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Reati edilizi

Quando una pergotenda diventa un abuso edilizio? (Cass. Pen. n.4422/2024 )

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Avv. Salvatore del Giudice - Avvocato penalista Napoli

Quando una pergotenda diventa un abuso edilizio?

Il principio di diritto: non tutto ciò che sembra "leggero" è davvero libero

La Cassazione ci ricorda che la definizione di "edilizia libera" non si basa solo sulla funzione dell’opera (ad esempio, fare ombra in estate), ma su una valutazione più ampia: è stabile? Modifica il paesaggio? È invasiva?

Se la risposta è "sì", potrebbe servire un permesso di costruire e, in certe zone, anche l’autorizzazione paesaggistica.


Il caso concreto: una pergotenda un po’ troppo solida

Un cittadino era stato condannato per aver realizzato una struttura abusiva senza permessi. Secondo lui, si trattava solo di una pergotenda, quindi un’opera libera.

Peccato che:

  • aveva montanti in legno fissati con malta cementizia (mica una cosa da nulla);

  • creava un impatto visivo notevole;

  • si trovava in una zona vincolata, quindi soggetta a regole più stringenti.

Risultato? Condanna confermata.

La Cassazione ha chiarito che, se un’opera ha una certa stabilità e incide sul paesaggio, non basta chiamarla "tenda" per evitare guai.



La lezione da imparare: attenzione prima di costruire!


La sentenza mette in guardia chi pensa di poter installare strutture senza permessi. Ecco le tre cose da tenere a mente:

  1. Pergotenda o pergolato? Se la struttura è fissa o ha impatto visivo, potrebbe servire un permesso;

  2. Dove la costruisci? Se sei in un’area vincolata, le regole sono più rigide.

  3. Meglio prevenire che demolire! Informarsi prima di costruire evita multe e problemi legali.

Morale della favola: prima di montare strutture nel tuo giardino o terrazzo, informati bene!

Non tutto ciò che sembra leggero è davvero "libero" dal punto di vista urbanistico. Meglio una chiacchierata con un tecnico ora che una sentenza di condanna dopo!


La sentenza integrale

Cassazione penale sez. III, 18/12/2024, (ud. 18/12/2024, dep. 04/02/2025), n.4422

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza di cui in epigrafe, la corte di appello di Salerno confermava la sentenza del Tribunale di Vallo della Lucania del 5.12.2023 con la quale Ia.Ma. era stato condannato in ordine a reati edilizi e paesaggistici di cui ai capi a) (art. 44 lett. c) D.P.R. 380/01) e g) (art. 181 del D.Lgs. 42/04).


2. Avverso la predetta sentenza Ia.Ma. mediante il proprio difensore ha proposto, con due motivi, ricorso per cassazione.


3. Con il primo motivo ha dedotto vizi di violazione di legge e di motivazione in relazione data di realizzazione dell'intervento contestato, non essendo stata considerata - senza motivarsi sul punto - la dichiarazione al riguardo resa dal teste della difesa e tantomeno da un teste dell'accusa.


4. Con il secondo motivo rappresenta vizi di violazione di legge in ordine alla natura delle opere realizzate. Trattandosi di opere di edilizia libera e in particolare di una pergotenda. La valutazione dei giudici sarebbe fondata su una non raggiunta prova delle caratteristiche dell'opera e sulla errata circostanza per cui i pilastri in legno da appoggia per la tenda sarebbero fissati con malta cementizia. Piuttosto, la struttura non creerebbe un volume chiuso essendo la copertura retraibile. Si aggiunge che l'opera rientrerebbe nell'ambito dei Dehors.


CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo motivo è manifestamente infondato. In quanto innanzitutto, si deducono dichiarazioni di due testi, riportate per sunto o stralcio, e non allegate. Nonostante il noto principio secondo il quale in tema di ricorso per cassazione, sono inammissibili, per violazione del principio di autosufficienza e per genericità, i motivi che deducano il vizio di manifesta illogicità o contraddittorietà della motivazione e, pur richiamando atti specificamente indicati, non contengano la loro integrale trascrizione o allegazione (sez. 2, n. 20677 de1 11/04/2017 ì Rv. 270071 - 01). Va aggiunto che in sentenza si evidenzia come l'unica data certa emersa sia quella dell'accertamento del luglio 2020, a fronte di indicazioni generiche di altre date, ancorché fornite da teste della accusa, e di dichiarazioni di un teste della difesa reputate motivatamente dal giudice come afferenti un'opera di indimostrata coincidenza con quella qui contestata. Così che appare corretta l'evidenziazione della mancata prova da parte della difesa, quale suo onere, di fornire indicazione certa della diversa data di commissione del reato, come da essa prospettata. Si ricorda, al riguardo, che in caso di procedimento per violazione dell'art. 20 legge 28 febbraio 1985 n. 47 (rectius 44 D.P.R. 380/01), sempre restando a carico dell'accusa l'onere della prova della data di inizio della decorrenza del termine prescrittivo, non basta una mera e diversa affermazione da parte dell'imputato a fare ritenere che il reato si sia realmente estinto per prescrizione e neppure a determinare l'incertezza sulla data di inizio della decorrenza del relativo termine, con la conseguente applicazione del principio "in dubio prò reo", atteso che, in base al principio generale per cui ciascuno deve dare dimostrazione di quanto afferma, grava sull'imputato che voglia giovarsi della causa estintiva, in contrasto o in aggiunta a quanto già risulta in proposito dagli atti di causa, l'onere di allegare gli elementi in suo possesso, dei quali è il solo a potere concretamente disporre, per determinare la data di inizio del decorso del termine di prescrizione, data che in tali ipotesi coincide con quella di esecuzione dell'opera incriminata (Sez. 3, n. 10562 del 17/04/2000 Rv. 217575 - 01 Fretto S.; di recente, Sez. 3, n. 27061 del 05/03/2014 Rv. 259181 - 01 Laiso.). Per completezza va osservato che il teste di accusa citato in ricorso, seppur con mero stralcio della relativa testimonianza, riporta una forbice in cui eventualmente comprendere la commissione del reato tra il marzo 2016 e il 14 giugno 2019: per cui anche a volere, al più, retrodatare i fatti, sulla base di queste sole dichiarazioni (ferma restando la rilevazione preliminare di inammissibilità per mancata allegazione integrale), al 14.6.2019, la prescrizione sarebbe maturata, considerata altresì la sospensione della stessa per rinvio richiesto dalla difesa dal 4.10.2022 al 28.2.2023, pari a 4 mesi e 27 giorni, alla data del 10.11.2024. Epoca successiva alla pubblicazione della sentenza impugnata, del 30.4.2024.


6. Anche il secondo è inammissibile. Proponendosi una diversa valutazione degli elementi disponibili ai fini della loro analisi anche giuridica, nonostante il princìpio per cui l'epilogo decisorio non può essere invalidato da prospettazioni alternative che si risolvano in una "mirata rilettura" degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, ovvero nell'autonoma assunzione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, da preferirsi a quelli adottati dal giudice del merito, perché illustrati come maggiormente plausibili o perché assertivamente dotati di una migliore capacità esplicativa, nel contesto in cui la condotta delittuosa si è in concreto realizzata (Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Musso, Rv. 265482; Sez. 6, n. 22256 del 26/04/2006, Bosco, Rv. 234148; Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006, De Vita, Rv. 235507). Quanto al vizio di manifesta illogicità esso, come quello di mancanza e contraddittorietà della medesima, deve essere di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi, dovendo il sindacato di legittimità vertere su difetti di macroscopica evidenza, mentre rimangono ininfluenti le minime incongruenze e si devono considerare disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché siano spiegate in modo logico ed adeguato le ragioni del convincimento senza vizi giuridici (cfr., Sez. Un., n. 24 del 24 novembre 1999, Rv. n. 214794; Sez. Un., n. 12 del 31 maggio 2000, Rv. n. 216260; Sez. Un., n. 47289 del 24 settembre 2003, Rv. n. 226074). Né con il ricorso si deducono travisamenti di prova, anche in assenza di ogni allegazione e di prospettazione di dati che siano oggettivi ed inequivoci, posto il principio per cui, da una parte, il ricorso per cassazione con cui si contesti il travisamento di specifici atti del processo deve, a pena di inammissibilità, non solo indicare le ragioni per cui il dato travisato inficia e compromette la tenuta logica e l'intera coerenza della motivazione ma anche individuare in modo inequivoco e rappresentare in modo specifico gli atti processuali su cui fa leva il motivo (cfr. Sez. 6, n. 9923 del 05/12/2011 (dep. 14/03/2012) Rv. 252349 S), dall'altra, sempre ai fini della configurabilità del vizio di travisamento della prova, è necessario che la relativa deduzione abbia un oggetto definito e inopinabile, tale da evidenziare la palese e non controvertibile difformità tra il senso intrinseco della prova e quello tratto dal giudice, con conseguente esclusione della rilevanza di presunti errori da questi commessi nella valutazione del significato probatorio della dichiarazione medesima (in tema di prova dichiarativa Sez. 5, Sentenza n. 8188 del 04/12/2017 Ud. (dep. 20/02/2018) Rv. 272406 - 01).


3. Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza "versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.


P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.


Così deciso in Roma, il 18 dicembre 2024.


Depositata in Cancelleria il 4 febbraio 2025.

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