Abuso edilizio: Quando il proprietario non è punibile?| Avvocato Salvatore Del Giudice
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Abuso edilizio: Quando il proprietario non è punibile?

1. Premessa

Secondo la giurisprudenza di legittimità, in tema di reati edilizi, la prova della responsabilità del proprietario non committente delle opere abusive non può essere desunta esclusivamente dalla piena disponibilità giuridica e di fatto del suolo e dall'interesse specifico ad edificare la nuova costruzione, ma necessita di ulteriori elementi, sintomatici della sua compartecipazione, anche morale, alla realizzazione del manufatto, quali la presentazione della domanda di condono edilizio, i rapporti di parentela o affinità tra esecutore materiale dell'opera e proprietario, la presenza di quest'ultimo "in loco" e lo svolgimento di attività di vigilanza nell'esecuzione dei lavori o il regime patrimoniale dei coniugi" (Cassazione penale sez. III, 19/05/2016, n. 38492).

Appare sufficiente ricordare che il D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, all'art. 29, non attribuisce al titolare del diritto reale sull'area di sedime o sull'immobile abusivamente realizzato alcuna posizione di garanzia; ne consegue che il proprietario (o il titolare di altro diritto reale) non può essere per ciò solo ritenuto responsabile dell'abuso commesso sul proprio immobile, nemmeno facendo ricorso al meccanismo di imputazione causale di cui all'art. 40, cpv. c.p. (Sez. 3, n. 44202 del 10/10/2013, Me., Rv. 257625, che ha affermato che la responsabilità del proprietario non committente non può essere oggettivamente dedotta dal diritto sul bene né può essere configurata come responsabilità omissiva per difetto di vigilanza, attesa l'inapplicabilità dell'art. 40 c.p., comma 2, ma dev'essere dedotta da indizi ulteriori rispetto all'interesse insito nel diritto di proprietà, idonei a sostenere la sua compartecipazione, anche morale, al reato; nello stesso senso anche Sez. 3, n. 47083 del 22/11/2007, Ta., Rv. 238471; in senso contrario, ma con pronuncia isolata sul punto, Sez. 4, n. 19714 del 03/02/2009, Assunte Di Po., Rv. 243961).

2. La figura del "committente" e del "costruttore"

Il D.P.R. n. 380 del 2001, all'art. 29, individuando la figura del "committente" e del "costruttore dei lavori" (oltre quelle del titolare del permesso di costruire, quando rilasciato, e del direttore dei lavori, quando nominato), predilige situazioni fattuali che ampliano la sfera delle responsabilità a chiunque si sia ingerito, anche solo di fatto, nella realizzazione dei lavori, al di là ed oltre qualifiche o rapporti formali (cfr., sul punto, Sez. 3, n. 43608 del 15/09/2015, Ro., Rv. 265159 secondo cui il committente ben può identificarsi in colui che ha la materiale disponibilità del bene oggetto dell'intervento abusivo, anche senza esserne il proprietario o senza avere con lo stesso un rapporto giuridicamente qualificato; nell'affermare il medesimo principio, Sez. 3, n. 537 del 10/12/2014, To., Rv. 261957, ha precisato come committente possa essere anche il titolare di altro diritto reale, come l'usufruttuario o il titolare del diritto di abitazione; per Sez. 3, n. 39400 del 21/03/2013, Sp., Rv. 257676, la responsabilità per la realizzazione di opere abusive è configurabile anche nei confronti del nudo proprietario che ha la disponibilità dell'immobile ed un concreto interesse all'esecuzione dei lavori).

Il concetto in argomento è stato ben espresso dalla stessa Corte di legittimità con sentenza n. 47083 del 22/11 /2007, che ha affermato il principio per il quale i reati previsti dal D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, art. 44 devono essere qualificati come reati comuni e non come reati a soggettività ristretta, salvo che per i fatti commessi dal direttore dei lavori e per la fattispecie di inottemperanza all'ordine di sospensione dei lavori impartito dall'Autorità amministrativa.

Ne consegue che anche il proprietario "estraneo" (ovvero privo delle qualifiche soggettive specificate all'art. 29 del richiamato decreto: committente, titolare del permesso di costruire, direttore dei lavori) può essere ritenuto responsabile del reato edilizio, purché risulti un suo contributo soggettivo all'altrui abusiva edificazione da valutarsi secondo le regole generali sul concorso di persone nel reato, non essendo sufficiente la semplice connivenza, attesa l'inapplicabilità dell'art. 40 c.p., comma 2, in quanto non esiste una fonte formale da cui far derivare un obbligo giuridico di controllo sui beni finalizzato ad impedire il reato.

 

3. La prova della responsabilità del proprietario

La questione, dunque, riguarda la prova della responsabilità del proprietario (ovvero del suo concorso nel reato commesso da terze persone sul suo immobile) che non può essere risolta, senza rispolverare forme criptiche di responsabilità oggettiva, in base alla mera titolarità di situazioni giuridiche attive sul bene.

Tale prova non può essere desunta dal sol fatto che il proprietario o titolare di altro diritto reale di godimento sia il destinatario dei provvedimenti amministrativi - sanzionatori - demolitori - ripristinatori, questi sì collegati alla sola qualifica formale del destinatario e non a comportamenti positivamente da egli eventualmente tenuti.

In altri termini, il diritto reale sull'immobile costituisce un indizio grave, ma pur sempre un indizio che, a norma dell'art. 192 c.p.p., comma 2, deve essere valutato insieme con altri tenendo conto:

a) della disponibilità giuridica dell'immobile, e dunque del dominio finalistico che su di esso può essere esercitato dal proprietario;

b) dell'interesse al mutamento di un bene che, restando nella titolarità giuridica del proprietario e non dell'autore della condotta, normalmente corrisponde a quello del primo.

La titolarità del diritto reale determina, insomma, una signoria "legale" che non sempre corrisponde, nei fatti, ad un dominio effettivo sul bene che ne è oggetto e non autorizza pertanto suggestive quanto automatiche attribuzioni al titolare del diritto di ogni modificazione del bene stesso, automatismo escluso persino dal legislatore (cfr., sul punto, la disciplina civilistica delle accessioni nei casi, in particolare, previsti dagli artt. 935 e 937 c.c.). E' piuttosto il possesso inteso in senso civilistico, quale potere sulla cosa che si manifesta in un'attività corrispondente all'esercizio della proprietà o di altro diritto reale (art. 1140 c.c.), che da questo punto di vista esprime forse meglio di ogni altra la situazione di dominio effettivo sul bene.

Vertendosi in tema di responsabilità penale, l'informazione probatoria derivante dalla titolarità del diritto reale sul bene deve essere filtrata alla stregua dei principi dettati in materia dal codice di rito e, prima ancora, dalla presunzione di innocenza prevista dall'art. 27 Cost.

I criteri di imputazione oggettiva e soggettiva dell'abuso edilizio non vanno dunque ricercati in base ad astratte categorie civilistiche ma nel rigoroso rispetto del principio di personalità della responsabilità penale.

La stessa Corte ha affermato, in termini generali, che la responsabilità del proprietario per la realizzazione di costruzione abusiva deve essere ricostruita sulla base di indizi e presunzioni gravi, precise e concordanti, desumibili certamente anche dalla disponibilità giuridica e di fatto del suolo e dal suo interesse specifico alla realizzazione del manufatto ivi esistente, pure allo stesso appartenente in virtù della disciplina civilistica dell'accessione (Sez. 3, n. 35376 del 24/05/2007, De., Rv. 237405, che ha anche sostenuto che in tal caso l'affermazione della responsabilità del proprietario può essere affermata in mancanza di ogni altra contraria risultanza probatoria).

L'individuazione del comproprietario non committente quale soggetto responsabile dell'abuso edilizio può essere desunta anche dalla presentazione della domanda di condono edilizio, dai rapporti di parentela o affinità tra terzo e proprietario, dalla presenza di quest'ultimo "in loco" e dallo svolgimento di attività di vigilanza nell'esecuzione dei lavori o dal regime patrimoniale dei coniugi (Sez. 3, n. 52040 del 11/11/2014, La., Rv. 261522; Sez. 3, n. 25659 del 30/05/2012, Ze., Rv. 253065), oppure dalla presentazione di una denunzia di inizio di opere di manutenzione ordinaria e dalla successiva domanda di sanatoria delle opere realizzate (Sez. 3, n. 33487 del 05/07/2006, La., Rv. 235124; sul positivo apprezzamento della presentazione di istanze per la realizzazione di opere edilizie di portata di gran lunga minori di quelle realizzate, unitamente alla presenza "in loco", si veda anche Sez. 3, n. 32856 del 13/07/2005, Fa., Rv. 232200).

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