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Art. 319 c.p.: la corruzione propria e la deviazione dell’agire pubblico

Art. 319 c.p.: la corruzione propria e la deviazione dell’agire pubblico

Indice:



1. Genesi, ratio e bene giuridico

Tra i delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione, la corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio di cui all’art. 319 c.p. occupa una posizione centrale.

Come rileva Trinci, essa rappresenta il paradigma più grave della fenomenologia corruttiva, in quanto implica non soltanto la messa a disposizione della funzione, ma la sua consapevole deviazione rispetto ai principi di legalità, imparzialità e buon andamento sanciti dall’art. 97 Cost.

Il legislatore ha progressivamente rafforzato la risposta penale, muovendo da una concezione incentrata sulla tutela del “prestigio” della pubblica amministrazione verso un impianto costituzionalmente orientato, che valorizza l’esigenza di assicurare l’integrità dell’azione amministrativa e la parità dei cittadini nel rapporto con la funzione pubblica.


1.2 Evoluzione storica e legislativa

L’attuale configurazione dell’art. 319 è il frutto di un lungo percorso riformatore.

  1. Codice Rocco (1930): l’originaria distinzione era tra corruzione “per un atto d’ufficio” (art. 318) e corruzione “per un atto contrario ai doveri d’ufficio” (art. 319). La seconda era ritenuta più grave, perché implicava una deviazione diretta dalle regole di imparzialità.

  2. Legge n. 86/1990: inasprì le pene, adeguando la normativa alle prime istanze internazionali di contrasto alla corruzione.

  3. Legge n. 190/2012 (c.d. Severino): riformò profondamente il sistema. L’art. 318 venne trasformato in “corruzione per l’esercizio della funzione”, con conseguente specializzazione dell’art. 319, ora riservato agli accordi relativi a omissioni, ritardi e atti contrari ai doveri.

  4. Legge n. 69/2015: ha ulteriormente elevato la cornice edittale, portandola a sei–dieci anni di reclusione, in linea con una politica criminale di tolleranza zero.

  5. Legge n. 3/2019 (c.d. Spazzacorrotti): ha inciso soprattutto sui profili sanzionatori e processuali, prevedendo pene accessorie rafforzate, limiti al patteggiamento e misure di confisca estese.

Come osserva Pulitanò, questa sequenza mostra un progressivo irrigidimento del trattamento punitivo, motivato dall’esigenza di contrastare fenomeni corruttivi sistemici e di armonizzare la legislazione interna agli obblighi internazionali (Convenzione penale di Strasburgo del 1999 e Convenzione ONU di Merida del 2003).


1.3 Ratio legis

La funzione incriminatrice dell’art. 319 è duplice. Da un lato, esso mira a tutelare l’imparzialità della pubblica amministrazione, proteggendola dall’asservimento a interessi privatistici; dall’altro, salvaguarda la fiducia collettiva nel corretto esercizio della funzione pubblica.

Come sottolinea Fiandaca–Musco, il patto corruttivo non si riduce a uno scambio illecito di natura sinallagmatica, ma si configura come un vero e proprio attentato alla legalità costituzionale, poiché compromette il principio di uguaglianza dei cittadini di fronte alla P.A. e mina il rapporto fiduciario con le istituzioni.


1.4 Bene giuridico tutelato

L’individuazione dell’oggettività giuridica ha suscitato un ampio dibattito dottrinale.

  • Secondo un primo orientamento, la norma tutelerebbe il prestigio e l’onore della pubblica amministrazione, intesi come bene immateriale percepito dall’opinione pubblica (Levi).

  • Un diverso filone ha ritenuto che il fulcro consista nel divieto di remunerazione privata del funzionario, in quanto incompatibile con la natura pubblicistica della funzione (Pagliaro).

  • L’impostazione oggi prevalente, sostenuta da autorevole dottrina (Fiandaca–Musco), ravvisa nell’art. 319 la tutela dei principi costituzionali di imparzialità e buon andamento, quali cardini della legalità amministrativa.

Tale ricostruzione è stata accolta anche dalla giurisprudenza di legittimità. Emblematica è la pronuncia della Cassazione (Sez. VI, 19 settembre 2018, n. 40347), relativa al caso della cosiddetta “compravendita di senatori”, in cui la Corte ha escluso la configurabilità della corruzione propria nei confronti dei parlamentari, valorizzando l’autonomia costituzionale delle funzioni parlamentari e la loro estraneità al parametro dell’imparzialità amministrativa.


1.5 Collocazione sistematica

L’art. 319 deve essere letto in stretta connessione con le altre fattispecie corruttive.

  • Rispetto all’art. 318, esso costituisce norma speciale per specificazione, operante quando l’accordo abbia ad oggetto un atto contrario ai doveri, oppure l’omissione o il ritardo di un atto dovuto.

  • In rapporto all’art. 317 (concussione) e all’art. 319-quater (induzione indebita), la corruzione propria si caratterizza per la parità negoziale tra le parti, mentre nelle altre ipotesi vi è una posizione di sopraffazione del pubblico ufficiale.

  • La fattispecie si configura come reato bilaterale a concorso necessario, in cui la condotta dell’intraneus e quella dell’extraneus sono inscindibilmente collegate dal sinallagma illecito.

  • L’art. 319 rientra, inoltre, tra i reati-presupposto della responsabilità amministrativa degli enti ex art. 25 d.lgs. 231/2001, con rilevanza diretta sul piano dei modelli organizzativi e delle misure di prevenzione.


2. Soggetti e struttura della condotta

L’art. 319 c.p. configura un reato bilaterale a concorso necessario: esso presuppone la convergenza di due condotte speculari e inscindibili, quella del pubblico agente (intraneus) e quella del privato corruttore (extraneus).

Secondo l’impostazione ricostruttiva di Trinci, la natura relazionale della fattispecie implica che la tipicità non si realizzi senza l’incontro delle due volontà, poste in rapporto sinallagmatico.


2.1 I soggetti attivi

L’intraneus

Soggetto attivo principale è il pubblico ufficiale, ai sensi dell’art. 357 c.p. L’ambito soggettivo è stato esteso, in forza dell’art. 320 c.p., anche agli incaricati di pubblico servizio, figure non titolari di poteri autoritativi, ma comunque inserite nel circuito funzionale della P.A.

La giurisprudenza ha ritenuto soggetto attivo anche il funzionario di fatto, ossia colui che, pur privo di investitura formale, esercita in concreto funzioni pubbliche (Cass., Sez. VI, 13 marzo 1997, n. 3147). L’elemento determinante è l’effettività dell’esercizio del potere e la possibilità di incidere sull’interesse pubblico tutelato.


L’extraneus

Sul lato opposto, l’art. 321 c.p. punisce colui che dà o promette denaro o altra utilità. Si tratta, di regola, di un privato, ma nulla esclude che l’extraneus sia a sua volta un pubblico ufficiale o un incaricato di pubblico servizio, purché estraneo all’ufficio oggetto della pattuizione.

Come sottolinea Trinci, è pacificamente ammessa la responsabilità anche dell’intermediario, quando contribuisca alla realizzazione dell’accordo: in tal caso, la sua condotta può integrare concorso morale (se rafforza la volontà criminosa) o concorso materiale (se facilita concretamente la dazione o la promessa). La Cassazione ha chiarito che la semplice consegna di denaro a un terzo, in assenza della prova di un effettivo coinvolgimento di un pubblico ufficiale, non basta a integrare il reato (Cass., Sez. VI, 12 gennaio 2014, n. 1).


2.2 Oggetto materiale

L’accordo corruttivo può avere ad oggetto denaro o altra utilità.

  • Per denaro si intende qualsiasi somma in valuta, senza limiti quantitativi.

  • L’espressione “altra utilità” ha portata volutamente ampia, comprendendo ogni vantaggio patrimonialmente o anche solo socialmente apprezzabile: incarichi, regali, favori sessuali, promozioni, agevolazioni di carriera. È sufficiente che l’utilità abbia un valore apprezzabile per il soggetto, a prescindere dalla sua misurabilità economica.

La giurisprudenza ha ribadito che anche i vantaggi di natura non patrimoniale, se idonei ad incidere sul comportamento del pubblico ufficiale, rientrano nel concetto di utilità (Cass., Sez. VI, 17 febbraio 2010, n. 7112).


2.3 Struttura della condotta

Lato del pubblico ufficiale

La condotta tipica dell’intraneus si realizza nel ricevere o nell’accettare la promessa di denaro o utilità. Non è necessaria una manifestazione formale: è sufficiente anche un comportamento concludente da cui emerga l’accordo illecito.

L’oggetto del patto può riguardare:

  • l’omissione di un atto dovuto;

  • il ritardo nell’adozione di un provvedimento;

  • il compimento di un atto contrario ai doveri d’ufficio.

La nozione di “atto contrario” deve essere intesa in senso ampio: non solo atti espressamente vietati dalla legge, ma anche atti formalmente legittimi ma adottati in modo distorto, rinunciando ai doveri di imparzialità e correttezza (Cass., Sez. VI, 22 giugno 2006, n. 26248).


Lato del privato

Il privato concorre mediante il dare o il promettere l’utilità. La promessa, se accettata, è sufficiente a perfezionare il reato, a prescindere dall’effettiva dazione. In caso contrario, si configura il diverso delitto di istigazione alla corruzione (art. 322 c.p.).


Il sinallagma corruttivo

Elemento caratterizzante è il sinallagma illecito, ossia il nesso di corrispettività tra la prestazione indebita e l’atto contrario. La corruzione propria non tollera “donativi di mera cortesia”: la dazione deve essere idonea ad alterare il comportamento funzionale del pubblico agente.

La dottrina maggioritaria ritiene che tra prestazione e controprestazione debba sussistere un rapporto di proporzione, mentre la giurisprudenza prevalente esclude che l’entità dell’utilità sia decisiva, ritenendo irrilevanti i piccoli donativi solo per l’art. 318, non per l’art. 319 (Cass., Sez. VI, 25 gennaio 1995, n. 2804).


2.4 Atto d’ufficio e contrarietà ai doveri

La nozione di atto d’ufficio è interpretata in senso estensivo, comprensivo non solo di provvedimenti amministrativi, ma anche di pareri, atti di diritto privato compiuti iure imperii, comportamenti materiali collegati alla funzione.

Per atto contrario ai doveri d’ufficio deve intendersi qualunque comportamento che si ponga in contrasto con le fonti normative (legge, regolamenti, circolari) o con i principi di correttezza, fedeltà e imparzialità. È atto contrario, ad esempio, l’uso distorto della discrezionalità a vantaggio di un privato che abbia corrisposto un compenso, anche se il provvedimento adottato risulta ex post conforme all’interesse pubblico (Cass., Sez. VI, 18 febbraio 2016, n. 6677).


2.5 Reato bilaterale e concorso di persone

La corruzione propria si configura come reato bilaterale: la tipicità richiede l’accordo di entrambe le parti. Tuttavia, è possibile il concorso di ulteriori soggetti, che si concretizza:

  • come concorso morale, quando il terzo rafforzi il proposito criminoso degli autori necessari;

  • come concorso materiale, se l’intermediario facilita in concreto la dazione o la promessa.

In termini analoghi, secondo Trinci, l’elemento indefettibile resta la prova della partecipazione effettiva di un pubblico ufficiale: la mera consegna di denaro a un intermediario, in mancanza di ulteriori elementi, non è sufficiente per affermare la sussistenza della corruzione (Cass., Sez. VI, 12 gennaio 2014, n. 1).


3. Elemento soggettivo, consumazione e tentativo

Dopo aver analizzato soggetti e struttura della condotta, occorre soffermarsi sull’elemento psicologico richiesto, nonché sulle questioni relative al momento di consumazione e alla configurabilità del tentativo. Si tratta di profili di grande rilevanza pratica, soprattutto ai fini dell’accertamento giudiziale e della decorrenza dei termini di prescrizione.


3.1 L’elemento soggettivo

Corruzione propria antecedente

Come chiarisce Trinci, quando la promessa o la dazione precedono l’atto contrario ai doveri d’ufficio, il pubblico ufficiale agisce con dolo specifico: è richiesto non solo che egli abbia la rappresentazione e la volontà della condotta descritta dalla norma, ma anche lo scopo ulteriore di omettere, ritardare o compiere un atto contrario ai propri doveri (Cass., Sez. III, 20 gennaio 2003, n. 1899).

La struttura teleologica è ciò che distingue la corruzione antecedente da altre forme di accordo illecito, giustificandone il maggiore disvalore.


Corruzione propria susseguente

Quando, invece, il pubblico ufficiale riceve o accetta l’utilità dopo aver compiuto l’atto contrario, la dottrina prevalente e la giurisprudenza ritengono sufficiente il dolo generico: è necessario e sufficiente che egli abbia consapevolezza della natura indebita del compenso e della correlazione con l’atto antidoveroso già realizzato (Trinci).

In questa ipotesi, l’accordo corruttivo si presenta come una “retribuzione post factum”, ma non per questo priva di disvalore penale, poiché rafforza il circuito della deviazione funzionale e incentiva future condotte corruttive.


Consapevolezza della contrarietà

È richiesto che il pubblico ufficiale abbia piena consapevolezza della natura antidoverosa della propria condotta e dell’indebita correlazione con l’utilità ricevuta. L’errore sul carattere pubblico della funzione esercitata integra un errore su legge extrapenale, con effetti sulla tipicità della condotta (Cass., Sez. VI, 22 giugno 2006, n. 21943).


3.2 Il momento di consumazione

Promessa accettata e dazione effettiva

La norma ha struttura alternativa: il reato si consuma tanto con l’accettazione della promessa, quanto con la ricezione effettiva dell’utilità. Il problema sorge quando la promessa è seguita dalla dazione.

  • Secondo un primo orientamento, la consumazione coincide già con l’accordo corruttivo, e la dazione successiva ha valore di mero post factum (Cass., Sez. VI, 21 marzo 1994, n. 7505).

  • Un diverso indirizzo, più recente, ritiene che, se alla promessa segue la dazione, il momento consumativo debba collocarsi in quest’ultima, poiché è in quel momento che si concretizza in modo pieno l’offesa al bene giuridico (Cass., Sez. VI, 27 novembre 2014, n. 50078).

La scelta dell’una o dell’altra tesi ha ricadute rilevanti in termini di individuazione della competenza territoriale e di decorrenza della prescrizione.


Accordi di massima e determinazione del prezzo

La Cassazione ha ritenuto sufficiente, ai fini della consumazione, anche un accordo di massima, non ancora dettagliato sul prezzo o sulle modalità di dazione, purché sia certa la correlazione sinallagmatica tra l’utilità promessa e l’atto contrario (Cass., Sez. VI, 18 marzo 2013, n. 13048).

La precisione dei termini economici, dunque, non costituisce elemento costitutivo, potendo l’accordo corruttivo mantenere una certa elasticità.


Dazioni frazionate

Quando il compenso è corrisposto in più tranche, occorre distinguere:

  • se vi è un unico patto originario, la corruzione si considera consumata progressivamente con ciascuna dazione, nell’ambito di un unico reato;

  • se invece emergono patti distinti, ciascuno con autonomia causale, si avranno più episodi di corruzione, in concorso materiale (Cass., Sez. VI, 28 luglio 2006, n. 33435).


3.3 Il tentativo

La configurabilità del tentativo è rara, data la natura bilaterale della fattispecie.

  • Si può avere tentativo incompiuto quando la promessa o la dazione non giungono a conoscenza del pubblico ufficiale.

  • Quando, invece, il privato propone e il pubblico ufficiale rifiuta, la fattispecie integra il distinto reato di istigazione alla corruzione (art. 322 c.p.), e non un mero tentativo di corruzione propria.

Il tentativo si colloca, quindi, solo nelle ipotesi di mancata perfezione dell’accordo, ma con condotte idonee e non equivoche dirette alla conclusione del patto illecito.


4. Circostanze e misure premiali

La disciplina delle circostanze rappresenta un segmento fondamentale nella struttura sanzionatoria del delitto di corruzione propria. L’art. 319 c.p. non è norma isolata: esso trova completamento nelle disposizioni di aggravamento (art. 319-bis c.p.), di attenuazione (art. 323-bis c.p.) e nella causa speciale di non punibilità della collaborazione (art. 323-ter c.p.).

Come osserva Trinci, la ratio è duplice: da un lato, adeguare la risposta punitiva alla gravità concreta dei fatti; dall’altro, incentivare la collaborazione degli autori, in chiave di rottura del pactum sceleris.


4.1 Le circostanze aggravanti

L’art. 319-bis c.p.

L’art. 319-bis prevede un aggravamento di pena quando il fatto corruttivo abbia per oggetto:

  • il conferimento di pubblici impieghi;

  • gli stipendi o le pensioni;

  • la stipulazione di contratti nei quali sia interessata la pubblica amministrazione;

  • il pagamento o rimborso di tributi.

Si tratta di ipotesi in cui l’accordo corruttivo incide su ambiti di particolare rilievo istituzionale o economico, con effetti diretti sull’interesse collettivo.

La giurisprudenza ha precisato che:

  • per pubblici impieghi si intendono soltanto quelli di natura pubblicistica, non i rapporti privatistici (Cass., Sez. VI, 28 maggio 2006, n. 38698);

  • la circostanza si applica anche agli incaricati di pubblico servizio e al privato corruttore, in forza dell’art. 320 c.p.;

  • la stipulazione di contratti comprende non solo la fase genetica, ma anche la fase esecutiva, quando l’accordo illecito incida direttamente sull’interesse dell’amministrazione (Cass., Sez. VI, 23 maggio 2007, n. 21192).


Altre aggravanti comuni

Al reato in esame si applicano, inoltre:

  • l’aggravante del danno patrimoniale di rilevante gravità (art. 61, n. 7, c.p.), data la connotazione lucrativa del delitto;

  • l’aggravante del nesso teleologico (art. 61, n. 2, c.p.), quando la corruzione sia strumentale alla commissione di ulteriori reati (es. contrabbando, falso, associazione per delinquere).

Non si applica invece, secondo la giurisprudenza, l’aggravante teleologica quando l’illecito ulteriore costituisca immediata e fisiologica conseguenza del patto corruttivo (Cass., Sez. VI, 31 gennaio 1996, n. 1112).


4.2 Le circostanze attenuanti

Attenuante della particolare tenuità (art. 323-bis, co. 1, c.p.)

È prevista una diminuzione di pena fino a un terzo quando i fatti risultino di particolare tenuità.

La valutazione è globale: non ci si limita all’entità economica del vantaggio o del danno, ma si considerano condotta, elemento psicologico ed evento complessivo.

La giurisprudenza ha chiarito che:

  • l’attenuante può cumularsi con quella di cui all’art. 62, n. 4, c.p. (danno patrimoniale di speciale tenuità), ma solo se le due valutazioni non coincidono (Cass., Sez. VI, 21 febbraio 2012, n. 7919);

  • se la particolare tenuità è fondata esclusivamente sulla modestia del danno, essa assorbe l’art. 62, n. 4, c.p. (Cass., Sez. VI, 18 settembre 2011, n. 34248).


Attenuante premiale della collaborazione (art. 323-bis, co. 2, c.p.)

La pena è ridotta da un terzo a due terzi per l’autore che si sia efficacemente adoperato per:

  • evitare conseguenze ulteriori dell’attività delittuosa;

  • assicurare le prove del reato o l’individuazione degli altri responsabili;

  • consentire il sequestro delle somme o delle utilità trasferite.

È richiesta un’efficacia sostanziale e decisiva del contributo collaborativo. Non rileva una cooperazione meramente formale o tardiva, né un apporto privo di ricadute concrete.

La disposizione si colloca in un’ottica di politica criminale “premiale”, mirata a stimolare la rottura del patto corruttivo, spesso impermeabile a tradizionali strumenti investigativi.


4.3 La causa di non punibilità della collaborazione (art. 323-ter c.p.)

L’art. 323-ter prevede la non punibilità del soggetto che, prima di avere notizia che nei suoi confronti si stanno svolgendo indagini, si sia adoperato efficacemente per evitare conseguenze ulteriori, assicurare le prove o favorire il sequestro delle utilità.

Questa disposizione, di natura eccezionale, si distingue dall’attenuante premiale di cui all’art. 323-bis:

  • mentre quest’ultima attenua la pena,

  • l’art. 323-ter estingue la punibilità, purché la collaborazione sia tempestiva e decisiva.

Si tratta di un istituto che mira a smontare le reti corruttive dall’interno, incentivando comportamenti di rottura prima che il sistema investigativo si attivi.


5. Rapporti con altre fattispecie incriminatrici

La corruzione propria, per la sua natura bilaterale e per l’ampiezza della nozione di “atto contrario ai doveri d’ufficio”, entra frequentemente in rapporto con altre figure delittuose previste dal codice penale o da leggi speciali.

La delimitazione dei confini applicativi è essenziale per evitare duplicazioni punitive e per salvaguardare i principi di tassatività e specialità.

5.1 Corruzione per l’esercizio della funzione (art. 318 c.p.)

Il primo e più delicato rapporto è quello con l’art. 318 c.p., che punisce la “corruzione per l’esercizio della funzione”.

  • L’art. 318 ha oggi natura residuale: sanziona l’accordo corruttivo svincolato da un atto specifico, limitandosi alla messa a disposizione della funzione in senso ampio.

  • L’art. 319 è invece norma speciale per specificazione, applicabile quando il patto abbia ad oggetto omissioni, ritardi o atti contrari.La giurisprudenza, tuttavia, non ha sempre mantenuto la distinzione, talvolta includendo nell’art. 319 anche fenomeni di asservimento sistemico, pur in assenza di un atto contrario specifico (Cass., Sez. VI, 7 agosto 2014, n. 33881). Una parte della dottrina propone, invece, una lettura più rigorosa, per evitare sovrapposizioni indebite.


5.2 Concussione (art. 317 c.p.) e induzione indebita (art. 319-quater c.p.)

La distinzione con le figure di concussione e induzione indebita è basata sulla diversa posizione relazionale tra pubblico ufficiale e privato:

  • nella concussione, il privato è costretto a dare o promettere l’utilità, connotato di coartazione;

  • nell’induzione indebita, il privato è indotto ad aderire, in una logica di pressione psicologica che lascia un margine di scelta ma in condizioni di asimmetria;

  • nella corruzione propria, invece, vi è parità negoziale, poiché entrambe le parti concorrono liberamente a costituire un sinallagma illecito.

L’intervento della l. 190/2012 ha reso imprescindibile un’attenta delimitazione, soprattutto tra induzione indebita e corruzione, in quanto entrambe comportano un trasferimento di utilità verso il pubblico agente, ma con presupposti psicologici e dinamiche relazionali differenti.


5.3 Utilizzazione di segreti d’ufficio (art. 326 c.p.)

L’utilizzazione di segreti d’ufficio (art. 326, co. 3, c.p.) non è assorbita dall’art. 319, nonostante frequenti contiguità applicative.

  • La corruzione propria è un reato bilaterale, fondato su un accordo sinallagmatico.

  • L’art. 326, invece, configura un reato monosoggettivo, che punisce il pubblico ufficiale per il solo fatto di utilizzare indebitamente un segreto conosciuto in ragione del proprio ufficio.

È quindi possibile il concorso tra le due fattispecie, quando l’accordo corruttivo abbia ad oggetto l’utilizzazione di un segreto e la condotta si realizzi concretamente (Cass., Sez. V, 15 febbraio 2022, n. 5390).


5.4 Truffa aggravata dal pubblico ufficiale (art. 640, co. 2, n. 1, c.p.)

La truffa aggravata dalla qualità di pubblico ufficiale si distingue dalla corruzione:

  • nella corruzione, il privato non è vittima di un raggiro, ma parte attiva dell’accordo illecito;

  • nella truffa, il pubblico ufficiale ottiene l’utilità mediante artifici o raggiri, sorprendendo la buona fede del privato.

La Cassazione ha chiarito che integra corruzione, e non truffa, la condotta del pubblico ufficiale che riceva denaro spontaneamente versato per un atto contrario, senza artifici o inganni (Cass., Sez. VI, 6 maggio 2016, n. 19002). È ipotizzabile concorso materiale quando l’accordo corruttivo determini in terzi un errore indotto da artifici (Cass., Sez. VI, 5 ottobre 2021, n. 37653).


Fonti:

Alessandro Trinci, commento all'art. 319 c.p., Andreazza-Pistorelli, Relazione sulla Legge 6 novembre 2012, n. 190, in cortedicassazione.it; Levi, Delitti contro la pubblica amministrazione, Milano, 1935; Gatta, Riforme della corruzione e della prescrizione del reato: il punto sulla situazione, in attesa dell’imminente approvazione definitiva, in Dir. pen. cont., 17 dicembre 2018;Martini, Osservazioni sul rapporto strutturale tra collusione e corruzione, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1981, 381; Pagliaro, La retribuzione indebita come nucleo essenziale dei delitti di corruzione, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1967, 64; Pulitanò, Legge anticorruzione (L. 6 novembre 2012, n. 190), in Cass. pen., 2012, suppl. n. 11; Segreto-De Luca, Delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione, Milano, 1999; Seminara, La riforma dei reati di corruzione e concussione come problema giuridico e culturale, in Dir. pen. e proc. 2012, 1235.

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