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Calunnia: sui rapporti con la simulazione di reato


Sentenze della Corte di Cassazione in relazione al reato di calunnia

La massima

Integra il delitto di simulazione di reato, e non quello di calunnia indiretta, la condotta di colui che, dopo aver effettuato l'acquisto di un bene versando un anticipo, denunci falsamente lo smarrimento della propria carta d'identità, ipotizzando che ignoti abbiano formato un falso contratto utilizzando il suo nome, non emergendo dalla denuncia un'accusa riferibile in modo preciso ad una determinata persona (Cassazione penale , sez. VI , 05/07/2016 , n. 40752).

Fonte: Ced Cassazione Penale

 

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La sentenza integrale

Cassazione penale , sez. VI , 05/07/2016 , n. 40752

RITENUTO IN FATTO

1. Con il provvedimento in epigrafe, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Palermo del 12 giugno 2013, la Corte d'appello del capoluogo siciliano ha riqualificato il fatto contestato all'imputato quale calunnia indiretta nel reato di simulazione di reato ed ha rideterminato la pena inflitta in primo grado in un anno di reclusione.


1.1. A sostegno della decisione, la Corte ha evidenziato, per un verso, che sulla base delle attendibili e coerenti prove testimoniali e documentali acquisite agli atti - non può dubitarsi che C. abbia stipulato personalmente il contratto con la società V. al fine di acquistare un elettrodomestico, pagando solo un minimo anticipo di 50 Euro alla stipula, e, dopo aver ricevuto l'apparecchio acquistato, abbia poi omesso di versare il saldo, presentando in data (OMISSIS) - dopo avere ricevuto il sollecito di pagamento - una falsa denuncia di smarrimento della propria carta d'identità, ipotizzando che ignoti avessero potuto utilizzarla per formare un falso contratto utilizzando il suo nominativo. Per altro verso, ha evidenziato che, allorchè il reato risulti genericamente attribuibile ad una qualunque persona sconosciuta (ignota) ed in nessun modo individuabile in base agli elementi addotti nella falsa denuncia, diviene configurabile la diversa fattispecie della simulazione di reato.


2. Ricorrono avverso la sentenza sia il Procuratore Generale presso la Corte d'appello di Palermo, sia l'imputato personalmente.


3. La parte pubblica eccepisce la violazione di legge penale ed il vizio di motivazione in relazione alla disposta riqualificazione giuridica del fatto, originariamente contestato quale calunnia indiretta, nella fattispecie della simulazione di reato, là dove, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, ricorre il reato previsto dall'art. 368 c.p. in tutti i casi in cui la falsa imputazione sia idonea, per modalità e circostanze sottese alla falsa attribuzione del fatto reato, ad esprimere l'univoca riferibilità dell'accusa ad una persona reale, determinata o determinabile. Cosa che - ad avviso del P.G. - ricorre nella specie, avendo C. - con la denuncia di truffa in relazione alla stipula del contratto d'acquisto del "folletto" - falsamente incolpato (OMISSIS), sottoscrittore del contratto, sapendolo innocente.


4. C.V. invoca l'annullamento della sentenza per insufficiente indicazione dei criteri di valutazione della prova ed in ordine all'integrazione dell'elemento psicologico.


CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso del Procuratore generale deve essere rigettato.


2. La parte pubblica ricorrente lamenta che i Giudici della cognizione abbiano fatto una non corretta applicazione della giurisprudenza di legittimità in tema di demarcazione fra i reati di calunnia e simulazione di reato.


2.1. Secondo il costante insegnamento di questa Suprema Corte, è integrato il delitto di calunnia nella forma cd. indiretta quando l'incolpazione sia tale, per le modalità ed elementi della falsa attribuzione del fatto-reato, da rendere inequivoca la riferibilità della accusa ad una determinata persona, nel senso che questa soltanto risulti essere il soggetto che ha commesso il fatto illecito, pur in assenza di una accusa nominativamente formulata, sussistendo invece il reato di simulazione di reato quando il fatto-reato sia implicitamente e non nominativamente attribuito ad una qualsiasi delle persone fisiche aventi un interesse specifico alla consumazione del reato falsamente attribuito dall'imputato (Sez. 6, n. 9521 del 08/06/1983, Focardi, Rv. 161144). Ancora, si è di recente ribadito che il delitto di calunnia sussiste anche quando l'incolpazione venga formulata attraverso la simulazione a carico di una persona, non specificamente indicata ma identificabile, delle tracce di un determinato reato - nella forma, cioè, della incolpazione cosiddetta reale o indiretta - purchè la falsa incolpazione contenga in sè gli elementi necessari e sufficienti all'inizio dell'azione penale nei confronti di un soggetto univocamente e agevolmente identificabile ((Sez. 6, n. 4537 del 09/01/2009, Sileoni e altro, Rv. 242819).


2.2. A tali principi di diritto si conforma la decisione in verifica là dove, nel caso di specie - come si evince dalla ricostruzione in fatto svolta dai decidenti di merito sorretta da motivazione congrua -, l'imputato ha denunciato lo smarrimento della carta d'identità ipotizzando che altri abbiano sottoscritto il contratto di acquisto dell'elettrodomestico e, dunque, ha descritto un fatto storico-naturalistico privo di elementi necessari e sufficienti ad individuare Ch.Ma. quale autore della fraudolenta sottoscrizione del contratto. Ed invero, stando alla narrazione in denuncia, l'autore della truffa potrebbe identificarsi in una qualunque persona che avesse rinvenuto il documento (falsamente) denunciato come smarrito.


Conclusivamente, dalla denuncia contro ignoti non emerge un'accusa riferibile in modo in equivoco ad una determinata persona, sicchè è da escludere la configurabilità della invocata calunnia indiretta.


3. E' inammissibile il ricorso presentato dal C., in quanto palesemente destituito di fondamento.


Per quanto si evince dal complessivo compendio motivazionale della sentenza in verifica, risultano adeguatamente argomentati tanto l'elemento oggettivo del reato di cui all'art. 367 c.p., quanto l'elemento soggettivo, ai fini della integrazione del quale è sufficiente il dolo generico, ovvero la coscienza e volontà di affermare falsamente l'avvenuta consumazione di un reato, risultando invece irrilevante il movente del delitto (Sez. 6, n. 50944 del 04/11/2014, Barassi, Rv. 61417).


4. Dalla declaratoria di inammissibilità del ricorso di C. consegue, a norma dell'art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente, oltre che al pagamento delle spese del procedimento, anche a versare una somma, che si ritiene congruo determinare in 1.500,00 Euro.


P.Q.M.

Rigetta il ricorso del Procuratore generale. Dichiara inammissibile il ricorso di C.V. che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.500 in favore della cassa delle ammende.


Così deciso in Roma, il 5 luglio 2016.


Depositato in Cancelleria il 29 settembre 2016

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