Truffa contrattuale: irrilevante la veste negoziale, conta l’inganno (Cass. Pen. n. 31826/25)
- Avvocato Del Giudice

- 25 set
- Tempo di lettura: 10 min

Indice:
2. La decisione
3. Osservazioni
1. La vicenda processuale
La Corte di appello di Brescia, nel gennaio 2025, aveva confermato la responsabilità penale dell’imputato, subordinando però la sospensione condizionale della pena al risarcimento della persona offesa e concedendo la non menzione.
La difesa ha impugnato in Cassazione sostenendo due punti:
che non vi fosse truffa, poiché il rapporto andava qualificato come mutuo/investimento con restituzione maggiorata da interessi, e non come compravendita aliud pro alio;
che la Corte di appello avesse violato il divieto di reformatio in peius, aggravando la posizione dell’imputato subordinando il beneficio al pagamento delle statuizioni civili.
2. La decisione
La Cassazione ha escluso entrambe le doglianze.
Sul piano oggettivo, ha affermato che la natura del negozio (compravendita, mutuo, investimento) non incide sulla qualificazione della condotta: ciò che rileva è che la vittima sia stata indotta in errore e abbia subito un pregiudizio patrimoniale a seguito dell’inganno.
Nel caso di specie, il fatto che le pietre consegnate come garanzia fossero prive di valore integra in pieno gli estremi della truffa, a prescindere dall’inquadramento civilistico del rapporto.
Sul piano processuale, la Corte ha chiarito che non vi è stata reformatio in peius: l’art. 597, co. 3, c.p.p. vieta la revoca di benefici in assenza di impugnazione del P.M., ma non impedisce alla Corte di appello di subordinare la sospensione condizionale all’adempimento di uno degli obblighi previsti dall’art. 165 c.p., come il pagamento delle somme dovute alla parte civile.
3. Osservazioni
La pronuncia afferma due principi:
la truffa contrattuale non si esaurisce nella “compravendita aliud pro alio”, ma si estende a ogni operazione in cui l’inganno vizia il consenso e determina una dazione patrimoniale;
il divieto di reformatio in peius ha natura eccezionale e non può essere esteso analogicamente alle modalità di fruizione della sospensione condizionale.
4. La sentenza integrale
Cassazione penale sez. II, 18/09/2025, (ud. 18/09/2025, dep. 23/09/2025), n.31826
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza in data 20 gennaio 2025 la Corte di Appello di Brescia, in parziale riforma della sentenza in data 4 aprile 2024 del Tribunale della medesima città, appellata dall'imputato e dalla parte civile, ha:
- subordinato il già concesso beneficio della sospensione condizionale della pena al pagamento della somma già statuita a titolo risarcitorio alla parte civile, entro il termine di un anno e mesi sei dal passaggio in giudicato della sentenza;
- concesso all'imputato il beneficio della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale;
- confermato nel reato l'affermazione della penale responsabilità dell'imputato Pi.Ma. in relazione a due contestati reati di concorso (con Ma.Pe.nei confronti del quale si procede separatamente) nei reati di tentata truffa aggravata (artt. 110,56,640,61 n. 7, cod. pen.) e di truffa aggravata (artt. 110,640,61 n. 7, cod. pen.) ai danni di Eu.Pe.
In sintesi, si contesta all'imputato (unitamente al Ma.Pe.), con artifizi e raggiri:
- di aver proposto in vendita al Eu.Pe.tre diamanti del valore di mercato di 163.000,00 Euro a prezzo notevolmente scontato, inducendo in errore la persona offesa circa la genuinità e il valore dei predetti preziosi (rivelatisi in realtà gemme ad imitazione del diamante di valore irrisorio) la quale effettuava a favore dei soggetti agenti due bonifici per complessivi 15.000,00 Euro (successivamente annullati) (capo A della rubrica delle imputazioni);
- di avere consegnato al Eu.Pe., quale garanzia, due diamanti racchiusi nei rispettivi blister che risultavano falsificati, così inducendo la persona offesa, nell'erroneo convincimento della genuinità delle pietre, a consegnare loro mediante bonifici la complessiva somma di 70.000,00 Euro (capo B).
I fatti di cui al capo A risalgono al 15 marzo 2018, mentre quelli di cui al capo B dal 6 luglio 2017 al 18 agosto 2018.
2. Ricorre per Cassazione avverso la predetta sentenza il difensore dell'imputato, deducendo:
2.1. Violazione di legge e vizi di motivazione ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. in relazione agli artt. 640 cod. pen. e 546, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. con riguardo agli elementi costitutivi del reato di truffa contrattuale, nonché in relazione alla qualificazione giuridica del contratto inteso come compravendita anziché come contratto di mutuo.
Evidenzia la difesa del ricorrente che l'atto posto in essere dal Ma.Pe. (giudicato separatamente) non può essere qualificato come "compravendita aliud pro alio" essendo emerso dal costrutto probatorio che la dazione di denaro fosse finalizzata ad investimenti con il corrispettivo di interessi mensili da parte degli imputati a prescindere dall'importo ottenuto dalle potenziali vendite in relazione alle somme versate dal Ma.Pe. e dal Pi.Ma. al Eu.Pe.
Ne conseguirebbe che le pietre furono consegnate a titolo di pegno e non sarebbero stati oggetto del contratto di compravendita, il quale ultimo non avrebbe previsto la corresponsione di interessi.
La Corte territoriale non si sarebbe tuttavia confrontata con il tema proposto dalla difesa del ricorrente ed avrebbe travisato gli elementi probatori emersi in giudizio con riferimento sia alle dichiarazioni resa sul punto dalla persona offesa, sia in relazione ad una dicitura posta in calce alla scrittura privata redatta tra le parti nella quale si fa espresso riferimento ad un "prestito".
2.2. Violazione di legge e vizi di motivazione ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. in relazione agli artt. 133 e 163 cod. pen. e 576, 597, comma 3, cod. proc. pen.
Deduce la difesa del ricorrente che avendo la Corte di appello ha subordinato il beneficio della sospensione condizionale della pena al pagamento delle statuizioni civili avrebbe determinato una illegittima reformatio in peius della sentenza di primo grado, in quanto l'appello della parte civile non poteva che avere ad oggetto le statuizioni civili nella loro entità e nella loro connessione con i fatti ma non avrebbe potuto incidere su elementi relativi al trattamento sanzionatorio dell'imputato.
Del resto, prosegue la difesa del ricorrente, vista la provvisoria esecutività della sentenza di appello, la parte civile avrebbe mantenuto in ogni caso il proprio diritto al risarcimento del danno.
A ciò si aggiunge che, avendo la persona offesa versato su conti correnti separati, al Ma.Pe. ed al Pi.Ma. la somma di 40.000,00 euro, la corte territoriale avrebbe errato nel porre a carico del Pi.Ma. oltre alle somme dallo stesso ricevute anche quelle percepite dal coimputato.
Difetterebbero, infine, un accertamento sulla capacità reddituale del Pi.Ma. ed una motivazione sul perché lo stesso dovrebbe vedere subordinato il beneficio della sospensione condizionale della pena al versamento di 73.000,00 Euro quando vi è altro soggetto che è tenuto al pagamento di almeno la metà della predetta somma.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Appare, innanzitutto, doveroso distinguere, in relazione alle contestazioni emergenti dai capi di imputazione, la vicenda di cui al capo A della rubrica delle imputazioni da quella
di cui al capo B, ciò in quanto, pur essendo intervenuta sentenza di condanna per entrambi i reati, le contestazioni difensive contenute nel ricorso qui in esame appaiono essere rivolte soltanto sulla vicenda di cui al capo B, come si evince dai richiami alla somma di denaro incontestatamente versata dalla persona offesa al Pi.Ma. ed al Ma.Pe., dai brani citati nel ricorso (v. pag. 4) relativi ad una vicenda che ha avuto inizio con incontri verificatisi a Firenze il 30 giugno ed il 5 luglio 2017 e dalla scrittura privata intercorsa tra le parti sempre relativa agli accordi intrapresi il giorno 5 luglio (pag. 5 del ricorso).
Mai nel ricorso sottoposto all'esame di questa Corte di legittimità si fa riferimento alla somma di 163.000,00 Euro ed ai due bonifici (poi revocati) relativi alla vicenda di cui al capo A.
La vicenda di tentata truffa di cui al capo A risulta infatti conchiusa il 15 marzo 2018, avere ad oggetto una compravendita di diamanti per il prezzo proposto di 163.000,00 Euro e riguardare beni diversi (3 diamanti), rispetto a quella di cui al capo B avente ad oggetto una dazione in garanzia, quindi non in vendita, di beni diversi (2 diamanti) alla quale è seguito il versamento da parte della persona offesa di 70.000,00 euro.
Del resto, anche la stessa persona offesa ha ben tenuto distinte le due vicende di cui alle imputazioni (v. richiamo contenuto a pag. 2 della sentenza di appello) laddove si dà atto che il Eu.Pe. nell'ambito della ricostruzione dei rapporti con gli imputati ha affermato che Pi.Ma. e Ma.Pe. il 15 marzo 2018 "gli avevano proposto un "altro" affare", che, all'evidenza, non può che essere ritenuto quello oggetto della contestazione di cui al capo A.
Da ciò si può dedurre che l'affermazione della penale responsabilità dell'odierno ricorrente in relazione alla contestazione di cui al capo A della rubrica delle imputazioni, in assenza di specifiche contestazioni difensive, è già divenuta irrevocabile.
Quanto alla vicenda di cui al capo B, la contestazione di cui all'imputazione non riguarda una compravendita di diamanti ma la dazione in garanzia degli stessi.
In sostanza, non vi è alcun contrasto tra quanto ricostruito nelle sentenze di merito e quanto sostenuto dalla difesa del ricorrente, atteso che in entrambe le sentenze si è dato atto che la stessa persona offesa ha parlato di un investimento fatto agli imputati che gli avevano promesso un ritorno del 4,5-5% sull'ammontare dell'investimento stesso.
Rileva peraltro l'odierno Collegio che se, come sostenuto dalla difesa e sostanzialmente non recisamente negato dalla stessa persona offesa, il Eu.Pe.fu indotto ad erogare la complessiva somma di 70.000,00 (prima 40.000 e poi altri 30.000) Euro agli imputati dietro la promessa di interessi mensili sulla somma oggetto del prestito che non vennero corrisposti, ottenendo "in garanzia" (come affermato nell'imputazione di cui al capo B) sulla somma finanziata pietre indicate come diamanti ma di fatto prive di valore, tale condotta, indipendentemente dalla natura o comunque dalla qualificazione del negozio giuridico sottostante, rimane qualificabile come truffa.
Nessun vizio nella qualificazione del fatto risulta quindi ravvisabile nel caso in esame e le doglianze difensive sul punto non risultano pertanto fondate.
2. Anche il secondo motivo di ricorso non è fondato.
Come detto, parte ricorrente deduce una inammissibile reformatio in peius della sentenza di primo grado avendo la Corte di appello, a seguito dell'impugnazione della parte civile, subordinato il beneficio della sospensione condizionale della pena al pagamento delle statuizioni civili.
Questa Corte di legittimità, con un assunto condiviso anche dall'odierno Collegio, ha già avuto modo di statuire che "In tema di impugnazione, viola il divieto di "reformatio in peius" la Corte di appello che dispone la revoca della sospensione condizionale della pena in difetto di appello della parte pubblica sul punto, ma non nel caso in cui modifichi, in senso peggiorativo, le modalità di applicazione del beneficio, condizionandolo all'adempimento di uno degli obblighi previsti dall'art. 165 cod. pen." (Sez. 2, n. 34727 del 30/06/2022, Pastore, Rv. 283845 - 02; in tal senso anche Sez. 6, n. 9063 del 10/01/2023, Maddaloni, Rv. 284337 - 01).
Come si ha già avuto modo di ricordare nella prima delle sentenze appena citate, è consapevole il Collegio, che in relazione al disposto dell'art. 597, comma 3, cod. proc. pen. che testualmente dispone "Quando appellante è il solo imputato, il giudice non può irrogare una pena più grave per specie o quantità, applicare una misura di sicurezza nuova o più grave, prosciogliere l'imputato per una causa meno favorevole di quella enunciata nella sentenza appellata né revocare benefici, salva la facoltà, entro i limiti indicati nel comma 1, di dare al fatto una definizione giuridica più grave, purché non venga superata la competenza del giudice di primo grado" sussistono diverse letture interpretative.
Deve però essere evidenziato che per espressa previsione della citata disposizione, il divieto riguarda la sola "revoca dei benefici". Cionondimeno, un orientamento giurisprudenziale ne ha ampliato la portata fino a ricomprendervi ogni statuizione che renda più difficile la fruizione di un beneficio, ed in particolare del beneficio della sospensione condizionale della pena.
Si è, infatti, ritenuto che è illegittima, perché peggiorativa per l'imputato ed adottata in violazione dell'art. 597, comma 3, cod. proc. pen., la statuizione adottata d'ufficio dal giudice di appello, in assenza di impugnazione della parte pubblica sul punto, con la quale il già concesso beneficio della sospensione condizionale sia condizionato al pagamento delle somme dovute per il risarcimento dei danni in favore della parte civile (Sez. 2, n. 12789 del 13/02/2020, Vinci, Rv. 279033 - 01).
Secondo altro orientamento, al contrario, il giudice di appello, pronunciandosi su impugnazione della sola parte civile, può subordinare la sospensione condizionale al pagamento di una provvisionale, essendo tale istituto funzionale a soddisfare le esigenze di anticipazione della liquidazione del danno in favore della parte civile, causate dalla durata del processo (Sez. 5, n. 11738 del 30/01/2020, Crescenzo, Rv. 278929 - 01).
Ritiene il Collegio che il primo orientamento non può essere condiviso.
Ciò premesso, deve osservarsi che, come già sostenuto dalla dottrina, il divieto di reformatio in peius ha carattere eccezionale, il che preclude, di conseguenza, la possibilità di ampliarne l'ambito applicativo per analogia, anche se in bonam partem.
Da tale affermazione consegue l'impossibilità di ritenere operante il predetto divieto anche con riferimento alle modalità di applicazione del beneficio della sospensione condizionale della pena: invero, l'art. 597, comma 3, cod. proc. pen. riconduce all'ambito applicativo del predetto divieto, per quanto in questa sede rileva, unicamente la "revoca del beneficio", e, pertanto, a tale dato letterale occorre necessariamente limitarsi nel definire l'ambito operativo del divieto, che non ricomprende, quindi, il caso - diverso dalla revoca del beneficio - in cui il giudice d'appello (poco importa se d'ufficio o in accoglimento dell'impugnazione della parte civile) abbia subordinato la sospensione condizionale della pena in senso in ipotesi peggiorativo rispetto a quanto statuito dal primo giudice, condizionandola - pur se in origine concessa senza condizionamenti - all'adempimento di uno degli obblighi previsti dall'art. 165 cod. pen.
Implicitamente condividendo questa affermazione di principio, la giurisprudenza ha già ritenuto che non viola il divieto della reformatio in peius il giudice di appello che fissi il termine per il pagamento della provvisionale in favore della parte civile, non indicato dal giudice di primo grado che, peraltro, al pagamento della provvisionale aveva subordinato la concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena (Sez. 2, n. 35351 del 17/09/2010, Rabbia, Rv. 248545 - 01).
Deve, quindi, concludersi che il divieto di reformatio in peius previsto dall'art. 597, comma 3, cod. proc. pen., avendo natura eccezionale, e quindi essendo insuscettibile di analogia, anche se in bonam partem, opera soltanto in relazione alla revoca del beneficio della sospensione condizionale della pena in ipotesi disposta dalla Corte di appello in difetto di appello sul punto della parte pubblica, non anche nei casi in cui (anche su appello della sola parte civile), la Corte di appello modifichi, in senso in ipotesi peggiorativo, le modalità di applicazione del predetto beneficio, condizionandolo all'adempimento di uno degli obblighi previsti dall'art. 165 cod. pen.
3. L'infondatezza del secondo motivo di ricorso investe, infine, anche i profili di doglianza relativi all'ammontare della somma (euro 73.000,00) che l'imputato dovrà versare a titolo di risarcimento alla persona offesa del reato.
Essendo tale somma legata al risarcimento dei danni materiali e morali patiti dalla persona offesa e causati all'imputato dall'azione concorsuale di entrambi gli imputati ne consegue che l'obbligazione risarcitoria che ne è derivata non può che essere solidale dal che ne consegue che a nulla rileva la circostanza che il Eu.Pe. versò parte delle somme direttamente al Pi.Ma. ed altra parte al Ma.Pe.
4. Infine, deve darsi atto che, con motivazione congrua, la Corte di appello (pag. 13) ha stabilito che il Pi.Ma. può essere ritenuto nelle condizioni di operare detto risarcimento nei confronti della persona offesa, trattandosi di soggetto in età lavorativa ed inserito in un contesto lavorativo.
5. Da quanto sopra consegue il rigetto del ricorso in esame, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
PQM
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così è deciso, 18 settembre 2025
Depositato in Cancelleria il 23 settembre 2025




