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Reati associativi

Voto di scambio politico-mafioso e metodo mafioso: non è sufficiente fare riferimento a legami di tipo familiare

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Voto di scambio politico-mafioso e metodo mafioso

Il reato di scambio elettorale politico-mafioso, disciplinato dall’art. 416-ter del Codice Penale, si configura quando un soggetto accetta di procurare voti in cambio di promesse o doni offerti da un'associazione di tipo mafioso, con l’intento di condizionare il risultato elettorale. La giurisprudenza richiede che vi sia un accordo con metodo mafioso, tale da intimidire o condizionare gli elettori.

La Cassazione penale, Sez. VI, con la sentenza n. 36577 del 2024, ha annullato l'ordinanza di custodia cautelare a carico di De.Mi., accusato di concorso nel reato di voto di scambio politico-mafioso e di appartenenza a un sodalizio mafioso. La decisione ha evidenziato il difetto di motivazione e l’inadeguatezza della ricostruzione indiziaria, fondata principalmente su legami familiari e mere presunzioni​.


La vicenda processuale

Il caso riguardava una persona accusata di far parte di un sodalizio mafioso e di aver partecipato a episodi di voto di scambio politico-mafioso nelle elezioni amministrative del maggio 2019 a Bari.

Secondo l’accusa, l'imputato avrebbe agito insieme ad altri membri del clan per procurare voti a favore di un candidato consigliere comunale, moglie di un noto politico locale. Il tribunale aveva confermato la custodia cautelare, sulla base di intercettazioni e legami familiari tra l'imputato e i vertici del clan​.


Il principio di diritto: la prova dell'intraneità al sodalizio

La Cassazione ha accolto parzialmente il ricorso, sottolineando che, per affermare l'intraneità di un soggetto a un sodalizio mafioso, non è sufficiente fare riferimento a legami di tipo familiare o alla partecipazione a pochi episodi di reati-fine. La Corte ha ribadito che "la semplice appartenenza familiare non costituisce prova sufficiente di intraneità a un sodalizio mafioso, se non corroborata da ulteriori elementi dimostrativi di una partecipazione attiva e consapevole".

La Corte ha inoltre evidenziato che, per configurare il reato di scambio politico-mafioso, è necessario dimostrare che l’accordo elettorale sia stato realizzato attraverso metodi mafiosi di intimidazione, che nel caso di specie non erano stati sufficientemente provati. In particolare, la sentenza ha affermato: "Il metodo mafioso richiede la prova di un condizionamento effettivo, che vada oltre la semplice promessa di procurare voti, e si concretizzi in atti di intimidazione o coercizione"​.


Il ruolo del metodo mafioso

Il metodo mafioso rappresenta un elemento centrale per qualificare il reato di scambio elettorale politico-mafioso. La Cassazione ha chiarito che tale metodo deve essere dimostrato in modo puntuale, con prove che attestino l'effettivo uso della forza intimidatoria dell’associazione mafiosa per condizionare il risultato elettorale. Il semplice accordo politico, se non accompagnato da atti intimidatori, non è sufficiente per integrare il reato di scambio politico-mafioso.


La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO

1. Con la ordinanza in epigrafe indicata, il Tribunale di Bari rigettava l'istanza di riesame presentata da De.Mi. avverso l'ordinanza del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Bari del 7 febbraio 2024 che gli aveva applicato la misura cautelare della custodia in carcere in relazione ai reati di cui ai capi 5), 12) e 24) della rubrica provvisoria.

Secondo la imputazione cautelare, De. avrebbe fatto parte del sodalizio mafioso facente capo al cognato Sa.Pa. (la cui esistenza era stata accertata in pregresse sentenze di condanna emesse fino al luglio 2018), operante da trent'anni fino all'attualità a Bari e in vari comuni dell'entroterra (capo 24: art. 416 - bis cod. pen.), nonché avrebbe concorso ad estorsioni realizzate dall'agosto 2018 all'agosto 2020 dal clan all'interno dell'azienda municipalizzata per i trasporti urbani di Bari (capo 12: artt. 81,110,629,416 - bis.1. cod. pen.) e al voto di scambio politico - mafioso in occasione delle elezioni amministrative di Bari del maggio 2019 (capo 5: artt. 81,110,416 - ter cod. pen.).


2. Avverso la suddetta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell'indagato, denunciando i motivi di annullamento, di seguito sintetizzati conformemente al disposto dell'art. 173 disp. att. cod. proc. pen.


2.1. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 546,125,309 cod. proc. pen. e 416 - ter cod. pen.

In relazione al capo 5) la motivazione dell'ordinanza impugnata è del tutto assente, avendo completamente ignorato elementi segnalati dalla difesa, volti a imporre una diversa conclusione del processo.

Il Tribunale si è limitato a richiamare il provvedimento genetico e la richiesta cautelare, senza rispondere alle doglianze della difesa (riprodotte in calce al ricorso da pagg. 2 - 15).

Né sono adeguate le argomentazioni riportate a pag. 34 dell'ordinanza impugnata.

Contrariamente a quanto sostenuto dal Tribunale, valorizzando il suo ruolo di intraneo al sodalizio, il ricorrente ha avuto rapporti solo con il nipote To.Lo. ed è stato coinvolto soprattutto per il legame che lo univa all'oncologo Lo. (stante la malattia del nipote Ga.Be.), suocero dell'Ol. e padre della candidata Ma.Lo. Tale ricostruzione è stata del tutto pretermessa.

Apparente ed erronea è la motivazione a pagg. 36 - 37 là dove giunge a definire inconferenti le deduzioni difensive, circa le modalità di intimidazione, muovendo dal presupposto errato che il ricorrente sia intraneo al sodalizio.

Fondante la previsione criminosa è l'utilizzo del metodo mafioso, a seconda che la promessa provenga da un soggetto organico al sodalizio o ad esso estraneo.


2.2. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 546,125,309 cod. proc. pen. e 629, 416 - bis.1 cod. pen.

Anche per il capo 12) il Tribunale omette di confrontarsi con le argomentazioni difensive e con le risultanze investigative (cfr. pag. 38, trattandosi di assunzioni a tempo determinato nel settore sosta - e non indeterminato - in occasione di specifici eventi).

Si riproducono in calce, da pagg. 17 e 18, i passaggi della memoria difensiva, che è stata liquidata dal Tribunale, sostenendo che la tesi di basava su una sola tessera dell'ampio mosaico indiziario, ossia la captazione del 6 settembre 2018.

Peraltro, è lo stesso Tribunale a richiamare tale evidenza per sovvertire il ragionamento difensivo, convenendo con la difesa che all'interno della municipalizzata vi era un sistema diffuso di collusione e mercimonio di assunzioni che investiva figure di vertice della azienda ed era condiviso da tutti. In ogni caso i vertici non avevano alcun potere sulle assunzioni e To.Lo. e De.Mi. erano soggetti assunti nell'azienda da oltre un ventennio.


2.3. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 546,125,309 cod. proc. pen. e 416 - bis cod. pen.

Del tutto apparente è la motivazione offerta dal Tribunale per il capo 24).

Dopo aver richiamato il compendio indiziario riguardante l'associazione mafiosa, il Tribunale con salto logico ritiene certa la intraneità del ricorrente, fondandosi sul solo legame familiare con To.Lo. (tra l'altro incensurato) e sulla commissione di due reati - fine.

Tutti gli argomenti difensivi versati nella memoria (riprodotta in calce al ricorso da pagg. 20 a 27) non hanno trovato confronto alcuno nell'ordinanza impugnata, che si è limitata a mutuare acriticamente il contenuto della richiesta cautelare.

In modo illogico il Tribunale ha collocato inoltre il ricorrente in "summit" sempre e solo con il nipote To., né possono essere ritenuti summit mafiosi alcuni incontri conviviali legati al momento storico delle elezioni.


2.4. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 546,275 cod. proc. pen. e alla nota depositata dall'ufficio di Procura.

Il Tribunale non si è confrontato con tutta una serie di dati oggettivi in grado di superare entrambe le presunzioni poste dall'art. 275 cod. proc. pen. ed in particolare, quanto all'attualità, con la nota depositata allo stesso Giudice per le indagini preliminari dal P.M. che attualizzavano le esigenze cautelari.

Le condotte risultavano assai lontane nel tempo: l'ordinanza genetica è intervenuta nel marzo 2024 per fatti perimetrati al 2020.

Invero nessuno degli 11 collaboratori ha riconosciuto il ricorrente come associato e siamo in presenza di un soggetto incensurato, privo di carichi pendenti, e la Procura non è stata in grado di indicare elementi di attualità.


CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso va accolto nei limiti di seguito indicati, risultando per il resto inammissibile.


2. Va preliminarmente censurata la tecnica espositiva dei motivi.


Il ricorrente, infatti, in larga parte si è limitato a riportare intere pagine della memoria presentata in sede di riesame e ad affermare che il Tribunale non si è confrontato con le argomentazioni difensive.

Tale metodo è inammissibile in quanto il ricorrente confonde l'esigenza di dimostrare di aver presentato una questione davanti al giudice a quo con la necessità che il ricorso individui in modo specifico ed autonomo le questioni che sono state sollevate e le carenze rispetto ad esse della ordinanza impugnata.

In tal modo il ricorso va definito generico in quanto non rispetta i requisiti di specificità richiesta dall'art. 581 cod. proc. pen.

Tale carenza va viepiù correlata alla circostanza che il Tribunale a pag. 28 dell'ordinanza impugnata ha definito i rilievi della difesa il frutto di una lettura parcellizzata e lacunosa del materiale indiziario, che ometteva la considerazione dei passaggi più significativi delle captazioni, disancorandone il significato dal contesto generale degli accadimenti.


3. Fatte queste premesse ed esaminato il ricorso in questa prospettiva, va per ragioni sistematiche affrontato per primo il terzo motivo relativo al capo 24).


Il motivo è elaborato in larga parte in modo generico, per quello che si è già osservato.


Venendo alle questioni esposte in modo più esplicito, il ricorrente ha contestato in questa sede:


- la valutazione della sua intraneità, in quanto fondata sul solo legame familiare con To.Lo. (tra l'altro, incensurato) e sulla commissione di due reati - fine;


- l'acritico rinvio alla richiesta cautelare;


- la ritenuta partecipazione del ricorrente a summit (secondo la difesa, in realtà, incontri con il solo nipote To. o mere occasioni conviviali legate al momento storico delle elezioni).


3.1. La seconda questione, relativa alla tecnica di redazione della motivazione, è formulata in modo del tutto generico ed assertivo.


Posto che in via di principio è legittimo da parte del Tribunale il ricorso alla motivazione per relationem in determinate circostanze (cfr. Sez. 1, n. 8676 del 15/01/2018, Rv. 272628), era necessario da parte del ricorrente evidenziare con specificità il vizio lamentato. In ogni caso, l'ordinanza impugnata contiene in più passaggi la esposizione del vaglio critico del Tribunale del materiale indiziario, anche alla luce delle deduzioni della difesa.


3.2. Quanto alla ritenuta intraneità del ricorrente al sodalizio mafioso, che è oggetto dei due restanti profili, va osservato che i rilievi sono da un lato aspecifici e dall'altro meramente oppositivi, in quanto il ragionamento giustificativo del provvedimento impugnato - esplicitato alle pagg. 47 - 51 - si fonda su elementi dimostrativi che risultano nel ricorso non considerati o comunque meramente sviliti e parcellizzati.

Da un lato vi era la partecipazione del ricorrente ai reati - fine, nell'ambito delle attività criminali del sodalizio (il controllo mafioso dell'azienda municipalizzata dei trasporti di Bari, AMTAB; il condizionamento delle competizioni elettorali locali con il voto di scambio politico-mafioso), con i quali egli aveva contribuito in modo rilevante alla realizzazione del programma delittuoso del sodalizio.

Dall'altro si ponevano le captazioni che avevano rivelato come il ricorrente fosse a conoscenza e nella padronanza delle dinamiche mafiose, che fosse il fiduciario del nipote To., tanto da far ritenere necessaria la sua presenza in summit fissati nel contesto delle attività correlate all'accordo politico - mafioso con l'Ol. o del controllo della AMTAB.

Il Tribunale ha inoltre escluso che la sua partecipazione fosse stata basata solo sui suoi legami familiari, avendo il ricorrente dimostrato di essere costantemente a disposizione del clan (con il cui capo era legato anche da vincoli familiari) e di intervenire fattivamente in diverse attività criminose che costituivano quelle "tipiche" del sodalizio.

In particolare, aveva partecipato sia al controllo mafioso dell'AMTAB, imponendo, sotto le direttive del Lo., le assunzioni di soggetti contigui al clan mafioso; sia all'attività di procacciamento di voti, oggetto dell'accordo politico - mafioso concluso tra Lo. ed Ol..

Il Tribunale ha altresì evidenziato come, proprio in ragione dei rapporti con lo storico capo del clan, il ricorrente non risultasse formalmente affiliato.

L'ordinanza impugnata ha inoltre richiamato le dichiarazioni dei due collaboratori La. e Ca., che hanno rimarcato la soggezione del predetto ai capi, la sua collaborazione nelle azioni delittuose e la disponibilità incondizionata ad eseguire ordini impartiti dal capo-clan, specie per pregresse attività del sodalizio, poi dismesse.


4. Le censure relative al capo 5) sono in parte generiche, in quanto formulate con la sola trascrizione della memoria difensiva, e in parte meramente oppositive ed aspecifiche.

Il Tribunale ha richiamato la vicenda - non contestata dalla difesa - dell'accordo concludo tra il clan e Gi.Ol. per procurare voti alla moglie di quest'ultimo, Ma.Lo., candidata nelle elezioni amministrative del 26 maggio 2019 a consigliere comunale, per il Comune di Bari.

In questo quadro la partecipazione del ricorrente è stata ricostruita dal Tribunale grazie alle captazioni, specificatamente riportate a pagg. 29 - 34 dell'ordinanza impugnata, così disattendendo la tesi difensiva - in questa sede meramente riproposta - che il concorso del ricorrente sia stato basato soltanto dall'essere organico al sodalizio.

Il Tribunale ha anche escluso, proprio sulla base della lettura dei dialoghi captati, che il ricorrente avesse agito per fini personali al di fuori degli interessi della cosca. Anche tale censura è meramente reiterata in questa sede.

Resta infine confinato nelle censure al capo 24) il rilievo sollevato dal ricorrente quanto al "presupposto errato" della sua intraneità al sodalizio.

Quanto infine al metodo, è sufficiente richiamare la pacifica giurisprudenza che, ai fini della configurabilità del delitto di scambio elettorale politico - mafioso, anche nel testo successivo alle modifiche introdotte dalla legge 21 maggio 2019, n. 43, ritiene necessaria la prova che l'accordo contempli l'attuazione, o la programmazione, di un'attività di procacciamento di voti con metodo mafioso, ove il soggetto che si impegna a reclutare i suffragi, pur essendo intraneo ad una consorteria mafiosa, operi "uti singulus" (Sez. 6, n. 15425 del 12/12/2022, dep. 2023, Rv. 284583).


5. Il ricorso, quanto al capo 12), oltre ad articolare censure generiche, nei termini già illustrati in premessa, avanza anche in tal caso rilievi aspecifici.

In primo luogo, il Tribunale ha richiamato la tesi difensiva - qui riproposta - e ha indicato le evidenze che davano contezza della ipotesi accusatoria ed in particolare le captazioni che dimostravano come Lo. e il ricorrente esercitassero un tale potere all'interno dell'azienda da redigere le liste dei nominativi da assumere in occasione di eventi e concerti, come dimostrava plasticamente la vicenda in cui il ricorrente aveva in un'occasione, durante l'assenza per vacanza del Lo., inserito nominativi ulteriori rispetto all'elenco già predisposto e da consegnare al responsabile del settore sosta.

Inoltre, la circostanza, emersa dalla medesima captazione, che vi fosse un parallelo sistema clientelare da parte dei vertici dell'azienda per propri fini, non veniva ad incrinare, come ha spiegato il Tribunale, l'ipotesi accusatoria. Quello che è rilevante è che il Tribunale ha evidenziato come proprio il potere della cosca venisse ad inserirsi "prepotentemente" ab externo in un diffuso sistema spartitorio dei posti di lavoro, subito con supino assoggettamento dai vertici dell'azienda di fronte alle intimidazioni mafiose.

Le captazioni davano atto, invero, della capacità intimidatoria del clan e del suddetto supino assoggettamento dei vertici alle intimidazioni mafiose (cfr. pag. 41).

Le altre doglianze versate nel motivo avanzano argomenti di merito, inidonei viepiù ad incrinare il ragionamento giustificativo dell'ordinanza impugnata.


6. L'ultimo motivo sulle esigenze cautelari è invece fondato.

Il Tribunale ha ampiamente motivato sull'attuale esistenza della associazione mafiosa, ritenendo ancora attuale anche la pericolosità del ricorrente, nonostante il tempo decorso dalle manifestazioni della sua partecipazione (i reati - fine riguardanti il ricorrente risalgono al più tardi all'agosto 2020).

E' ciò valorizzando tanto la sua personalità trasgressiva, dimostrata dalla gravità e varietà dei fatti commessi, quanto la stabilità del suo inserimento nel clan e i suoi rapporti privilegiati con coloro che avevano nel sodalizio una posizione apicale.


6.1. Ritiene il Collegio di dare continuità all'orientamento di legittimità, secondo cui, pur se per i reati di cui all'art. 275, comma 3, cod. proc. pen. è prevista una presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari, il tempo trascorso dai fatti contestati, alla luce della riforma di cui alla legge 16 aprile 2015, n. 47, e di un'esegesi costituzionalmente orientata della stessa presunzione, deve essere espressamente considerato dal giudice, ove sì tratti di un rilevante arco temporale privo di ulteriori condotte sintomatiche di perdurante pericolosità da parte dell'indagato, potendo lo stesso rientrare tra gli "elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari", cui si riferisce lo stesso art. 275, comma 3, del codice di rito (da ultimo, Sez. 6, n. 11735 del 25/01/2024, Rv. 286202, in tema di reato associativo mafioso).

In tale arresto si è condivisibilmente osservato come il contributo all'attualità della vita associativa ed alla realizzazione dei fini che la stessa si propone non può risolversi in una semplice adesione di tipo ideologico, che sicuramente rileva sul piano psicologico, ma deve, comunque, concretarsi in una condotta partecipativa, anche di rilievo non particolarmente incisivo e, come tale, sostituibile, che sia funzionale alla realizzazione degli scopi illeciti della compagine e dimostrativa di una attualità dell'inserimento in essa dell'indagato e, quindi, della permanenza del delitto associativo non solo sul versante oggettivo della struttura associativa in sé considerata, ma anche su quello soggettivo della personale adesione ad essa del singolo indagato. Si tratta, dunque, più che di un mero "status" di appartenenza di un ruolo dinamico e funzionale, connotato dallo stabile inserimento dell'agente nella struttura organizzativa dell'associazione, idoneo, per le specifiche caratteristiche del caso concreto, ad attestare la sua 'messa a disposizione' in favore del sodalizio per il perseguimento dei comuni fini criminosi (Sez. U., n. 36958 del 27/05/2021, Modafferi, Rv. 281889; Sez. U., n. 33748 del 12/07/2005, Mannino, Rv. 231670).

A fronte di una siffatta connotazione della condotta di partecipazione ad una associazione di stampo mafioso e della incontestata natura permanete di tale reato, si è ritenuto che il tempo intercorso tra i fatti contestati e l'emissione della misura cautelare, ove sia privo di ulteriori condotte "sintomatiche" di perdurante pericolosità da parte dell'indagato, può rilevare quale fattore indicativo della inattualità del vincolo associativo o della sua definitiva dissoluzione - dovendosi, peraltro, escludere la necessità che il recesso dell'associato assuma le forme di una dissociazione espressa, coincidente con l'inizio della collaborazione con l'Autorità giudiziaria.


6.2. Sulla base di queste premesse in diritto e considerato il consistente tempo trascorso dagli ultimi fatti sintomatici della partecipazione del ricorrente al sodalizio, la motivazione dell'ordinanza impugnata appare carente e anche distonica rispetto alla stessa ricostruzione del ruolo da lui ricoperto (a pag. 49 definito "non di primo piano" all'interno del sodalizio), non potendo la perdurante pericolosità essere tratta soltanto dai vincoli familiari con gli associati, anche se apicali, o dalla mera stabilità della sua intraneità.

La duplice presunzione, stabilita dall'art. 275, comma 3, cod. proc. pen. - relativa, quanto alla sussistenza del periculum libertatis; assoluta, quanto all'adeguatezza della sola custodia carceraria a fronteggiarlo - si fonda infatti sulla regola di esperienza secondo cui l'appartenenza ad associazioni di tipo mafioso implica un'adesione permanente ad un sodalizio criminoso di norma fortemente radicato nel territorio, caratterizzato da una fitta rete di collegamenti personali e dotato di particolare forza intimidatrice.

Il tempo c.d. "silente", quando appare, come nel caso in esame, rilevante per la sua estensione, viene pertanto a costituire un dato idoneo ad incrinare la tenuta di questa regola di esperienza quanto alla perdurante adesione.


7. Alla luce di quanto sopra esposto, va disposto l'annullamento dell'ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio sul punto delle esigenze cautelari al Tribunale di Bari, competente ai sensi dell'art. 309, comma 7, cod. proc. pen.


La Cancelleria provvederà alle comunicazioni di rito.


P.Q.M.

Annulla l'ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Bari, competente ai sensi dell'art. 309, co. 7, cod. proc. pen.


Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 94, comma 1 - ter, disp. att. cod. proc. pen.


Così deciso il 18 settembre 2024.


Depositata in Cancelleria l'1 ottobre 2024.


Voto di scambio politico-mafioso e metodo mafioso: non è sufficiente fare riferimento a legami di tipo familiare

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