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Calunnia: la spontanea "ritrattazione" della denuncia non esclude la punibilità del reato


Sentenze della Corte di Cassazione in relazione al reato di calunnia

La massima

La spontanea ritrattazione della denuncia non esclude la punibilità del delitto di calunnia, integrando un post factum irrilevante rispetto all'avvenuto perfezionamento del reato, eventualmente valutabile quale circostanza attenuante ai sensi dell' art. 62, n. 6, cod. pen. (Cassazione penale , sez. VI , 23/11/2022 , n. 1616).

 

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La sentenza integrale

Cassazione penale , sez. VI , 23/11/2022 , n. 1616

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza in epigrafe indicata, la Corte di appello di Trieste in parziale riforma della sentenza del Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Pordenone del 5 ottobre 2020, che, all'esito di giudizio abbreviato, aveva condannato l'imputato M.M. per i reati di cui agli artt. 612-bis e 368 c.p., revocava la pena accessoria dell'interdizione dai pubblici uffici e confermava nel resto.


All'imputato era stato contestato di aver posto in atto atti persecutori nei confronti di P.R. e di aver falsamente accusato, con denuncia presentata ai carabinieri, l'allora compagno della predetta, pur sapendolo innocente, di averlo minacciato con l'uso di un'arma.


2. Avverso la suddetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione l'imputato, denunciando, a mezzo di difensore, i motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all'art. 173 disp. att. c.p.p..


2.1. Violazione di legge in relazione all'art. 612-bis c.p. per insussistenza del reato di atti persecutori; vizio di motivazione in relazione alla causazione di uno degli eventi del reato e al doveroso annullamento della sentenza impugnata.


La motivazione sul rigetto del secondo motivo di appello (con il quale si contestava la concreta causazione di uno degli eventi previsti dall'art. 612-bis c.p. per la configurabilità del reato - l'insorgenza nella persona offesa di uno stato di agitazione e di paura ovvero del timore per la propria incolumità o di un prossimo congiunto e l'alterazione delle abitudini di vita) è carente, apodittica rispetto alle censure difensive ed erronea giuridicamente.


Dalla querela e dalle sommarie informazioni rese dalla persona offesa non risulta alcuna prova o riscontro di uno stato di ansia e di paura della persona offesa né un suo cambiamento di vita (ma solo mere incomprensioni con il compagno).


D'altra parte, le condotte assillanti si sono concentrate in pochi giorni (la maggior parte nell'arco di tre giorni) e non hanno raggiunto un livello di tollerabilità tale da rendere obiettivamente gravose le condizioni di vita quotidiana della persona offesa e dei suoi famigliari. E' pertanto evidente che entrambi i Giudici del merito non abbiano individuato in maniera specifica gli elementi afferenti alla consistente alterazione delle abitudini di vita della persona offesa e della sua famiglia.


Ne' potevano rilevare i meri disagi e fastidi delle condizioni di vita quotidiana e del lavoro.


2.2. Violazione di legge in relazione all'art. 368 c.p. e alla insussistenza del reato di calunnia per la ritrattazione e alla ricorrenza della attenuante di cui all'art. 62 c.p., n. 6; vizio di motivazione in relazione sul punto e al doveroso annullamento della sentenza impugnata.


La Corte di appello ha escluso che vi sia stata ritrattazione da parte del ricorrente. Tuttavia, tale circostanza risulta dalla sentenza di primo grado (il giorno seguente alla presentazione della denuncia-querela il ricorrente ritrattava riferendo di aver esagerato e escludendo di essere stato vittima di minaccia), è presenta tutte le caratteristiche richieste per escludere il reato di calunnia per l'inoffensività della condotta o comunque per configurare il pentimento operoso di cui all'art. 62 c.p., n. 6.


3. Disposta la trattazione scritta del procedimento, ai sensi del D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 8, conv. dalla L. 18 dicembre 2020, e succ. modd., in mancanza di richiesta nei termini ivi previsti di discussione orale, il Procuratore generale ha depositato conclusioni scritte, come in epigrafe indicate.


Anche la difesa delle parti civili ha fatto pervenire il 16 novembre 2022 conclusioni scritte, chiedendo anche la condanna del ricorrente alla refusione delle spese sostenute nel grado, segnalando che la P. è stata ammessa al patrocinio a spese dello Stato.


CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile per le ragioni di seguito illustrate.


2. Il primo motivo declina censure in fatto e comunque manifestamente infondate.


Sin dal primo grado era stato individuato quale evento delle condotte minacciose e di molestia poste in atto dal ricorrente (in questa sede non specificatamente contestate nella loro oggettiva consistenza) il mutamento delle abitudini di vita della persona offesa, segnatamente nelle modalità con le quali quest'ultima riceveva le clienti del negozio di parrucchiera e nell'insorgenza di incomprensioni nelle relazioni con il convivente.


Con l'appello, il ricorrente, non confrontandosi con tale accertamento, aveva sostenuto che non vi fosse prova alcuna - salvo le dichiarazioni della persona offesa - che quest'ultima avesse cambiato le sue abitudini nell'interrompere l'attività fisica all'aperto, nel mutare domicilio o nel cambiare la sua autovettura; nonché che non dovessi tenersi conto dell'episodio delle missive inviate alla persona offesa, non trattandosi di atto minatorio e riconducibile al reato in esame.


Se queste erano le censure, la Corte di appello ha fornito una puntuale risposta.


Ha da un lato spiegato le ragioni della piena attendibilità della persona offesa e dall'altro ha richiamato quelli che già il primo giudice aveva individuato come effetti lesivi della condotta tenuta dal ricorrente (sui quali alcuna censura diretta era stata sollevata dal ricorrente).


Quanto alle critiche avanzate in questa sede sulla irrilevanza degli effetti individuati dalla Corte di appello, il ricorrente avanza rilievi in fatto, chiedendo alla Corte di cassazione di pronunciarsi sulla effettiva idoneità della condotta tenuta a determinare l'evento tipico della alterazione o cambiamento delle abitudini di vita della persona offesa.


Sul punto va richiamato il pacifico orientamento di legittimità che afferma in tema di atti persecutori, come, ai fini della individuazione del cambiamento delle abitudini di vita, quale elemento integrativo del delitto di cui all'art. 612-bis c.p., occorra considerare il "significato e le conseguenze emotive della costrizione sulle abitudini di vita cui la vittima sente di essere costretta" e non la valutazione, puramente quantitativa, delle variazioni apportate (Sez. 5, n. 24021 del 29/04/2014, Rv. 260580). In tale arresto, la Suprema Corte ha evidenziato come, nella maggior parte dei casi, la prova anche di tale evento debba essere dedotta dalle parole della stessa vittima, rilevando pertanto a tal fine l'attendibilità della persona offesa e la credibilità del suo racconto.


3. Quanto alla calunnia, il motivo è in parte manifestamente infondato e in parte precluso.


Quanto alla rilevanza della ritrattazione, la giurisprudenza di legittimità è ferma nel ritenere che la spontanea "ritrattazione" della denuncia non escluda la punibilità del delitto di calunnia, integrando un "post factum" irrilevante rispetto all'avvenuto perfezionamento del reato ed eventualmente valutabile quale circostanza attenuante ai sensi dell'art. 62 c.p., n. 6, (tra tante, Sez. 6, n. 29536 del 02/07/2013, Rv. 256152).


In ordine alla valutazione della ritrattazione ai fini del trattamento sanzionatorio, va rilevato che la Corte di appello ha ritenuto che neppure vi fosse stata una "ritrattazione" da parte del ricorrente, avendo questi soltanto dichiarato successivamente alle forze dell'ordine la decisione di "non procedere oltre" nei confronti del calunniato.


Ebbene, nell'atto di appello è lo stesso ricorrente a prospettare che la ritrattazione sia consistita nella decisione di "non procedere oltre" con la querela sporta nei confronti del calunniato.


In questa prospettiva, il richiamo del ricorrente al contenuto effettivo delle dichiarazioni rese agli stessi carabinieri dopo meno di 24 ore dalla querela propongono un ennesimo accertamento in fatto precluso a questa Corte.


Correttamente, quindi, la Corte di appello ha escluso che la condotta segnalata nell'appello fosse di per sé valutabile come "pentimento operoso" di cui all'art. 62 c.p., comma 1, n. 6.


Ne' argomenti decisivi possono essere desunti dalla sentenza di primo grado, posto che le dichiarazioni del ricorrente del 14 dicembre 2017 erano state rese ai carabinieri solo dietro richiesta di questi ultimi, che intervenuti su segnalazione della donna per l'episodio avvenuto quel giorno presso il negozio di quest'ultima, lo avevano invitato in caserma per la identificazione e per sentirlo sui fatti e per confermare la denunciata minaccia (solo all'esito dell'invito a confermare la subita minaccia, il ricorrente aveva prima dichiarato che era stata a lui mostrata una pistola quadrata, poi ritornava su suoi passi affermando di aver esagerato e che forse si era confuso pensando si trattasse di una pistola e che non era stato quindi vittima di minaccia). Quindi non si era presenza di quella "spontanea" ritrattazione rilevante ai fini della invocata attenuante.


La circostanza attenuante di cui all'art. 62 c.p., comma 1, n. 6, richiede infatti che la condotta resipiscente dell'agente sia spontanea. Tale requisito sussiste in caso di confessione se il soggetto si sia adoperato senza pressioni o costrizioni a elidere o a attenuare le conseguenze del reato (Sez. 6, n. 5786 del 03/04/2000, Rv. 220576).


4. Alla stregua di tali rilievi il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.


Il ricorrente deve, pertanto, essere condannato, ai sensi dell'art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese del procedimento.


Considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza "versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", deve, altresì, disporsi che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di tremila Euro, in favore della Cassa delle ammende.


Condanna, inoltre, l'imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili, come indicato in dispositivo.


P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000 in favore della Cassa delle ammende.


Condanna, inoltre, il ricorrente a rifondere le spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente grado dalle parti civili P.R. e T.S., quanto alla prima, ammessa al patrocinio a spese dello Stato, nella misura che sarà liquidata dalla corte di appello di Trieste, disponendone il pagamento in favore dello Stato, e quanto a T. nella misura di Euro 3.686,00, oltre accessori di legge.


Così deciso in Roma, il 23 novembre 2022.


Depositato in Cancelleria il 17 gennaio 2023

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