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Contrabbando di tabacchi: limiti alla non punibilità per particolare tenuità del fatto e rilevanza della recidiva (Corte appello Napoli - Sesta sezione)

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Corte appello Napoli sez. VI, 01/07/2024, (ud. 18/06/2024, dep. 01/07/2024), n.7466

Nel caso di reati relativi al contrabbando di tabacchi lavorati esteri (T.L.E.), la responsabilità penale è configurabile anche in assenza di un effettivo commercio del prodotto, essendo sufficiente la detenzione. La tenuità del fatto ex art. 131 bis c.p. richiede una valutazione complessiva della condotta e delle sue conseguenze, escludendosi in presenza di precedenti specifici che evidenzino abitualità criminosa.

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La sentenza integrale

RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE
Con sentenza n. 764/22 emessa dal Tribunale di Nola in data 4.4.22, Pa.Vi. veniva ritenuto colpevole del reato di cui alla rubrica e, previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche prevalenti sulla recidiva, veniva condannato alla pena di giorni venti di reclusione ed Euro 666,67 di multa, oltre al pagamento delle spese processuali.

Veniva disposta, da ultimo, la confisca e la distruzione del T.L.E. in sequestro.

Il convincimento del giudice di prime cure in ordine al giudizio di colpevolezza espresso nei confronti dell'odierno imputato fondava principalmente sugli esiti dell'espletata attività istruttoria da cui si apprendeva quanto segue: in data 8.7.20 gli ufficiali di P.G. in servizio presso la Stazione CC di Casalnuovo di Napoli, durante un ordinario servizio perlustrativo per la repressione del contrabbando, notavano un soggetto, poi identificato nel Pa., intento a vendere pacchetti di sigarette di contrabbando sul ciglio della strada. Gli agenti, pertanto, procedevano a perquisizione all'esito della quale rinvenivano in suo possesso n. 10 pacchetti di sigarette privi del marchio del Monopolio dello Stato, sottoponendoli prontamente a sequestro.

Avverso la sentenza ha interposto appello la Difesa dell'imputato chiedendo, anzitutto, l'assoluzione del proprio assistito con formula piena o, quantomeno, ai sensi del co. 2 dell'art. 530 c.p.p. in quanto non è emersa la prova dell'acquisto o della vendita del T.L.E. sequestrato da parte dell'imputato. In subordine, ha chiesto l'esclusione della recidiva contestata, con conseguente riduzione della pena inflitta. In via ulteriormente subordinata, ha chiesto l'applicazione della causa di non punibilità di cui all'art. 131 bis c.p. giusta la tenuità del fatto commesso e dell'offesa arrecata.

Da ultimo, ha chiesto il contenimento della pena nei minimi edittali e la concessione di ogni beneficio di legge.

All'odierna udienza, dopo la rituale costituzione delle parti, si è dato corso alla discussione, nell'ambito della quale il Procuratore Generale e la Difesa hanno concluso come da verbale.

La Corte, dopo essersi ritirata in camera di consiglio, ha dato lettura del dispositivo, riservando il deposito della motivazione.

Ciò premesso, l'appello è infondato e va respinto.

Al riguardo, va preliminarmente osservato che, quanto al merito della decisione di condanna dell'imputato in ordine al reato contestato per il quale il predetto è stato ritenuto responsabile, questa Corte ritiene integralmente condivisibili la ricostruzione dei fatti e la motivazione posta a fondamento della decisione di primo grado, in aderenza alle risultanze processuali, legittimamente acquisite e pertanto pienamente utilizzabili, da parte del giudice di prime cure, ad esse riportandosi (così come ormai ritenuto legittimo dalla giurisprudenza della Suprema Corte, vedi tra le altre Cass. Sez. I, n. 46350/03 e Cass. Sez. III, n.27300/04 che sottolinea come la motivazione della sentenza di secondo grado "deve essere concisa e riguardare gli aspetti nuovi o contradditori o effettivamente mal valutati").

E, invero, le censure svolte nel gravame sono state sostanzialmente già esaminate e superate, nel senso della loro infondatezza, dal giudice a quo e, qualora siano dedotte questioni già esaminate e risolte, il giudice del gravame può motivare per relationem (Cass. pen., Sez. V, n. 3751/00). Tale motivazione è consentita con riferimento alla pronuncia di primo grado, laddove le censure formulate contro quest'ultima non contengano elementi ed argomenti diversi da quelli già esaminati e disattesi, poiché il giudice di appello non è tenuto a riesaminare dettagliatamente questioni sulle quali si sia già soffermato il primo giudice con argomentazioni ritenute esatte ed esenti da vizi logici, dovendo al contrario procedere ad integrare la motivazione laddove la stessa sia mancante, in virtù del principio di piena devoluzione (Cass. Sez. V, n. 7572/99; Cass. Sez. VI, n. 10260/19).

Per tale motivo la Corte fa proprie, sul punto, le argomentazioni spese nella sentenza impugnata, che possono ritenersi in questa sede integralmente richiamate.

Ritiene solo di aggiungere questo Collegio, in relazione alla prima doglianza mossa, che la stessa risulta priva di fondamento e vada, pertanto, rigettata. Invero, preme osservare come la condotta idonea ad integrare l'elemento oggettivo del reato oggetto di contestazione consiste nell'introduzione, vendita o detenzione nel territorio dello Stato di un quantitativo di T.L.E. di contrabbando fino ai 10 kg convenzionali. Sul piano dell'elemento psicologico, poi, è necessario che il soggetto agisca con la consapevolezza e volontarietà di introdurre, vendere o detenere i tabacchi lavorati esteri contrabbandati. Orbene, l'imputato è stato ritenuto responsabile per aver detenuto - così come emerso dai verbali di perquisizione e sequestro acquisiti agli atti - 200 gr di T.L.E. suddivisi in n. 10 pacchetti di sigarette privi del necessario sigillo del Monopolio di Stato. La penale responsabilità del Pa., pertanto, veniva fatta discendere dal dato incontrovertibile del rinvenimento del tabacco di contrabbando incriminato sulla sua persona, tra l'altro mentre l'imputato era intento a rivendere i singoli pacchetti di sigarette sul ciglio della strada, circostanza che smentisce categoricamente la detenzione ai fini personali del T.L.E. e prova al di là di ogni ragionevole dubbio la sua finalità allo smercio. Non rileva, inoltre, il dato evidenziato dalla Difesa inerente alla detenzione ai fini personali del T.L.E. sequestrato in quanto, pur volendo aderire alla tesi difensiva, ciò che determina la realizzazione della fattispecie criminosa contestata è l'introduzione, la vendita, il trasporto, l'acquisto o anche la mera detenzione nel territorio dello Stato di un quantitativo di tabacco lavorato estero fino ai dieci chilogrammi, non risultando, pertanto, dirimente la messa in commercio dello stesso. Sul punto, tra l'altro, si è espressa la giurisprudenza di legittimità sostenendo che "l'autonomo reato di cui al D.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, art. 291 bis (Contrabbando di tabacchi lavorati esteri) non punisce genericamente, come il successivo art. 292, qualsiasi condotta idonea a produrre l'evento della sottrazione di merci al pagamento dei diritti di confine dovuti, bensì prevede e punisce una serie di comportamenti specifici e tassativamente indicati, e precisamente la condotta di chiunque introduce, vende, trasporta, acquista o detiene nel territorio dello Stato un quantitativo di tabacco lavorato estero di contrabbando superiore a dieci chilogrammi convenzionali" ragion per cui "occorre, per integrare il reato, da un lato, che la condotta abbia ad oggetto tabacco lavorato estero (e non nazionale) di contrabbando per un quantitativo superiore a 10 Kg. convenzionali, e, da un altro lato, che detto tabacco sia introdotto, o venduto, o trasportato, o acquistato o detenuto nel territorio dello Stato, l'introduzione, vendita, trasporto, acquisto o detenzione avvenuti nel territorio dello Stato costituisce, dunque, elemento indispensabile per la configurazione del reato in questione" (Cass. pen., Sez. Ili, n. 35425/23). Nel caso di specie, pertanto, il ritrovamento del T.L.E. in possesso del Pa. - per un totale di 200 grammi - in uno con il dato che l'imputato non abbia fornito una plausibile versione alternativa della vicenda, fuga ogni dubbio circa la piena configurazione del reato per cui si procede.

Né tantomeno risulta possibile riconoscere nel caso in esame la causa di esclusione della punibilità prevista dall'art. 131 bis c.p. in quanto la fattispecie criminosa contestata all'imputato non risulta suscettibile di essere valutata "particolarmente tenue" tanto da consentire l'applicazione dell'istituto succitato. Ed invero, l'orientamento giurisprudenziale è nel senso di ritenere che "ai fini della configurabilità della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, prevista dall'art. 131 bis c.p., il giudizio sulla tenuità richiede una valutazione complessa e congiunta di tutte le peculiarità della fattispecie concreta, che tenga conto, ai sensi dell'art. 133 co. 1 c.p., delle modalità della condotta, del grado di consapevolezza da esse desumibile e dell'entità del danno o del pericolo" (Cass. pen., SS.UU., n. 13681/2016). Non basta, quindi, ai fini della concessione del beneficio summenzionato, il semplice rispetto della soglia edittale prevista, quale condizione per l'applicazione dell'art. 131 bis c.p., così come si evince dal testo stesso della norma (la quale, a seguito della riforma apportata con il D.Lgs. 150/22 non deve essere superiore, nel minimo, a due anni) essendo necessario un quid pluris, consistente, per l'appunto, in un ponderato giudizio da parte dell'interprete sul concreto grado di lesi vita della condotta. Il quadro fattuale suesposto, pertanto, tenuto conto oltremodo dell'abitualità della condotta criminosa tenuta dal Pa. - alla luce del certificato del casellario giudiziale versato in atti- inibisce l'applicazione della scriminante succitata.

In merito, infine, ai motivi quoad poenam, questa Corte ritiene condivisibile e aderente ai fatti la dosimetria della pena così come applicata dal primo giudice, tenuto conto anche della concessione delle circostanze attenuanti generiche, tra l'altro in misura prevalente sulla recidiva contestata, ad essa pienamente riportandosi. Non risulta, tuttavia, possibile escludere la recidiva summenzionata in quanto i plurimi precedenti specifici riportati dall'imputato- tra cui l'ultimo risalente all'11.7.2016, commesso a meno di cinque anni da quello per cui si procede - risultano indici inequivocabili della spiccata attitudine del Pa. a commettere illeciti della medesima indole. Risulta, tra l'altro, principio oramai indiscusso nella giurisprudenza di legittimità quello secondo cui "ai fini del riconoscimento della recidiva reiterata è sufficiente che, al momento della consumazione del reato, l'imputato risulti gravato da più sentenze definitive per reati precedentemente commessi ed espressivi di una maggiore pericolosità sociale, oggetto di specifica ed adeguata motivazione, senza la necessità di una previa dichiarazione dì recidiva semplice". (Cass. pen., SS.UU., n. 32318/23). All'imputato, da ultimo, non possono essere concessi benefìci: mentre, infatti, la sospensione condizionale della pena non può essere riconosciuta alla luce dei molteplici precedenti specifici riportati dal Pa., che conducono inevitabilmente ad una prognosi infausta circa la possibilità che lo stesso si astenga, in futuro, dal commettere ulteriori reati, la non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale non risulta, per altro verso, idonea a favorire l'avvio di un percorso rieducativo dell'imputato.

Sulla scorta di quanto suesposto, pertanto, deriva il rigetto dei motivi di gravame, nonché la conferma della sentenza pronunciata dal giudice di primo grado.

Dal rigetto dell'appello deriva la condanna dell'istante al pagamento delle spese del presente grado di giudizio.

P.Q.M.
Visto l'art. 605 c.p.p.,

conferma la sentenza n. 764/22 emessa dal Tribunale di Nola in data 4.4.22, appellata dall'imputato Pa.Vi., che condanna alle spese del presente grado di giudizio.

Giorni 30 per il deposito della motivazione.

Così deciso in Napoli il 18 giugno 2024.

Depositata in Cancelleria l'1 luglio 2024.

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