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Calunnia: sui rapporti con il reato di falso ideologico commesso dal pubblico ufficiale


Sentenze della Corte di Cassazione in relazione al reato di calunnia

La massima

Non sussiste il concorso apparente di norme tra il reato di calunnia e il reato di falso ideologico commesso dal pubblico ufficiale in atto pubblico e non è, pertanto, applicabile il principio di specialità di cui all'art. 15 c.p., stante la diversità del fatto tipico - avuto riguardo al confronto strutturale tra le fattispecie astratte dei due reati delineate rispettivamente dall'art. 368 c.p. e 479 c.p. - costituito quanto alla calunnia dall'incolpazione di un reato e quanto al falso dall'attestazione in atto pubblico, con la conseguenza che le due fattispecie incriminatrici si pongono in rapporto di mera interferenza, essendo il falso solo uno dei possibili strumenti di calunnia (Cassazione penale , sez. V , 19/05/2014 , n. 39822).

Fonte: Ced Cassazione Penale

 

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La sentenza integrale

Cassazione penale , sez. V , 19/05/2014 , n. 39822

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza deliberata il 12/12/2012, il Tribunale di Milano, all'esito del giudizio abbreviato, dichiarava S.F. e Su.Da.Sa. responsabili dei seguenti reati: lesioni pluriaggravate, per avere cagionato a M.V.L. lesioni giudicate guaribili in 52 giorni - e, segnatamente, un "fracasso di faccia" (ossia plurime fratture della base e della parete ermoidale del seno mascellare di sinistra; frattura del pavimento del seno mascellare di destra, della parte anteriore e laterale del seno mascellare, del pavimento orbitale di sinistra, del setto nasale, del tetto dell'osso etmoidale, del processo temporo - zigomatico di destra, del terzo medio dell'arco zigomatico e della zona fronto - zigomatico), nonchè la tumefazione dei tessuti molli dell'emivolto sinistro, sotto - orbitaria, endo-orbitaria, con versamento ematico post-traumatico - con le circostanze aggravanti di cui all'art. 61 c.p., comma 1, nn. 1) e 9), (capo A); calunnia aggravata per aver incolpato falsamente M. con la denuncia all'Autorità Giudiziaria del (OMISSIS) del delitto di resistenza a pubblico ufficiale pur nella consapevolezza della sua innocenza (capo B); falso ideologico in atto pubblico, perchè quali agenti della Polizia di Stato e quindi di pubblici ufficiali nell'esercizio delle loro funzioni, formando la denuncia del (OMISSIS), attestavano falsamente che M. aveva posto in essere condotte corrispondenti al delitto denunciato e, in particolare, che aveva aggredito gli imputati profferendo altresì nei loro confronti gravi minacce (capo C).


Con sentenza deliberata in data 25/03/2013, la Corte di appello di Milano ha ridotto la pena inflitta ad entrambi gli imputati, confermando nel resto la sentenza di primo grado.


2. Avverso l'indicata sentenza della Corte di appello di Milano hanno proposto ricorso per cassazione, nell'interesse di S. F. e di Su.Da.Sa., i difensori avv. Bongiorno Giulia e Alberti Valentina (quest'ultima solo nell'interesse del secondo), articolando cinque motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all'art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1.


Il primo motivo denuncia inosservanza o erronea applicazione della legge penale e vizio di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza del delitto di calunnia. La sentenza impugnata ha erroneamente attribuito rilevanza decisiva alla mera qualificazione giuridica ("resistenza a pubblico ufficiale") impressa dagli imputati all'intestazione dell'atto a loro firma, nel quale, tuttavia, a parte detta indicazione, non era riportato alcun elemento idoneo ad accusare falsamente M. di aver esercitato una minaccia per opporsi al compimento di un atto d'ufficio. La sentenza impugnata ha poi ravvisato la calunnia nell'aver ingiustamente evidenziato a carico di M. elementi idonei ad integrare i reati di percosse e minaccia grave: tuttavia, mentre il primo non è reato perseguibile d'ufficio, quanto al secondo la tesi della falsità dell'attestazione sostenuta dalla Corte di appello è censurabile fondandosi su un assioma non dimostrato, come evidenziato dalla dinamica dello scontro fisico descritta dai due agenti ed evincibile dalle riprese video e dalle dichiarazioni rese dalla compagna di M., F.P.M.A..


Il secondo motivo denuncia inosservanza o erronea applicazione della legge penale in relazione all'assorbimento del reato di falso ideologico nel delitto di calunnia aggravato dall'abuso dei poteri e dalla violazione dei doveri. La sentenza impugnata non ha considerato che lo stesso art. 368 c.p., prevede implicitamente che la calunnia possa realizzarsi attraverso una falsità ideologica: nel caso di specie, vi è coincidenza sia dal punto di vista soggettivo, poichè, pur configurando l'art. 479 c.p., un reato proprio, la calunnia è aggravata ex art. 61 c.p., comma 1, n. 9, sia da quello dell'oggetto materiale, sicchè la condotta delittuosa (falso/calunnia) è indistinguibile anche perchè posta in essere nello stesso contesto.


Quanto all'interesse protetto, se la calunnia è preordinata ad evitare sviamenti o ostacoli al regolare funzionamento della giustizia, l'esigenza di formare annotazioni di servizio veritiere mira a prevenire pericoli al corretto svolgimento dell'attività giudiziaria, per il danno che deriverebbe da un attentato alla fede pubblica documentale, sicchè i reati di falso sono plurioffensivi.


La falsificazione costituisce un elemento essenziale della fattispecie complessa di calunnia, con la conseguenza che, per il principio dell'assorbimento, il reato meno grave (art. 479 c.p.) resta assorbito in quello più grave (art. 368 c.p.).


Il terzo motivo denuncia inosservanza o erronea applicazione della legge penale in relazione alla ritenuta sussistenza, con riferimento al reato di lesioni personali, delle circostanze aggravanti dei motivi abietti o futili e dell'abuso dei poteri o della violazione dei doveri. La sentenza impugnata ha omesso di valutare se la rappresentazione di un'apparente minaccia dovesse ritenersi o meno costruita artificiosamente, ben potendo gli imputati essere caduti in errore incolpevole in ordine all'intimidazione espressa verbalmente e con comportamento concludente da M., così affermando la futilità del motivo in assenza di un'approfondita indagine sul dato psichico, ossia sull'impulso ad agire. La sentenza impugnata, inoltre, ha postulato un'automatica applicazione della circostanza dell'abuso dei poteri o della violazione dei doveri, omettendo di indicare le ragioni per le quali, con riguardo alla fattispecie concreta, si sia ritenuto che le funzioni esercitate costituissero un fattore agevolativo delle realizzazione del reato di lesioni.


Il quarto motivo denuncia inosservanza o erronea applicazione della legge penale e vizio di motivazione in relazione all'esclusione delle circostanze attenuanti della provocazione e del ravvedimento. La sentenza impugnata ha erroneamente ed illogicamente escluso la circostanza attenuante della provocazione nonostante la stessa motivazione abbia dato atto dell'atteggiamento minaccioso e di sfida di M. prima dello scontro, laddove il riferimento alla mancata proporzionalità della reazione rispetto all'offesa denota un'erronea sovrapposizione con i parametri della legittima difesa, sicchè, pur se sproporzionata, la reazione dei due agenti ha trovato impulso e origine nel comportamento irritante e di sfida della persona offesa. La circostanza attenuante del ravvedimento può essere negata solo qualora la riparazione sia parziale o inadeguata, mentre, nel caso di specie, la somma consegnata era stata ritenuta dal giudice di primo grado prossima a quella dovuta a titolo definitivo.


Il quinto motivo denuncia vizio di motivazione in relazione alla mancata concessione della prevalenza delle circostanze attenuanti generiche sulle contestate aggravanti.


CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I primi tre motivi e la doglianza - articolata nel quarto motivo - relativa al diniego di applicazione della circostanza attenuante della provocazione non meritano accoglimento.


1.1. Il primo motivo è inammissibile. La Corte di merito ha argomentato in ordine alla sussistenza della calunnia mettendo in luce, per un verso, che nessuna violenza o minaccia era stata posta in essere dalla persona offesa e che è irrilevante, ai fini della configurazione del delitto, la qualificazione dei fatti fornita dall'agente; per altro verso, ha rilevato che l'annotazione di servizio ha determinato l'iscrizione presso la Procura della Repubblica di M. per resistenza a pubblico ufficiale. Lungi dunque dal far leva, come sostenuto dai ricorrenti, sulla decisività della qualificazione giuridica prospettata dagli imputati nell'intestazione della denuncia o su un assioma indimostrato (la non configurabilità dei reati di minaccia grave e percosse in capo a M.), la Corte di merito ha escluso la decisività della predetta intestazione e ha rimarcato come dalla denuncia sia scaturita l'iscrizione della persona offesa nel registro degli indagati per il reato di resistenza a un pubblico ufficiale: il primo rilievo è in linea con la giurisprudenza di questa Corte (puntualmente richiamata dalla sentenza impugnata), secondo cui ai fini della configurabilità del reato di calunnia - che è di pericolo - non è richiesto l'inizio di un procedimento penale a carico del calunniato, occorrendo soltanto che la falsa incolpazione contenga in sè gli elementi necessari e sufficienti per l'esercizio dell'azione penale nei confronti di una persona univocamente e agevolmente individuabile (Sez. 6^, n. 32325 del 04/05/2010 - dep. 26/08/2010, Grazioso, Rv. 248079); il secondo rilievo, che valorizza la valutazione fatta dal P.M. in ordine ai contenuti della denuncia, non è oggetto di puntuale critica da parte del ricorso che, sul punto, omette di confrontarsi con le ragioni argomentative della decisione impugnata (Sez. 1^, n. 4521 del 20/01/2005 - dep. 08/02/2005, Orru1, Rv. 230751).


Il motivo è dunque in parte manifestamente infondato e in parte, comunque, inammissibile.


1.2. Il secondo motivo è infondato. In tema di concorso di reati e concorso apparente di norme, la più recente giurisprudenza di legittimità ha affermato che "il criterio di specialità è da intendersi in senso logico-formale, ritenendo, cioè, che il presupposto della convergenza di norme, necessario perchè risulti applicabile la regola sulla individuazione della disposizione prevalente posta dal citato art. 15, possa ritenersi integrato solo in presenza di un rapporto di continenza tra le stesse, alla cui verifica deve procedersi attraverso il confronto strutturale tra le fattispecie astratte rispettivamente configurate, mediante la comparazione degli elementi costitutivi che concorrono a definire le fattispecie stesse" (Sez. U, n. 1235 del 28/10/2010 - dep. 19/01/2011, Giordano ed altri; conf.: Sez. U, n. 22225 del 19/01/2012 - dep. 08/06/2012, Micheli). Il confronto strutturale tra le fattispecie astratte delineate dall'art. 368 c.p., e dall'art. 479 c.p., esclude, rispetto ad esse, il concorso apparente di norme:


accanto al profilo comune rappresentato dalla immutatio veri, il fatto tipico della calunnia e quello della falsità ideologica del pubblico ufficiale in atto pubblico presentano elementi costitutivi del tutto eterogenei, ossia, quanto alla prima, l'incolpazione di un reato e, quanto alla seconda, l'attestazione in atto pubblico, sicchè le fattispecie si pongono in rapporto di mera interferenza, essendo il falso solo uno dei possibili strumenti di calunnia.


Escluso, dunque, che tra le fattispecie in questione possa individuarsi il rapporto di continenza indicato dalle Sezioni unite Giordano, il concorso apparente di norme resta non configurabile, nel caso in esame, anche a voler attribuire all'immutatio veri il ruolo non già di semplice profilo comune degli elementi costitutivi delle due fattispecie in questione, ma quello di autonomo elemento costitutivo dell'una e dell'altra, che, dunque, verrebbero a porsi in rapporto di specialità reciproca per aggiunta: al riguardo, infatti, giova ricordare che, citando ad esempio il rapporto tra violenza sessuale e incesto, Sez. U, n. 1963 del 28/10/2010 - dep. 21/01/2011, P.G. in proc. Di Lorenzo ha escluso l'identità della materia ex art. 15 c.p., nella specialità reciproca bilaterale per aggiunta, ossia qualora ciascuna delle due fattispecie presenti, rispetto all'altra, elementi aggiuntivi eterogenei: in questa prospettiva, infatti, l'incolpazione di un reato nella calunnia e l'attestazione in atto pubblico nella fattispecie ex art. 479 c.p., rappresentano elementi aggiuntivi eterogenei alla luce dei quali va escluso comunque il concorso apparente.


Nè è decisivo il rilievo che la calunnia risulti, nel caso di specie, aggravata dalla circostanza di cui all'art. 61 c.p., comma 1, n. 9), posto che, al lume dell'orientamento appena richiamato, il raffronto strutturale deve investire le fattispecie astratte di reato.


Del resto, il riferimento alle circostanze del reato comporterebbe uno spostamento del fulcro dello scrutinio volto al riconoscimento del concorso apparente di norme ovvero del concorso del reato dal piano del confronto astratto tra le norme incriminatrici, a quello dell'esame concreto dei singoli episodi di vita: spostamento - mette conto sottolineare - non in linea con il consolidato indirizzo della giurisprudenza di legittimità secondo cui il raffronto strutturale tra le fattispecie prescinde dall'analisi del fatto storico (Sez. U, n. 1235 del 28/10/2010 - dep. 19/01/2011, Giordano ed altri; Sez. U, n. 35 del 13/12/2000 - dep. 15/01/2001, Sagone).


Del pari infondato è l'ulteriore argomento del ricorso incentrato sulla natura di reato complesso attribuita al delitto di calunnia, in quanto la fattispecie delineata dall'art. 368 c.p., non rientra nella nozione di complessità fissata dall'art. 84 c.p., nozione in forza della quale ®la complessità è un rapporto che può intercorrere solo tra fattispecie, quando sia la legge a prevedere un reato come elemento costitutivo o circostanza aggravante di un altro, non quando siano le particolari modalità di realizzazione in concreto del fatto tipico a determinare un'occasionale convergenza di più norme e, quindi, un concorso di reati" (Sez. 5^, n. 16267 del 11/03/2004 - dep. 07/04/2004, Franzolin, Rv. 228767, secondo cui non sussiste un rapporto di specialità, ma di mera interferenza, tra il reato di riciclaggio e quello di falso documentale).


Non ha fondamento, infine, l'argomento difensivo secondo cui il falso e la calunnia risulterebbero non distinguibili, perchè non realizzati in successione temporale così da realizzare autonome fattispecie incriminatrici: in questi termini, infatti, la tesi minerebbe alla radice la stessa configurabilità del concorso formale di reati.


1.3. Il terzo motivo non è fondato. Nella parte relativa all'applicazione, con riferimento al reato di lesioni personali, della circostanza aggravante dei motivi abietti o futili, la sentenza impugnata ha richiamato quella di primo grado, che ha sottolineato come le risultanze probatorie abbiano dimostrato l'assoluta innocuità delle molestie di M., rimaste sul piano esclusivamente verbale, nei confronti degli imputati, che, con una reazione assolutamente spropositata e sproporzionata, gli hanno "fracassato" il volto, infierendo su di lui anche quando giaceva a terra; nella medesima prospettiva, la Corte di appello ha rimarcato che gli imputati si erano già separati da M. e potevano benissimo allontanarsi definitivamente, essendo invece tornati sui loro passi aggredendo brutalmente la persona offesa, la cui condotta è risultata assolutamente innocua. La linea argomentativa così sviluppata - del tutto in sintonia con il consolidamento orientamento della giurisprudenza di legittimità in forza del quale ricorre la circostanza aggravante dei motivi futili quando la determinazione criminosa sia stata causata da uno stimolo esterno così lieve, banale e sproporzionato, rispetto alla gravità del reato, da apparire, per la generalità delle persone, del tutto insufficiente a causare l'azione delittuosa, tanto da potersi considerare, più che una causa determinante dell'evento, un pretesto o una scusa per l'agente di dare sfogo al suo impulso criminale (Sez. 1^, n. 24683 del 22/05/2008 - dep. 18/06/2008, Iaria, Rv. 240905) - è coerente con i dati probatori richiamati ed immune da cadute di consequenzialità logica, sicchè la censura dei ricorrenti, prospettata sub specie di inosservanza o erronea applicazione della legge penale, deduce sostanzialmente questioni di merito, sollecitando una rivisitazione esorbitante dai compiti del giudice di legittimità della valutazione del materiale probatorio operata dai giudici di primo e secondo grado.


La censura relativa all'applicazione della circostanza aggravante di cui all'art. 61 c.p., comma 1, n. 9), non è fondata. La sentenza di primo grado, richiamata espressamente sul punto dalla conforme sentenza di appello, ha ricollegato la configurabilità, nel caso di specie, di detta circostanza alla violazione degli specifici doveri inerenti alle funzioni della Polizia di Stato, doveri che, a norma della L. n. 121 del 1981, art. 68, devono essere osservati anche fuori dal servizio; in osservanza di tali doveri, gli imputati, avendo chiaramente percepito lo stato di ubriachezza di M. e le relative potenzialità dannose per la cittadinanza, avrebbero dovuto porre in essere orinane misure di "contenimento" di comportamenti del genere (quali chiamare i colleghi di pattuglia), avendo, al contrario, reagito con assoluta e sproporzionata violenza nei confronti della persona offesa. La Corte di appello ha poi sottolineato che gli imputati, in quanto agenti di polizia e addestrati a fronteggiare situazioni critiche, avrebbero dovuto sapere come comportarsi e arginare una persona ubriaca e solo molesta. La ratio decidendi così delineata, autosufficiente nella definizione del fondamento della ritenuta configurabilità della circostanza in esame in quanto ricollegata agli specifici doveri professionali degli imputati correlati alle peculiarità della fattispecie concreta, non è compromessa dalla censura dei ricorrenti.


1.4. Non è fondata la doglianza - articolata nel quarto motivo - relativa alla mancata applicazione della circostanza attenuante della provocazione. Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, detta circostanza non ricorre ogni qualvolta la sproporzione fra il fatto ingiusto altrui ed il reato commesso sia talmente grave e macroscopica da escludere o lo stato d'ira ovvero il nesso causale fra il fatto ingiusto e l'ira, pur non essendo il concetto di adeguatezza e proporzione connotato della circostanza attenuante medesima (Sez. 1^, n. 30469 del 15/07/2010 - dep. 30/07/2010, Luciano, Rv. 248375): la Corte di merito ha fatto buon governo di questo principio di diritto, rimarcando la violentissima e macroscopicamente sproporzionata reazione degli imputati al gesto di "sfida", del tutto innocuo, della persona offesa ed escludendo, sulla base di questo rilievo, la configurabilità della circostanza della provocazione, con motivazione non compromessa dalle critiche dei ricorrenti.


2. E', invece, fondata, nei termini indicati, la censura relativa al mancato riconoscimento dell'attenuante del risarcimento del danno. La sentenza di appello argomenta detta mancata applicazione sulla base della diagnosi che escludeva la completa guarigione di M., richiamando, sul punto, la sentenza di primo grado, che, alla mancata completa guarigione della persona offesa, aveva ricollegato il rilievo per il quale l'offerta di risarcimento non poteva ritenersi integralmente riparatoria dei danni subiti dalla persona offesa.


Ritiene il Collegio che sussista il vizio motivazionale denunciato, in quanto la valutazione -essenziale ai fini dell'applicazione della circostanza in esame (Sez. 5^, n. 13282 del 17/01/2013 - dep. 21/03/2013, Sanchez Jimenez, Rv. 255187) - sulla integrante del risarcimento, non può essere basata, in termini negativi, sulla esclusiva considerazione della mancata completa guarigione della persona offesa; infatti, tale valutazione, se necessario, deve essere proiettata verso il futuro (Sez. 1^, n. 2919 del 18/10/1976 - dep. 18/02/1977, Mosconi, Rv. 135362, in tema di valutazione dell'entità di un danno alla persona da invalidità permanente), sicchè la mancata completa guarigione della persona offesa non può esimere il giudice dalla verifica della sussistenza dei presupposti per l'applicazione della circostanza.


Sul punto, pertanto, la sentenza impugnata deve essere annullata; il giudice del rinvio, qualora dovesse ritenere la sussistenza dell'attenuante invocata, dovrà procedere a un nuovo giudizio di comparazione ex art. 69 c.p., restando, di conseguenza, necessariamente assorbito il quinto motivo di ricorso.


P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente al mancato riconoscimento dell'attenuante del risarcimento del danno, con riguardo al reato di lesioni, e rinvia ad altra Sezione della Corte d'appello di Milano per nuovo esame sul punto. Rigetta nel resto il ricorso.


Così deciso in Roma, il 19 maggio 2014.


Depositato in Cancelleria il 25 settembre 2014

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