Estinzione del reato e risarcimento: l’assegno mostrato in udienza non basta (Cass. Pen. 13546/2024)
- Avvocato Del Giudice
- 5 giorni fa
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L’estinzione del reato per condotte riparatorie è uno degli istituti più utili per chi affronta un processo penale per reati “minori”: permette di chiudere il procedimento senza condanna, se l’imputato risarcisce il danno in modo effettivo e tempestivo.Molti però ignorano che non ogni offerta è idonea e che la legge pretende forme molto precise, soprattutto quando la persona offesa non accetta il risarcimento.
La sentenza della Cassazione n. 13546/2024 chiarisce in modo molto netto quali sono gli adempimenti necessari.
1. Il caso: un’offerta risarcitoria ritenuta sufficiente in appello
In primo grado, l’imputato aveva offerto alla persona offesa un assegno circolare da 2.200 euro.
La parte civile aveva rifiutato la somma, ritenendola incongrua.
Il Tribunale non aveva dichiarato l’estinzione del reato.
La Corte di appello, invece, aveva ritenuto congrua l’offerta e aveva applicato l’art. 162-ter c.p., dichiarando il reato estinto.
Il Procuratore generale ha impugnato la decisione.
2. Il punto di diritto: cosa richiede davvero l’art. 162-ter c.p.
Secondo la Cassazione, l’estinzione del reato non può essere dichiarata se l’imputato, dopo il rifiuto dell’offerta, non utilizza gli strumenti formali previsti dalla legge per rendere comunque effettivamente disponibile la somma.
La Corte richiama un principio consolidato: la prestazione risarcitoria deve essere resa disponibile in modo incondizionato, reale e immediatamente acquisibile dalla persona offesa.
Quando il danneggiato rifiuta l’offerta fatta in udienza, la sola esibizione dell’assegno non è sufficiente.
3. L’errore dell’imputato: mancata “offerta reale”
La Cassazione accerta che, dopo il rifiuto, l’imputato non ha effettuato l’offerta reale prevista dagli artt. 1208 e ss. c.c.
La procedura corretta, in caso di rifiuto della persona offesa, è la seguente:
deposito della somma presso la Cassa Depositi e Prestiti o presso una banca;
comunicazione del deposito alla persona offesa;
prova documentale dell’avvenuto perfezionamento.
Si tratta di una forma rigida, ma necessaria: il deposito sostituisce la consegna materiale, garantendo che il danaro sia effettivamente disponibile, anche se il creditore non vuole riceverlo.
Senza questo passaggio, la somma non è “offerta”.
4. Perché l’assegno mostrato in udienza non basta
La Cassazione lo spiega con motivazione lineare: mostrare un assegno non crea alcun vincolo giuridico di disponibilità.
L’imputato può trattenere il titolo, revocarlo, smarrirlo o addirittura annullarlo.
L’assegno è, in sostanza, una mera promessa di pagamento, non una prestazione riparatoria perfezionata.
La Corte richiama precedenti costanti (Del Pizzo 2018; B. 2018; Ferreri 2023), tutti concordi sul punto.
5. L’estinzione del reato non può essere dichiarata
Poiché l’imputato non ha effettuato un deposito formale, manca uno dei requisiti essenziali dell’art. 162-ter c.p.:
l’effettività della riparazione.
Da qui, la conclusione:
annullamento senza rinvio della sentenza della Corte d’appello;
trasmissione degli atti alla Corte per un nuovo esame.
6. Cosa significa, in concreto, per chi vuole estinguere un reato
L’insegnamento della Corte è molto chiaro:
a) se la persona offesa accetta l’offerta, il reato può essere estinto (ovviamente se il giudice la ritiene congrua).
b) se la persona offesa rifiuta, serve l’offerta reale.
Senza il deposito, non si può ottenere l’estinzione del reato, anche se la somma è congrua.
c) il giudice non può “sostituire” la procedura mancante
Il rispetto delle forme è un requisito essenziale, non derogabile.
7. La sentenza integrale
Cassazione penale sez. IV, 06/11/2025, (ud. 06/11/2025, dep. 12/11/2025), n.36917
RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di appello di Genova ha confermato la sentenza emessa il 23/02/2024 dal Tribunale di Genova nei confronti di To.Ia., con la quale lo stesso era stato assolto dal reato previsto dall'art. 187, commi 1 e 1-quater, del D.Lgs. 30 aprile 1992, n.285 ai sensi dell'art. 131-bis cod. pen., con contestuale applicazione della sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida per la durata di un anno.
La Corte territoriale ha premesso la ricostruzione del fatto operata dal Tribunale; nella quale era stato rilevato che, in data 23/04/2022, l'imputato era stato sottoposto a controllo - dopo un arresto anomalo avvenuto a un segnale di stop - ed era stato constatato che stava fumando una sigaretta sprigionante un fumo simile a quello di sostanza stupefacente, presentando sintomi di alterazioni quali pupille dilatate, occhi arrossati e difficoltà nei movimenti; che, all'esito del controllo eseguito presso il più vicino nosocomio, il conducente era risultato positivo ai cannabinoidi; che, sulla scorta di tali elementi, il Tribunale era giunto a una pronuncia di assoluzione in ordine al reato ascritto, ritenendo scarso il pericolo provocato dalla condotta dell'imputato.
Il giudice di appello ha ritenuto infondato il motivo con il quale l'imputato aveva dedotto l'insussistenza della condotta tipica punita dall'art. 187, comma 1, C.d.s., rilevando che concorrevano i due elementi connotativi della fattispecie contestata; ovvero, da un lato, l'assunzione di sostanza stupefacente e, dall'altro, lo stato di alterazione fisica riscontrata da parte degli operanti.
2. Avverso la predetta sentenza ha presentato ricorso per cassazione To.Ia., tramite il proprio difensore, articolando due motivi di impugnazione.
Con il primo motivo di impugnazione ha dedotto la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione laddove era stata ritenuta sussistente la condizione di alterazione psicofisica dell'imputato al momento del fatto.
Ha esposto che, al momento del controllo avvenuto presso l'Ospedale San Martino di Genova, era stato dato atto che l'imputato non si trovava in stato di alterazione; esponeva, quindi, che la Corte territoriale non aveva tenuto conto degli elementi apportati dalla difesa, quali la stanchezza del conducente dopo un turno di lavoro conclusosi a tarda ora e che la motivazione si presentava carente nella parte in cui non chiariva le ragioni in base alle quali lo stato di alterazione era venuto meno dopo circa un'ora dall'originario controllo.
Con il secondo motivo ha dedotto la violazione dell'art. 187 C.d.s.
Ha dedotto che la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida sarebbe stata illegittimamente applicata, presupponendo necessariamente la stessa una pronuncia di condanna.
3. Il Procuratore generale ha depositato requisitoria scritta, nella quale ha concluso per il rigetto del ricorso.
Il difensore del ricorrente ha depositato memoria nella quale ha insistito per l'accoglimento del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato quanto al primo motivo e fondato in ordine al secondo.
2. Va pregiudizialmente rilevato che sussiste l'interesse dell'imputato a impugnare la sentenza che esclude la punibilità del reato ai sensi dell'art. 131-bis cod. pen., trattandosi di pronuncia che 1) ha efficacia di giudicato quanto all'accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e all'affermazione che l'imputato lo ha commesso (art. 651-bis cod. proc. pen.), 2) è soggetta ad iscrizione nel casellario giudiziale (art. 3, lett. f, D.P.R. n. 313 del 2002), 3) può ostare alla futura applicazione della medesima causa di non punibilità ai sensi dell'art. 131-bis, comma terzo, cod. pen. (Sez. 3, n. 18891 del 22/11/2017, dep. 2018, Rv. 272877; in senso conforme, Sez. 1, n. 459 del 02/12/2020, dep. 2021, Rv. 280226).
3. Il primo motivo di ricorso è infondato.
L'art. 187, comma 1, C.d.s., nel testo applicabile ratione temporis, prevedeva che "Chiunque guida in stato di alterazione psico-fisica dopo aver assunto sostanze stupefacenti o psicotrope è punito con l'ammenda da Euro 1.500 a Euro 6.000 e l'arresto da sei mesi ad un anno".
A tale proposito, la giurisprudenza di questa Corte ha ritenuto, con orientamento del tutto costante, che ai fini della configurabilità della contravvenzione di guida sotto l'influenza di sostanze stupefacenti lo stato di alterazione del conducente dell'auto non deve essere necessariamente accertato attraverso l'espletamento di una specifica analisi medica, ben potendo il giudice desumerla dagli accertamenti biologici dimostrativi dell'avvenuta precedente assunzione dello stupefacente, unitamente all'apprezzamento delle deposizioni raccolte e del contesto in cui il fatto si è verificato (Sez. 4, n. 43486 del 13/06/2017, Rv. 270929; in applicazione di tale principio, la Corte ha ritenuto sufficiente, ai fini dell'accertamento dell'assunzione di cannabinoidi, il riscontro dell'analisi compiuto sulle urine in associazione ai dati sintomatici rilevati al momento del fatto sul conducente, costituiti da pupille dilatate, stato di ansia ed irrequietezza, difetto di attenzione, ripetuti conati di vomito, detenzione di involucri contenenti hashish; nello stesso senso Sez. 4, n. 5890 del 25/01/2023, Rv. 284099).
Conclusione, a propria volta, coerente con le argomentazioni svolte dalla Corte Costituzionale, la quale affrontando il tema della legittimità dell'art. 187 C.d.S. ha affermato trovarsi "in presenza di una fattispecie che risulta integrata dalla concorrenza dei due elementi, l'uno obiettivamente rilevabile dagli agenti di polizia giudiziaria (lo stato di alterazione), e per il quale possono valere indici sintomatici, l'altro, consistente nell'accertamento della presenza, nei liquidi fisiologici del conducente, di tracce di sostanze stupefacenti o psicotrope, a prescindere dalla quantità delle stesse, essendo rilevante non il dato quantitativo, ma gli effetti che l'assunzione di quelle sostanze può provocare in concreto nei singoli soggetti" (C. Cost., ord. n. 277/2004).
Nel caso di specie, quindi, con motivazione coerente rispetto ai predetti principi, i giudici di merito hanno valutato, da un lato, la positività rispetto all'assunzione dei cannabinoidi riscontrata presso il locale nosocomio e, dall'altro, gli indici oggettivi di alterazione riscontrati dagli operanti e consistenti nella dilatazione delle pupille, nell'arrossamento degli occhi e nella difficoltà dei movimenti, con difficoltà di equilibrio; ritenendo, a propria volta, che tali elementi non potessero ritenersi superati dal dato - dedotto dalla difesa - relativo all'assenza di elementi sintomatici dell'alterazione al momento del controllo avvenuto presso l'ospedale, in quanto effettuato oltre un'ora dopo quello svolto da parte degli operanti.
4. Il secondo motivo è fondato. I giudici di merito, nel ritenere applicabile la causa di non punibilità prevista dall'art. 131-bis cod. pen., hanno applicato all'imputato la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida ai sensi dell'art. 187, comma 1, C.d.s.
Peraltro, a tale proposito, già Sez. U, n. 13681 del 06/04/2016, Rv. 266592-01 avevano evidenziato - in specifico riferimento al reato di guida in stato di ebbrezza - che alla esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, consegue l'applicazione, demandata però al Prefetto, delle sanzioni amministrative accessorie stabilite dalla legge.
Nel caso in esame, l'art. 187, comma 1, C.d.s. prevede che la sanzione amministrativa accessoria sia irrogata a seguito dell'"accertamento del reato" e non della condanna; nondimeno, in applicazione del principio dettato dalla sentenza delle Sezioni Unite citata, deve escludersi che la stessa possa essere applicata in sede di sentenza di proscioglimento ai sensi dell'art. 131-bis cod. pen., dovendo questa essere rimessa alla competente autorità amministrativa (Sez. 4, n. 37118 del 04/07/2024, Rv. 287066) e ciò in quanto, in presenza di tale pronuncia, le sanzioni amministrative riprendono la loro strutturale autonomia.
Sul punto, deve ritenersi altresì che la relativa questione sia comunque rilevabile ex novo da parte della Corte di legittimità, pur in assenza - come nel caso di specie - di omessa devoluzione della questione al giudice di appello, in riferimento al disposto dell'art. 606, comma 3, cod. proc. pen., dovendosi invece richiamare il disposto dell'art. 609, comma 2, cod. proc. pen.
A tale proposito, va richiamata la giurisprudenza di questa Corte, la quale ha ritenuto che anche l'eventuale inammissibilità del ricorso per cassazione non impedisce al giudice di legittimità di procedere all'annullamento della sentenza impugnata nella parte in cui ha irrogato una sanzione amministrativa accessoria illegale, stante il principio di legalità previsto per le sanzioni amministrative dall'art. 1, legge 24 novembre 1981, n. 689 essendo stati ritenuti applicabili, anche all'ambito delle sanzioni amministrative medesimi, i principi vigenti in tema di illegalità della pena (Sez. 4, n. 18081 del 24/03/2015, Rv. 263596).
5. Per l'effetto, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio in ordine all'applicazione della sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida, statuizione che va eliminata con trasmissione degli atti al Prefetto di Genova per il seguito di competenza; nel resto, il ricorso va rigettato.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata in ordine all'applicazione della sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida, statuizione che elimina. Dispone trasmettersi gli atti al Prefetto di Genova per il seguito di competenza. Rigetta il ricorso nel resto.
Così deciso in Roma il 6 novembre 2025.
Depositato in Cancelleria il 12 novembre 2025.

