Sequestro probatorio
Il sequestro probatorio di dispositivi informatici e l’acquisizione di dati contenuti in tali dispositivi rappresentano questioni centrali nel dibattito giurisprudenziale, in particolare con riferimento a fattispecie criminose complesse come quelli economiche o di natura fiscale.
Ai sensi dell’art. 253 c.p.p., il sequestro probatorio è finalizzato alla raccolta di elementi di prova relativi al reato oggetto di indagine. Tuttavia, l’acquisizione massiva di dati presenti in dispositivi informatici richiede una particolare attenzione ai principi di proporzionalità e pertinenzialità. La sentenza n. 41110 del 2024 della Corte ha confermato che tali acquisizioni sono legittime, purché accompagnate da criteri specifici per l’estrapolazione dei dati utili alle indagini.
Il caso in questione riguarda una indagata, la quale ha proposto ricorso contro un decreto di perquisizione e sequestro disposto dalla Procura di Ancona.
Il sequestro aveva ad oggetto dispositivi informatici e documentazione relativa a diverse società, ed era finalizzato a verificare l’eventuale partecipazione della ricorrente in attività illecite connesse a società cartiere.
Il Tribunale del riesame di Ancona aveva confermato il sequestro, giustificando l’ablazione massiva dei dati presenti nei dispositivi per permettere la successiva selezione delle informazioni rilevanti.
La difesa ha sollevato diverse contestazioni, in particolare riguardo alla mancanza di criteri chiari per l’acquisizione dei dati dai dispositivi informatici e alla genericità del vincolo probatorio.
Secondo la difesa, tale modalità avrebbe violato i principi di proporzionalità e adeguatezza richiesti per i sequestri probatori.
La Cassazione ha rigettato il ricorso, ribadendo che il sequestro di interi dispositivi informatici può considerarsi legittimo anche quando comporta l’acquisizione massiva di dati, a condizione che vi siano criteri specifici per l’estrazione delle informazioni utili.
La Corte ha affermato che "il sequestro probatorio di interi dispositivi informatici è ammissibile purché si rispettino i principi di proporzionalità e di adeguatezza". In particolare, la giurisprudenza ha riconosciuto che, in alcuni casi, non è possibile identificare preventivamente i documenti rilevanti, rendendo necessario il sequestro di interi archivi digitali, soprattutto in contesti investigativi complessi come quelli fiscali o di bancarotta.
Il principio di proporzionalità implica che il sequestro non debba eccedere quanto necessario per l’accertamento del reato, mentre il principio di pertinenzialità richiede che i dati acquisiti abbiano una connessione diretta con i fatti oggetto di indagine.
La Corte ha precisato che, nel caso in esame, il sequestro era mirato a individuare informazioni relative a società cartiere e ai contatti con amministratori di fatto di tali società, e dunque rispondeva a criteri di pertinenza.
Un ulteriore punto discusso nella sentenza riguarda la necessità di adottare criteri di selezione per i dati estratti.
La Cassazione ha rilevato che il sequestro di dati digitali deve essere seguito da una selezione mirata, che isoli le informazioni utili all’accertamento dei fatti contestati. Il Tribunale del riesame aveva confermato che il Pubblico Ministero aveva delineato i criteri per identificare i dati rilevanti, specificando che le informazioni ricercate riguardavano i rapporti con le società cartiere e le operazioni contabili delle stesse.
La Corte ha affermato: “Non è sempre possibile individuare preventivamente i documenti utili all’accertamento del fatto nei reati tributari o societari, e pertanto il sequestro di interi archivi informatici è legittimo, a condizione che siano indicati i criteri per la successiva selezione delle informazioni rilevanti”.
La Cassazione ha inoltre richiamato la giurisprudenza secondo cui il vincolo del sequestro su archivi digitali deve rispettare una durata ragionevole per garantire la tutela dei diritti di difesa. La permanenza del vincolo deve essere limitata al tempo necessario per l’acquisizione dei dati rilevanti, e l’interessato può richiedere la restituzione dei dispositivi non appena terminata la fase di selezione dei dati utili all’indagine.