Il reato di bancarotta fraudolenta è il principale reato fallimentare ed ha la finalità di tutelare i creditori e il patrimonio coinvolto nel fallimento.
La sentenza Cass. Pen. n.9812/06 della Quinta Sezione, qui analizzata, riguarda una sentenza di condanna per bancarotta fraudolenta post fallimentare pronunciata dalla corte di appello dell'Aquila nei confronti di un imprenditore.
La pronuncia solleva spunti interessanti in relazione al tema della gestione da parte dell'amministratore di somme di denaro a seguito della dichiarazione di fallimento.
Cos'è la bancarotta fraudolenta?
La bancarotta fraudolenta si verifica quando, dopo la dichiarazione di fallimento, l’imprenditore sottrae beni o somme di denaro dal patrimonio destinato ai creditori. Il reato è disciplinato dall’art. 216 della Legge Fallimentare e punisce una serie eterogenea (disposizione a più fattispecie) di condotte che danneggiano il diritto dei creditori a ottenere quanto dovuto.
La sentenza in esame
Nel caso affrontato dalla Corte, l’imprenditore era stato condannato, in primo e secondo grado, per aver distratto somme dall’attivo fallimentare, utilizzandole per pagamenti a fornitori e lavori eseguiti dopo la dichiarazione di fallimento della sua impresa. In particolare, l'imputato aveva proseguito la sua attività imprenditoriale utilizzando i fondi senza versarli al curatore fallimentare, danneggiando così i creditori.
I motivi del ricorso dell'imprenditore
L'imprenditore ha impugnato la sentenza di condanna, sostenendo la legittimità della nuova attività svolta a seguito del fallimento e ciò in quanto sosteneva di aver avviato una nuova impresa, separata da quella fallita, e che i ricavi non fossero soggetti alle regole del fallimento.
Secondo il difensore dell'imputato, la legge non vieta al fallito di avviare una nuova attività lavorativa, né impone che i guadagni derivanti da questa attività siano conferiti al fallimento.
La sentenza della Corte di Cassazione
La Corte di Cassazione ha rilevato alcune criticità nelle sentenze di merito, soprattutto in relazione al trattamento delle somme derivanti dalla nuova attività imprenditoriale dell'imputato.
In particolare, la Corte ha chiarito alcuni punti fondamentali.
La Corte ha stabilito che il fallito ha il diritto di intraprendere una nuova attività lavorativa, purché non violi le disposizioni della legge fallimentare. Questo principio deriva non solo dalla normativa fallimentare, ma anche dalla Costituzione, che tutela il diritto al lavoro e la dignità della persona. Tuttavia, i proventi derivanti da tale attività possono essere inclusi nel fallimento solo se si tratta di utili netti, ovvero dedotte le spese necessarie per il mantenimento del fallito e della sua famiglia.
La Corte ha inoltre chiarito che la legge fallimentare prevede che i beni acquisiti dal fallito dopo la dichiarazione di fallimento rientrino nell’attivo fallimentare solo se superano le spese sostenute per il loro acquisto.
In questo senso, non vi è un divieto assoluto per il fallito di continuare a lavorare o intraprendere una nuova attività, ma è necessario valutare in che misura i risultati positivi della nuova impresa possano essere destinati al fallimento, deducendo però le passività connesse all'attività stessa.
La Corte ha quindi evidenziato che i giudici di merito non avevano adeguatamente considerato la possibilità che le somme contestate come distratte fossero frutto della nuova attività lavorativa del fallito, nonché la questione se tali somme fossero state calcolate al lordo o al netto delle spese.
In base a questi elementi, la sentenza è stata annullata con rinvio alla Corte d'Appello di Perugia per un nuovo esame, al fine di chiarire se gli importi contestati rientravano effettivamente nell’attivo fallimentare o potevano essere legittimamente utilizzati per la nuova attività imprenditoriale.
Bancarotta fraudolenta e nuove attività del fallito
La sentenza in esame mette in luce un tema rilevante nel diritto fallimentare: la distinzione tra i beni e i ricavi che appartengono all’attivo fallimentare e quelli che, al contrario, derivano da una nuova attività del fallito.
Se da un lato la legge fallimentare tende a tutelare i creditori attraverso l'inclusione nell'attivo di tutti i beni del fallito, dall’altro riconosce il diritto del fallito a continuare a lavorare e a disporre di una parte dei proventi per il proprio sostentamento.