Giudizio
Il reato permanente è caratterizzato da una condotta criminosa che si protrae nel tempo, e la sua consumazione continua fino a quando l’autore persiste nell’azione o omissione illecita.
L’art. 516 c.p.p. prevede che eventuali contestazioni suppletive possano essere avanzate dal pubblico ministero qualora emergano nuovi elementi che estendano la durata del reato oltre i termini inizialmente contestati.
La Cassazione penale, Sez. III, con la sentenza n. 37938 del 2024, ha affrontato la questione del reato permanente contestato in forma “chiusa” o “aperta” e l’efficacia della contestazione suppletiva per includere eventuali condotte successive.
Il caso in esame riguardava una contestazione per reato permanente formulata dal pubblico ministero in forma cosiddetta “chiusa,” indicando la data di inizio e fine della condotta criminosa senza includere comportamenti successivi.
Nel corso del procedimento, erano emersi ulteriori elementi che suggerivano un protrarsi della condotta anche dopo la data di contestazione, ma senza una specifica contestazione suppletiva da parte del pubblico ministero.
In primo grado, il giudice aveva esteso la valutazione della consumazione del reato fino alla data di sentenza, nonostante la mancanza di un’esplicita integrazione della contestazione originaria. Tale decisione è stata impugnata in Cassazione per difetto di contestazione.
La Cassazione, con la sentenza n. 37938/2024, ha affermato che "nel caso di contestazione di un reato permanente nella forma c.d. chiusa, il giudice può tener conto dell'eventuale protrarsi della consumazione solo se ciò sia oggetto di un'ulteriore contestazione a opera del pubblico ministero ex art. 516 c.p.p.".
Questo implica che, per i reati permanenti contestati con una delimitazione temporale precisa, ogni condotta successiva richiede un’integrazione formale della contestazione.
Diversamente, nel caso di contestazione in forma “aperta,” dove il pubblico ministero indichi soltanto la data d’inizio della condotta o dell’accertamento, "il giudice può valutare, senza necessità di contestazioni suppletive, anche la condotta criminosa eventualmente realizzata fino alla data della sentenza di primo grado".
La distinzione tra contestazione chiusa e aperta consente quindi al giudice di adattare la valutazione della permanenza del reato in base alla formulazione dell’accusa, evitando che la procedura richieda necessariamente contestazioni integrative.
La Cassazione ha posto particolare attenzione sul fatto che, in mancanza di contestazioni suppletive, un reato contestato in forma chiusa non può includere condotte oltre la data specificata nell’atto di accusa.
La sentenza sottolinea la necessità di preservare il diritto di difesa dell’imputato, che potrebbe risultare compromesso se la durata del reato venisse estesa senza un’adeguata integrazione della contestazione.
Per contro, una contestazione in forma aperta offre maggiore flessibilità, consentendo al giudice di valutare l’intera condotta fino alla sentenza di primo grado, il che è coerente con la natura stessa del reato permanente, caratterizzato da una consumazione prolungata fino a quando l’azione antigiuridica continua.
Cassazione penale sez. III, 03/10/2024, (ud. 03/10/2024, dep. 16/10/2024), n.37938
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 18 gennaio 2024 la Corte d'Appello di Salerno ha rigettato l'impugnazione proposta dalla parte civile Sa.Ma. nei confronti della sentenza del 22 novembre 2022 del Tribunale di Salerno, con la quale era stato dichiarato non doversi procedere nei confronti di Da.Ro., Da.An., Da.Cl., Da.Al., Da.Da. e Da.Vi. in relazione al reato di cui all'art. 255, terzo comma, D.Lgs. 152/2006 (contestatogli per avere omesso di ottemperare all'ordinanza sindacale emessa in data 8 ottobre 2008 ai sensi dell'art. 192, terzo comma, del D.Lgs. 152/2006 dal Comune di C, con la quale gli era stato ordinato, per ragioni di tutela della salute e delle matrici ambientali, di rimuovere i rifiuti abbandonati da terzi sulla loro proprietà e di ripristinare lo stato dei luoghi; in C, dall'inizio dell'anno 2009 e fino al 30 maggio 2011), per essere detto reato estinto per prescrizione.
La Corte d'Appello, nel disattendere il gravame della parte civile, ha evidenziato la cessazione della permanenza della condotta omissiva alla data del 30 maggio 2011 (con la conseguente prescrizione del reato), allorquando gli imputati avevano dovuto interrompere le attività di rimozione dei rifiuti che avevano affidato alla Ecosystem di Lo.Vi., in ottemperanza alla ordinanza sindacale del 30 maggio 2011 del Comune di C, che aveva disposto la sospensione di detti lavori, affermando che le successive ordinanze del 6 marzo 2014 del Comune di C non rilevavano, potendo dar luogo alla realizzazione di un nuovo reato, diverso da quello contestato e a questo successivo.
2. Avverso tale sentenza la parte civile Sa.Ma. ha proposto ricorso per cassazione, per il tramite dell'Avvocato Gaspare Dalia, che lo ha affidato a un unico motivo, mediante il quale ha denunciato, a norma dell'art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., l'erronea applicazione dell'art. 255, terzo comma, D.Lgs. 152/2006 e un vizio della motivazione, anche per travisamento di una prova, con riferimento alla affermazione della cessazione della permanenza della condotta alla data del 30 maggio 2011.
Ha esposto che la rimozione dei rifiuti, ordinata agli imputati, non era mai stata portata a termine e che l'accertamento tecnico preventivo richiesto in sede civile dalla Sa.Ma. si era concluso il 29 dicembre 2011, cosicché da tale data non vi era più stato alcun impedimento alla prosecuzione delle operazioni di rimozione dei rifiuti; ha aggiunto che la mancata revoca del provvedimento di sospensione dei lavori adottato dal Comune di C, che avrebbe impedito la prosecuzione dei lavori, era dovuta alla mancanza, in capo all'impresa incaricata di eseguirli per conto degli imputati, delle necessarie autorizzazioni e della mancanza di un idoneo piano di rimozione e smaltimento dei rifiuti, dunque a una circostanza addebitabile agli imputati, con la conseguenza che la mancata revoca dell'ordinanza sindacale di sospensione dei lavori, la loro mancata prosecuzione e la conseguente inottemperanza all'ordine di rimozione dei rifiuti dovevano ritenersi riconducibili agli imputati medesimi e attribuibili a una loro condotta negligente.
La dichiarazione di estinzione del reato per prescrizione confermata dalla Corte d'Appello sarebbe, dunque, errata, in quanto fondata su una inesatta valutazione della condotta degli imputati e sulla omessa considerazione delle ragioni che avevano determinato l'emanazione dell'ordinanza di sospensione dei lavori di rimozione dei rifiuti.
Ha pertanto concluso chiedendo l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata.
3. Con memoria del 12 settembre 2024 gli imputati hanno nuovamente depositato la memoria difensiva già depositata nel corso del giudizio di primo grado innanzi al Tribunale di Salerno, mediante la quale avevano sottolineato gli elementi dimostrativi della cessazione della permanenza della condotta illecita nel maggio 2011, con la conseguente correttezza della dichiarazione di estinzione del reato per prescrizione.
4. Con memoria del 13 settembre 2024 la ricorrente ha ribadito la fondatezza dei propri motivi di ricorso, sottolineando l'erroneità della affermazione contenuta nella sentenza impugnata secondo cui la condotta sarebbe stata contestata come realizzata fino al 30 maggio 2011, essendo ciò frutto di una inesatta trascrizione della imputazione nella sentenza di secondo grado, in quanto nel decreto di citazione a giudizio il fatto contestato era indicato come "Accertato in C nell'agosto 2009 e tuttora in corso", come indicato anche nella sentenza di primo grado, dunque nella forma cosiddetta "aperta". L'espressione "tuttora in corso" sarebbe espressiva della permanenza della condotta al momento della formulazione della contestazione, con la conseguenza che la cognizione dovrebbe estendersi all'intero sviluppo della fattispecie criminosa (si richiama in proposito la sentenza n. 11021 del 1998 delle Sezioni Unite), oltre la data di esercizio dell'azione penale e anche oltre quella del 30 maggio 2011, individuata nella sentenza impugnata come data di cessazione della permanenza, con la conseguente erroneità della dichiarazione di prescrizione, stante la natura permanente del reato di cui all'art. 255, comma 3, D.Lgs. n. 152/2006, la cui consumazione si protrae sino all'ottemperanza all'ordine ricevuto (si richiama sul punto la sentenza n. 9461 del 2024).
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato.
2. Occorre premettere che l'art. 255, comma 3, D.Lgs. n. 152 del 2006, sanziona penalmente la condotta di "chiunque non ottempera all'ordinanza del Sindaco di cui all'art. 192, comma 3", e che, secondo quest'ultima disposizione, l'ordinanza del Sindaco deve essere emessa innanzitutto nei confronti del responsabile della condotta di abbandono o di deposito dei rifiuti, nonché del proprietario dell'area interessata e dei titolari dei diritti reali e personali di godimento sulla stessa, i quali sono obbligati "in solido" con il primo.
Sulla base di questa disciplina, si è precisato in giurisprudenza che, in tema di smaltimento di rifiuti, l'obbligo di rimozione sorge sia in capo al responsabile dell'abbandono, quale conseguenza della sua condotta, sia nei confronti degli obbligati in solido, quando sia dimostrata la sussistenza del dolo o della colpa, sia nei confronti dei destinatari dell'ordinanza sindacale di rimozione che sono obbligati in quanto tali e che, in caso di inottemperanza, ne subiscono, per ciò solo, le conseguenze se non hanno provveduto a impugnare il provvedimento per ottenerne l'annullamento o non hanno fornito al giudice penale elementi significativi per l'eventuale disapplicazione (cfr., Sez. 3, n. 9461 del 19/01/2024, Bert, Rv. 286027 - 01; Sez. 3, n. 39430 del 12/06/2018, Pavan, Rv. 273841-01).
Il reato di mancata ottemperanza all'ordine sindacale di rimozione dei rifiuti ha natura permanente e lo scadere del termine per l'adempimento non indica il momento di esaurimento della fattispecie, bensì l'inizio della fase di consumazione che si protrae sino al momento dell'ottemperanza all'ordine ricevuto (Sez. 3, n. 39430 del 12/06/2018, Pavan, Rv. 273841 - 01, cit.; Sez. 3, n. 33585 del 08/04/2015, Rosano, Rv. 264439 - 01; Sez. 3, n. 23489 del 18/05/2006, Marini, Rv. 234484 - 01).
3. A proposito della cessazione della permanenza le Sezioni Unite hanno chiarito, con la sentenza Montanari (Sez. U, n. 11021 del 13/07/1998, Montanari, Rv. 211385 - 01, ma si veda già, in precedenza, nel medesimo senso, Sez. U, n. 11930 del 11/11/1994, Polizzi, Rv. 199169 - 01), che qualora il pubblico ministero si sia limitato a indicare esclusivamente la data iniziale (o la data dell'accertamento) e non quella finale, la permanenza - intesa come dato della realtà - deve ritenersi compresa nell'imputazione, sicché l'interessato è chiamato a difendersi nel processo in relazione a un fatto la cui essenziale connotazione è data dalla sua persistenza nel tempo, senza alcuna necessità che il protrarsi della condotta criminosa formi oggetto di contestazioni suppletive da parte del titolare dell'azione penale (nel l'afferma re detto principio le Sezioni Unite hanno precisato che la contestazione del reato permanente assume una sua vis expansiva fino alla pronuncia della sentenza, e ciò non perché in quel momento cessi o si interrompa naturalisticamente o sostanzialmente la condotta, ma solo perché le regole del processo non ammettono che possa formare oggetto di contestazione, di accertamento giudiziale e di sanzione una realtà fenomenica successiva alla sentenza, pur se legata a quella giudicata da un nesso inscindibile per la genesi comune, l'omogeneità e l'assenza di soluzione di continuità, la quale potrà essere eventualmente oggetto di nuova contestazione).
Tale principio, non controverso nella giurisprudenza di legittimità, è stato successivamente precisato evidenziando che nel caso di contestazione di un reato permanente nella forma cosiddetta "chiusa", con precisa indicazione della data di cessazione della condotta illecita (ad esempio con la formula "accertato fino al…"), il giudice può tener conto dell'eventuale protrarsi della consumazione soltanto se ciò sia oggetto di un'ulteriore contestazione ad opera del pubblico ministero ex art. 516 cod. proc. pen.; qualora invece il reato permanente sia stato contestato in forma c.d. "aperta" - essendosi il pubblico ministero limitato a indicare solo la data di inizio della consumazione, ovvero quella dell'accertamento - il giudice può valutare, senza necessità di contestazioni suppletive, anche la condotta criminosa eventualmente realizzata fino alla data della sentenza di primo grado (Sez. 2, n. 20798 del 20/04/2016, Zagaria, Rv. 267085 - 01).
È stato, ulteriormente, precisato che in tema di reato permanente (nella specie violazione degli obblighi di natura economica posti a carico del genitore separato di cui all'art. 3 della legge n. 54 del 2006), la contestazione contenuta nel decreto che dispone il giudizio con la formula "ad oggi" o "tutt'ora" delimita la durata della contestazione e, quindi, la cessazione della permanenza alla data di formulazione dell'accusa (Sez. 6, n. 7605 del 16/12/2016, dep. 2017, D C., Rv. 269053 - 01, citata anche dal Procuratore Generale e dalla ricorrente nella sua memoria; nel medesimo senso Sez. 5, n. 4554 del 09/12/2010, dep. 2011, Cambria Scimone, Rv. 249263 - 01, con riferimento a una contestazione con la formula "ad oggi").
4. Ora, nel caso in esame la Corte d'Appello di Salerno ha confermato la decisione di improcedibilità per essere il reato contestato agli imputati estinto per prescrizione sulla base del rilievo che tale reato fosse stato contestato come commesso "in C dall'inizio del 2009 fino al 30/5/2011", come riportato nell'epigrafe della sentenza impugnata.
Tale indicazione, e la conseguente individuazione del momento consumativo del reato, ossia di cessazione della permanenza, è, però, frutto di una errata considerazione della contestazione, che, secondo quanto risulta dalla copia del decreto di citazione a giudizio allegata alla memoria presentata dal ricorrente e anche dalla copia della sentenza di primo grado in atti e come riportato anche nella motivazione della sentenza impugnata a pag. 4, era formulata diversamente, con indicazione di una permanenza in atto al momento della contestazione, posto che il reato contestato vi risulta indicato come "accertato in C nell'agosto 2009 e tutt'ora in corso".
Si tratta, chiaramente, di una contestazione cosiddetta "aperta", essendo inequivoco il riferimento alla protrazione della condotta derivante dall'utilizzo della frase "tutt'ora in corso", che non individua un momento finale della condotta o la sua cessazione (come potrebbe, invece, essere con le sole locuzioni "a tutt'ora" o "ad oggi"), ma ne descrive la persistenza e la prosecuzione, posto che vi è il riferimento alla attualità della consumazione della condotta, con la conseguenza che la cognizione dei giudici di merito doveva ritenersi estesa a tutte le condotte poste in essere fino alla sentenza di primo grado, da individuarsi, in assenza di elementi dimostrativi di una data anteriore di cessazione della permanenza, come il termine ultimo della condotta giudicabile.
Poiché non è contestato che gli imputati, anche successivamente all'espletamento dell'accertamento tecnico preventivo richiesto dalla ricorrente in sede civile (che poteva ostacolare la rimozione dei rifiuti e il ripristino dello stato dei luoghi ordinato agli imputati), non abbiano ottemperato all'ordinanza sindacale di rimozione e ripristino del 2008, risultano errate le affermazioni contenute nella sentenza impugnata circa la necessità di una nuova contestazione (in relazione alle ordinanze sindacali emesse nei confronti dei medesimi imputati nel 2014), non essendovi stata ottemperanza all'ordine impartito nel 2008 con il provvedimento indicato nella imputazione e non occorrendo pertanto un nuovo ordine (essendo dovuta alla inadeguatezza della impresa incaricata dai ricorrenti la sospensione dell'esecuzione delle operazioni di rimozione e alla mancanza di un idoneo piano di rimozione e smaltimento dei rifiuti, che non implicava il venire dell'obbligo posto a carico degli intimati, cosicché costituiva onere degli imputati, per poter provvedere all'ordine loro impartito, eliminare gli ostacoli che avevano determinato la sospensione dell'ordine di rimozione dei rifiuti e di rimessione in pristino dello stato dei luoghi), e circa l'estinzione del reato per prescrizione, dovendosene collocare la consumazione, in presenza di contestazione aperta, alla data di pronuncia della sentenza di primo grado, ossia al 22 novembre 2022.
Ne consegue la necessità di un nuovo esame, limitato alla sussistenza del presupposto del risarcimento del danno richiesto dalla ricorrente, da demandare, in assenza di impugnazione del pubblico ministero, al giudice civile competente per valore in grado di appello, che provvederà anche alla liquidazione delle spese di questo giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata, limitatamente agli effetti civili, con rinvio per nuovo giudizio al giudice civile competente per valore in grado di appello, cui rimette anche la liquidazione delle spese tra le parti per questo grado di legittimità.
Così deciso in Roma il 3 ottobre 2024.
Depositato in Cancelleria il 16 ottobre 2024.