Tribunale Nola sez. uff. indagini prel., 08/03/2012, (ud. 06/03/2012, dep. 08/03/2012), n.94
L'attribuzione di false generalità a pubblici ufficiali in servizio costituisce reato ai sensi dell'art. 496 c.p., configurandosi quando il soggetto, con piena consapevolezza e volontà, rende dichiarazioni difformi dalla realtà al fine di ingannare gli operanti.
Ragioni di fatto e di diritto della decisione
Con decreto di giudizio immediato del 2.12.2011 P.V. era tratto a giudizio per rispondere dei reati di cui agli artt. 624, 625 n. 7 c.p. (capo 1), 110, 628 co. 1 e 3 n. 1 c.p. (capo "a"), 4 L. n. 110/1975 (capo "b") meglio indicati in epigrafe.
Con atto tempestivamente depositato il 20.12.2011 il difensore dell'imputato, in forza di procura speciale, chiedeva di definire il procedimento nelle forme del giudizio abbreviato.
Fissata l'udienza del 6.3.2012, ammesso l'imputato al rito abbreviato, le parti concludevano come in atti ed il Giudice, previa camera di consiglio, pronunciava sentenza mediante lettura del dispositivo.
All'esito del giudizio abbreviato la responsabilità penale di P.V. è stata pienamente provata.
Dal verbale di arresto eseguito dal Commissariato di P.S. di Nola risulta che nella mattinata del 4.8.2011 una donna, tale F.M., era stata vittima di una rapina compiuta da due persone che viaggiavano a bordo di un'autovettura Opel corsa di colore bianco, recante targa parziale ��omissis��. In particolare, secondo quanto dichiarato dalla stessa p.o., mentre percorreva a piedi la via G.V. nel comune di Nola, era stata avvicinata da un'autovettura di colore bianco, guidata da una donna. Dall'autoveicolo era sceso il passeggero che, impugnando un coltello, le aveva detto: "dammi subito la borsa, sennò di ammazzo". Impaurita aveva consegnato la borsa al rapinatore il quale era immediatamente risalito in auto, allontanandosi. La vittima forniva una descrizione del rapinatore, indicandolo come un giovane dell'età apparente di 35/40 anni, non troppo alto, esile, con capelli leggermente brizzolati.
Pochi minuti dopo il fatto la P.G. individuava l'autovettura segnalata, una Opel targata ��omissis�� nei pressi di un distributore di carburante Q8, con a bordo P.V. e A.M., entrambi pregiudicati. Il veicolo era immediatamente ispezionato e ciò consentiva di rinvenire un coltello in acciaio e un telefono cellulare. Sotto il sedile posteriore del lato passeggero era, poi, occultata una borsa da donna contenente gli effetti personali e i documenti di F.M..
Quest'ultima, convocata presso gli uffici del Commissariato, individuava con certezza, nel corso di una individuazione di persona, in P.V. il rapinatore che, armato di coltello, si era impossessato della sua borsa.
Sempre la P.g. accertava che la vettura utilizzata per la rapina era stata furtivamente sottratta pochi giorni prima - e precisamente il 31 luglio del 2011 - a C.G..
P.V., nel corso dell'interrogatorio reso all'udienza di convalida dell'arresto, ammetteva di avere compiuto la rapina, accusandosi, altresì, del furto dell'autoveicolo Opel ...omissis....
Così ricostruiti i fatti non vi è dubbio alcuno in ordine alla responsabilità dell'imputato per il reato di rapina allo stesso ascritto, essendosi costui impossessato, mediante minaccia, consistita nel brandire un coltello ai danni della vittima, di una borsa contenente denaro, documenti ed effetti personali della stessa, a nulla rilevando che l'oggetto sia stato poi recuperato.
Al riguardo, infatti, la giurisprudenza di legittimità insegna che la consumazione del delitto di rapina si realizza non appena l'agente si sia impossessato, con violenza o minaccia, della cosa, e cioè allorché la cosa sottratta sia passata nella esclusiva detenzione e nella materiale disponibilità del predetto, con conseguente privazione, per la vittima, del relativo potere di dominio o di vigilanza. Ne consegue che anche un possesso temporaneo della cosa vale ad integrare il momento consumativo del reato, giacché anche in tal caso il recupero della refurtiva potrebbe avvenire solo con il ricorso da parte del rapinato alla violenza o ad altra decisa pressione sull'agente e, quindi, mediante una reazione di segno opposto all'azione delittuosa pienamente realizzatasi (cfr. Cass. Sez. 4 sent. 20031 del 2-5-2003, ud. 6-2-2003, rv. 225641).
Ricorre altresì la circostanza aggravante dell'uso dell'arma, tale dovendosi intendere il coltello - qualificabile come arma impropria - utilizzato dal P. per la commissione della rapina.
Si ritiene, altresì, provato il reato di furto aggravato dell'autovettura Opel ...omissis... commesso dall'imputato P.V. nei confronti di C.G. il 31.7.2011. Ciò è dimostrato non solo dal rinvenimento dell'autovettura nella disponibilità dell'imputato a breve distanza temporale dal fatto, essendo trascorsi soli quattro giorni dal furto, ma altresì dalla circostanza che all'interno del veicolo vi era ancora il telefono cellulare motorola modello V30 appartenente alla vittima, ciò che induce a escludere passaggi di mano intermedi della res. Peraltro lo stesso imputato nel corso dell'interrogatorio ha confessato di avere commesso il furto.
P.V. portava con sé, fuori dalla propria abitazione, il coltello a serramanico poi sequestrato (da considerarsi quale strumento atto ad offendere), e ciò integra la condotta prevista dall'art. 4 l. 110/1975, poiché il fatto era privo di giustificazione.
Stante l'evidente medesimezza del disegno criminoso i reati ascritti al P. possono essere unificati, per continuazione, sotto il più grave reato di cui agli artt. 110, 628 co. 1 e 3 n. 1 c.p..
La gravità dei fatti e la negativa personalità dell'imputato, pregiudicato, sono di ostacolo al riconoscimento delle invocate circostanze attenuanti generiche.
Al fine di operare un corretto trattamento sanzionatorio, deve evidenziarsi che all'imputato sono contestate la recidiva reiterata infraquinquennale e, in relazione al reato di rapina, la circostanza aggravante ad effetto speciale di cui all'art. 628 co. 3 n. 1 c.p..
La recidiva reiterata e infraquinquennale sussiste certamente alla luce dei precedenti penali quali risultano dal certificato del casellario giudiziale relativo al P..
Va ribadito in questa sede che la recidiva reiterata può essere riconosciuta in sede di cognizione anche quando in precedenza non sia stata dichiarata giudizialmente la recidiva semplice (cfr. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 18701 del 07/05/2010, Rv. 247089).
L'applicazione della recidiva è obbligatoria, poiché il P.V. ha commesso un delitto (art. 110, 628 co. 1 e 3 n. 1 c.p.) riconducibile al catalogo di cui all'art. 407 c.p.p., comma 2, lett. a), a nulla rilevando che non vi rientrino anche i delitti per cui vi è stata precedente condanna (cfr. ex plurimis Sez. 1, n. 36218 del 23/09/2010, dep. 11/10/2010, Pi., Rv. 248289; Sez. 2, n. 27599 dell'11/06/2009, dep: 06/07/2009, H., Rv. 244668).
Si deve poi richiamare la sentenza resa dalle S.U. della Corte di Cassazione, n. 20798 del 24.2.2011, dep. 24.5.2011, secondo cui la recidiva è circostanza aggravante ad effetto speciale quando comporta, come nel caso di specie, un aumento di pena superiore a un terzo e pertanto soggiace, in caso di concorso con circostanze aggravanti dello stesso tipo, alla regola dell'applicazione della pena prevista per la circostanza più grave. Con possibilità per il giudice di operare un ulteriore aumento (art. 63 co. 4 c.p.)
Circostanza più grave è quella connotata dalla pena più alta nel massimo edittale e, a parità di massimo, quella con la pena più elevata nel minimo edittale, con l'ulteriore specificazione che l'aumento da irrogare in concreto non può in ogni caso essere inferiore alla previsione del più alto minimo edittale per il caso in cui concorrano circostanze, delle quali l'una determini una pena più severa nel massimo e l'altra più severa nel minimo.
Nel caso di specie l'applicazione delle circostanze aggravanti ex art. 628 co. 3 n. 1 c.p. comporta una pena più elevata nel massimo edittale, pari ad anni venti di reclusione ed euro 3.098,00 di multa.
Tuttavia l'aumento di pena da irrogare non può essere inferiore alla previsione del più alto minimo edittale quale discenderebbe dall'applicazione dell'aumento della recidiva ex art. 99 co. 5 c.p. (pari a due terzi del minimo edittale previsto dall'art. 628 co. 1 c.p., dunque a cinque anni di reclusione ed euro 3.098,00 di multa).
Quindi, tenuto conto di tali principi, si ritiene congruo individuare la pena base, per il più grave reato di rapina aggravata, valutati tutti gli indici di commisurazione della pena di cui all'art. 133 c.p., in anni cinque di reclusione ed euro 3.100,00 di multa, da aumentarsi per la recidiva, ex art. 63 co. 4 c.p., alla pena di anni cinque mesi tre di reclusione ed euro 3.500,00 di multa, tenuto conto della spiccata pericolosità sociale dimostrata dall'imputato.
Detta pena va ulteriormente aumentata, per effetto della continuazione con il reato di furto aggravato dell'autoveicolo con il quale è stata commessa la rapina, ad anni cinque mesi sei di reclusione ed euro 4.000,00 di multa, nonché con il reato di cui all'art. 4 L. 110/1975 ad anni cinque mesi nove di reclusione ed euro 4.500,00 di multa.
Non opera, qui, il limite di aumento minimo per la continuazione, pari ad un terzo della pena stabilita per il reato più grave (art. 81 c.p., comma 4 novellato dalla L. n. 251 del 2005, art. 5) poiché l'imputato non è stato ritenuto recidivo con una sentenza definitiva emessa antecedentemente alla data di commissione dei reati per i quali si procede (cfr. in tal senso Cass., Sez. 1, n. 32625 del 2/7/2009, rv. 244843; Cass Sez. 1, n. 31735 del 01/07/2010, rv. 248095).
Tale pena deve essere ridotta di un terzo per effetto della scelta del rito abbreviato alla pena di anni tre mesi dieci di reclusione ed euro 3.000,00 di multa.
Ai sensi degli artt 28 e ss. c.p. l'imputato deve essere interdetto dai pubblici uffici per cinque anni.
Segue per legge la condanna dell'imputato al pagamento delle spese processuali e di mantenimento in carcere durante la sofferta custodia cautelare.
Ai sensi dell'art. 240 c.p. deve ordinarsi la confisca e distruzione del coltello in sequestro.
P.Q.M.
Visti gli artt. 442, 533 e 535 c.p.p. dichiara P.V. colpevole dei reati allo stesso ascritti, unificati per continuazione sotto la più grave imputazione di cui agli artt. 110, 628 co. 1 e 3 n. 1 c.p. e, valutata la contestata recidiva ed applicata la diminuzione di pena prevista per la scelta del rito, lo condanna alla pena di anni tre mesi dieci di reclusione ed euro 3.000,00 di multa, oltre che al pagamento delle spese processuali e di mantenimento in carcere durante la custodia cautelare.
Visti gli artt. 28 e ss. c.p. dichiara l'imputato interdetto dai pubblici uffici per cinque anni.
Visto l'art. 240 c.p. ordina la confisca e distruzione del coltello in sequestro.
Nola, 6.3.2012.