Quante piante di cannabis posso coltivare in casa: Fino a cinque
Stupefacenti
INDICE
1. Quando la coltivazione di cannabis è legale?
2. Quante piante di cannabis posso coltivare in casa?
3. L'iter giurisprudenziale in materia di coltivazione
4. Modifiche al Testo Unico sugli Stupefacenti: coltivazione di cannabis e nuove misure sanzionatorie
1. Quando la coltivazione di cannabis è legale?
Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 30475, depositata il 10 luglio 2019, hanno affermato che “non costituiscono reato le attività di coltivazione di minime dimensioni svolte in forma domestica.
Attività di coltivazione che per le rudimentali tecniche utilizzate, lo scarso numero di piante ed il modesto quantitativo di prodotto ricavabile appaiono destinate in via esclusiva all'uso personale del coltivatore".
La coltivazione di cannabis per considerarsi legale non deve essere di natura industriale, e pertanto deve realizzarsi senza l’ausilio di attrezzature e materiali che (sia sotto un profilo qualitativo che quantitativo) lascino intendere un possibile sviluppo imprenditoriale.
Ad esempio, se la coltivazione di cannabis viene effettuata mediante l’utilizzo di strumenti e materiali non professionali (che normalmente vengono utilizzati da chi possegga un “orticello” nel giardino di casa) la condotta non sarà punibile.
Va però detto che questa sentenza non ha “abrogato” il reato di coltivazione di cannabis, pertanto le forze dell’ordine potranno comunque sequestrare le piante di cannabis coltivate in casa e determinare l’instaurazione di un procedimento penale nei confronti del coltivatore.
Chiaramente, se il numero delle piante di cannabis sarà esiguo e non verranno rinvenute all’interno della abitazione strumentazioni che lascino intendere una programmazione su base commerciale, si applicheranno i principi espressi dalla Suprema Corte nella sentenza che viene di seguito riportata.
2. Quante piante di cannabis posso coltivare in casa?
Questa è sicuramente la domanda più frequente e dibattuta in giurisprudenza.
Diamo un numero: sarebbe non punibile il reato di coltivazione fino a cinque piante di cannabis.
Siamo abituati a leggere sentenze di condanna per coltivazione di cannabis, sia di merito che di legittimità, molto discordanti sul punto, ed infatti, per alcuni giudici tre piante vengono considerate non punibili, secondo altri anche 12 piante.
Dunque ritengo che ponendoci, per difetto, nel mezzo si riesca ad ottenere una “soglia” affidabile di non punibilità.
«La commercializzazione al pubblico di cannabis sativa L. e, in particolare, di foglie, inflorescenze, olio, resina, ottenuti dalla coltivazione della predetta varietà di canapa, non rientra nell’ambito di applicabilità della legge n. 242 del 2016, che qualifica come lecita unicamente l’attività di coltivazione di canapa delle varietà ammesse e iscritte nel Catalogo comune delle varietà delle specie di piante agricole, ai sensi dell’art. 17 della direttiva 2002/53/CE del Consiglio, del 13 giugno 2002 e che elenca tassativamente i derivati dalla predetta coltivazione che possono essere commercializzati, sicché la cessione, la vendita e, in genere, la commercializzazione al pubblico dei derivati della coltivazione di cannabis sativa L., quali foglie, inflorescenze, olio, resina, sono condotte che integrano il reato di cui all’art. 73, d.P.R. n. 309/1990, anche a fronte di un contenuto di THC inferiore ai valori indicati dall’art. 4, commi 5 e 7, legge n. 242 del 2016, salvo che tali derivati siano, in concreto, privi di ogni efficacia drogante o psicotropa, secondo il principio di offensività».
3. L'iter giurisprudenziale in materia di coltivazione
Un indirizzo rigoroso ha costantemente attribuito rilievo penale a qualsiasi attività non autorizzata di coltivazione di piante dalle quali sono estraibili sostanze stupefacenti, anche quando sia realizzata per la destinazione del prodotto ad uso personale (vds. ex multis Cass. Sez. 6, Sentenza n. 35654 del 28/04/2017 Ud. dep. 19/07/2017 Rv. 270544 Imputato: Ne.).
In altri termini, ai fini della punibilità della coltivazione di piante da stupefacente, l'offensività della condotta consiste nella idoneità della pianta a produrre la sostanza per il consumo, sicché non rileva la quantità di principio attivo ricavabile nell'immediatezza, ma la conformità della pianta al tipo botanico previsto e la sua attitudine, anche per le modalità di coltivazione, a giungere a maturazione e a produrre la sostanza stupefacente, nell'obiettivo di scongiurare il rischio di diffusione futura della sostanza stupefacente.
Di diverso avviso altre pronunce di legittimità le quali, in una prospettiva costituzionale virtuosa, hanno valorizzato l'offensività in concreto della condotta.
La condotta di coltivazione della pianta deve ritenersi penalmente rilevante soltanto in quanto concretamente offensiva in rapporto al bene giuridico.
Non è, dunque, sufficiente la mera coltivazione di una pianta conforme al tipo botanico vietato che, per maturazione, abbia raggiunto la soglia minima di capacità drogante, ma è altresì necessario verificare se tale attività sia concretamente idonea a ledere la salute pubblica ed a favorire la circolazione della droga alimentandone il mercato ("Cass. Sez. 3, Sentenza n. 36037 del 22/02/2017 Ud. dep. 21/07/2017 Rv. 271805 Imputato: (...) Fattispecie in cui la S.C. ha escluso la sussistenza del reato per la minima estensione della coltivazione e per il "conclamato uso personale" di quanto prodotto).
In altre pronunce è stato chiarito che la punibilità per la coltivazione non autorizzata di piante da cui sono estraibili sostanze stupefacenti va esclusa se il giudice ne accerti l'inoffensività "in concreto", ovvero quando la condotta sia così trascurabile da rendere sostanzialmente irrilevante l'aumento di disponibilità della droga, e non prospettabile alcun pericolo della sua ulteriore diffusione (vds. Cass. Sez. 4, Sentenza 77. 17167 del 27/01/2017 Ud. dep. 05/04/2017 Rv. 269539 - 01 Presidente: Ci. FM. Estensore: Ce. D. Relatore: Cenci D. Imputato: Si. Conformi: n. 8058 del 2016 Rv. 266168 - 01, n. 17167 del 2017 Rv. 269539 -01).
A comporre il contrasto giurisprudenziale sono le intervenute le Sezioni Unite (sentenza n. 12348 del 19/12/2019 dep. 16/04/2020 Rv. 278624).
La questione di diritto rimessa al consesso di legittimità è stata la seguente: "Se, ai fini della configurabilità del reato di coltivazione di piante dalle quali sono estraibili sostanze stupefacenti, è sufficiente che la pianta, conforme ed tipo botanico previsto, sia idonea, per grado di maturazione, a produrre sostanza per il consumo non rilevando la quantità di principio attivo ricavabile nell'immediatezza, ovvero se è necessario verificare anche che l'attività sia concretamente idonea a ledere la sedute pubblica ed a favorire la circolazione della droga alimentandone il mercato".
Al quesito è stata data la seguente risposta: "Il reato di coltivazione di stupefacenti è configurabile indipendentemente dalla quantità di principio attivo ricavabile nell'immediatezza, essendo sufficienti la conformità della pianta al tipo botanico previsto e la sua attitudine, anche per le modalità di coltivazione, a giungere a maturazione e a produrre sostanza stupefacente; devono però ritenersi escluse, in quanto non riconducibili all'ambito di applicazione della norma penale, le attività di coltivazione di minime dimensioni svolte in forma domestica, che, per le rudimentali tecniche utilizzate, lo scarso numero di piante, il modestissimo quantitativo di prodotto ricavabile, la mancanza di ulteriori indici di un loro inserimento nell'ambito del mercato degli stupefacenti, appaiono destinate in via esclusiva all'uso personale del coltivatore".
La Corte regolatrice, muovendo dall'assunto che la coltivazione domestica di minime dimensioni, finalizzata esclusivamente al consumo personale, deve ritenersi penalmente irrilevante e deve essere ancorata, non alla sua assimilazione alla detenzione e al regime giuridico di quest'ultima, ma, più linearmente, alla sua non riconducibilità alla definizione di coltivazione come attività penalmente rilevante, reputa che vi è una graduazione della risposta punitiva rispetto all'attività di coltivazione di piante stupefacenti, nelle sue diverse accezioni:
a) devono considerarsi lecite la coltivazione domestica, a fine di autoconsumo - alle condizioni sopra elencate - per mancanza di tipicità, nonché la coltivazione industriale che, all'esito del completo processo di sviluppo delle piante non produca sostanza stupefacente, per mancanza di offensività in concreto;
b) la detenzione di sostanza stupefacente esclusivamente destinata al consumo personale, anche se ottenuta attraverso una coltivazione domestica penalmente lecita, rimane soggetta al regime sanzionatorio amministrativo dell'art. 75 del D.P.R. n. 309 del 1990;
c) alla coltivazione penalmente illecita restano comunque applicabili l'art. 131-bis cod. pen., qualora sussistano i presupposti per ritenerne la particolare tenuità, nonché, in via gradata, l'art. 73, comma 5, del D.P.R. n. 309 del 1990, qualora sussistano i presupposti per ritenere la minore gravità del fatto.
L'indirizzo ermeneutico sancito dalla Corte di legittimità è, dunque, nel senso che non integra il reato di coltivazione di stupefacenti, per mancanza di tipicità, una condotta di coltivazione che, in assenza di significativi indici di un inserimento nel mercato illegale, denoti un nesso di immediatezza oggettiva con la destinazione esclusiva all'uso personale, in quanto svolta in forma domestica, utilizzando tecniche rudimentali e uno scarso numero di piante, da cui ricavare un modestissimo quantitativo di prodotto e una produttività ridottissima, insuscettibile di aumentare in modo significativo la provvista di stupefacenti.
Fatto
1. Con sentenza del 13 marzo 2013, resa all’esito di giudizio abbreviato, il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Torre Annunziata, ritenuta la continuazione, ha dichiarato l’imputato colpevole dei reati di cui: a) all’art. 110 c.p. e D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, per avere, in concorso con altro soggetto, detenuto a fini di spaccio ed in parte effettivamente ceduto gr. 11,03 di marijuana; b) al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, per avere detenuto nella sua abitazione a fini di spaccio 25 dosi di marijuana; c) al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, per avere coltivato, per farne commercio, due piante di marijuana dell’altezza di mt. 1 (con 18 rami) e di mt. 1,15 (con 20 rami); d) all’art. 697 c.p., per avere illegalmente detenuto munizioni per armi comuni da sparo.Con sentenza del 28 febbraio 2018, la Corte d’appello di Napoli, in riforma della sentenza di primo grado: ha assolto l’imputato dal reato di cui al capo b) della rubrica, per insussistenza del fatto; ha dichiarato non doversi procedere in relazione al reato di cui al capo d), perché estinto per prescrizione; ha rideterminato la pena per i residui reati di cui ai capi a) e c), unificati nel vincolo della continuazione, nella misura di un anno di reclusione ed Euro 3.000,00 di multa, confermando le ulteriori statuizioni.A fondamento della decisione, con specifico riferimento - per quel che è di interesse - al reato di coltivazione non autorizzata di sostanze stupefacenti, la Corte territoriale ha ritenuto che dovesse prescindersi dalla destinazione ad uso personale di quanto in sequestro e che, sotto altro profilo, l’offensività della condotta non potesse ritenersi esclusa dal mancato compimento del processo di maturazione dei vegetali, pur in assenza di principio attivo rinvenibile nell’immediatezza, potendosi desumere dall’avanzato stato di crescita, attestato dalla presenza di numerose ramificazioni, l’idoneità a rendere, all’esito di un fisiologico sviluppo, quantità significative di prodotto.2. Avverso la sentenza l’imputato ha proposto, tramite il difensore, ricorso per cassazione, chiedendone l’annullamento.2.1. Con un primo motivo di doglianza, relativo al reato di cui al capo a) della rubrica, la difesa deduce il vizio di travisamento della prova, con riferimento alla relazione di servizio dei carabinieri operanti e alle propalazioni del correo - nei confronti del quale si è proceduto separatamente - i cui contenuti smentirebbero la ricostruzione fattuale operata in sentenza, là dove si afferma che l’acquirente avrebbe avuto un contatto anche con l’odierno ricorrente e non solo con il correo.2.2. In secondo luogo, con riferimento al reato di cui al capo c) della rubrica, si lamenta l’erronea applicazione del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, in quanto l’offensività della condotta sarebbe stata affermata dalla Corte d’appello in mancanza di un accertamento sull’idoneità delle piante a produrre un effetto drogante, che non può desumersi dalla sola presenza di ramificazioni, dato che il principio attivo è contenuto nelle infiorescenze. Si lamenta, inoltre, il travisamento della prova, non emergendo, dagli atti acquisiti in giudizio, che le piante avessero raggiunto un apprezzabile grado di sviluppo.2.3. Con un terzo e un quarto motivo di ricorso, si prospetta l’erronea applicazione degli artt. 62-bis e 163 c.p., sul rilievo che le circostanze attenuanti generiche e la sospensione condizionale della pena sarebbero state negate dalla Corte territoriale sulla base di un reato, indicato quale precedente specifico, con valenza ostativa quanto al riconoscimento della sospensione, che risulta invece commesso in epoca successiva ai fatti in addebito.3. Il procedimento è stato assegnato alla Settima Sezione, la quale, con ordinanza dell’8 marzo 2019, lo ha trasmesso alla Terza Sezione, rilevando l’insussistenza di cause di inammissibilità.4. Con ordinanza dell’11 giugno 2019, la Terza Sezione ha evidenziato l’esistenza di contrasti interpretativi nella giurisprudenza di legittimità - in relazione alla nozione giuridica della "coltivazione" di piante da cui siano ricavabili sostanze stupefacenti - da sottoporre al vaglio delle Sezioni Unite ai sensi dell’art. 618 c.p.p., comma 1.Nell’ordinanza di rimessione si pongono a confronto due differenti indirizzi delineatisi nella giurisprudenza di legittimità. In particolare si rileva che, secondo un primo indirizzo, ai fini della configurabilità del reato di coltivazione di piante stupefacenti, non è sufficiente la mera coltivazione di una pianta conforme al tipo botanico vietato che, per maturazione, abbia raggiunto la soglia minima di capacità drogante, ma è altresì necessario verificare se tale attività sia concretamente idonea a ledere la salute pubblica ed a favorire la circolazione della droga alimentandone il mercato (Sez. 3, n. 36037 del 22/02/2017, Compagnini, Rv. 271805; Sez. 6, n. 8058 del 17/02/2016, Pasta, Rv. 266168; Sez. 6, n. 5254 del 10/11/2015, Pezzato, Rv. 265641; Sez. 6, n. 33835 del 08/04/2014, Piredda, Rv. 260170).
Secondo un diverso orientamento, ai fini della punibilità della coltivazione di stupefacenti, l’offensività della condotta consiste nella sua idoneità a produrre la sostanza per il consumo, sicché non rileva la quantità di principio attivo ricavabile nell’immediatezza, ma la conformità della pianta al tipo botanico previsto e la sua attitudine, anche per le modalità di coltivazione, a giungere a maturazione e a produrre la sostanza stupefacente, nell’obiettivo di scongiurare il rischio di diffusione futura della sostanza stupefacente (Sez. 6, n. 35654 del 28/04/2017, Nerini, Rv. 270544; Sez. 53337 del 23/11/2016, Trabanelli, Rv. 268695; Sez. 6, n. 52547 del 22/11/2016, Losi, Rv. 268938; Sez. 6, n. 25057 del 10/05/2016, Iaffaldano, Rv. 266974; Sez. 3, n. 23881 del 23/02/2016, Damioli, Rv. 267382).La Sezione remittente sollecita, dunque, le Sezioni Unite ad un intervento di nomofilachia che definisca la nozione di offensività in concreto del reato di coltivazione non autorizzata di sostanze stupefacenti.5. Con decreto del Primo Presidente Aggiunto del 10 ottobre 2019, il ricorso è stato assegnato alle Sezioni Unite Penali per l’udienza del 19 dicembre 2019.6. Il pubblico ministero ha depositato note di udienza, con le quali ritiene non condivisibile l’orientamento secondo cui il reato è configurabile per il solo fatto della coltivazione, a prescindere dal principio attivo ricavabile nell’immediatezza, sostenendo che la punibilità dovrebbe dipendere, invece, dalla positiva verifica dell’idoneità della coltivazione a ledere la salute pubblica e a favorire la circolazione della droga, alimentandone il mercato.
Diritto
PQM
4. Modifiche al Testo Unico sugli Stupefacenti: Coltivazione di Cannabis e Nuove Misure Sanzionatorie
Il recente disegno di legge approvato dalla Commissione Giustizia della Camera e in procinto di essere discusso in Aula introduce importanti modifiche al Testo Unico sugli stupefacenti. Tra le novità principali, spiccano la regolamentazione della coltivazione e detenzione di piante di cannabis per uso personale, la revisione del sistema sanzionatorio e la nuova disciplina per l’abbandono di siringhe.
Una delle modifiche più significative riguarda la coltivazione e la detenzione di piante di cannabis.
Il disegno di legge prevede che sia consentita la coltivazione e detenzione di un massimo di quattro piante femmine di cannabis per uso personale, senza incorrere in sanzioni penali o amministrative. Qualora il numero di piante superi questo limite, la coltivazione potrà essere considerata personale e sanzionata solo sul piano amministrativo, purché presenti caratteristiche specifiche: dimensioni ridotte, tecniche rudimentali, numero limitato di piante e assenza di indizi di inserimento nel mercato degli stupefacenti.
Il disegno di legge introduce anche modifiche alle sanzioni per la cessione e commercializzazione di droghe. Attualmente, la cessione di droghe "pesanti" (tabelle I e III) è punita con la reclusione da 8 a 22 anni e con una multa da 25.822 a 309.874 euro. La nuova normativa riduce la pena detentiva massima da 22 a 20 anni, aumenta la multa minima da 25.822 a 31.000 euro e riduce la multa massima da 309.874 a 301.000 euro. Per quanto riguarda le droghe "leggere" (tabelle II e IV), la nuova normativa prevede una pena di reclusione da 3 a 8 anni e una multa da 15.000 a 150.000 euro, segnando un significativo aumento rispetto alla pena attualmente prevista (reclusione da 2 a 6 anni e multa da 5.164 a 77.468 euro).
Un altro aspetto rilevante è la distinzione tra droghe pesanti e droghe leggere in relazione ai fatti di lieve entità. La normativa vigente applica la stessa pena per tutti gli stupefacenti: reclusione da 6 mesi a 4 anni e multa da 1.032 a 10.329 euro. Il disegno di legge introduce una distinzione, prevedendo per le droghe leggere limiti inferiori rispetto agli attuali: reclusione da due mesi a due anni e multa fino a 2.000 euro.
Infine, il disegno di legge inasprisce le sanzioni per l’abbandono di siringhe, riconoscendo la gravità di tale comportamento e l’impatto negativo sulla salute pubblica e sull’ambiente.
In conclusione, queste modifiche rappresentano un passo significativo verso una maggiore regolamentazione e un più articolato sistema sanzionatorio in materia di stupefacenti, con particolare attenzione alla distinzione tra droghe leggere e pesanti e alla tutela della salute pubblica.