Corte appello Roma sez. II, 09/07/2024, n.5723
La falsa compilazione del memoriale di servizio da parte di un carabiniere integra il reato di falso ideologico in atto pubblico, poiché tale documento ha natura di atto pubblico secondo il Regolamento dell'Arma. Inoltre, le false attestazioni volte a ottenere indebite indennità configurano anche il reato di truffa, essendo gli artifici e raggiri utilizzati idonei a ingannare e a procurare un ingiusto profitto con altrui danno.
RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE
Con sentenza del Tribunale dì Roma in composizione monocratica in data 8 novembre 2023, all'esito di un rito ordinario, Br.SP. è stato ritenuto colpevole dei reati ascrittigli unificati sotto il vincolo della continuazione e, concesse le attenuanti generiche equivalenti alla contestata aggravante, è stato condannato alla pena di nove mesi di reclusone. Pena sospesa.
Dopo aver ricostruito quanto emerso a seguito della deposizione dei testi circa le presenze dell'imputato nei giorni e nelle occasioni riportate nella imputazione e sulla base della prova documentale costituita dai registri acquisiti in atti, attestanti i servizi resi, la sentenza ha ritenuto dimostrata la penale responsabilità dell'imputato per i reati contestatigli.
Ha in primo luogo rilevato che il reato contestato all'imputato era quello di cui al comma 1 e non all'art. 479 c.p., comma 2 e che, conseguentemente l'imputato non era accusato di avere commesso la più grave fattispecie del falso fidefaciente.
Quindi ha osservato che, dall'esito dell'attività istruttoria, era emersa sia la materialità delle condotte poste in essere dall'imputato relative all'apposizione di dati difformi da quelli effettivi, sia la loro volontarietà, in ragione della non occasionalità delle stesse e della significativa incidenza oggettiva della rilevata difformità, poiché dispiegatasi in relazione ad un apprezzabile lasso temporale, circostanze, queste, che precludevano l'accoglimento dell'istanza della difesa di definizione del processo con una pronuncia assolutoria ex art. 131 bis c.p.
Ha infatti evidenziato che. attraverso le false annotazioni apposte nella compilazione del modello SUP a firma dell'imputato, quest'ultimo aveva attestato la propria presenza in ufficio durante le giornate e per le ore ivi indicate per lo svolgimento di attività asseritamente svolte, richiedendo la corrispettiva somma di denaro maturata a titolo di indennità.
Ha affrontato il terna della natura di atto pubblico dei documenti compilati dall'imputato secondo la giurisprudenza della Suprema Corte che ha ritenuto integrato il delitto di falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atto pubblico qualora, per il contenuto relativo anche ad una manifestazione esterna della volontà e dell'azione della P.A., il documento dispieghi, come ritenuto nel caso in esame, un oggettivo rilievo e un interesse eccedente l'area del mero rapporto di impiego tra l'ente pubblico ed un suo dipendente, confutando la tesi difensiva secondo cui si sarebbe trattato di meri cartellini marcatempo, come tali soggetti a disciplina privatistica.
Quanto all'elemento soggettivo, ha ritenuto pacifico che ai fini dell'integrazione del delitto di falsità, materiale o ideologica, in atto pubblico, fosse richiesto il dolo generico, il quale, tuttavia, non poteva essere considerato in re ipsa. A tal proposito ha evidenziato che avrebbe dovuto essere noto all'imputato che. secondo il Regolamento generale dell'Arma dei Carabinieri (cap. IV art. 29), il memoriale di servizio costituiva "un documento fondamentale del comando di stazione", la cui compilazione era peraltro rigidamente disciplinata dallo stesso Regolamento.
Era quindi indubbio che l'imputato avesse realizzato le condotte ascritte, fondandosi la circostanza su comprovati riscontri testimoniali, dichiarazioni che ben potevano essere contestate puntualmente dall'imputato che, invece, nel corso del suo esame, ammettendo in parte l'addebito, aveva sostenuto che in altre occasioni si sarebbe trattenuto in servizio ben oltre l'orario di lavoro stabilito e non avrebbe segnato le ore di straordinario, invocando, in tal modo una sorta di compensazione. Ha escluso che si potesse trattare di mera negligenza da parte dell'imputato nel redigere il memoriale di servizio, anche sotto il profilo della mancata annotazione di ore di straordinario in realtà svolto, tema sul quale l'imputato si era soffermato nel corso del suo esame dibattimentale, accennando alle molteplici complesse esperienze lavorative che lo avrebbero trattenuto in ufficio ben oltre l'orario di servizio, senza annotare le ore di straordinario, evidenziando la sua grande e costante disponibilità ad occuparsi dei suoi compiti di Comandante, ipotizzando la possibilità di una soggettiva convinzione di poter compensare ore di lavoro, anche a titolo di straordinario, non pagate con eventuali debiti per le ore retribuite durante la ritenuta assenza dal lavoro. Ha ritenuto tuttavia infondata la tesi della compensazione, trattandosi di un rapporto di lavoro di natura pubblica, essendo del tutto arbitraria una eventuale simile prassi, in assenza di ogni formalizzazione della stessa, nonché alla luce della significativa esperienza di servizio dell'imputato, certamente in grado di comprendere l'illegalità di un tale comportamento.
Quanto al delitto di truffa, ha premesso che la costante giurisprudenza di legittimità ivi richiamata era orientata nel ritenere che la sola menzogna fosse di per sé sufficiente ad integrare gli elementi costitutivi del delitto di truffa costituendo una tipica forma di raggiro ma che, comunque, nel caso in esame non si era di fronte ad una semplice menzogna, posto che. come risultato provato dalle dichiarazioni testimoniali e dalla documentazione prodotta dal P.M. gli artifici e raggiri erano consistiti nel predisporre atti falsi con sicura idoneità ingannatoria: l'imputato aveva comunicato al competente ufficio amministrativo di avere effettuato ore di lavoro straordinario, in realtà non svolto, nonché di avere diritto a indennità stipendiali accessorie, per servizi indicati al capo n. 1) dell'imputazione che invece non aveva effettuato. La condotta tenuta dallo Sp. aveva determinato l'attribuzione di compensi per lavoro straordinario, per lavoro festivo, e di altre indennità in realtà non spettanti, per un corrispettivo complessivo pari ad Euro 316.82. trattandosi di attività di servizio non svolte.
Avverso la sentenza, ha proposto rituale e tempestivo appello l'avv. Ma.Vi., difensore di fiducia dell'imputato, il quale ha articolato i seguenti motivi di impugnazione:
1) Erronea valutazione delle risultanze processuali in ordine alla sussistenza del reato di falso inesistenza e/o elemento costitutivo degli artifici e raggiri di cui alla truffa contestata sub. B.
Ha osservato, in primo luogo, che, relativamente al capo 1) il Tribunale era incorso in un macroscopico errore ove aveva ritenuto che la condotta contestata all'imputato costituisse autonomo reato dal momento che la falsa attestazione del dipendente pubblico circa la presenza in ufficio riportata nei fogli di presenza non poteva dirsi integrare, per giurisprudenza costante, il reato di falso ideologico ma quello di truffa. La Suprema Corte, da ultimo con sen. n. 41426 del 25 settembre 2018, aveva ribadito che i cartellini marcatempo o i fogli di presenza, (come in questo caso), non avevano natura di atto pubblico, trattandosi di documenti di mera attestazione del dipendente inerenti il rapporto di lavoro, che, peraltro, non contengono manifestazioni dichiarative o di volontà riferibili alla p.a.
Dalla semplice lettura della modalità di compilazione del memoriale di servizio, si evinceva che non si trattava di falso in atto pubblico non essendo tale memoriale un atto pubblico ed era di tutta evidenza che compilandolo il giorno prima per il giorno dopo era più che possibile che vi fosse stata una dimenticanza per non aver corretto il servizio che non era stato prestato.
2) Carenza dell'elemento psicologico del reato di truffa.
Il Tribunale aveva fondato la dichiarazione di responsabilità dello Sp. sulle dichiarazioni dei militari della stazione di Prima Porta e del Maggiore Salamone traendone le conclusioni di cui in motivazione. Non era stata in alcun modo valorizzata la versione alternativa proposta dalla difesa. Gli elementi costitutivi della truffa militare non erano identici a quelli della truffa punita dall'art. 640 c.p. ma vi erano alcune differenze che riguardavano il soggetto attivo e il soggetto passivo che, nel reato previsto dall'art. 234 c.p.m.p., coincidevano entrambi con il militare. Quando si parlava di truffa militare aggravata, il profitto illecito poteva riguardare qualsiasi tipo di utilità, anche non economica; il danno, invece, doveva avere necessariamente un contenuto economico concreto. Nel caso di specie si trattava di episodi del tutto marginali in cui non era possibile ravvisare né il profilo oggettivo (mancanza di danno rilevante per l'Amministrazione), né quello soggettivo (dolo) gli elementi del reato in contestazione;
3) Sulla mancata concessione della particolare tenuità del fatto.
Aveva errato il Tribunale a ritenere le condotte non occasionali in quanto avvenute in un apprezzabile lasso temporale. Le condotte erano avvenute in continuazione in un limitato lasso temporale come tali non incompatibili rispetto ad un loro inquadramento ex art. 131 bis c.p.
All'odierna udienza il giudizio è stato trattato con rito cartolare e deciso con il dispositivo che segue di cui è stata data rituale comunicazione alle parti.
L'appello è infondato.
Per la ricostruzione dei singoli episodi di falso che sono stati contestati all'imputato si fa rinvio all'ampia istruttoria dibattimentale riportata nella motivazione della sentenza di primo grado e le cui risultanze in termini fattuali non sono state oggetto di contestazione in appello. Può dirsi dunque pacificamente accertato che le attività che l'imputato ha annotato sul cd. "memoriale di servizio", nei giorni e nelle ore indicate, non sono state in realtà prestate non essendo lo stesso presente sul luogo di lavoro.
La prima questione sollevata dall'appellante, che ha formato anch'essa oggetto di ampia e corretta disamina da parte del Tribunale, è stata quella della natura del memoriale e delle annotazioni su di esso riportate dal militare circa la presenza ed i servizi prestati.
Va ribadito che tale documento ha natura di atto pubblico e che le false attestazioni in esso contenuto j integrano il reato contestato.
Il memoriale - in ragione della natura del servizio prestato e del contenuto in esso previsto come dal Regolamento militare - non può essere ricondotto, neanche per la parte attestante la presenza ed i servizi effettuati, ad un mero documento assimilabile a "cartellino marcatempo".
La questione è stata ampiamente riportata nella motivazione della sentenza impugnala in termini congrui e compiuti che qui si ribadiscono e trova conforto in diverse pronunce della Corte di Cassazione che ha affrontato lo specifico tema della natura di tale memoriale, confermando principi consolidali: "Integra il delitto di falso ideologico in atto pubblico la condotta del carabiniere che, in sede di compilazione del memoriale di servizio giornaliero dell'Arma dei carabinieri, attesti falsamente di avere eseguito in un determinato contesto temporale attività di servizio, poiché le annotazioni di detto memoriale hanno natura di atto pubblico, ai sensi del Regolamento generale dell'Arma, che assegna a detto documento la funzione di registrare i comandi impartiti e i servizi, interni ed esterni alla caserma, assegnati ai militari dipendenti (così, Cass. Sez. 5, n. 45441 del 07/10/2019).
Ugualmente deve dirsi integrato il reato di truffa contestato al capo b) della imputazione, atteso che le false annotazioni riportate sul memoriale sono state lo strumento ossia "gli artifici" che il militare ha utilizzato per lucrare indebite indennità connesse alle false presenze che. come è dato verificare dalle date in cui esse sono state attestate, sono per la gran parte da ricondurre a giornate festive o prefestive, rispetto alle quali il valore economico della presenza si presenta maggiormente rilevante. Lo scopo delle false attestazioni risulta pertanto in maniera inequivoca riconducibile alla finalità di lucro e determinante un danno all'amministrazione.
La difesa dello SP., formulata anche personalmente in sede di esame, è stata volta a ridimensionare la valenza della condotta per spingerla verso apprezzamenti di leggerezza quando non latamente compensatori, come ampiamente sottolineato e confutato dalla sentenza di primo grado, rispetto, per contro, alle effettive presente avute in ufficio, spesso asseritamente non registrate, a significare una mancanza di precisione o un disordine, non conferente sotto il profilo del dolo. Tali argomentazioni non riescono a fondare una ragionevole persuasione tenuto conto non solo dell'obbiettivo e riscontrato danno a carico dell'Amministrazione a fronte di presunti crediti riferiti ed indimostrati, ma collidono con i caratteri del servizio che l'imputato è tenuto a prestare che si deve contraddistinguere, per la natura delle funzioni e per i rilevanti interessi pubblici ad esso connessi, per puntualità, trasparenza e irreprensibilità, connotati intrinseci dell'atteggiarsi del militare rispetto al proprio servizio.
Non possono quindi essere accolte le argomentazioni volte al ridimensionamento della componente soggettiva di reati contestati, per i quali sussiste il dolo sia generico richiesto dal reato di falso ben dovendo essere consapevole il militare del grado di Maresciallo Maggiore dei Carabinieri e di Comandante di Stazione, della portata e rilievo delle proprie attestazioni, sia della finalità di lucro connessa alla presenza in giornate alle quali si riconnettono indennità aggiuntive. Lungi dal potere essere ascrivibile alla fattispecie di lieve entità di cui all'art. 131 bis c.p. sulla base di un calcolo del mero danno economico in concreto provocato all'Amministrazione - tenuto conto che il danno a tale ristretta componente economica non può astrattamente essere limitato venendo in rilievo il prestigio e l'onore delle istituzioni - la condotta appare grave sia per la reiterazione degli episodi in un arco temporale che si dipana in due anni, sia per il ruolo ricoperto dall'imputato per il suo alto grado e per la ripercussione traumatica di tali condotte illecite nell'ambito della struttura organizzativa di riferimento.
La sentenza deve in conclusione essere confermata in ogni sua statuizione.
Visto l'art. 544. 3 co., c.p.p. per ragioni organizzative e di carico di ruolo, si indica in sessanta giorni il termine per il deposito della motivazione.
P.Q.M.
Visto l'art. 23 bis L. 176/2020 e ss.modd.,
conferma la sentenza del Tribunale di Roma in data 8 novembre 2023 appellata da SP.Br. che condanna al pagamento delle spese del grado.
Fissa in giorni 60 il termine per il deposito della motivazione.
Così deciso in Roma il 16 maggio 2024.
Depositato in Cancelleria il 9 luglio 2024.