre attenzione al rispetto dei requisiti imposti dalla normativa.

Venendo al trattamento sanzionatone, possono concedersi le circostanze attenuanti generiche, in ragione dell'arco temporale circoscritto dell'omissione e della parziale confessione dell'imputato (non credibile nella parte in cui riferisce di aver consegnato le scritture al commercialista, che peraltro, proprio in ragione di tale mancanza ha dismesso il mandato).

Alla luce dei criteri di cui all'art. 133 della L. Fall., con precipuo riferimento alla non particolare pericolosità della condotta omissiva posta in essere, stimasi equo non discostarsi dal minimo edittale, fissando la pena base in mesi sei di reclusione. Successivamente ridotta per la concessione delle circostanze attenuanti generiche alla pena di mesi quattro di reclusione e, operata la diminuente per il rito, alla pena finale di mesi due e giorni 20 di reclusione.

Consegue, per legge, la pena accessoria di cui all'art. 217, ultimo comma, della L. Fall., dovendosi dichiarare gli imputati inabilitato all'esercizio di un'impresa commerciale ed incapace ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa per tempo corrispondente alla durata della pena detentiva inflitta.

Non si ritiene, infine, di concedere la sospensione condizionale della pena, tenuto conto tanto dei precedenti (per reati non specifici ma aventi una matrice analoga) e della possibile reiterazione delle condotte, tenuto conto che gli imputati, nelle more della procedura fallimentare hanno continuato a svolgere attività mediante una diversa società, del pari priva delle scritture contabili imposte dalla legge di riferimento. Spese processuali, come per legge, a carico degli imputati.

P.Q.M.
Visti gli artt. 533, 535 c.p.p.

DICHIARA

SU.Ma. e RE.Ta. responsabili del reato di cui all'art. 217 co. 2 R.D. n. 267/1942 e, concesse le circostanze attenuanti generiche ed operata la riduzione per il rito, li

CONDANNA

alla pena di mesi due e giorni 20 di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali.

Visto l'art. 217 u. comma I. fallimentare,

dichiara gli imputati inabilitati dall'esercizio di una impresa commerciale ed incapaci di esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa per tempo pari alla pena principale.

Motivazione contestuale.

Così deciso in Genova il 22 maggio 2024.

Depositata in Cancelleria il 22 maggio 2024.

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