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Sospensione condizionale: Va concessa in presenza di precedenti per fatti non recenti e disomogenei.

Si sottopone all'attenzione dei lettori questa pronuncia della corte di appello di Napoli che ha concesso all'imputato il beneficio della sospensione condizionale della pena, pur risultando lo stesso gravato da un precedente per un fatto commesso in tempi non recenti, per cui è intervenuta sentenza di condanna ai sensi dell'art. 444 c.p.p. e dichiarato estinto ai sensi dell'art. 445 c.p.p..

Corte appello Napoli sez. III, 07/03/2022, (ud. 25/02/2022, dep. 07/03/2022), n.1804


RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE

All'udienza del 2 luglio 2018 il Tribunale di santa Maria Capua Vetere ha emesso la sentenza n° 3782/20180, con la quale ha dichiarato Pr. At. Gi., colpevole del delitto a lui ascritto e, concesse le circostanze attenuanti generiche di cui all'art. 62 bis c.p., lo ha condannato alla pena di anni uno e mesi quattro di reclusione ed Euro 4000,00 di multa, oltre che al pagamento delle spese processuali. Ha ordinato la confisca dei tre assegni da 3.300,00, nr. (omissis), (omissis) e (omissis), tutti tratti su Ba. Po. di Ba., con scadenza rispettivamente al (omissis), (omissis) e (omissis).


Contro tale sentenza ha proposto appello la Difesa dell'imputato, chiedendo nel merito:


• La nullità del decreto che dispone il giudizio per omessa o insufficiente specificazione del fatto contestato, attesa l'omessa indicazione della classe di appartenenza dell'operazione creditizia e del relativo calcolo del tasso soglia di riferimento; circostanza che incideva sfavorevolmente sulla descrizione del fatto, con evidente incidenza sul diritto di difesa dell'imputato;


•L'assoluzione perché il fatto non sussiste o l'imputato non lo ha commesso; la difesa, in particolare rileva che il tribunale sammaritano avrebbe respinto, senza adeguata motivazione, la tesi del consulente della difesa di sussumibilità dell'operazione nella categoria "scoperti senza affidamento, oltre Euro 1500,00".


• La difesa osserva, inoltre, che nel caso di specie mancherebbe il presupposto indispensabile del reato di usura, ovvero la corresponsione di una somma di danaro da parte del mutuante; nonché l'elemento soggettivo, quale rappresentazione, da parte dell'agente, dell'entità illegale del corrispettivo ottenuto in promessa o percepito.


• La concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena, per erronea interpretazione dell'istituto dell'estinzione del reato ex art. 445 c.p.p.;


In data odierna si è celebrato il relativo giudizio, all'esito del quale osserva questa Corte quanto segue.


Il primo motivo di appello relativo alla nullità del decreto che dispone il giudizio per omessa o insufficiente specificazione del fatto contestato, va respinto.


Sul punto va richiamato l'orientamento dei giudici di legittimità secondo cui "in tema di citazione a giudizio, non vi è incertezza sui fatti descritti nell'imputazione quando questa contenga, con adeguata specificità, i tratti essenziali del fatto di reato contestato, in modo da consentire all'imputato di difendersi" (Sez. 5, nr. 16993 del 2/3/2020 ud (dep. 476/2020) rv 279090-01.


Nel caso in esame risulta che il capo di imputazione fornisca una adeguata descrizione del fatto contestato, oggetto di imputazione, fornendo tutti gli elementi di fatto e di diritto, di talché il prevenuto ha potuto articolare una specifica difesa tecnica, nominando a tal fine, anche un proprio consulente.


Con il primo motivo di appello la Difesa chiede l'assoluzione dal reato contestato, quantomeno ai sensi dell'art. 530 cpv c.p.p., perché il fatto non sussiste e/o per non averlo commesso, in particolare per l'immotivato diniego relativo alla sussumibilità dell'operazione nella categoria "scoperti senza affidamento, oltre Euro 1500,00".


Trattasi dell'usura nei confronti di Ca. Fl. che, nel (omissis) del (omissis), commissionava all'imputato la realizzazione di una piscina da realizzare nella sua azienda agrituristica per un importo di Euro 32.000, di cui circa 22-23.000,00 venivano pagati in contanti o con assegni.


La denunciante dichiarava che, a titolo di pagamento della somma, consegnava al Pr. tre assegni dell'importo di Euro 3000,00, ciascuno, con la scadenza ad ottobre, novembre e dicembre del (omissis); in prossimità della scadenza del primo assegno la donna chiedeva al prevenuto la sostituzione dei titoli, ottenendo, dunque, una dilazione di sei mesi, previo il pagamento di un interesse di Euro 300,00 per ciascun assegno; ella precisava che l'accordo tra le parti veniva cristallizzato in una scrittura privata sottoscritta dalle parti, acquisita in copia all'udienza del 29/10/2014.


L'imputato, sottopostosi ad esame nella stessa udienza, dichiarava di aver ricevuto dal compagno della Ca., sette assegni di 3000,00 Euro, ciascuno, tutti post-datati, il primo in scadenza nel mese di settembre del (omissis) e di aver, poi, rinnovato tali assegni sempre su richiesta del compagno della donna. Egli, tuttavia, negava di aver chiesto un interesse per la sostituzione di questi titoli, sostenendo che l'importo maggiorato di Euro 3000,00, per ciascuno dei nuovi assegni, risultava una scelta volontaria del compagno della donna, a titolo di ringraziamento per la riconosciuta dilazione del debito.


Il primo rilievo della difesa, ovvero della sussumibilità dell'operazione, nella categoria 1, ovvero "scoperto senza affidamento, oltre i 1500,00 Euro" non può trovare accoglimento; invero, come correttamente osservato dal consulente del tribunale - non disatteso dal consulente della difesa - osta alla riconducibilità dell'operazione nella categoria indicata la mancanza di un conto corrente e l'elasticità nell'utilizzo del credito tipica del fido, nonché, con particolare riguardo all'uso della provvista ovvero l'utilizzo da parte del correntista di una provvista in relazione alla quale non risulta preventivamente autorizzato; ovvero tale mancanza di contrattazione giustifica un addebito di interessi sul conto scoperto a tasso convenzionalmente più alto rispetto ad un conto semplicemente passivo, mentre tra il Pr. e la Ca. interveniva un accordo preciso sul pagamento dilazionato ad un tasso concordato.


Inoltre non si può che convenire con l'analisi del perito relativa all'esclusione dal computo degli interessi pattuiti tra l'imputato e la Ca., degli interessi di mora, in mancanza del presupposto della scadenza del termine di pagamento degli assegni, avendo le parti novato il debito, con la conseguente sostituzione degli assegni con altri tre assegni di scadenza posticipata di sei mesi ed importo maggiorato.


Le circostanze indicate portano, dunque, a ritenere sussistente un'ipotesi di usura, in quanto per il periodo indicato, il tasso praticato dalla Ba. di It. risultava pari al 14.1375%, ragion per cui la somma di Euro 900,00 complessivi, a fronte di una dilazione di sei mesi del pagamento di una somma di Euro 9000,00 comporta, su base annua, l'applicazione di un tasso di interesse, pari al 20%, largamente superiore alla soglia indicata; sul punto va solo precisato che la norma di cui all'art. 644 c.p. è chiara nel non limitare il corrispettivo della dazione o della promessa di interessi usurari ad una prestazione di danaro e nell'estendere, piuttosto, tale corrispettivo a qualsiasi altra utilità, quale, nel caso di specie, è da ritenere la mera dilazione del pagamento del debito.


In relazione alla questione proposta dalla difesa inerente la mancanza dell'elemento soggettivo, va ricordato che la SC, ha avuto modo di precisare (cfr. sez. 2, nr. 49138 del 21/11/2016) che il reato di usura è punibile solo a titolo dolo diretto, che consiste nella cosciente volontà di conseguire i vantaggi usurari; infatti il dolo eventuale o indiretto postula una pluralità di eventi (conseguenti all'azione dell'agente e da questi voluti in via alternativa o sussidiaria nell'attuazione del suo proposito criminoso) che non si verifica nel reato di usura in cui vi è l'attingimento dell'unico evento di ottenere la corresponsione o la promessa di interessi o vantaggi usurari, in corrispettivo di una prestazione o di altra cosa mobile.


Nel caso di specie risulta che l'imputato fosse, bene a conoscenza delle necessità della Ca. di differire il pagamento dei suoi debiti, pattuendo con la stessa la dilazione del pagamento, con la sostituzione degli assegni con altri di importo maggiorato, perseguendo, in tal modo, l'ingiusto vantaggio usurario.


Il trattamento sanzionatorio risulta del tutto mite e conforme ai criteri di cui all'art. 133 c.p., essendo il giudice partito da una pena pari al minimo edittale, con la riduzione a seguito della concessione delle circostanze attenuanti generiche.


Per quanto concerne la richiesta di sospensione condizionale della pena, la Corte osserva che secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, la pena applicata all'esito del patteggiamento, essendo equiparata ad una sentenza di condanna, legittimamente assume rilievo nel giudizio di concedibilità del beneficio della sospensione condizionale della pena. Si è affermato che la sentenza di patteggiamento può essere ostativa alla concessione di una successiva sospensione condizionale, in quanto "applicando la pena", essa, sotto tale profilo, è equiparabile ad una pronuncia di condanna (Sez. 5, n. 1776 del 20/03/1998, Rv.210929-01) e che essa, in ragione dell'equiparazione legislativa ad una sentenza di condanna in mancanza di un'espressa previsione di deroga, costituisce titolo idoneo per la revoca, a norma dell'art. 168, comma primo, n. 1 cod. pen., della sospensione condizionale della pena precedentemente concessa (Sez. U, n. 17781 del 29/11/2005, dep. 23/05/2006, Rv.233518-01). La rilevanza della sentenza di patteggiamento quale "precedente penale" è stata già affermata, con analoghe considerazioni, con riferimento al diniego di applicabilità delle circostanze generiche, precisandosi che essa è valutabile nel contesto dell'art. 133 cod. pen. anche nell'ipotesi in cui sia già intervenuta, ai sensi dell'art. 445, secondo comma, cod. proc. pen., l'estinzione del reato cui la sentenza si riferisce (cfr. Sez.3, n. 23952 del 30/04/2015, Rv.263850-01; Sez. 4, n. 11225 del 15/06/1999, Rv.214770-01).


Del resto costituisce affermazione consolidata che tra gli effetti penali che si estinguono, ai sensi dell'art. 445, comma 2, cod. proc. pen., a seguito dell'estinzione del reato oggetto di sentenza irrevocabile di patteggiamento, non rientrano le valutazioni ai fini della pericolosità sociale (così, in termini, Sez.6, n. 37472 del 20/06/2017, Rv. 271370-01; Sez. 1 n. 1063 del 17/12/2008, dep. 13.1.2009, Rv 243929). Pertanto, stante la equiparazione della sentenza di applicazione della pena ad una sentenza di condanna, essa costituisce indubbiamente un "precedente penale" ed è statuizione valutabile nel contesto dell'art. 133 cod. pen. ai fini del giudizio di diniego del beneficio della sospensione condizionale, specie ove si consideri che l'art. 133 cod. pen. richiama, oltre che i precedenti penali, anche quelli giudiziari.


Ciò premesso si osserva che l'imputato risulta gravato da un precedente per un fatto commesso in tempi non recenti, per cui è intervenuta sentenza di condanna ai sensi dell'art. 444 c.p.p., dichiarato estinto ai sensi dell'art. 445 c.p.p.; trattandosi di un fatto commesso in tempi non recenti e per fatti, del tutto disomogenei rispetto a quello per cui si procede, si può ritenere che esso non costituisca valido presupposto per il diniego del beneficio richiesto.


Per tutte le ragioni svolte la sentenza di primo grado va confermata sotto il profilo della responsabilità penale dell'imputato, riformandola, e esclusivamente, per ciò che concerne la concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena.


PQM

Letti gli artt. 605 e segg. c.p.p., 163 c.p. in riforma della sentenza emessa dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere del 2 luglio del 2018 nei confronti di Pr. Do. e appellata dallo stesso, concede all'imputato il beneficio della sospensione condizionale della pena.


Conferma, nel resto l'impugnata sentenza.


Così deciso in Napoli, il 25 febbraio 2022


Depositata in Cancelleria il 7 marzo 2022

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